Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma, Italia

La Galleria Nazionale di Arte Moderna e Contemporanea di Roma è la più grande collezione di arte contemporanea italiana. Situato a Roma, ha oltre 4 400 opere di pittura e scultura e circa 13000 disegni e stampe di artisti – per la maggior parte italiani – del XIX e del XX secolo. Nelle sue 55 camere è possibile vedere i capolavori della collezione, circa 1 100 opere. È l’unico museo nazionale interamente dedicato all’arte moderna; infatti, in molte capitali regionali ci sono gallerie d’arte moderne ma sono municipali.

Storia della galleria
La galleria fu fondata nel 1883, pochi anni dopo l’istituzione del giovane stato unitario italiano (Roma era diventata la capitale d’Italia nel 1871), poiché sentiva la necessità di un museo dedicato agli artisti contemporanei che vivono o che mancano di recente. La prima sede della Galleria fu il Palazzo delle Esposizioni di via Nazionale, la cui istituzione è dovuta al lavoro del ministro Guido Baccelli.

Ben presto, tuttavia, il Palazzo delle Esposizioni si rivelò insufficiente per accogliere dipinti e sculture che nel tempo erano aumentati di numero. Poi c’era un altro inconveniente: ogni volta che si teneva una mostra temporanea, i lavori esposti dovevano essere rimossi.

In occasione dell’Esposizione Internazionale di Roma del 1911 (50 ° anniversario dell’Unità d’Italia) è stata presa la costruzione dell’attuale edificio a Valle Giulia come sito permanente della Galleria. Il palazzo delle belle arti fu progettato dall’architetto e ingegnere romano Cesare Bazzani (lo stesso autore del Ministero della Pubblica Istruzione di viale Trastevere a Roma e dell’ospedale Fatebenefratelli nell’isola Tiberina).

Nel 1933 anche questo edificio divenne insufficiente per accogliere tutte le opere che erano arrivate in galleria per l’acquisto o la donazione. Sempre di Cesare Bazzani, è stata programmata e inaugurata quell’anno, che ha raddoppiato lo spazio espositivo (questo corrisponde alle stanze attualmente occupate dal XX secolo).

Queste nuove sale non entrarono in possesso della Galleria perché erano occupate da una “Mostra della Rivoluzione Fascista”, che con tavole, grafici, fotografie e opere artistiche voleva “glorificare” le principali conquiste del regime.

Nel 1941 (poi nel mezzo della seconda guerra mondiale) divenne sovrintendente della Galleria Palma Bucarelli non ancora trentenne, rimase in questo ufficio per oltre 30 anni fino al 1975. Deve un’importante opera di ringiovanimento della cultura italiana e apertura verso più moderni esperimenti internazionali. Si è sforzato di dotare la Galleria di tutte quelle strutture che oggi sono ritenute indispensabili per un museo moderno: servizio di insegnamento, biblioteca, caffetteria, libreria, presentazione di libri, incontri con artisti. Non mancavano incontri mondani come sfilate di moda. In questo lavoro ha fatto uso di collaboratori di prima classe come Nello Ponente, Giovanni Carandente, Corrado Maltese, Maurizio Calvesi, Giorgio de Marchis.

Ma prima di fare tutto questo dovevi salvare le opere d’arte dai pericoli della guerra, le prese segretamente nel palazzo Farnese di Caprarola (in provincia di Viterbo, sul lago di Vico), poi a Castel Sant’Angelo.

Dopo la liberazione di Roma (4 giugno 1944) è stato possibile procedere con la riapertura della Galleria tra molte difficoltà. Seguirono anni di grandi mostre che permisero agli italiani di conoscere artisti che il regime aveva cercato di non far conoscere. Nel 1953 si tenne una grande mostra su Picasso, nel 1956 su Mondrian, nel 1958 su Pollock, nel 1959 fu esposta la grande sacca di Burri che destò scandalo, nel 1971 con la mostra di Piero Manzoni il soprintendente Palma Bucarelli rischiava il il suo posto. In questo lavoro di innovazione culturale ha avuto al suo fianco critici e storici dell’arte Giulio Carlo Argan (Torino 1909 – Roma 1992) e Cesare Brandi (Siena 1906 – Vignano SI 1988).

