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Rinascimento Bergamo e Brescia

Il Rinascimento di Bergamo e Brescia è una delle principali declinazioni dell’arte rinascimentale in Italia. L’importanza delle due città sulla scena artistica si espanse solo a partire dal XVI secolo, quando artisti stranieri e locali diedero origine a una originale sintesi delle vie lombarde e venete, grazie alla particolare posizione geografica delle due città: l’ultimo avamposto di la Serenissima in terraferma per Bergamo e territorio conteso tra Milano (ei suoi sovrani) e Venezia per Brescia.

I maestri bergamaschi e bresciani furono l’origine di una “terza via” del Rinascimento maturo, dopo quella romano-fiorentina e quella veneziana, che ebbe un’importanza fondamentale come base per gli sviluppi successivi del linguaggio rivoluzionario del Caravaggio, originati proprio da quelli le zone.

origini
Bergamo e Brescia registrarono nel XV secolo un’importanza nel panorama artistico italiano che può essere definito “satellite” rispetto ai centri dominati come Milano e Venezia. Ad esempio, è stato grazie a Francesco Sforza che ha lavorato a Bergamo Filarete (nel Duomo, circa 1455) e anche un capolavoro come la Cappella Colleoni di Giovanni Antonio Amadeo (1470-1476) è impensabile al di fuori del contesto dei mecenati degli Sforza del periodo, come il Duomo di Milano e, soprattutto, la Certosa di Pavia, da cui riprendono le idee rinascimentali coperte da una decorazione esuberante.

All’inizio del XVI secolo, Brescia rappresentava un’isola rispetto al leonardismo e al bramantismo prevalenti a Milano, tanto da essere stata scelta come rifugio da un artista longobardo della “prima generazione” del Rinascimento, come Vincenzo Foppa.

Le tappe fondamentali del Rinascimento locale si concentrarono nel secondo e terzo decennio del XVI secolo: l’incontro tra Romanino e Tiziano a Padova nel 1511, l’arrivo di Lorenzo Lotto a Bergamo nel 1513, il trasferimento di Savoldo a Venezia intorno al 1520 e l’arrivo del Polittico Averoldi di Tiziano a Brescia nel 1522.

Lotto a Bergamo
Un salto qualitativo allora ebbe luogo a Bergamo quando Giovanni Cariani, nato a Bergamo ma residente a Venezia, vi si stabilì (dal 1517) e soprattutto Lorenzo Lotto. Quest’ultimo arrivò nel 1513 a dipingere la grande pala d’altare, Martinengo per la chiesa di Santo Stefano. L’ambiente provinciale gli ha permesso di muoversi liberamente secondo le inclinazioni del suo stile, senza adattarsi ai modi magniloquenti del “Modern Manner” del Rinascimento romano, nello stesso modo in cui aveva dato alcune prove un po ‘imbarazzanti nelle Marche . A Bergamo, sostenuto da una clientela colta e facoltosa, riuscì a raccogliere i fermenti più congeniali, liberandosi dalla lingua dominante nei centri più importanti della penisola. Alla sua radice veneziana mai dimenticata potrebbe aggiungere spunti di Gaudenzio Ferrari, del giovane Correggio,

Già il Pala Martinengo (1513-1516) mostrava alcune innovazioni senza scrupoli, come la disposizione del trono di Maria e dei santi con dietro una navata di una chiesa (e non un’abside come tipico), come la cupola aperta verso il cielo ( Citazione di Mantegna) e l’intensa caratterizzazione dei personaggi e la luce vibrante, che generano un effetto di instabilità della scena.

La successiva Pala di San Bernardino (1521) mostra una tavolozza molto luminosa, un trattamento moderno delle ombre e uno scorcio vertiginoso degli angeli, oltre al senso di percezione della presenza dello spettatore da parte di Maria e specialmente dell’angelo al piede del trono., che interrompe la scrittura girandosi sorpreso.

Oltre ai cicli di affreschi ricolmi di novità iconografiche, come quella dell’Oratorio Suardi di Trescore Balneario, e oltre a ritratti intensi e immediati, è stato soprattutto l’ambizioso progetto del coro intarsiato di Santa Maria Maggiore a mantenerlo occupato fino alla sua partenza nel 1526. Una disputa sul pagamento con i frati lo tenne lontano dalla città, dove non tornò mai nonostante avesse trascorso il momento più felice e più fecondo della sua carriera.

