Categories: Cultura

Rinascimento lombardo

Il Rinascimento lombardo copre Milano e i suoi territori. Con il passaggio del potere tra Visconti e Sforza nella metà del Quattrocento si realizzò anche la transizione tra la stagione gotica internazionale longobarda e l’apertura verso il nuovo mondo umanistico. Nella seconda metà del XV secolo la storia artistica lombarda si sviluppò senza lacrime, con influenze gradualmente collegate alle vie fiorentina, ferrarese e padovana, oltre a riferimenti alla ricca cultura precedente. Con l’arrivo del Bramante (1479) e di Leonardo da Vinci (1482) Milano raggiunse vette artistiche assolute nella scena italiana ed europea, dimostrando tuttavia la possibilità di una coabitazione tra avanguardie artistiche, il substrato gotico.

Il Visconti
Nella prima metà del Quattrocento Milano e Lombardia furono la regione italiana dove seguì lo stile gotico internazionale, tanto che in Europa l’espressione ouvrage de Lombardie era sinonimo di oggetto di inestimabile fattura, riferendosi soprattutto a quelle miniature e oreficerie che erano espressione di uno squisito gusto cortese, elitario e raffinato.

I contatti con le avanguardie artistiche della Toscana e delle Fiandre erano tuttavia abbastanza frequenti, grazie alla rete di relazioni commerciali e dinastiche particolarmente articolate. Nella costruzione del Duomo di Milano, iniziato nel 1386, lavorarono artigiani francesi, borgognesi, tedeschi e italiani, sviluppando uno stile internazionale, soprattutto nella scuola di scultura, che era indispensabile per la costruzione dell’imponente decorazione decorativa della cattedrale. Già intorno al 1435 Masolino lavorava a Castiglione Olona, ​​vicino a Varese, mostrando le innovazioni dell’uso della prospettiva, ma attenuate da un’attenzione alla cultura figurativa locale che rendeva il nuovo messaggio più comprensibile e assimilabile.

Francesco Sforza (1450-1466)
Dopo il tentativo utopico di ripristinare le istituzioni comunali alla morte di Filippo Maria Visconti con la Repubblica Ambrosiana (1447-1450), il passaggio del potere alla famiglia Sforza, con Francesco Maria di Bianca Maria Visconti, ebbe quasi il sapore di un legittimo successione, senza tagli netti rispetto al passato.

Anche nel campo artistico, il gusto di Francesco, e in gran parte dei suoi discendenti, si allineò con il sontuoso, ornato e sontuoso celebrativo dei Visconti: molti artisti “Visconti” furono oggetto di commissioni, come Bonifacio Bembo. Nonostante questo, l’alleanza con Firenze ei ripetuti contatti con Padova e Ferrara hanno favorito una penetrazione della lingua rinascimentale, soprattutto attraverso lo scambio di minatori.

Architettura
Per consolidare il suo potere, Francesco iniziò immediatamente la ricostruzione del castello di Porta Giovia, la residenza milanese della famiglia Visconti. Nell’architettura, tuttavia, l’impegno più significativo rimase quello del Duomo, mentre gli edifici dei Solari guardano ancora alla tradizione gotica o addirittura al romanico longobardo.

Filarete
Il soggiorno del Filarete fiorentino, a partire dal 1451, fu la prima significativa presenza rinascimentale a Milano. L’artista, raccomandato da Piero de ‘Medici, fu incaricato di importanti commissioni, grazie al suo stile ibrido che conquistò la corte degli Sforza. In realtà, era un sostenitore delle linee chiare, ma non gli dispiaceva di una certa ricchezza decorativa, né applicava la “grammatica degli ordini” del Brunelleschi con estremo rigore. Gli fu affidata la costruzione della torre del Castello, il Duomo di Bergamo e l’Ospedale Maggiore.

