Camera del Gran Consiglio, Palazzo Ducale

Camera del Gran Consiglio (italiano: Sala del Maggior Consiglio). Ristrutturata nel XIV secolo, la Camera fu decorata con un affresco del Guariento e in seguito con opere dei più famosi artisti dell’epoca, tra cui Gentile da Fabriano, Pisanello, Alvise Vivarini, Carpaccio, Bellini, Pordenone e Tiziano. Con una lunghezza di 53 metri e una larghezza di 25 metri, questa non è solo la camera più grande e maestosa del Palazzo Ducale, ma anche una delle sale più grandi d’Europa. Qui si tenevano le riunioni del Grande Consiglio, il più importante organo politico della Repubblica. Un’istituzione molto antica, questo Consiglio era composto da tutti i membri maschili delle famiglie patrizie veneziane di età superiore a 25 anni, indipendentemente dal loro status individuale, dai loro meriti o ricchezza. Questo era il motivo per cui nonostante le restrizioni dei suoi poteri introdotte dal Senato nel corso dei secoli, il Gran Consiglio continuò a essere considerato un baluardo dell’uguaglianza repubblicana. Il Consiglio aveva il diritto di chiedere conto a tutte le altre autorità e organi dello Stato quando sembrava che i loro poteri si stessero esagerando e dovessero essere ridotti. I 1.200 – 2.000 nobili che sedevano in Consiglio si consideravano sempre guardiani delle leggi che erano alla base di tutte le altre autorità all’interno dello Stato. Questa sala ospitò anche le prime fasi dell’elezione di un nuovo Doge, che nelle fasi successive sarebbe passato nella Sala dello Scrutinio. Queste procedure di voto sono state estremamente lunghe e complesse al fine di vanificare qualsiasi tentativo di imbroglio. Ogni domenica, quando suonavano le campane di San Marco, i membri del Consiglio si riunivano nella sala con il Doge che presiede al centro del podio ei suoi consiglieri che occupavano una doppia fila di sedili che percorrevano l’intera lunghezza della stanza. Poco dopo il completamento dei lavori sulla nuova sala, l’incendio del 1577 danneggiò non solo questa Camera, ma anche la Sala dello Scrutinio. Il danno strutturale fu presto ripristinato, rispettando la disposizione originale, e tutti i lavori furono terminati in pochi anni, terminando nel 1579-80. La decorazione della struttura restaurata comprendeva artisti come Veronese, Jacopo e Domenico Tintoretto, e Palma il Giovane. Le pareti erano decorate con episodi della storia veneziana, con particolare riferimento ai rapporti della città con il papato e il Sacro Romano Impero, mentre il soffitto era decorato con le Virtù e singoli esempi di eroismo veneziano, e un pannello centrale contenente una glorificazione allegorica della Repubblica. Di fronte all’altro in gruppi di sei, i dodici dipinti murali raffigurano atti di valore o episodi di guerra che si sono verificati durante la storia della città. Immediatamente sotto il soffitto corre un fregio con i ritratti dei primi 76 dogi (i ritratti degli altri si trovano nella Sala dello Scrutinio); commissionato da Jacopo Tintoretto, la maggior parte di questi dipinti sono di fatto opera di suo figlio, Domenico. Ogni Doge tiene una pergamena con un riferimento ai suoi più importanti successi, mentre il Doge Marin Faliero, che tentò un colpo di stato nel 1355, è rappresentato semplicemente da un panno nero (un traditore della Repubblica, non fu solo condannato a morte ma anche a damnatio memoriae, il totale sradicamento della sua memoria e del suo nome). Uno dei lunghi muri, dietro il trono del Doge,