Il Rinascimento a Brescia
Le albe
I primissimi, vaghi riferimenti a un nuovo gusto decorativo e compositivo che superò lo stile gotico internazionale furono trovati, nel campo pittorico, in alcune opere “discese dall’alto” nella Brescia medievale del XV secolo, soprattutto il polittico di Sant ‘ Orsola di Antonio Vivarini per la chiesa di San Pietro in Oliveto. L’opera ebbe notevoli influenze sull’arte locale, ad esempio nell’evoluzione dell’arte di Paolo da Caylina il Vecchio verso forme più piene, come nella Madonna col Bambino tra i Santi Lorenzo e Agostino che, eseguita dopo l’arrivo del polittico Vivarini, .

Un’altra opera proto-rinascimentale, a stragrande maggioranza “discendente dall’alto” nella Brescia del quindicesimo secolo, fu l’Annunciazione di Jacopo Bellini eseguita per la chiesa di Sant’Alessandro, fedele alla lingua del gotico internazionale ma con relative novità nella concezione spaziale e nel atteggiamento delle figure.

Altri movimenti in questo senso sono rintracciabili nelle opere sporadiche prodotte dalla cultura locale nella seconda metà del secolo, come la grande tavola di San Giorgio e la principessa attribuita ad Antonio Cicognara o un maestro simile, dove gli stili aristocratici gotici importati a Brescia da Gentile da Fabriano nella cappella di San Giorgio al Broletto, perduto, evolvono verso nuove dosi spaziali e luministiche, propriamente rinascimentali.

Vincenzo Foppa
Il primo, vero autore rinascimentale della scena bresciana, ma del resto dell’intero contesto lombardo, fu Vincenzo Foppa, che lavorò stabilmente in città solo dopo essere definitivamente trasferito, nel 1489, fino alla sua morte nel 1515.

Le opere create in questo breve periodo, non tutte pervenute a noi, dimostrano una rielaborazione generale del suo linguaggio artistico alla luce delle sempre più pressanti novità rinascimentali, dedotte in primo luogo dalla lezione di Leonardo da Vinci, pur rimanendo fedele al suo clima caratteristico “arcaico”. Troviamo quindi la Pala della Mercanzia, concepita in una volontà ferrea di assolutezza lineare e luminosa: la conseguente realtà trepida ma rarefatta costituirà una lezione capitale per Moretto. Dallo stesso periodo è il probabile polittico da cui proviene la Natività di Gesù di Chiesanuova, eseguita proprio in questo spirito di rielaborazione. Nello Stendardo di Orzinuovi, opera estrema dipinta da Foppa quasi novantenne, umanità e natura sono definite in un linguaggio severo e monumentale,

Certamente degno di nota è il fatto che, al suo ritorno a Brescia, la Foppa ottenne, come riconoscimento finale del Consiglio generale cittadino, l’assegnazione di un regolare corso d’arte per educare i giovani locali, dietro un salario annuale di 100 lire.

La “generazione intermedia”
Vincenzo Foppa e Moretto sono i due capisaldi della pittura rinascimentale brescia e finirà per diventare il più grande esponente della scuola locale. Per comprendere appieno lo sviluppo dell’arte rinascimentale bresciana, tuttavia, non è possibile trascurare quella che viene abitualmente chiamata la “generazione intermedia”, cioè una serie di pittori che lavorò tra la fine del XV e i primi trent’anni del XVI secolo (esattamente tra Foppa e la maturità di Moretto), producendo una serie di opere di alto valore artistico sviluppate all’interno di una cultura locale principalmente influenzata dal Foppa, un clima che non sarà estraneo alla formazione e alla successiva affermazione dei grandi maestri.

