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Primo rinascimento fiorentino

Il Rinascimento nacque ufficialmente a Firenze, una città che viene spesso definita la sua culla. Questo nuovo linguaggio figurativo, legato anche a un diverso modo di pensare all’uomo e al mondo, è iniziato con la cultura e l’umanesimo locali, che erano già stati portati alla ribalta da persone come Francesco Petrarca o Coluccio Salutati. Le notizie, proposte all’inizio del XV secolo da maestri come Filippo Brunelleschi, Donatello e Masaccio, non furono immediatamente accettate dal committente, anzi rimasero per almeno vent’anni una minoranza e in gran parte frainteso fatto artistico, di fronte all’ormai dominante Gotico internazionale.

Più tardi il Rinascimento divenne il linguaggio figurativo più apprezzato e cominciò a essere trasmesso ad altre corti italiane (prima tra tutte quelle papali di Roma) e poi europee, grazie ai movimenti degli artisti.

Il ciclo del Rinascimento fiorentino, dopo gli inizi dei primi vent’anni del Quattrocento, si diffuse con entusiasmo fino alla metà del secolo, con esperienze basate su un approccio tecnico-pratico; la seconda fase ebbe luogo al tempo di Lorenzo il Magnifico, dal 1450 circa fino alla sua morte nel 1492, e fu caratterizzata da un accordo di conquiste più intellettualistico. Una terza fase è dominata dalla personalità di Girolamo Savonarola, che segna profondamente molti artisti convincendoli a ripensare alle proprie scelte. L’ultima fase, databile tra il 1490 e il 1520, è definita rinascita “matura” e vede la presenza a Firenze di tre geni assoluti dell’arte, che influenzarono le generazioni a venire: Leonardo da Vinci, Michelangelo Buonarroti e Raffaello Sanzio.

Caratteristiche
Almeno tre erano gli elementi essenziali del nuovo stile:

Formulazione delle regole della prospettiva centrica lineare, che ha organizzato lo spazio insieme;
Attenzione all’uomo come individuo, sia nella fisionomia che nell’anatomia e nella rappresentazione delle emozioni

Rifiuto di elementi decorativi e ritorno all’essenzialità.

Tra queste, la più caratteristica era certamente quella della prospettiva centrica lineare, costruita secondo un metodo matematico-geometrico e misurabile, sviluppato all’inizio del secolo da Filippo Brunelleschi. La facilità di applicazione, che non richiedeva conoscenze geometriche di particolare raffinatezza, era uno dei fattori chiave del successo del metodo, adottato dai negozi con una certa elasticità e con modalità non sempre ortodosse.

La prospettiva centrica lineare è solo un modo di rappresentare la realtà, ma il suo carattere è particolarmente in sintonia con la mentalità dell’uomo del Rinascimento, poiché ha dato origine a un ordine razionale dello spazio, secondo criteri stabiliti dagli stessi artisti. Se da un lato la presenza di regole matematiche rendeva la prospettiva una questione oggettiva, dall’altra le scelte che determinavano queste regole erano di natura perfettamente soggettiva, come la posizione del punto di fuga, la distanza dallo spettatore, l’altezza dell’orizzonte. In definitiva, la prospettiva del Rinascimento non è altro che una convenzione rappresentativa, che oggi è così profondamente radicata da sembrare naturale, anche se alcuni movimenti del XIX secolo come il cubismo, hanno mostrato come sia solo un’illusione.

I pionieri (1401)
Già il romanico fiorentino era caratterizzato da una serena armonia geometrica che richiamava le antiche opere, come nel Battistero di San Giovanni (forse X secolo-XIII secolo) o in San Miniato al Monte (dal 1013 al XIII secolo). Alla fine del XIV secolo, in epoca gotica, vennero costruiti edifici con un arco a tutto sesto, come la Loggia della Signoria o la Loggia del Bigallo. Anche nella pittura, la città era rimasta sostanzialmente libera dalle influenze gotiche, ben sviluppata invece nella vicina Siena, per esempio. Giottohe aveva impostato uno stile sintetico e monumentale all’inizio del XIV secolo, che fu mantenuto con poche evoluzioni dai suoi numerosi seguaci fino alla fine del secolo.