Camera del Gran Consiglio è la sala principale del Palazzo, situata all’angolo tra il molo e la Piazzetta, riceve luce attraverso sette grandi finestre ogivali. Un tempo era la sede della più alta magistratura veneziana, il Maggior Consiglio, che aveva il compito di legiferare e eleggere tutti i principali uffici dello Stato. Nata come assemblea popolare, in seguito acquisì personaggi fortemente nobili, la cui apoteosi avvenne nel 1297 con la Serrata del Maggior Consiglio, che ne escludeva tutti i cittadini non appartenenti a famiglie aristocratiche iscritte al cosiddetto Libro d’oro o di età inferiore ai venti anni. -cinque anni. L’interno della stanza è completamente privo di colonne di supporto e la resistenza strutturale del soffitto è possibile grazie ad un sistema intelligente di travi e tralicci potenti. Le sue dimensioni enormi, 53. 50 metri di lunghezza per 25 di larghezza e 15.40 di altezza, che ne hanno fatto una delle sale più grandi d’Europa, sono dovuti al numero di partecipanti al Maggior Consiglio, arrivato a comprendere tra 1200 e 2000 membri, che si sono stabiliti in una serie di lunghi banchi a doppia seduta disposti perpendicolarmente alla parete di fondo, dove era posto il podio destinato al Doge e alla Signoria. La sede è stata anche utilizzata per altre funzioni, come i ricevimenti solenni per celebrare la visita di autorità politiche straniere, tra cui Henry III di Francia. Dopo la caduta della Serenissima, il Comune democratico cominciò a radunarsi in questa sala, che presto dovette lasciare il primo posto alla Biblioteca Nazionale Marciana e poi, una volta espulsi gli austriaci, all’Assemblea del governo provvisorio. che ne fece una delle sale più grandi d’Europa, sono dovute al numero di partecipanti al Maggior Consiglio, arrivato a comprendere tra 1200 e 2000 membri, che si stabilirono su una serie di lunghi banchi a doppia seduta disposti perpendicolarmente alla parete di fondo, dove è stato posto il podio destinato al Doge e alla Signoria. La sede è stata anche utilizzata per altre funzioni, come i ricevimenti solenni per celebrare la visita di autorità politiche straniere, tra cui Henry III di Francia. Dopo la caduta della Serenissima, il Comune democratico cominciò a radunarsi in questa sala, che presto dovette lasciare il primo posto alla Biblioteca Nazionale Marciana e poi, una volta espulsi gli austriaci, all’Assemblea del governo provvisorio. che ne fece una delle sale più grandi d’Europa, sono dovute al numero di partecipanti al Maggior Consiglio, arrivato a comprendere tra 1200 e 2000 membri, che si stabilirono su una serie di lunghi banchi a doppia seduta disposti perpendicolarmente alla parete di fondo, dove è stato posto il podio destinato al Doge e alla Signoria. La sede è stata anche utilizzata per altre funzioni, come i ricevimenti solenni per celebrare la visita di autorità politiche straniere, tra cui Henry III di Francia. Dopo la caduta della Serenissima, il Comune democratico cominciò a radunarsi in questa sala, che presto dovette lasciare il primo posto alla Biblioteca Nazionale Marciana e poi, una volta espulsi gli austriaci, all’Assemblea del governo provvisorio. Arrivò a comprendere tra 1200 e 2000 membri, che si insediarono su una serie di lunghi banchi a doppia seduta disposti perpendicolarmente alla parete di fondo, dove fu posto il podio destinato al Doge e alla Signoria. La sede è stata anche utilizzata per altre funzioni, come i ricevimenti solenni per celebrare la visita di autorità politiche straniere, tra cui Henry III di Francia. Dopo la caduta della Serenissima, il Comune democratico cominciò a radunarsi in questa sala, che presto dovette lasciare il primo posto alla Biblioteca Nazionale Marciana e poi, una volta espulsi gli austriaci, all’Assemblea del governo provvisorio. Arrivò a comprendere tra 1200 e 2000 membri, che si insediarono su una serie di lunghi banchi a doppia seduta disposti perpendicolarmente alla parete di fondo, dove fu posto il podio destinato al Doge e alla Signoria. La sede è stata anche utilizzata per altre funzioni, come i ricevimenti solenni per celebrare la visita di autorità politiche straniere, tra cui Henry III di Francia. Dopo la caduta della Serenissima, il Comune democratico cominciò a radunarsi in questa sala, che presto dovette lasciare il primo posto alla Biblioteca Nazionale Marciana e poi, una volta espulsi gli austriaci, all’Assemblea del governo provvisorio. come ricevimenti solenni per celebrare la visita di autorità politiche straniere, tra cui Henry III di Francia. Dopo la caduta della Serenissima, il Comune democratico cominciò a radunarsi in questa sala, che presto dovette lasciare il primo posto alla Biblioteca Nazionale Marciana e poi, una volta espulsi gli austriaci, all’Assemblea del governo provvisorio. come ricevimenti solenni per celebrare la visita di autorità politiche straniere, tra cui Henry III di Francia. Dopo la caduta della Serenissima, il Comune democratico cominciò a radunarsi in questa sala, che presto dovette lasciare il primo posto alla Biblioteca Nazionale Marciana e poi, una volta espulsi gli austriaci, all’Assemblea del governo provvisorio.