In quest’ultima opera, in particolare, legata alla volontà del nuovo principe di promuovere la sua immagine, possiamo leggere chiaramente le disuguaglianze tra il rigore del progetto di base, impostato su una divisione funzionale dello spazio e un piano regolare, e la mancanza di integrazione con il tessuto circostante dell’edificio minuto, a causa del sovradimensionamento dell’edificio. L’impianto ospedaliero è rettangolare, un cortile centrale lo divide in due aree, ciascuna attraversata da due bracci ortogonali interni che disegnano otto grandi cortili. La purezza ritmica della successione di archi a tutto sesto dei cortili, derivata dalla lezione di Brunelleschi, contrasta con l’esuberanza delle decorazioni in terracotta (anche se in gran parte dovute ai continuatori longobardi).

La cappella Portinari
L’arrivo nella città di formulazioni rinascimentali più mature è legato alle commissioni di Pigello Portinari, agente dei Medici per la loro filiale bancaria a Milano. Oltre alla costruzione di una sede della banca dei Medici, oggi scomparsa, Pigello costruì una cappella funeraria di famiglia a Sant’Eustorgio che porta il suo nome, la Cappella Portinari, dove fu rinvenuta anche la reliquia del capo di San Pietro Martire.

La struttura è ispirata alla Brunestiana Sagrestia Vecchia di San Lorenzo a Firenze, con un vano quadrato dotato di una scarsella e coperto da una cupola con sedici costole. Alcuni dettagli della decorazione sono ispirati anche al modello fiorentino, come il fregio dei cherubini o i tondi nei pennacchi della cupola, ma altri si allontanano, segnando un’origine longobarda. Questo è il tiburio che protegge la cupola, la decorazione in terracotta, la presenza di bifore appuntite o l’esuberanza decorativa generale. L’interno in particolare si allontana dal modello fiorentino grazie alla vibrante ricchezza di decorazioni, come il ricco embrione della cupola inclinata, il fregio con gli angeli sul tamburo e i numerosi affreschi di Vincenzo Foppa nella parte superiore delle pareti .

Pianificazione urbana
Le ricerche sull’urbanistica di Francesco Sforza non si tradussero in importanti interventi concreti, ma produssero comunque un singolare progetto di una città ideale, la Sforzinda, la prima a essere completamente teorizzata. La città fu descritta da Filarete nel trattato di architettura ed è caratterizzata da un’astrazione intellettuale che trascura le precedenti indicazioni sparse, di un approccio più pratico ed empirico, descritto da Leon Battista Alberti e altri architetti, specialmente nel contesto del Rinascimento urbano. La città aveva una pianta stellare, legata a simboli cosmici, e comprendeva edifici aggregati senza logica organica o interna, in modo da non essere vincolati da una rete stradale, che era invece impostata su uno schema perfettamente radiale.

Pittura
Una delle più importanti opere pittoriche della signoria di Francesco Sforza è legata alla Cappella Portinari, affrescata nella parte superiore delle pareti da Vincenzo Foppa tra il 1464 e il 1468. La decorazione, in ottime condizioni, comprende quattro tondi con Medici del Chiesa nei pennacchi, otto busti di santi negli occhi alla base della cupola, quattro storie di San Pietro Martire nelle pareti laterali e due grandi affreschi nell’arco trionfale. arco della controfacciata, rispettivamente un’Annunciazione e un ‘Assunzione della Vergine.

Il pittore ha curato in modo particolare il rapporto con l’architettura, cercando un’integrazione illusoria tra spazio reale e spazio dipinto. Le quattro scene di storie del santo hanno un comune punto di fuga, posto fuori dalle scene (al centro del muro, sulla bifora centrale) su un orizzonte che cade all’altezza degli occhi con i personaggi (secondo le indicazioni di Leon Battista Alberti). Tuttavia, è distaccato dalla prospettiva geometrica classica per la sensibilità atmosferica originale, che attenua i contorni e la rigidità geometrica: è infatti la luce che rende la scena umanamente reale. Inoltre, prevale il gusto per una narrativa semplice ma efficace e comprensibile, ambientata in luoghi realistici con personaggi che ricordano i tipi di tutti i giorni,