All’alba del XV secolo, mentre l’Europa e parte dell’Italia erano dominate dallo stile gotico internazionale, a Firenze c’era un dibattito artistico incentrato su due possibili correnti opposte: una legata all’accettazione, mai fino ad allora completa, del sinuoso e le eleganze lineari del gotico, per quanto filtrate dalla tradizione locale, e un’altra volta per un recupero più rigoroso della maniera degli antichi, rafforzando il legame mai dimenticato con le origini romane di Florentia.

Queste due tendenze si possono già vedere nel cortile della Porta della Mandorla (del 1391), dove, accanto alle spirali e agli ornamenti gotici, sugli stipiti si vedono innesti di figure modellate solidamente secondo l’antico; ma fu soprattutto con la competizione tenuta nel 1401 dall’arte di Calimala, a scegliere l’artista a cui affidare la realizzazione della Porta Nord del Battistero, che divenne più chiara delle due tendenze. Il saggio prevedeva la costruzione di un pannello con il Sacrificio di Isacco: nella competizione hanno preso parte tra gli altri Lorenzo Ghiberti e Filippo Brunelleschi, di cui abbiamo ricevuto le due tessere finaliste. Nella tessera Ghiberti le figure sono modellate secondo uno stile ellenistico elegante e composto, ma sono vuote nell’espressione, prive di coinvolgimento; invece Brunelleschi, riferendosi non solo al vecchio ma anche alla lezione di Giovanni Pisano, costruì la sua scena in forma piramidale focalizzando l’attenzione sul punto focale del dramma, rappresentato dall’intreccio di linee perpendicolari delle mani di Abramo, l’Angelo e di Isacco corpo, secondo un’espressività meno elegante ma molto più dirompente. La competizione si è conclusa con una stretta vittoria di Ghiberti, a testimoniare come il.

Nascita e sviluppo (1410-1440)
La prima fase del Rinascimento, avvenuta fino agli anni Trenta / Quaranta del Quattrocento, fu un’era di grande sperimentazione spesso entusiasta, caratterizzata da un approccio tecnico e pratico in cui le innovazioni e i nuovi obiettivi non restavano isolati, ma erano sempre ripreso e sviluppato da giovani artisti, in un crescendo straordinario che non ha eguali in nessun altro paese europeo.

La prima disciplina che ha sviluppato un nuovo linguaggio è stata la scultura, facilitata in parte dalla maggiore presenza di opere antiche da ispirare: nei primi due decenni del XV secolo Donatello aveva già sviluppato un linguaggio originale rispetto al passato. Seguì l’architettura dominata dalla figura di Filippo Brunelleschi (nel 1419 risalgono le prime opere dello Spedale degli Innocenti e della Sagrestia Vecchia di San Lorenzo) e infine il dipinto, dominato dalla brillante carriera di Masaccio, attivo dal 1422 al 1428.

Alcune delle migliori realizzazioni artistiche derivano dal confronto diretto tra artisti chiamati a lavorare faccia a faccia (o quasi) su un tema simile: i Crocifissi di Brunelleschi e Donatello, le cantate del Duomo di Donatello e Luca della Robbia, le storie del Cappella Brancacci di Masaccio e Masolino.

Scultura

Due crocifissi
Brunelleschi e Donatello sono stati i due artisti che per primi hanno posto il problema del rapporto tra gli ideali dell’umanesimo e una nuova forma di espressione, confrontando e sviluppando da vicino uno stile diverso, a volte opposto. Brunelleschi era più vecchio di circa dieci anni e servì da guida e stimolo per il collega più giovane, con il quale andò a Roma nel 1409, dove videro e studiarono le antiche opere sopravvissute, cercando di ricostruire soprattutto le tecniche per ottenere tali creazioni.

La loro comunanza di intenti non ha tuttavia soffocato le differenze di temperamento e risultati artistici. Esemplare in questo senso è il confronto tra i due crocifissi lignei al centro di un aneddoto animato raccontato dal Vasari, che vede la critica di Brunelleschi contro il “contadino” Cristo di Donatello e la sua risposta nel Crocifisso di Santa Maria Novella, che lasciò il collega scioccato. In realtà sembra che le due opere siano state scolpite in un arco temporale più ampio, circa dieci anni, ma l’aneddoto è ancora eloquente.