Rinnovati una prima volta nel XIV secolo, i nuovi dipinti furono affidati al Guariento, che realizzò gli affreschi sulla parete di fondo, di cui alcuni frammenti sono ancora conservati nella Sala del Guariento, a Gentile da Fabriano, Pisanello, Gentile Bellini, a Alvise Vivarini, a Vittore Carpaccio, ad Antonio Veneziano, a Jacobello del Fiore ea Michele Giambono. Distrutto da un incendio nel 1577, la sala fu nuovamente decorata tra il 1578 e il 1585 da Paolo Veronese, Tintoretto, Jacopo Palma il Giovane, Francesco Bassano, Andrea Vicentino e Gerolamo Gambarato. I disegni preparatori furono realizzati dal monaco fiorentino Gerolamo de Bardi e dallo storico veneziano Francesco Sansovino, figlio del più famoso Jacopo, che decise di dividere in quattro gruppi i soggetti da realizzare sulle pareti. Il risultato è stato grandioso ed estremamente ricco,

Tintoretto fu affidato in particolare alla decorazione che copre l’intera parete di fondo, dietro il trono: il Paradiso, che è la tela più grande del mondo, con i suoi ventidue metri di lunghezza per sette metri e mezzo. Fu dipinto tra il 1588 e il 1592 in collaborazione con il figlio Domenico, diviso in più parti e poi assemblato, in sostituzione del precedente affresco del Guariento, che rappresenta lo stesso tema. Per la sua realizzazione, il Senato chiese ai pittori più famosi dell’epoca, Tintoretto, Veronese, Palma il giovane e Bassano. Tre schizzi per il lavoro, realizzati più tardi da Tintoretto, sono ora conservati al Louvre, al Museo di Lille e all’Hermitage di San Pietroburgo. Un ulteriore bozzetto, realizzato da Jacopo Tintoretto, attribuito nel 1974 dopo un intervento di restauro, è attualmente esposta a Venezia presso Palazzo Contarini del Bovolo. In questo lavoro l’artista immagina un mondo celeste che ruota intorno alla gloria di Cristo e della Vergine.

L’enorme soffitto racchiude, tra grandi cornici in legno dorato, 35 dipinti su tela, separati da una complessa cornice composta da cartelle, volute e festoni. Questa struttura, concepita da Cristoforo Sorte, che la divideva in trentacinque dipartimenti di diversa importanza, si sviluppò in tre ordini. Delle trentacinque opere, venti sono monocromi e rappresentano fatti storici dipinti da artisti minori, mentre i quindici maggiori dipinti riguardano fatti storici e allegorici di cui la Serenissima è protagonista, da Tintoretto, Veronese, Palma il Giovane e Bassano. Tra questi ricordiamo il dipinto che Pietro Mocenigo guida l’assalto alla città di Smirne. Il dipinto più famoso, il Trionfo di Venezia, coronato da Vittoria, il grande ovale al centro del soffitto verso il Paradiso è del Veronese. Questo è l’ultimo grande dipinto allegorico dei Veronesi, che scelse di raffigurare una personificazione di Venezia circondata dalle dee dell’Olimpo e incoronata da una Vittoria. L’anomala posizione della Vittoria, che sembra quasi immortalata nell’atto di fare una capriola, potrebbe voler alludere alle sconfitte di Venezia recentemente approvate nella lotta contro gli Ottomani. Nell’ovato centrale è raffigurata l’Apoteosi di Nicolò Da Ponte, il doge sotto il cui governo fu realizzato l’imponente apparato decorativo. potrebbe voler alludere alle sconfitte di Venezia recentemente approvate nella lotta contro gli ottomani. Nell’ovato centrale è raffigurata l’Apoteosi di Nicolò Da Ponte, il doge sotto il cui governo fu realizzato l’imponente apparato decorativo. potrebbe voler alludere alle sconfitte di Venezia recentemente approvate nella lotta contro gli ottomani. Nell’ovato centrale è raffigurata l’Apoteosi di Nicolò Da Ponte, il doge sotto il cui governo fu realizzato l’imponente apparato decorativo.