Floriano Ferramola
Floriano Ferramola (circa 1480-1528) fu formato alla fine del XV secolo da Brescia alimentato dall’arte di Foppa e dalle elaborazioni di quest’ultimo, comprese quelle di Vincenzo Civerchio, generando una vasta produzione soprattutto nel secondo e terzo decennio del XVI secolo . Più influenzato dai movimenti locali che dall’arte colta di Foppa, il suo stile è legato alla pittura emiliano-emiliana penetrata nella Lombardia orientale attraverso Perugino e Lorenzo Costa. Le opere di Ferramola saranno sempre tenute in toni modesti ma come narratore romantico ed efficace.

Fu l’arte di Ferramola ad attrarre la stragrande maggioranza del mecenatismo civile e religioso di Brescia degli inizi del XVI secolo: le sue famose Storie di Santi trovarono il loro maggior successo in vari monasteri della città e del territorio, ad esempio a Santa Giulia, San Giuseppe , Santa Croce, Santa Maria del Carmine (in collaborazione con Civerchio), e poi ancora a Lovere, Bedizzole, Nave, Bovezzo e Quinzano d’Oglio, creando una vera scuola e influenzando quasi tutti i pittori della provincia: la maggior parte dei primi affreschi cinquecenteschi che ci sono pervenuti nelle chiese di tutto il territorio brescentino possono essere aggiunti alla sua lingua. Altri interventi hanno coinvolto i palazzi della nobiltà dell’epoca, soprattutto in città: il ciclo della sala di Palazzo Calini,

La serenità narrativa di cui Ferramola divenne maestra, così come il suo linguaggio corsivo, i dosaggi cromatici, le varie e delicate naturalistiche, il paesaggio, l’ambiente e le consuetudini avevano ripercussioni sostanziali su Moretto, che raggiunse la maturità artistica durante il periodo di maggiore fervore produttivo di Ferramola (1520-30).

Vincenzo Civerchio
Originario di Crema, Vincenzo Civerchio (1468 / 70-1544) lavorò principalmente a Brescia dalla fine del XV secolo. In questo periodo produsse un numero considerevole di opere, alcune perdute (come gli affreschi nel vecchio coro del Duomo) e altre che ci sono sopravvissute, come la Deposizione nella chiesa di Sant’Alessandro e parte di un ciclo decorativo in la cappella della Vergine per la già citata chiesa di Santa Maria del Carmine, realizzata in collaborazione con Ferramola.

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Prima classificata nella produzione del pittore, tuttavia, colloca la pala di San Nicola di Tolentino per la chiesa di San Barnaba, firmata e datata 1495, opera di altissima qualità dove Civerchio rivela una vasta cultura composita derivata dalle lezioni di Bergognone e di Bernardino Butinone, collegati a un’efficace tecnica pittorica e ad un accurato realismo espressivo dei personaggi.

Paolo da Caylina il Giovane
Anche Paolo da Caylina il Giovane (circa 1485-1545) si formò nel proto rinascimento brescentino di Foppa e Civerchio, per poi crescere sulle orme di Ferramola, con il quale si trovava spesso a collaborare, fino a essere chiamato nel monastero di Santa Giulia per completare gli affreschi nel coro delle monache.

Analogamente a quest’ultima, la Caylina fu anche un grande successo nel patrimonio dell’epoca, creando attorno a sé una scuola di pittori simili a lui. La sua produzione, tuttavia, ricevette rapidamente forti influenze dai grandi maestri locali, in particolare da Moretto e Romanino, essendo praticamente contemporanei a loro. Già nelle opere dell’inizio del secolo, tuttavia, ad esempio nell’Adorazione della Croce con i santi Costantino, Elena e Silvestro per la chiesa di Santa Croce, si possono trovare gli schemi compositivi e gli atteggiamenti espressivi che tali maestri, in particolare il Moretto, si ripeteranno nelle prime produzioni per poi evolversi verso modelli più maturi.

Caratteri transitori evidenti si ritrovano anche nei due pannelli con la Natività e l’Adorazione dei Magi nel polittico della Madonna della Misericordia della chiesa di Sant’Agata (1520 circa), in cui le forme tipicamente quattrocentesche uniscono una vasta e una spazialità profonda, una morbidezza delle miscele e una ricchezza cromatica di toni caldi e luminosi presi in prestito dalla prima produzione di Romanino e Moretto e dalle nuove influenze veneziane apportate all’arte locale da questi autori.