Anche nei successivi lavori di Foppa, utilizzo il medium prospettico in modo duttile e comunque secondario rispetto ad altri elementi. Un esempio è il Pala Bottigella (1480 – 1484), con una disposizione spaziale della derivazione del Bramante, ma saturo di figure, dove gli accenti sono posti sulla rappresentazione umana dei vari tipi e sulla rifrazione della luce sui vari materiali. Questa attenzione alla verità ottica, priva di intellettualismo, fu una delle caratteristiche più tipiche della successiva pittura lombarda, anch’essa studiata da Leonardo da Vinci.

Galeazzo Maria Sforza (1466-1476)
Galeazzo Maria Sforza fu certamente attratto dalla sontuosità dell’origine gotica e le sue commissioni sembravano animate dal desiderio di fare molto e farlo in fretta, quindi tra i suoi interessi non c’era da stimolare una produzione figurativa originale e aggiornata, trovando più facile pescare nel passato. Per soddisfare le numerose richieste della corte, si formavano spesso gruppi di artisti consolidati ed eterogenei, come quelli che decoravano la cappella ducale nel Castello Sforzesco, guidati da Bonifacio Bembo. In quegli affreschi, risalenti al 1473, nonostante alcuni sobri riferimenti a novità figurative (come nella spazialità dell’Annunciatore nell’ambientazione plastica dei santi), c’è ancora uno sfondo arcaico nella tavoletta d’oro.

Gli artisti che hanno lavorato per Galeazzo Maria Sforza non sono mai stati “interlocutori” con il cliente, ma esecutori docili dei suoi desideri.

Architettura
Le opere più significative del periodo svilupparono il gusto che portò a coprire l’architettura rinascimentale con una decorazione esuberante, come in parte era già all’Ospedale Maggiore, con un crescendo che ebbe un primo climax nella Cappella Colleoni di Bergamo (1470 – 1476 ) e un secondo nella facciata della Certosa di Pavia (del 1491), entrambi di Giovanni Antonio Amadeo con altri.

La cappella Colleoni fu costruita come un mausoleo per il condottiero Bartolomeo Colleoni, con una pianta che ancora una volta rilevò l’antica Sagrestia del Brunelleschi. Il piano è infatti quadrato, sormontato da una cupola a spicchi con un tamburo ottagonale e una scarsella con l’altare, anch’essa coperta da una piccola cupola. Tuttavia, la chiarezza strutturale è stata arricchita con motivi pittorici, in particolare sulla facciata, con l’uso di tricromia bianca / rosa / viola e il motivo delle losanghe.

La Certosa di Pavia, iniziata nel 1396 da Gian Galeazzo Visconti, che vide solo il suo inizio, fu occupata solo nella metà del XV secolo, seguendo in un certo senso il destino della famiglia ducale milanese, con lunghi periodi di stasi e improvvisi accelerazione, accogliendo le più moderne suggestioni del panorama artistico. Occuparono principalmente Guiniforte e Giovanni Solari, che mantennero la pianta originale (pianta a croce latina a tre navate e semplice mattone in muratura), arricchendo solo la parte absidale, con una chiusura a trifoglio che si ripete anche nelle braccia del transetto. I due chiostri con archi a tutto sesto, decorati con esuberanti anelli di terracotta, ricordano l’Ospedale Maggiore, mentre l’interno cita chiaramente il Duomo di Milano.

Scultura
Anche nella scultura il cantiere più significativo del periodo fu la Certosa di Pavia. I numerosi scultori coinvolti nella decorazione della facciata, non tutti identificati, furono sottoposti ad evidenti influenze da Ferrara e Bramante. Ad esempio, nel rilievo dell’Espulsione dei progenitori (circa 1475) attribuito a Cristoforo Mantegazza, si nota un segno grafico, angoli acuti, ritagli innaturali e squilibrati delle figure e un violento chiaroscuro, con risultati di grande espressività e originalità. Nella Resurrezione di Lazzaro (1474 circa) di Giovanni Antonio Amadeoinstead, l’ambientazione enfatizza maggiormente la profondità dell’architettura in prospettiva, con figure più composte ma incise da contorni piuttosto bruschi.