Subito sotto il soffitto c’è un fregio con i ritratti dei primi settantasei dogi della storia veneziana (i ritratti dei restanti sono collocati nella sala di Scrutinio). Si tratta di effigi immaginari, come quelli che prima del 1577 furono distrutti nell’incendio, commissionati a Jacopo Tintoretto ma eseguiti in gran parte dal figlio Domenico. Cronologicamente, questo lavoro include tutti i dogi inclusi tra il dogato di Obelerio Antenoreo e il governo di Francesco Venier. Nel cartiglio che ogni doge tiene tra le mani vengono riportate le opere più importanti della sua dogata. Il doge Marin Faliero, che tentò un colpo di stato nel 1355, è rappresentato da un panno nero: condannato in vita alla decapitazione e alla damnatio memoriae, o alla cancellazione totale del suo nome e della sua immagine, come traditore dell’istituzione repubblicana .

Lungo le restanti mura ci sono un totale di ventuno dipinti, per lo più realizzati nel 1587, che narrano episodi ed eventi appartenenti alla storia della Serenissima, celebrando la sua origine. Questi lavori, eseguiti tra gli altri da Benedetto e Carletto Caliari, allievi del Veronese, Leandro Bassano, Jacopo Tintoretto, Andrea Vicentino, Palma il Giovane, Giulio Del Moro, Antonio Vassilacchi, Giovanni Le Clerc, possono essere suddivisi in tre cicli, che descrivono ciascuno un diverso momento storico:

la partecipazione della Serenissima, guidata da Sebastiano Ziani, alle lotte per il potere tra la Chiesa e l’Impero, guidate rispettivamente da papa Alessandro III e Federico Barbarossa (1176 – 1177). Questo gruppo è composto da undici dipinti e si trova sul muro di fronte alle finestre;
la quarta crociata (1201 – 1204), la cui rappresentazione è sulla parete opposta;
la vittoria della Serenissima sulla Repubblica di Genova (1377 – 1378). Tra queste opere ricordiamo Il Doge Andrea Contarini torna vittorioso a Venezia dopo aver vinto l’esercito genovese a Chioggia, una delle ultime opere di Paolo Veronese.

Storia
Completamente ricostruito al primo piano dell’ala sud, nel 1340 fu realizzata una serie di altri lavori da realizzare nell’edificio, che non consisteva in un vero edificio ma piuttosto in un ampliamento. Queste opere consistevano nella costruzione o riorganizzazione del secondo piano, completando la Sala del Gran Consiglio (ricordate che, come accennato in precedenza, questo organo continuò ad incontrarsi nella Sala del Senato fino al 1423), in ristrutturazione per i nuovi scopi a cui alcune stanze erano adiacente a quello che sarebbe stato del Maggior Consiglio, erigendo una scala comunicante con la Sala del Maggior Consiglio: il costo stimato per la loro costruzione era di 950 lire per opere di architettura e di 200 lire per le decorazioni,