La Croce di Donatello si concentra sul dramma umano della sofferenza, che discute con l’eleganza ellenistica del Ghiberti, evitando ogni concessione all’estetica: i tratti contratti sottolineano il momento di agonia e il corpo è pesante e sgraziato, ma di energia vibrante.

Il Cristo del Brunelleschi, un po ‘più idealizzato e misurato, dove la perfezione matematica delle forme è eco della perfezione divina del soggetto.

Le proporzioni sono attentamente studiate (le braccia aperte misurano l’altezza della figura, la linea del naso indica il centro di gravità dell’ombelico, ecc.), Rielaborando il tipo di Crocifisso di Giotto ma aggiungendo una leggera torsione a sinistra che crea più punti di vista privilegiati e “genera spazio” attorno a lui, cioè conduce l’osservatore a un percorso semicircolare attorno alla figura.

Orsanmichele
Nel 1406 fu stabilito che le Arti di Firenze decorarono ciascuna delle nicchie esterne della chiesa di Orsanmichele con statue dei loro protettori. Il nuovo cantiere scultoreo fu aggiunto all’altra grande officina, quella di Santa Maria del Fiore, che all’epoca era dominata dallo stile vicino a Lorenzo Ghiberti, che mediava alcuni elementi gotici con citazioni dall’antichità e una naturalezza sciolta nei gesti , con una moderata apertura alla sperimentazione. In questo ambiente si formò Donatello e con lui anche Nanni di Banco, un po ‘più giovane di lui, con il quale instaurò una collaborazione e amicizia.

Tra il 1411 e il 1417 entrambi lavorarono ad Orsanmichele e anche in questo caso un confronto tra le loro opere di maggior successo può aiutare a mettere in evidenza differenze e affinità reciproche. Entrambi hanno rifiutato gli stili del tardo gotico, piuttosto ispirati all’arte antica. Entrambi hanno anche posto le figure nello spazio con libertà, evitando i modi tradizionali e amplificando la forza plastica delle figure e il rendering della fisionomia.

Ma se Nanni di Banco nei Quattro Santi Coronati (1411-1414) cita la solenne immobilità dei ritratti imperiali romani, Donatello in San Giorgio (1415-1417) stabilisce una figura contenuta, ma visibilmente energica e vitale, come se stesse per scattare da un momento all’altro. Questo effetto è ottenuto attraverso la composizione della figura attraverso forme geometriche e compatte (il triangolo delle gambe aperte alla bussola, gli ovali dello scudo e l’armatura), dove il leggero clic laterale della testa nella direzione apposta a quella del corpo massima evidenza, grazie anche alle sottolineature dei tendini del collo, delle sopracciglia aggrottate e del chiaroscuro degli occhi profondi.

Nel rilievo di San Giorgio libera la principessa, alla base del tabernacolo, Donatello scolpì uno dei primi esempi di stiacciato e creò una delle più antiche rappresentazioni della prospettiva lineare centrale. A differenza della teoria di Brunelleschi, tuttavia, che voleva che la prospettiva fosse un modo per fissare successivamente e spazialmente la spazialità, Donatello ha posto il punto di fuga dietro il protagonista, al fine di evidenziare il nodo dell’azione, creando un effetto opposto, come se lo spazio è stato svelato dagli stessi protagonisti.

I cantoni del Duomo
Negli anni Trenta del Quattrocento un punto di arrivo e di svolta nella scultura è rappresentato dalla realizzazione delle due cantorie per il Duomo di Firenze. Nel 1431 uno fu commissionato a Luca della Robbia e nel 1433 un secondo di uguale taglia a Donatello.

Luca, che all’epoca aveva circa trenta anni, ha scolpito un balcone dalla pianta classica in cui sono state inserite sei piastrelle e altre quattro sono state collocate tra gli scaffali. I rilievi rappresentavano passo passo il Salmo 150, il cui testo scorre a lettere maiuscole sulle bande inferiori, sopra e sotto gli scaffali, con gruppi di giovani che cantano, ballano e suonano, composti di bellezza classica, animati da un’effettiva naturalezza, che esprime i sentimenti in modo calmo e sereno.