Ludovico il Moro (1480-1500)
Nei giorni di Ludovico il Moro, negli ultimi due decenni del Quattrocento, la produzione artistica nel ducato milanese continuò tra continuità e innovazione. La tendenza al fasto e all’ostentazione raggiunse il suo apice, specialmente in occasione di celebrazioni speciali in tribunale.

Con l’arrivo di due grandi maestri come Donato Bramante (1477) e Leonardo da Vinci (1482), provenienti rispettivamente da centri come Urbino e Firenze, la cultura longobarda subì una svolta radicale in senso rinascimentale, anche se senza appariscenti rotture , grazie a una terra già pronta per ricevere le notizie grazie alle aperture del periodo precedente. I due sono stati in grado di integrarsi perfettamente nella corte lombarda e, allo stesso tempo, di rinnovare il rapporto tra artista e cliente, basato ormai su scambi vivaci e fruttuosi.

L’arte nel ducato ha registrato in questo periodo le influenze reciproche tra artisti lombardi e due innovatori stranieri, spesso lavorando in parallelo o attraversando.

Architettura
Rispetto al suo predecessore, Ludovico si preoccupava di far riprendere i grandi siti architettonici, grazie alla nuova consapevolezza del loro significato politico legato alla fama della città e, di conseguenza, del suo principe. Tra le opere più importanti, in cui furono consumati i fruttuosi scambi tra i maestri, furono essenzialmente la cattedrale di Pavia, il castello e la piazza di Vigevano, il tiburio del Duomo di Milano. Stimolando sono gli studi sugli edifici a pianta centrale, che hanno animato la ricerca del Bramante e affascinato Leonardo, riempiendo pagine dei suoi codici con soluzioni di crescente complessità.

A volte si continuava a praticare uno stile più tradizionale, fatto di un’esuberanza decorativa incastonata su linee rinascimentali. Principale lavoro di questo gusto fu la facciata della Certosa di Pavia, eseguita a partire dal 1491 da Giovanni Antonio Amadeo, che arrivò alla prima cornice, e completata da Benedetto Briosco. L’ambiente piuttosto rigido, con due bande quadrangolari sovrapposte, è straordinariamente animato da pilastri verticali, aperture di varie forme, logge e, soprattutto, da una folla di rilievi e motivi con marmi policromi.

Bramante a Milano
Tra le prime opere in cui fu misurato il Bramante per Ludovico il Moro vi fu la ricostruzione della chiesa di Santa Maria presso San Satiro (circa 1479-1482), in cui era già emerso il problema dello spazio centralizzato. Fu progettato un corpo longitudinale a tre navate, con la stessa ampiezza tra la navata centrale e le braccia del transetto, entrambe coperte da imponenti volte a botte con casse dipinte che rievocavano il modello di Sant’Andrea degli Alberti. L’incrocio delle braccia ha una cupola, un motivo inconfondibile del Bramante, ma l’armonia dell’insieme è stata messa a rischio dall’ampiezza insufficiente del capocroce che, non potendolo estendere, è stato “allungato” illusionisticamente, costruendo una finta fuga prospettica in stucco in uno spazio profondo meno di un metro, con un’illusionaria volta a cassettoni.