Dopo quindici mesi dall’apertura di questo sito, fu decretata la necessità di altre opere, poiché la stanza doveva diventare più ampia del previsto: il fatto che il 10 marzo 1342 i piani al di sotto della Sala del Maggior Consiglio erano già stati completati testimonia che il i lavori di ricostruzione non erano ancora iniziati nel dicembre 1340 (anno del citato decreto), ma già nel 1309, come testimoniato dal Sansovino. Completato alla fine del 1344 la parte della stanza di fronte alla laguna, dieci esperti furono chiamati con decreto del 30 dicembre 1344 per verificare se le pareti prospicienti il ​​cortile fossero idonee a sostenere il peso del muro che circondava la stanza da quel lato :

“Avendo completato la parte verso il canale del cantiere nella nuova sala del Maggior Consiglio, si è ritenuto necessario esaminare se il muro sul lato della corte palatina potesse essere fatto in sicurezza. Dopo l’esame sul muro sottostante e sulle travi di esperti, hanno dato risposte diverse, in modo da poter procedere nel modo migliore, comprendendo ciò che è stato fatto meglio ».

In effetti, il muro del piano terra, che circondava le prigioni, conteneva solo il portico del primo piano e non si sapeva se avrebbe sopportato ulteriori tensioni. Questo elemento contribuisce anche a pensare che la fabbrica del primo e del secondo piano abbia avuto luogo in momenti diversi. Avendo ricevuto il parere positivo degli esperti, abbiamo proceduto alla costruzione della scala e della sua porta. Il lavoro fu interrotto a causa della pestilenza che scoppiò nel 1348 e riprese il 24 febbraio 1350.

Sappiamo che Filippo Calendar tajapiera e Pietro Basejo magister prothus erano impiegati come direttori del lavoro, così come un gran numero di operai non specializzati, scultori ed esperti scalpellini. Il direttore dei lavori era inizialmente il Basejo, alla cui morte è subentrato il Calendario. L’attività del primo è suggerita dal fatto che intorno al 1350 il Calendario fu incaricato di fare una serie di viaggi per conto della Serenissima, e sempre in quel momento impegnato in alcune campagne militari: questo testimonia che non aveva alcun impegno fissato al sito di costruzione. Il Calendario del 1355 fu condannato a morte impiccandosi come tessitore della cospirazione promossa dal dogeMarin Falier. Si dice che la sua sentenza sia stata eseguita insieme a quella di suo genero e usando le famose colonne rosse del balcone del palazzo, la cui posizione è stata tuttavia modificata nel tempo. Dopo aver visto la cospirazione una vasta partecipazione tra gli scalpellini di Palazzo Ducale, l’opera rimase sospesa. Il cantiere rimase inattivo per vari motivi a causa della guerra e di una seconda pestilenza. Nel 1362 il palazzo era in rovina. A causa del desiderio di Lorenzo Celsi di concludere il lavoro, si potrebbe dire che si è concluso nel 1365. Tuttavia, il Celsi, odiato per il suo comportamento arrogante, morì in un modo misterioso e si ipotizzò che fosse stato avvelenato. Dopo la sua morte, fu decretato che “il doge non poteva in futuro impiegare denaro pubblico nelle spese delle fabbriche nell’edificio, senza il consenso dei sei consiglieri, tre quarti della Quarantia e due terzi del Maggior Consiglio”. Si può dire che Palazzo Ducale, dopo tutti questi lavori,

Salito al trono Marco Corner, ordinò che la Sala del Maggior Consiglio fosse decorata con dipinti: fu contattato tra gli altri artisti Guariento di Arpo, che fu incaricato di decorare la parete orientale della stanza con il tema del Paradiso, e altro coronamento preciso della Vergine in mezzo alla gloria di questo. Successivamente lo stesso artista si dedicò alla decorazione delle altre pareti, illustrando l’arrivo a Venezia di Alessandro III e la Guerra di Spoleto, come ricordano alcune fonti. Anche il Pisanello lavorò in questa costruzione, secondo le ricostruzioni di Scipione Maffei. Sansovino affermava che nel dipinto, raffigurante l’imperatore Ottone, diretto da suo padre dopo essere stato liberato dalla Serenissima, c’era un ritratto di Andrea Vendramin, detto da molti il ​​più bel giovane veneziano del suo tempo: asserendo che il grande storico commette un errore in quel momento in cui il Vendramin non era nemmeno nato; un altro errore del Sansovino era di affermare che la stanza era già stata decorata in precedenza.