I maestri del pieno Rinascimento
Il disastroso sacco di Brescia nel 1512 mise la città in ginocchio. La Serenissima intervenne ancora più drasticamente, operando la cosiddetta “spianata”, cioè la distruzione di qualsiasi edificio entro un miglio e mezzo dalle mura, al fine di eliminare qualsiasi riparo o nascondiglio per gli aggressori. I beni immobili persi erano innumerevoli e diversi cenobi, distrussero la sede originaria, furono costretti a riparare in città, costruendo nuove chiese e monasteri all’interno delle mura.

Il danno economico generale, sovrapposto alle già costose ricostruzioni da effettuare dopo il sacco, ha risposto la Repubblica di Venezia offrendo riduzioni ea volte esenzioni fiscali, in modo da poter restaurare e ricostruire chiese, conventi e monasteri saccheggiati o completamente distrutto con la spianata. In quel periodo nacque una vivace commissione artistica, che favorì l’emergere di personalità locali. Attorno al 1520 (la spianata fu operata tra il 1516 e il 1517) abbiamo l’affermazione di un gruppo di pittori quasi contemporanei che, fondendo le radici culturali lombarde e veneziane, svilupparono risultati molto originali nel panorama artistico della penisola: il Romanino, Moretto e Savoldo.

In coincidenza provvidenziale abbiamo, nel 1522, l’arrivo a Brescia del Polittico Averoldi di Tiziano per il presbiterio della collegiata dei santi Nazaro e Celso, che conosceranno una vastissima, immediata fortuna tra gli esponenti artistici locali e costituiranno un fondamentale punto di riferimento in esecuzione di tutta una serie di nuove opere d’arte.

Romanino
Gerolamo Romani, noto come Romanino, fece il suo debutto intorno al 1510 con un Compianto nelle Gallerie dell’Accademia di Venezia, dove una base di realismo lombardo aggiunse riferimenti di altre scuole, come quella di Ferrara. A Padova ha poi visto gli affreschi di Tiziano nella Scuola del Santo, da cui ha ripreso un senso più accentuato per il colore corposo e il dinamismo della composizione. Un primo tributo al maestro veneziano fu ritrovato nella Pala di Santa Giustina (Musei Civici di Padova, 1513), in cui anche i ricordi di formazione longobarda come l’architettura di Bante della volta che sovrasta e incornicia le figure.

Ritornato in patria, intorno al 1517 Romanino ripropose uno schema simile nella Madonna col Bambino con i santi per la chiesa locale di San Francesco, in cui sono già stati rinvenuti i tipi fisici che contraddistinguono la sua produzione successiva. Senza andare troppo lontano da Brescia negli anni seguenti toccò vari siti, come il Duomo di Cremona (Passione di Cristo, 1520 circa), dove entrò in contatto con le magniloquenti vie del Pordenone, e come i piccoli centri della città di Brescia valli (Breno, Bienno, Pisogne), nelle quali lasciava tavoli e affreschi con accenti interessanti alla realtà quotidiana, fortemente presenti nei gesti, nei costumi e nelle espressioni.

Nel 1521 la collaborazione con Moretto nella Cappella del Sacramento nella chiesa di San Giovanni Evangelista sancì la presenza nella città di una vera scuola. Il più riuscito di questi ultimi, portò Romanino a concentrarsi principalmente sulla provincia, più ricettivo del suo stile naturalistico, permettendosi una raffinata digressione come gli affreschi nel castello del Buonconsiglio a Trento dopo il 1530, al fianco di Dosso Dossi.

Moretto
Alessandro Bonvicino, detto Moretto, lavorava principalmente a Brescia, quindi il suo stile è più radicato nella tradizione locale, con un’influenza più decisiva di Vincenzo Foppa. Lavorava spesso per chiese e clienti privati ​​locali, diventando il pittore più ricercato della città. Tra le prime opere spicca l’Elia e l’angelo per la Cappella del Sacramento di San Giovanni (1521-1523), dallo sfondo ai fiamminghi.

Negli anni successivi fu influenzato da Tiziano, grazie all’arrivo del già citato Polittico Averoldi nel 1522, e di Raffaello (visto nelle stampe di Marcantonio Raimondi), arrivando a modi più morbidi e composti: non è un caso che lavori come la Santa Giustina di Padova e un donatore (intorno al 1530) furono in passato attribuiti a Sanzio.