Nel 1973, fu ricevuto un finanziamento statale per un’ulteriore espansione della galleria basata su un progetto di Luigi Cosenza. L’inaugurazione ebbe luogo nel 1988.

Nel 1975, con l’istituzione del Ministero per i Beni Culturali, la Galleria acquisì il titolo di Sovrintendenza Speciale. Nello stesso anno la pensione del soprintendente Palma Bucarelli segna una nuova fase, in cui il “museo d’avanguardia”, ideato e sviluppato da lei, non mantiene il ruolo di apertura verso l’arte contemporanea allo stesso livello. Sotto la direzione di Italo Faldi, dal 1975 al 1978, la Galleria rafforza i compiti di conservazione e valorizzazione attraverso un articolato programma di mostre sull’arte italiana tra Otto e Novecento e sull’arte europea e americana, in un quadro di collaborazione internazionale. Tra il 1978 e il 1982 il nuovo sovrintendente Giorgio de Marchista traccia le linee essenziali degli indirizzi Bucarelli, calmandoli nella nuova situazione sociale e culturale della fine degli anni settanta. La Galleria è nella sua concezione un museo dinamico al passo con i tempi, è un centro di studi, un produttore di cultura e di servizio pubblico. Come centro di studi, il museo promuove, oltre alla conoscenza delle collezioni e delle attività espositive, l’uso di strutture di insegnamento, informazione e documentazione (biblioteca, archivio, sala proiezione, conferenze). Come museo di arte moderna è necessariamente un luogo di “sconfinamento” che accoglie e promuove attività culturali di varie discipline dal teatro, musica, cinema e danza. Il programma delle mostre organizzate corrisponde a precise linee di studio dell’arte italiana e straniera del diciannovesimo e del ventesimo secolo, coerenti con le collezioni e la storia del museo. Quando il fenomeno dell’esposizione di massa inizia a manifestarsi, de Marchis pone l’accento sull’esposizione delle attività museali come produzione culturale. Le numerose mostre organizzate in questo periodo riguardano contributi, spesso ancora di notevole vitalità, sulla storia dell’arte del Novecento (De Chirico, Abstract Art, Leoncillo), sulla storia del museo e delle collezioni, indagati nell’ampia prospettiva della storia di cultura (Roma 1911), sulla situazione contemporanea (Arte e Critica, 1980 e 1981), anche per quanto riguarda la recente arte minimale attraverso le sculture della collezione Panza di Biumo (1980).

Dagli anni settanta sono state donate importanti donazioni che, per la loro vastità, si trovavano in edifici distaccati dalla Galleria, in modo da formare una serie di musei satellitari. Nel 1979, la donazione di Manzù di Ardea fu aperta e aperta al pubblico nel 1981. Nel 1986 fu donata la galleria Mario Praz (inaugurata nel 1995 a Palazzo Primoli in via Zanardelli). Nel 1995 ha aperto il museo Boncompagni Ludovisi per arti decorative, moda e costume in via Boncompagni (la donazione del 1972 era stata ostacolata dai suoi eredi).

Tra il 1995 e il 1999 l’intero edificio subì importanti lavori di restauro e le collezioni furono riorganizzate. Questi lavori hanno utilizzato i fondi stanziati per il Giubileo del 2000, sotto l’egida del sovrintendente Sandra Pinto.

Nel 1997 la galleria ha ricevuto la donazione Schwarz di arte surrealista e Dada, colmando così un vuoto importante.

Nel gennaio 2000 sono iniziati i lavori per la costruzione del MAXXI – Museo nazionale delle arti del XXI secolo al posto della caserma di via Guido Reni (quartiere Flaminio) sul progetto dell’architetto anglo-iracheno Zaha Hadid. Questa è la naturale prosecuzione della Galleria d’arte moderna.

Dal 1 ° luglio 2004 Maria Vittoria Marini Clarelli è la soprintendente della Galleria. Nel 2011 è stata realizzata una riorganizzazione e riorganizzazione delle opere della Galleria, che le ha conferito un aspetto caratterizzato da un forte impatto visivo ed estetico grazie al progetto originale dell’architetto. Federico Lardera.