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Donatello, di ritorno da un secondo viaggio a Roma (1430-1432), ha fuso numerosi suggerimenti (dalle rovine imperiali alle prime opere cristiane e romaniche) creando un fregio continuo intervallato da colonne dove una serie di putti danzano freneticamente sullo sfondo del mosaico (citazione da la facciata di Arnolfo di Cambio del Duomo stesso). La costruzione con le colonne arrotondate crea una sorta di scena arretrata per il fregio, che corre senza soluzione di continuità sulla base di linee diagonali, che contrastano con le linee diritte e perpendicolari dell’architettura del coro. Il senso del movimento è accentuato dal vibrante scintillio delle tessere vetrose, colorate e dorate, che incastonano lo sfondo e tutti gli elementi architettonici.

Architettura
La stagione architettonica del primo Rinascimento è dominata dalla figura di Filippo Brunelleschi che, dopo i suoi inizi come scultore, si dedicò durante il primo decennio del secolo a meditazioni su problemi architettonici, mettendo a frutto le osservazioni fatte sui suoi viaggi a Roma. All’inizio fu consultato dalla Repubblica fiorentina per lavori di ingegneria militare, come le fortificazioni di Staggia e Vicopisano, e poi si concentrò sul problema della cupola di Santa Maria del Fiore, opera esemplare di tutta la sua vita, che contiene anche i germi per lavori futuri.

La caratteristica distintiva della sua opera architettonica è la chiarezza cristallina, in cui le questioni tecnico-strutturali sono inestricabilmente legate alle caratteristiche formali dello stile. Tipico in questo senso è l’uso della pietra serena grigia per elementi architettonici, che si stagliano contro il leggero intonaco delle pareti. Ha usato gli elementi classici presi dagli ordini architettonici, concentrandosi su alcuni moduli, tuttavia, associati in vari modi, per evitare la ripetitività, e opponendosi alle mille sfaccettature del gotico. La chiarezza della sua architettura dipende anche dalla precisa proporzione armonica delle varie parti dell’edificio, ma non legata a relazioni geometriche, ma a una ripetizione più semplice e intuitiva di alcune misure di base (di solito le dieci braccia fiorentine), quali multipli e sottomultipli generano tutte le dimensioni. Ad esempio, lo Spedale degli Innocenti (1419 – 1428) ha un famoso portico con archi a tutto sesto sostenuto da colonne che formano nove campate quadrate; il modulo base è la lunghezza della colonna, che determina la distanza tra l’una e l’altra (“luce” dell’arco) e la profondità. Lo spazio appare così chiaro e misurabile a occhio nudo, secondo un ritmo armonioso che viene evidenziato da pochi e raffinati elementi decorativi.

Ma il lavoro che ha coinvolto tutto il suo genio, contenente i germi di molti dei seguenti progetti, è stata la costruzione della grandiosa cupola di Santa Maria del Fiore, descritta dai biografi di Brunelleschi come una sorta di mito moderno che ha come unico interlocutore il grande architetto protagonista, con il suo genio, la sua tenacia, la sua fiducia nel ragionamento. Brunelleschi ha dovuto superare le perplessità, le critiche e le incertezze dei lavoratori del Duomo e ha profuso spiegazioni, modelli e relazioni sul suo progetto, che ha comportato la costruzione di una cupola a doppia cupola con passerelle nell’interspazio e costruzione senza impalcature ma con impalcature autoportante. Brunelleschi usò una forma appuntita per la cupola, “più magnifica e rigonfia”, obbligata da esigenze pratiche ed estetiche: infatti le dimensioni non consentivano l’utilizzo di una forma semisferica e una doppia calotta, ovvero due cupole, una interna e l’altra esterna, ciascuna divisa verticalmente da otto vele. Inoltre, il maggiore sviluppo in altezza del sesto acuto compensava in altezza l’eccezionale sviluppo orizzontale della navata, unificando tutti gli spazi della cupola. Un effetto simile può essere percepito dall’interno, dove il gigantesco compartimento a cupola concentra gli spazi delle cappelle radiali, guidando l’occhio verso il punto di fuga ideale nell’occhio della lanterna. unificando tutti gli spazi nella cupola. Un effetto simile può essere percepito dall’interno, dove il gigantesco compartimento a cupola concentra gli spazi delle cappelle radiali, guidando l’occhio verso il punto di fuga ideale nell’occhio della lanterna. unificando tutti gli spazi nella cupola. Un effetto simile può essere percepito dall’interno, dove il gigantesco compartimento a cupola concentra gli spazi delle cappelle radiali, guidando l’occhio verso il punto di fuga ideale nell’occhio della lanterna.