L’altro grande progetto a cui il Bramante si dedicò fu la ricostruzione della tribuna di Santa Maria delle Grazie, che fu trasformata nonostante le dieci opere completate da Guiniforte Solari: il Moro volle dare un aspetto più monumentale alla basilica domenicana, per renderlo il luogo di sepoltura della propria famiglia. le navate costruite dai Solari, immerse nella semioscurità, erano illuminate dalla monumentale tribuna all’incrocio delle braccia, coperta da una cupola semisferica. Il Bramante aggiunse anche due grandi absidi laterali e un terzo, sopra il coro, in asse con le navate. La scansione ordinata degli spazi si riflette anche all’esterno in un intreccio di volumi che culmina nel tiburium che maschera la cupola,

Related Post

Pittura
In occasione del suo matrimonio con Beatrice d’Este, Ludovico fece decorare la Sala della Balla nel Castello Sforzesco, predisponendo tutti i maestri lombardi disponibili sulla piazza. Accanto a maestri come Bernardino Butinone e Bernardo Zenale, una folla di maestri di medio e piccolo calibro arrivarono a Milano, quasi completamente sconosciuti agli studi storico-artistici, che dovevano lavorare fianco a fianco per allestire rapidamente un apparato sontuoso, ricco nei significati politici, ma con ampie oscillazioni qualitative che sembrano essere l’ultima preoccupazione del cliente.

Bergognone
Tra il 1488 e il 1495 il pittore lombardo Bergognone si occupò della decorazione della Certosa di Pavia. La sua produzione è ispirata a Vincenzo Foppa, ma mostra anche forti accenti fiamminghi, filtrati probabilmente dai contatti liguri. Questa caratteristica era particolarmente evidente nelle tavole di piccolo formato destinate alla devozione dei monaci nelle celle, come la cosiddetta Madonna del Certosino (1488 – 1490), dove i valori chiari prevalgono in un ambiente tranquillo e un po ‘spento. In seguito l’artista abbandonò i toni madreperlati accentuando i passaggi chiaroscurali e aderendo alle innovazioni introdotte da Leonardo e Bramante. Nel Matrimonio mistico di Santa Caterina (1490 circa) la costruzione scenica è legata a un uso intelligente della prospettiva con un punto di vista abbassato, anche se nei contorni ondulati delle figure,

Butinone e Zenale
I laboratori lombardi dell’epoca erano generalmente organizzati secondo pratiche di lavoro collettivo e venivano gradualmente investiti dalle più moderne innovazioni, che venivano tradotte in ibridi con tradizioni locali. Un esempio eccellente è quello dell’associazione tra Bernardino Butinone e Bernardo Zenale di Treviglio, che forse hanno collaborato rispettivamente come insegnante e allievo (ma forse anche semplicemente come artisti associati) in lavori su importanti commissioni. Nel Polittico di San Martino (1481-1485), per la chiesa di San Martino a Treviglio, si mostra un’eguale divisione del lavoro, con un’omogeneizzazione degli stili personali verso un risultato armonioso. La disposizione prospettica, ispirata a Vincenzo Foppa, riflette anche l’illusionismo tra la cornice e l’architettura dipinta derivata dalla Pala di San Zeno di Mantegna (1457-1459), con il finto portico dove le figure sono ordinatamente barcollate. La prospettiva, tuttavia, è legata a espedienti ottici, piuttosto che a una rigorosa costruzione geometrica, con la convergenza verso un unico punto di fuga (posto al centro del tavolo centrale di San Martino), ma senza una proporzionalità esatta dello scorcio in profondità. Elementi come ghirlande o ringhiere valorizzano il primo piano e le figure dietro di esso, mentre è brulicante, legato a un gotico heritagallyly, l’uso di decorazioni dorate. ma senza una proporzionalità esatta dello scorcio in profondità. Elementi come ghirlande o ringhiere valorizzano il primo piano e le figure dietro di esso, mentre è brulicante, legato a un gotico heritagallyly, l’uso di decorazioni dorate. ma senza una proporzionalità esatta dello scorcio in profondità. Elementi come ghirlande o ringhiere valorizzano il primo piano e le figure dietro di esso, mentre è brulicante, legato a un gotico heritagallyly, l’uso di decorazioni dorate.