Nell’ottobre 2016 è stata inaugurata la nuova galleria, basata su un progetto originale che, riducendo il numero di opere esposte, introduce la chiave di lettura non cronologica alla base della mostra principale “Il tempo è fuori comune. ” Oltre al nuovo allestimento delle sale, viene ridefinita l’area di accesso ai servizi, denominata “area di accoglienza”, il bookshop e la Sala delle Colonne. Pur mantenendo il nome istituzionale della Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, nella sua comunicazione la galleria assume un nuovo nome, “La Galleria Nazionale”.

Vendita XIX secolo
La seguente descrizione si riferisce alla preparazione dei locali prima della riorganizzazione del 2012. Nel 2016 gli spazi sono stati anche ri-tappezzati.

Salone dell’Ercole (1)
La mostra è dedicata al periodo di transizione tra neoclassicismo e romanticismo, tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo.

Un importante esempio di scultura neoclassica è:

Antonio Canova: Hercules e Lica 1815. Marmo 350x152x212. La scultura è accompagnata dalle statue dei dodici dei dell’Olimpo che, come originariamente, lo hanno fatto ala nel demolito Palazzo Torlonia in Piazza Venezia. Canova è stato ispirato dall’Ercole Farnese oggi al Museo Archeologico Nazionale di Napoli. L’episodio scolpito è tra i più terribili della mitologia greca: Ercole, impazzito dal dolore per la morte del centauro Nesso, uccide il messaggero di questa notizia. Lica sta per essere lanciata e invano trattiene la criniera e l’altare. Nota la circolarità dello sforzo opposto. La statua deve essere vista da dietro, per comprendere la disperata resistenza di Lica. Fino a qualche anno fa la statua veniva spostata a orari prestabiliti. Nella stanza ci sono opere di Francesco Podesti,
Alle pareti la grande pittura storica e mitologica. Artisti romantici raffigurano episodi della storia italiana per incitare la gente a ribellarsi contro l’oppressore austriaco. Negli anni successivi al congresso di Vienna, infatti, l’Italia era divisa in molti stati, mancavano tutte le forme di libertà e l’Austria dominava direttamente la Lombardia, mentre influenzava altri stati. Tra i vari quadri presenti nella stanza consideriamo:

Francesco Hayez: Vespri siciliani 1846. L’opera ricorda un episodio accaduto realmente nel 1282 durante la dominazione angioina della Sicilia, l’offesa portata a una donna da un soldato francese scatenò la ribellione e l’espulsione dei francesi. La donna subisce subito indignazione, ed è sostenuta dalla sua famiglia, mentre lo sposo con i pugni serrati medita la vendetta. La figura dipinta dietro al soldato, in un atteggiamento di preghiera, è un ritratto eccezionale, un genere in cui Hayez è stato particolarmente apprezzato. Dietro il gruppo di figure principali l’inizio della ribellione, il contadino che raccoglie la pietra, l’altro con il pugnale che invoca Dio. Monte Pellegrino sullo sfondo.

Altri lavori nella stanza sono:

Federico Faruffini, La Vergine al Nilo, 1865;
Tranquillo Cremona, Marco Polo, 1863.
Ci sono anche dipinti di Vincenzo Camuccini, Bernardo Celentano e sculture di Pelagio Palagi.

Psyche Room (2)
La sala presenta il panorama composito e internazionale di Roma all’inizio dell’Ottocento (“Internazionalismo romano”). È così chiamato per la presenza, al centro di esso, della statua di:

Pietro Tenerani, Psiche svenuto, 1822, marmo. La statua rappresenta lo stile purista, un movimento artistico italiano nato intorno al 1833 sulla scia dei nazareni. Riferendosi ad una concezione etica dell’arte, il Purismo riconobbe i primitivi da Cimabue al primo Raffaello come modelli. Importanti esponenti del purismo furono inoltre Tenerani, il pittore e scrittore Antonio Bianchini (che scrisse il manifesto del purismo nel 1849), Friedrich Overbeck, Tommaso Minardi, Augusto Mussini e altri.
La statua richiama uno dei miti più famosi dell’antichità greca e romana, quello di Psiche e Amore, da qui il termine psicologia. Questa statua è citata da Argan nella sua storia dell’arte. Nella stessa stanza, sempre di Pietro Tenerani: Ritratto della principessa Zenaide Wolkonsky, 1850 e Pellegrino Rossi.