Brunelleschi collocò quello esterno, che è parallelo al primo, su ventiquattro supporti posti sopra i segmenti di quello interno e incrociati con un sistema di speroni orizzontali che ricordava l’insieme di una griglia di meridiani e paralleli. La cupola esterna, in mattoni con mattoni rossi intervallati da otto costolature bianche, proteggeva anche la costruzione dall’umidità e faceva sembrare la cupola più larga di quanto non sia. La cupola interna, più piccola e robusta, sostiene il peso di quella esterna e, attraverso i supporti intermedi, le consente di svilupparsi più in altezza. Infine, nell’interspazio c’è il sistema di scale che ti permette di salire fino in cima. La cupola, soprattutto dopo la conclusione con la lanterna che con il suo peso consolidava ulteriormente le costole e le vele, era quindi una struttura organica, dove i singoli elementi si danno forza, anche convertendo pesi potenzialmente negativi in ​​forze che aumentano la coesione, quindi positive. I membri sono privi di decorazioni decorative e, a differenza dell’architettura gotica, il complesso gioco statico sull’edificio è nascosto nello spazio aereo, piuttosto che mostrato apertamente.

Con Brunelleschi, sempre presente sul cantiere, è nata la figura dell’architetto moderno, che è sempre coinvolto in processi tecnico-operativi, come i capisquadra medievali, ma che ha anche un ruolo importante e consapevole nella fase di progettazione: no più a lungo esercita un’arte meramente “meccanica”, ma è un intellettuale che pratica una “arte liberale”, basata su matematica, geometria, conoscenza storica.

Pittura

Masaccio
Il terzo padre della rivoluzione rinascimentale fu Masaccio per la pittura. la sua attività si concentra in pochissimi anni: dalla prima opera raggiunta nel 1422 alla morte a Roma nel 1428. Nel 1417 fu presente a Firenze, dove era diventato amico di Brunelleschi e Donatello e sulla base dei loro successi ( chiara forza spaziale e plastica) ha iniziato una rilettura dell’opera di Giotto, come si evince dalla sua prima opera conosciuta, il Trittico di San Giovenale (1422). Ha aperto negozi con Masolino da Panicale, ma sicuramente non è stato il suo allievo, come dimostrano i punti di partenza completamente diversi della loro pittura. Più tardi i due si influenzarono a vicenda, come possiamo già vedere nella prima opera conosciuta dell’associazione, la Sant’Anna Metterza degli Uffizi.

Questa forza nella costruzione dei personaggi e nella loro spazialità, che esalta la loro individualità umana e intensità emotiva, fu ulteriormente sviluppata in opere successive, come il Polittico di Pisa, iniziato nel 1426 e oggi smembrato tra diversi musei, e gli affreschi di Brancacci Cappella. Quest’ultima impresa, iniziata nel 1424 con la collaborazione di Masolino e proseguita da solo da Masaccio tra il 1426 e il 1427, fu il capolavoro del rinnovamento pittorico e fu apprezzata studiata dalle successive generazioni di pittori, tra i quali vi fu lo stesso Michelangelo Buonarroti.