Vivace ritrattista, elogiato dal Vasari, nelle sue opere possiamo cogliere echi di Lorenzo Lotto e Hans Holbein il Giovane. Dagli anni quaranta divenne uno dei più apprezzati interpreti delle istanze controriformate, con pale d’altare spesso dedicate al tema del sacrificio eucaristico, come Cristo e l’angelo (1550-1554), un capolavoro tardivo impostato su una tavolozza smorzata, a sentimenti patetici e ad un’agilità prospettica, con la figura di Cristo articolata saggiamente lungo i gradini.

Savoldo
Giovanni Girolamo Savoldo era il terzo maestro bresciano e la sua produzione si trova interamente in due decenni, dal 1520 al 1540 circa. I lavori per la gioventù non sono noti e questo rende difficile ricostruire la sua formazione. Nel 1506 si sa che fu a Parma e nel 1508 a Firenze, quando la città fu in fermento per la presenza delle straordinarie novità di Leonardo, Michelangelo e Raffaello. Nel 1520 si stabilì a Venezia, dove entrò in contatto con gli effetti materiali del colore corposo di Tiziano e con l’atmosfera contemplativa di Giorgione, pur rimanendo fedele alla sua matrice naturalistica longobarda.

In particolare, le sue opere sono famose con una luce pulsante, come la serie della Maddalena (intorno al 1540), o San Matteo e l’angelo al Metropolitan Museum (1534). Quest’ultimo mostra un ambiente notturno con una fonte di luce all’interno del dipinto (la candela in primo piano) e effetti chiaroscurali molto suggestivi, che anticipano il caravaggismo.

Tra i numerosi ritratti spicca il Ritratto di un uomo in armatura al Louvre (1529 circa), in cui il soggetto è ritratto a vista e riflesso da due specchi, un vero tour de force pittorico legato a disquisizioni sul paragone delle arti. Se nelle pale d’altare di grande formato l’artista ha dimostrato di aderire agli schemi tradizionali, aperti alle influenze di Tiziano, le opere di medie dimensioni, destinate agli individui, in cui sperimenta soluzioni più originali, attingendo a un vasto repertorio, che pure raggiunge Hieronymus Bosch.

Scultura rinascimentale a Brescia
L’importante declinazione della scultura rinascimentale sviluppata a Brescia intorno al 1460, nel contesto della cultura del Rinascimento veneziano, ebbe il suo picco tra la fine del secolo e l’inizio del prossimo, periodo in cui una serie di cantieri pubblici e privati che sono stati in grado di produrre opere assolutamente originali, che vanno dalla raffinata e sperimentale matrice scultorea della chiesa di Santa Maria dei Miracoli al classico classicismo del Palazzo della Loggia.

Protagonista di questa fortunata e breve parabola, interrotta nel 1512 con l’invasione dei francesi e il successivo sacco di Brescia, fu Gasparo Cairano, riconosciuto autore di opere di altissimo livello artistico come l’Arca di Sant’Apollonio, l’Adorazione Caprioli, il mausoleo di Martinengo e, in primo luogo, il ciclo dei Cesari per le facciate del Palazzo della Loggia, elogiato in stampa già nel 1504 dalla De scultura di Pomponio Gaurico. I contemporanei a Cairano erano altri autori più o meno bresciani, spesso presenti a Brescia solo per brevi capitoli della loro carriera, come il Tamagnino e il laboratorio di Sanmicheli, insieme ad altri artisti minori collocati nella cerchia del maestro, ad esempio Antonio Mangiacavalli e Ambrogio Mazzola,

Moroni, tra Bergamo e Brescia
Nella seconda metà del secolo la figura di Giovan Battista Moroni spiccava nell’area orobico-bresciana. Originario di Bergamo, si è formato a Brescia con Moretto, prima di tornare nella sua città natale. Fu autore di pale d’altare fedeli ai principi della Controriforma, ma eccelleva soprattutto come ritrattista capace di creare opere di forte connotazione psicologica, trattate con una tecnica eccellente.

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