Tommaso Minardi, La Madonna del Rosario, 1840.
Tommaso Minardi, Omero cieco nella casa del pastore Glauco, 1810.
Andrea Appiani, Ritratto di Vincenzo Monti, 1809.
Marianna Candidi Dionigi, Paesaggio (L’Aniene vicino a Tivoli), 1798.

Sala della Saffo (3)
SCUOLE TOSCANE. La sala è dedicata alla pittura toscana della prima parte del XIX secolo, caratterizzata dalla presenza del movimento Macchiaiolo, forse il più importante e originale movimento artistico italiano di quel secolo. Il movimento era basato sul principio che la visione della realtà non è altro che un insieme di macchie colorate, più o meno intense per effetto della luce, e che il compito del pittore non era quello di ritrarre le cose come sappiamo che sono obbligatorie, ma fare l’impressione ottica nel modo più diretto. Il caffè Michelangelo (in Via Larga, oggi Cavour, una targa lo ricorda) a Firenze era il punto d’incontro dei Macchiaioli, mentre Pergentina (appena fuori Firenze, lungo il torrente Affrico) e Castiglioncello (sulla costa, non lontano da Livorno) erano i posti preferiti per la pittura. Il più importante e giustamente famoso pittore fu Giovanni Fattori (Livorno 1825 – Firenze 1908), Telemaco Signorini fu il cervello del movimento, Adriano Cecioni e Nino Costa furono i teorici. Erano conosciuti all’Esposizione Nazionale del 1861 a Firenze. Il loro miglior tempo fu dal 1855 al 1865.

Al centro della stanza la scultura di:

Giovanni Duprè, Saffo, 1857, che dà il nome alla sala.
Silvestro Lega, The Visit, 1868.
Giovanni Fattori, Ritratto della prima moglie, 1865
Nino Costa, Donne che si imbarcano sul legno nel porto di Anzio, 1852.
Adriano Cecioni, interno con figura, 1867
Vincenzo Cabianca, Studio della donna a Montemurlo, 1862. Questo dipinto può essere preso come esempio dello stile Macchiaioli.
Giovanni Fattori, La battaglia di Magenta. È lo schizzo per un’immagine più ampia, per notare quanto sia anti-retorica.
Raffaello Sernesi, Cupolino alle Cascine. Nota l’effetto delle macchie solari in verde
Odoardo Borrani, Mugnone.
Vincenzo Cabianca, Castiglioncello.
Vincenzo Cabianca, Case a Lerici.

Hall of the Jenner (4)
SCUOLE DEL NORD PIEMONTE E LOMBARDO – VENETA. Il dipinto dell’Italia settentrionale di quegli anni è caratterizzato dalla presenza degli Scapigliati che si possono vedere soprattutto in Giovanni Carnovali, detto il Piccio. Piccio è l’autore di un dipinto interpretato su trasparenze e veli. Gli Scapigliati sono caratterizzati dalla dissoluzione della forma nel colore forzando la sfocatura dei contorni e l’uso di pennellate discontinue e luminose, a questi Tranquillo Cremona conferisce una caratterizzazione patetica e sensuale.
La Scapigliatura fu un movimento letterario e artistico che si sviluppò in Lombardia tra il 1860 e il 1900. I principali esponenti furono Emilio Praga e Arrigo Boito. Da: Universal Garzanti.