Già la composizione spaziale è rivoluzionaria: tutta la decorazione è incorniciata in un ingabbiamento architettonico unitario, con lesene dipinte e una cornice frastagliata che separa le scene, spesso con il paesaggio che continua tra l’una e l’altra; il punto di vista è unico e progettato per un ipotetico spettatore in piedi al centro della cappella, particolarmente evidente nelle scene che si affacciano o nelle scene ai lati della bifora sul muro di fondo; luce generalmente unificata, come se provenisse naturalmente dalla finestra della cappella, e l’uso di un’unica gamma di colori, chiara e luminosa. Ovviamente tra le due mani (per non parlare del completamento compiuto da Filippino Lippi nel 1481), c’erano anche sostanziali differenze. Masolino, nonostante gli sforzi per creare figure anatomicamente corrette e ben calibrate nello spazio, impostare le relazioni tra le figure in base al ritmo, con facce generiche e espressioni vuote. Masaccio invece usava un’illuminazione più violenta (Espulsione dei progenitori), che plasmava i corpi e li rendeva carichi di espressività, attraverso gesti essenziali ma molto eloquenti. Le sue figure emanano un dinamismo e una profondità umana sconosciute a Masolino. Le citazioni sono educate (come la posa di Eva che ricorda una modesta Venere) sono trasfigurate da una severa schermatura del naturale, che le rende vive e carnose, non accademicamente archeologiche: già i contemporanei lodavano nella sua arte “l’eccellente imitatore della natura” “, piuttosto che il resuscitator di arte antica. Masaccio invece usava un’illuminazione più violenta (Espulsione dei progenitori), che plasmava i corpi e li rendeva carichi di espressività, attraverso gesti essenziali ma molto eloquenti. Le sue figure emanano un dinamismo e una profondità umana sconosciute a Masolino. Le citazioni sono educate (come la posa di Eva che ricorda una modesta Venere) sono trasfigurate da una severa schermatura del naturale, che le rende vive e carnose, non accademicamente archeologiche: già i contemporanei lodavano nella sua arte “l’eccellente imitatore della natura” “, piuttosto che il resuscitator di arte antica. Masaccio invece usava un’illuminazione più violenta (Espulsione dei progenitori), che plasmava i corpi e li rendeva carichi di espressività, attraverso gesti essenziali ma molto eloquenti. Le sue figure emanano un dinamismo e una profondità umana sconosciute a Masolino. Le citazioni sono educate (come la posa di Eva che ricorda una modesta Venere) sono trasfigurate da una severa schermatura del naturale, che le rende vive e carnose, non accademicamente archeologiche: già i contemporanei lodavano nella sua arte “l’eccellente imitatore della natura” “, piuttosto che il resuscitator di arte antica.

Nelle scene più complesse (come il Cure of the Cripple e la resurrezione di Tabita di Masolino e il pagamento del tributo di Masaccio) Masolino frantuma la propria lingua in episodi più dispersivi come nell’arte medievale, nonostante gli inserti classici, la correttezza prospettica e l’altissima qualità pittorica, con una minuziosa attenzione ai dettagli che richiama l’arte del gotico internazionale; Masaccio invece unifica gli episodi facendoli ruotare attorno alla figura di Cristo tra gli apostoli, dietro la cui testa è il punto di fuga dell’intera rappresentazione. Le corrispondenze tra i gesti tra l’uno e l’altro gruppo di figure collegano potentemente le diverse azioni.

Anche la tecnica pittorica tra i due è molto diversa: Masolino ha accuratamente rifinito le forme e i dettagli, poi modellando i volumi con luci soffuse e pennellate sottili; Masaccio, d’altra parte, lavora in modo più conciso, rinunciando alla linea di contorno e costruendo attraverso l’apposizione diretta di luci e colori, ottenendo lo straordinario salto di plastica delle figure.

Negli episodi inferiori del San Pietro guarisce i malati con la sua ombra e la distribuzione dei beni, entrambi di Masaccio, le scene sono cadute in contesti urbani che ricordano da vicino le strade della Firenze contemporanea, evitando qualsiasi digressione aneddotica: ogni elemento ha un preciso funzione, come le montagne innevate nella distribuzione testimoniano l’urgente necessità dell’intervento del Santo. Le persone sono anche caratterizzate nella loro individualità, evitando tipi generici. In questo leggiamo anche il nuovo significato della dignità umana, che rende anche infermità, bruttezza, povertà degne di considerazione (San Pietro guarisce i malati con la sua ombra), senza alcuna compiacenza verso il grottesco.

Gli studenti di Masaccio
I primi eredi di Masaccio furono alcuni dei suoi studenti e quelli che immediatamente studiarono e valorizzarono le innovazioni della cappella Brancacci. Tra questi c’erano Filippo Lippi e Beato Angelico, che utilizzarono alcune delle caratteristiche di Masaccio per sviluppare il proprio stile.