Pittore Bramante
Bramante fu anche un pittore, autore a Milano di una serie di affreschi a tema umanistico su uomini illustri, i cosiddetti uomini d’arme della famiglia Visconti-Panigarola, ma anche di una famosa tavola con Cristo alla colonna (1480 ca. -1490). In quest’ultima i riferimenti alla cultura urbana sono evidenti, con la figura del sofferente Redentore spinto in primo piano, quasi a diretto contatto con lo spettatore, con una classica modellazione a torso nudo e con evidenti reminiscenze fiamminghe, sia nel paesaggio che nella meticolosa resa dei dettagli e dei loro riflessi luminosi, soprattutto nei bagliori rossi e blu di capelli e barba.

Primo soggiorno di Leonardo da Vinci
Come il Bramante, anche Leonardo da Vinci fu attratto dalla Lombardia dalle opportunità di lavoro offerte dalla politica di espansione energetica promossa dagli Sforza. In una celebre lettera di auto-presentazione del 1482, l’artista enumerava in dieci punti le sue abilità, che vanno dall’ingegneria militare e civile, all’idraulica, alla musica e all’arte (citate per ultime, da esercitare “in tempo di pace”).

All’inizio, però, Leonardo non trovò una risposta alle sue offerte al Duca, dedicandosi alla coltivazione dei suoi interessi scientifici (numerosi codici risalgono a questo periodo fecondo) e ricevendo una prima importante commissione da una confraternita, che nel 1483 chiese a lui e ai fratelli De Predis, che lo ospitarono, un trittico da esporre nel loro altare nella distrutta chiesa di San Francesco Grande. Leonardo dipinse la tavola centrale con la Vergine delle Rocce, un’opera di grande originalità in cui le figure sono disposte in una piramide, con una forte monumentalità, e con un movimento circolare di sguardi e gesti. La scena è ambientata in una caverna ombrosa, con la luce che filtra attraverso le aperture nelle rocce in variazioni molto sottili del chiaroscuro, tra riflessi e ombre colorate,

Finalmente entrato nel circolo degli Sforza, Leonardo fu a lungo coinvolto nella costruzione di un colosso equestre, che non vide mai la luce. Nel 1494 Ludovico il Moro gli assegnò la decorazione di una delle pareti più piccole del refettorio di Santa Maria delle Grazie, dove Leonardo creò l’Ultima Cena, entro il 1498. Come nell’Adorazione del Magipainted a Firenze, l’artista indagò il significato più profondo dell’episodio evangelico, studiando le reazioni e i “moti dell’anima” alla proclamazione di Cristo del tradimento da parte di uno degli apostoli. Le emozioni si diffondono violentemente tra gli apostoli, da un capo all’altro della scena, travolgendo i tradizionali allineamenti simmetrici delle figure e raggruppandoli tre per tre, con Cristo isolato al centro (una solitudine sia fisica che psicologica), grazie anche all’inquadratura delle aperture luminose sullo sfondo e al riquadro della prospettiva. Lo spazio reale e lo spazio dipinto sembrano infatti essere collegati illusionisticamente, grazie anche all’uso di una luce simile a quella reale della stanza, che coinvolge straordinariamente lo spettatore, con una procedura simile a quella che Bramante ha vissuto in architettura in quegli anni.

Un principio analogo, della cancellazione delle pareti, fu applicato anche nella decorazione della Sala delle Asse nel Castello Sforzesco, coperto da un intreccio di motivi arboricoli.

Una serie di ritratti risale alla corte milanese, tra cui la più famosa è la Dama con l’ermellino (1488-1490). È quasi certamente il preferito di Moro Cecilia Gallerani, la cui immagine, colpita da una luce diretta, emerge dallo sfondo scuro facendo un movimento a spirale con il busto e la testa che esalta la grazia della donna e rompe definitivamente con la rigida impostazione dei ritratti 15 ° secolo “umanistico”.

Prima metà del XVI secolo
La caduta di Ludovico il Moro causò un’interruzione improvvisa di tutte le commissioni artistiche a una diaspora degli artisti. Nonostante ciò, la ripresa è stata relativamente rapida e l’atmosfera a Milano e nei territori interconnessi è rimasta vivace. L’episodio chiave è il ritorno di Leonardo da Vinci nel 1507, fino al 1513.