Giulio Monteverde, Edoardo Jenner, 1873, bronzo. La scultura dà il nome alla sala. “L’opera ritrae il medico inglese, scopritore del vaccino contro il vaiolo (1796), che esegue l’esperimento sul figlio” … scultura ai suoi tempi famosa, anche per il soggetto, ma, certamente, ha tutti i limiti della scultura storica – aneddotica ”
Domenico Induno, Bollettino di Villafranca, 1861. Durante la Seconda Guerra d’Indipendenza gli eserciti piemontesi e francesi avanzano vittoriosi sugli austriaci in ritirata, anche la liberazione di Venezia sembra vicina quando arriva la notizia della pace tra l’Austria e la Francia che Napoleone III firmò senza Italiani che sanno. Sulla faccia dei patrioti leggiamo la delusione per l’arrivo del bollettino con le notizie. Nota alcuni dettagli che danno un tono veristico come la bandiera italiana con i colori messi nell’ordine sbagliato. “Induno dà al quadro storico un accento di attualità, lo traduce in scene di un verismo aneddotico”. Da: Bucarelli, National Gallery of Modern Art, 1973, Istituto Poligrafico dello Stato.
Tranquilla Cremona, i due cugini.
Antonio Fontanesi, una mattina di ottobre.
Antonio Fontanesi, Alla fonte, 1865.
Antonio Fontanesi, Alla fontana, 1869.
Giovanni Carnovali (detto PICCIO), Ritratto di un uomo in atto di scrivere, 1869.
Giovanni Carnovali, Ritratto del padre del basso Marini, 1843.
Vittorio Avondo, La valle del Pussino, 1874.
Ippolito Caffi, visto da Roma da Monte Mario. Un famoso paesaggista, morì nella battaglia di Lissa durante la terza guerra d’indipendenza.

Sala Morelli (5)
La stanza è interamente dedicata a Domenico Morelli. Negli anni Settanta e Ottanta del Novecento Domenico Morelli e Filippo Palizzi sono le figure centrali del panorama artistico napoletano e meridionale. Morelli (Napoli 1826 – 1901) elaborò uno stile veristico fondato sulla preminenza del colore rispetto al disegno accademico, tentò di adattare la sua pittura a contenuti ancora romantici, letterari, religiosi, storici e simbolisti. Nel 1905 la Galleria acquistò tutto ciò che era rimasto nello studio quando l’autore morì, dipinti, schizzi, acquerelli e un gran numero di disegni. Negli anni in cui Palma Bucarelli era sovrintendente, due stanze erano dedicate al pittore. Da: Encyclopedia of the Art, 2002 Garzanti.

Domenico Morelli, Tasso legge la Gerusalemme Liberata in Eleonora d’Este, 1865. “Uno dei dipinti più famosi della pittura italiana del diciannovesimo secolo è la scena di un melodramma, una somiglianza può essere stabilita con la musica di Verdi” … intimo e Silenzioso è il dipinto di Toma, tanto è appariscente, magniloquente e talvolta retorico quello di Domenico Morelli “Da: Palma Bucarelli, La Galleria Nazionale d’Arte Moderna, 1973 Istituto dello Stato Poligrafico.
È il dipinto principale della sala, che può essere visto dalla sala di Ercole, ponendosi così in una conversazione con le grandi opere del romanticismo storico che caratterizzano quel salone. Da: Colombo – Lafranconi, Guida alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna, 2004 Electa. Si dice che Tasso fosse segretamente innamorato di Eleonora d’Este e delle sue due donne in compagnia che si chiamavano anche Eleonora. Dall’audioguida disponibile in Galleria nel 2008.

Domenico Morelli, Le tentazioni di Sant’Antonio, 1878.
Domenico Morelli, Ritratto di Bernardo Celentano, 1859.
Mario Rutelli, Ritratto di Domenico Morelli, 1888 ca. Rutelli (Palermo 1859 – 1941) è lo scultore del gusto accademico che ha creato la fontana Najadi in Piazza della Repubblica a Roma, la sua opera più importante. Questo è il bisnonno di Francesco Rutelli, ex sindaco di Roma.