L’Angelico, già studente di Lorenzo Monaco, aveva intrapreso presto una ricerca di modi diversi dal gotico internazionale. Già nelle sue prime opere di miniaturista ha creato figure di purezza geometrica, allungate e con abiti semplici con pesanti pieghe, con colori brillanti e luminosi e collocati in uno spazio misurato. Questi elementi si trovano anche nei primi test sul tavolo, come il Trittico di San Pietro Martire (1427-1428 circa). L’Angelico era un artista che era in grado di mediare tra la ricchezza dell’ornamento di Gentile da Fabriano e la solidità fisica e spaziale di Masaccio. Nell’Annunciazione del Prado, un po ‘più tardi (1430 circa), creò un’elegante scena principale, attenta ai minimi dettagli, ma cadde in un ambiente architettonico organizzato con prospettiva; nelle tavole della predella lavorava con ancora maggiore audacia,

Ricevere notizie

I tre innovatori dell’arte fiorentina ricevettero grande stima e ammirazione, e influenzarono la produzione artistica a lungo termine, anche se nessuno di essi fu ricevuto in toto da altri artisti contemporanei. Anche il cliente ha avuto un ruolo in questo, generalmente a favore di soluzioni meno radicali. L’esempio tipico è quello del ricco mercante e umanista Palla Strozzi, che affidò la costruzione della pala d’altare della sua cappella a Santa Trinita a Gentile da Fabriano, che nel 1423 concluse l’abbagliante Adorazione dei Magi, un capolavoro del gotico internazionale in Italia . Il lavoro è una vibrante combinazione di diversi episodi in cui l’occhio si perde in una miriade di dettagli minuti e scene aneddotiche, secondo un’ambientazione derivata dal modello letterario bizantino delle ecfrasi, o dalle descrizioni / interpretazioni di opere d’arte,

La disposizione teorica di Alberti
A partire dalla metà degli anni trenta del XV secolo, il fervore pionieristico diminuì gradualmente, mentre cercava di dare un assetto teorico a ciò che era stato precedentemente sperimentato. Il protagonista di questo processo fu Leon Battista Alberti, che si stabilì in città solo nel 1434. Essendo il figlio di una famiglia di esuli giunse in città quando la rivoluzione figurativa aveva già avuto luogo e, imbevuta di umanesimo prevalentemente di matrice romana, iniziò a valutare i risultati ottenuti, mitigando le differenze tra la personalità individuale a favore di una visione dell ‘insieme che la “rinascita” aveva come denominatore comune. Nel trattato De pictura uniti nella dedica Brunelleschi, Donatello, Ghiberti, Luca della Robbia e Masaccio.

Alberti cercò le basi oggettive e il percorso filologico che aveva permesso la rinascita, affrontando questioni sia tecniche che estetiche. Si dedicò alle tre maggiori arti (De pictura del 1436, De re aedificatoria del 1454 e De statua del 1462) ei suoi testi furono lo strumento fondamentale per la formazione delle nuove generazioni nei decenni successivi, per la diffusione delle idee del Rinascimento e soprattutto, per consentire la trasformazione dell’artista da un artigiano medievale a un intellettuale moderno.

Figure di mediazione
La fase successiva, negli anni centrali del secolo, era sotto la bandiera di un accordo più intellettualistico delle precedenti conquiste. Intorno agli anni Quaranta del Quattrocento il quadro politico italiano si stava stabilizzando con la Pace di Lodi (1454), che divideva la penisola in cinque stati maggiori. Mentre le classi politiche nelle città centralizzavano il potere nelle loro mani, favorendo l’ascesa delle figure individuali dominanti, dall’altra la borghesia diventa meno attiva, favorendo gli investimenti agricoli e assumendo modelli di comportamento della vecchia aristocrazia, lontana dagli ideali tradizionali di sobrietà e rifiuto dell’ostentazione. Il linguaggio figurativo di quegli anni può essere definito colto, ornato e flessibile.