Fino alla battaglia di Pavia, nel 1525, la situazione politica nel territorio del ducato di Milano rimase incerta, con numerosi scontri armati, dopo i quali venne sancita la predominanza spagnola.

Secondo soggiorno di Leonardo
Fu lo stesso governatore francese di Milano, Carlo d’Amboise, a sollecitare, dal 1506, l’ingresso di Leonardo al servizio di Luigi XII. L’anno seguente fu proprio il re a chiedere espressamente a Leonardo, che finalmente accettò di tornare a Milano dal luglio 1508. Il secondo soggiorno a Milano fu un periodo molto intenso: dipinse Sant’Anna, la Vergine e il Bambino con il agnellino, completato, in collaborazione con De Predis, la seconda versione della Vergine delle rocce e si occupò di problemi geologici, pianificazione idrografica e urbana. Tra le altre cose, ha studiato un progetto per una statua equestre in onore di Gian Giacomo Trivulzio, come l’architetto della conquista francese della città.

Le Leonardesche
Gli illustri esempi prodotti da Leonardo furono raccolti e replicati da un gran numero di studenti (diretti e indiretti), i cosiddetti “leonardeschi”: Boltraffio, Andrea Solario, Cesare da Sesto e Bernardino Luini tra i principali. Così, all’inizio del secolo, c’era un’armonizzazione del gusto nel ducato legata allo stile di Leonardo.

La limitazione di questi artisti, per quanto dotati, era la cristallizzazione dello stile del maestro, senza mai essere in grado di eguagliarlo o di proporre un superamento del suo stile. Il merito più importante di questi pittori era probabilmente quello di diffondere, attraverso i loro viaggi, l’innovativo stile di Leonardo anche in zone estranee al suo passaggio, come Giovanni Agostino da Lodi a Venezia o Cesare da Sesto nel sud Italia e Roma [18].

Il più noto del gruppo era Bernardino Luini, che tuttavia aderì all’esempio di Leonardo solo in alcune opere, specialmente quelle su legno: la Sacra Famiglia della Galleria d’Arte Ambrosiana, modellata su Sant’Anna, la Vergine e il Bambino con Leonardo agnellino. Nel terzo decennio del secolo il contatto con le opere veneziane e la maturazione personale lo portarono a ottenere risultati significativi in ​​cicli di affreschi con una piacevole vena narrativa, come nella chiesa di San Maurizio al Monastero Maggiore di Milano, nel santuario del Madonna dei Miracoli a Saronno e nella chiesa di Santa Maria degli Angeli a Lugano. Interessante anche il ciclo umanistico già a Villa Rabia presso Pelucca vicino a Monza (oggi alla Pinacoteca di Brera).

Bramantino
L’unica eccezione degna di nota per lo stile dominante leonardesco era l’attività di Bartolomeo Suardi, detto Bramantino, mentre si allenava alla scuola del Bramante. Le sue opere sono monumentali e di grande austerità, con una semplificazione geometrica delle forme, colori freddi, segno grafico e intonazione patetica dei sentimenti.

All’inizio del secolo le sue opere dimostrano una solida prospettiva, e quindi si concentrano su temi più devoti, come il doloroso Cristo del Museo Thyssen-Bornemisza. Favorito dal maresciallo Gian Giacomo Trivulzio, governatore di Milano, raggiunse l’apice della fama nel 1508, quando fu chiamato da Giulio II per decorare le Sale Vaticane, anche se le sue opere furono presto distrutte per lasciare spazio a Raffaello.

A Roma sviluppò un gusto per scene incorniciate da architetture, come si vede in opere successive al suo ritorno come la Crocifissione di Brera o la Madonna delle Torri nella Pinacoteca Ambrosiana. Grande prestigio fu poi raccolto dalla creazione dei cartoni per il ciclo di arazzi con i Mesi, commissionato da Trivulzio e eseguito tra il 1504 e il 1509 dalla manifattura di Vigevano, primo esempio del ciclo di arazzi prodotti in Italia senza l’uso di fiamminghi lavoratori. All’inizio degli anni venti il ​​suo stile subì un ulteriore sviluppo dal contatto con Gaudenzio Ferrari, che lo portò ad accentuare il realismo, visibile nel paesaggio della Fuga in Egitto del santuario della Madonna del Sasso a Orselina, vicino a Locarno ( 1520-1522).