Cleopatra Hall (6)
SCUOLE DEL SUD

Questa sala è dedicata agli artisti nati, formati e operati a Napoli o nel sud Italia. Prende il nome dal marmo di:

Alfonso Balzico, Cleopatra. Un soggetto spesso raffigurato nella storia dell’arte per il fascino che ha sempre ispirato la regina d’Egitto. Siamo negli anni del taglio dell’Istmo di Suez (1869), poi ci fu un revival di interesse e studi sull’antico Egitto. Notare la finezza del braccialetto sul braccio e il serpente che emerge dal cesto di frutta che presto porterà la morte alla giovane regina.
Gioacchino Toma, Luisa Sanfelice in carcere, 1875. “Questo è il suo capolavoro, non prende un’azione drammatica, piuttosto una condizione umana”. Uno dei dipinti più famosi del diciannovesimo secolo italiano, una delle mostre più importanti in questa galleria. Luisa Sanfelice, patriota della Repubblica Napoletana, è in carcere in attesa della sentenza di morte voluta dai Borboni nonostante la gravidanza. La vediamo preparare un vestito per suo figlio che non nascerà. “La pittura di Morelli è così eccitata e teatrale, come quella di Toma”, sempre di Bucarelli, cit.
Gioacchino Toma, La guardia al volante del trovatello, 1887.
Gioacchino Toma, Il viatico dell’orfano, 1877.
Gioacchino Toma, romanzo al convento, 1877.
Michele Cammarano, Atrio di Santa Maria Maggiore, 1868.
Michele Cammarano, Chiacchiere in piazza a Piscinula, 1865.
Michele Cammarano, Caffè in Piazza San Marco.
Vincenzo Gemito, Bruto, 1871.
Antonio Mancini, Carmiella, 1870.
Antonio Mancini, venditore di cerini, 1878.
Antonio Mancini, Ritratto del barone Carlo Chiarandà, 1883.
Antonio Mancini, Nello Studio, 1875.
Antonio Mancini, Il malatino, 1878.

Sala Palizzi (7)
PAESAGGI E DIPINTI DIPINTI A NAPOLI.

Anche questa stanza, come le due precedenti, è dedicata alla pittura a Napoli e nel sud Italia. Va tenuto presente che Napoli era una delle più grandi città europee alla fine del diciottesimo secolo. La sala testimonia anche la presenza di pittori stranieri a Napoli e la possibilità di un’apertura internazionale di cui godono i pittori che hanno lavorato in quella città.

I quattro fratelli Palizzi vennero dall’Abruzzo a Napoli per studiare all’Accademia dove seguirono i corsi tenuti da Smargiassi, uno dei pittori della scuola di Posillipo. Con loro la pittura italiana entra in contatto con i francesi e precisamente con la scuola chiamata Fontainebleau o Barbizon, dal luogo in cui si riunivano per dipingere fuori dalle accademie. Il merito è del primogenito Giuseppe che, andato a Parigi nel 1844, vi rimase per tutta la vita. Filippo, a cui appartengono quasi tutti i dipinti della stanza, è di gran lunga il più conosciuto e il più importante, sia per la qualità del lavoro, sia per l’influenza che ha avuto nell’affermare la corrente realistica. Il lavoro di Palizzi si sviluppa, nell’ambiente napoletano, in antitesi con quello di Morelli, autore di un dipinto di storia e sostenitore di un ideale che trascende la realtà. Nel 1892, la Galleria ha ricevuto la donazione di 300 dipinti e studi di Filippo Palizzi. È la prima donazione importante della sua storia.

Giuseppe Palizzi, La foresta di Fontenbleau, 1874. Il più famoso dei dipinti di Giuseppe, un’opera citata da Argan nel suo manuale, citato più volte.
Anton Sminck Pitloo, Castel dell’Ovo a Napoli, 1820. Esempio di presenza artistica internazionale a Napoli. Intorno a lui, olandese, si formò la scuola di Posillipo. Da: Colombo – Lafranconi, Guida alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna, 2004 Electa.
Eduardo Dalbono, La terrazza, 1867. In cui la composizione prospettica con piani leggeri è tipicamente macchiaiola.
Filippo Palizzi, Paesaggio dopo la pioggia, 1860. Citato da Argan nel suo manuale.
Filippo Palizzi, Viottolo con prete o Viottolo tra due mura, figura di prete alle spalle (Cava).
Filippo Palizzi, Studi su Garibaldi e Soldati, 1860.
Giacinto Gigante, Marina di Sorrento, 1840. Influenzato da Turner.
Giacinto Gigante, Mercato sul porto di Castellammare, 1859.
Giacinto Gigante, Marina di Posillipo, 1828 -30.