Lorenzo Ghiberti
Ghiberti fu uno dei primi artisti che, insieme a Masolino e Michelozzo, mantenne una valutazione positiva della tradizione precedente, correggendola e riorganizzandola secondo le novità della cultura umanistica e del rigore prospettico, per aggiornarla senza sovvertirla. Dopo la lunga lavorazione della Porta Nord del Battistero, ancora legata alla cornice della Porta Sud del XIV secolo di Andrea Pisano, nel 1425 ricevette l’incarico di una nuova porta (oggi in Oriente), che Michelangelo chiamò in seguito “Porta del Paradiso “” L’opera è emblematica della posizione di “mediazione” di Ghiberti, poiché fonde un incredibile numero di temi didattico-religiosi, civili, politici e culturali con uno stile apparentemente chiaro e semplice, di grande eleganza formale, che ne ha decretato la duratura fortuna ..

Masolino
Masolino mediato nella pittura tra la dolcezza e l’episodicità del gotico internazionale e la solida spazialità del Rinascimento. Nelle sue opere create dopo la fine dell’associazione con Masaccio sviluppò uno stile facile da assimilare in luoghi in cui la cultura gotica era ancora predominante, come Siena (il Vecchietta era suo allievo e collaboratore) o l’Italia settentrionale (con gli importanti affreschi di Castiglione Olona).

Michelozzo
Michelozzo fu scultore e poi architetto, inestricabilmente legato alla commissione di Cosimo il Vecchio, che fu l’architetto delle più importanti commissioni pubbliche e private. Ha commissionato il convento di Bosco ai Frati, vicino a Firenze, e dal 1444 ha costruito il Palazzo Medici in Via Larga. Fu anche il progetto per l’innovativo convento di San Marco, dal 1438. Michelozzo fu un profondo conoscitore di entrambe le opere di Brunelleschithat della tradizione gotica delle grandi basiliche fiorentine, e usò il Rinascimento per purificare e arricchire la tradizione passata. Nel Palazzo Medici, un modello di gran parte della costruzione civile fiorentina in seguito, e non solo, sfruttò il bugnato esterno, ricavato da edifici pubblici medioevali, e creò una residenza più o meno cubica, costruita attorno a un cortile centrale, su cui apre l’accesso al giardino. La decorazione è raffinata e composta da disegni di fantasia dal repertorio classico, con un gusto aperto alla contaminazione e attento ai giochi di prospettiva (il cortile, ad esempio, sembra simmetrico senza esserlo e ha le colonne angolari più sottili).

Paolo Uccello
Secondo Vasari nelle sue vite, Paolo Uccello “non ha avuto altro piacere se non quello di indagare alcune cose difficili e impossibili della prospettiva”, sottolineando il suo tratto più immediatamente distintivo, cioè l’interesse quasi ossessivo nella costruzione prospettica. Questa caratteristica, unita all’adesione al clima fiabesco del gotico internazionale, fa di Paolo Uccello una figura al confine tra i due mondi figurativi, secondo un percorso artistico tra i più autonomi del Quattrocento. L’audace costruzione prospettica delle sue opere, tuttavia, a differenza di Masaccio, non serve a dare un ordine logico alla composizione, ma piuttosto a creare scenografie fantastiche e visionarie, in spazi indefiniti.

Nelle opere di maturità, le figure sono considerate volumi, posti in funzione di risposte matematiche e razionali, in cui sono esclusi l’orizzonte naturale e l’orizzonte dei sentimenti. L’effetto, ben percepibile in opere come la Battaglia di San Romano, è quello di una serie di manichini che impersonano una scena con azioni congelate e sospese, ma il carattere emblematico e onirico della sua pittura nasce da questa imperscrutabile fissità.

Filarete
Filarete fu uno degli studenti di Lorenzo Ghiberti durante la fusione della Porta Nord del Battistero, per questo fu incaricato dall’importante commissione della fusione della porta di San Pietro da parte di Eugenio IV. Il Filarete ha fatto soprattutto lo studio e la rievocazione dell’antico. Fu uno dei primi artisti a sviluppare una conoscenza del mondo antico come fine a se stessa, dettata da un gusto “antiquario”, che mirava a ricreare opere in uno stile probabilmente classico. Ma la sua riscoperta non era filologica, ma piuttosto animata dalla fantasia e dal gusto per la rarità, arrivando a produrre una fantastica evocazione del passato. Con i suoi soggiorni a Roma e Milano è stato un diffusore fondamentale della cultura rinascimentale in Italia.

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