Gaudenzio Ferrari
Gaudenzio Ferrari, probabile compagno del Bramantino a Roma, fu l’altro grande protagonista della scena lombarda del primo Cinquecento. La sua formazione si basava sull’esempio dei maestri lombardi della fine del XV secolo (Foppa, Zenale, Bramante e soprattutto Leonardo), ma anche sugli stili del Perugino, di Raffaello (dal periodo della Stanza della Segnatura), e di Dürer, conosciuto attraverso le incisioni.

Tutti questi stimoli si combinano in opere grandiose come gli affreschi delle Storie di Cristo nella grande parete trasversale della chiesa di Santa Maria delle Grazie a Varallo (1513), il cui successo gli garantì l’impegno, come pittore e scultore , nel nascente complesso della Santa Montagna, dove lavorò duramente dal 1517 al 1528 circa.

Successivamente, negli anni Trenta, lavorò a Vercelli (Storie della Vergine e Storie della Maddalena nella chiesa di San Cristoforo) ea Saronno (Gloria di musicisti angeli nella cupola del santuario della Beata Vergine dei Miracoli). La sua carriera si è conclusa a Milano.

Bergamo e Brescia
Nei primi decenni del XVI secolo le città di confine di Bergamo e Brescia beneficiarono di un notevole sviluppo artistico, dapprima sotto l’impulso di pittori stranieri, soprattutto veneziani, poi di maestri locali di primaria importanza. L’ultimo avamposto dei territori della Serenissima è il primo, territorio sottoposto a fasi alterne a Milano o Venezia, il secondo, le due città sono unite, oltre che dalla vicinanza, da alcune caratteristiche nel campo artistico.

Il Rinascimento in queste aree raggiunse la metà del secondo decennio del XVI secolo, inizialmente con la permanenza di artisti come Vincenzo Foppa, che si allontanarono volontariamente dal leonardismo dominante di Milano. Un salto di qualità ha avuto luogo a Bergamo, quando Gaudenzio Ferrari e soprattutto Lorenzo Lotto (dal 1513) si sono stabiliti lì. Quest’ultimo, supportato da una clientela colta e facoltosa, riuscì a sviluppare una propria dimensione libera dal linguaggio dominante nei centri più importanti della penisola, caratterizzandone le opere con una tavolozza molto brillante, a volte senza scrupoli di libertà compositiva e una tesa caratterizzazione psicologica dei personaggi. Oltre alle grandi pale come quella di Martinengo o quella di San Bernardino e oltre ai cicli di affreschi ricchi di novità iconografiche,

A Brescia, l’arrivo del Polittico Averoldi di Tiziano nel 1522 diede la “la” ad un gruppo di pittori locali, quasi contemporanei, che fondendo le radici culturali lombarde e venete svilupparono risultati molto originali nel panorama artistico della penisola: Romanino, Moretto e il Savoldo.

Seconda metà del XVI secolo
La seconda metà del secolo è dominata dalla figura di Carlo Borromeo e dalla Controriforma. Nel 1564 l’arcivescovo chiamò le “Istruzioni” sull’architettura e l’arte e trovò il miglior interprete delle sue linee guida in Pellegrino Tibaldi.

Una figura di spicco del tardo Cinquecento longobardo è Giovan Paolo Lomazzo, primo pittore e poi, dopo la cecità, trattato. Il suo lavoro, esaltando la tradizione locale, appare come una risposta al “tosco-centrismo” di Vasari, e ha richiamato l’attenzione su espressioni di arte e soggetti insoliti.

Share
Tags: Renaissance