Tra gli altri, si può ipotizzare che anche Niccolò Semitecolo e Lorenzo Veneziano prendessero parte all’attività decorativa. Durante questo lavoro decorativo il fregio raffigurante i volti dei dogi fu iniziato per la prima volta, partendo da Obelerio, poi riprodotto dopo che fu distrutto dall’incendio del 1577. Il Sanudo afferma che le iscrizioni che illustrano i dipinti furono prodotte da Francesco Petrarca , che non è impossibile. Successivamente, tuttavia, dopo un periodo di continue guerre (1368 – 1381), Venezia si trovò in difficili condizioni politiche ed economiche, e quindi i lavori di decorazione (che ormai stavano giungendo al termine) furono interrotti.

Dopo che fu deciso di ridipingere la cappella palatina le cui decorazioni erano in rovina, fu Michele Sten a favorire il completamento dell’opera decorativa del salone. Il soffitto era a cassettoni, decorato con stelle, che forse alludeva alla cresta del doge. Sanudo afferma che questo lavoro rimase incompiuto per molto tempo e fu completato solo nel 1406.

In quegli anni un grande balcone fu costruito nella parte centrale della facciata di fronte al mare, nel 1404 secondo quanto riportato su di esso, nell’anno successivo secondo il Sansovino. Qualunque delle due date sia considerata vera, tuttavia, è errato sostenere Thomas Temanza nell’attribuire al Calendario la decorazione di quest’opera, poiché lo scultore era già morto da mezzo secolo (nel 1355). Un altro errore commise Pietro Selvatico, che ha dato tutto il fronte meridionale al 1424, rendendolo contemporaneo a quello sollevato sotto Francesco Foscari.

Questo errore era dovuto ad un’interpretazione errata di quanto era stato scritto sul Chronicle Zancarola, ed è stato segnalato da Dall’Acqua, che ne ha capito le cause e lo ha motivato dicendo che il cronista scrive ciò che aveva riferito parlando al plurale delle facciate del lato occidentale riferendosi a quell’esterno e quell’interno. Va anche notato che la data riportata sulla finestra (1404) è indicativa del fatto che questa facciata era già stata costruita al momento e che ci sono differenze sostanziali nello stile dei due fronti.

Il Consiglio maggiore della città
Il Maggior Consiglio, già Consilium Sapientium (in latino “Consiglio dei Saggi”), era il più grande organo politico della Repubblica di Venezia e si riuniva in una grande sala speciale del Palazzo Ducale.

Era dovuto alla nomina del Doge (la procedura elettorale era molto complicata e includeva circa dieci elezioni e sorteggi) e tutti gli altri consigli e magistrati, con poteri e sovrani illimitati su qualsiasi argomento. La partecipazione al Gran Consiglio era un diritto ereditario ed esclusivo delle famiglie nobili iscritte nel Libro d’oro della nobiltà veneziana, che costituiva Stato.

Origine
Un primo Sapientium del Consilium probabilmente esistette per qualche tempo come consiglio personale del Doge. Tuttavia, a partire dal 1143 fu creato un nuovo Consilium come rappresentazione permanente della sovrana Concessione popolare, sostenendo il duca nel governo. L’atto formalizzò la struttura nella forma municipale dello Stato, con la nascita del Comune di Veneciarum (“Comune di Venezia”). Tuttavia il Codice denominato “dei Frari” riporta l’elenco completo dei pubblici ministeri di San Marco, eletto dal Consiglio maggiore dall’812, anno di elezione del primo procuratore: Piero Tradonico (Gradenigo) eletto il “XV Lugio” con “balotte” ( voti patrizi) 400 per si e 19 per il no. Questo avrebbe dato origine alla nascita del Comune di Veneciarum quasi 200 anni prima dell’era delle comuni medievali italiane.

Nemmeno trent’anni dopo, nel 1172 il Consilium fu trasformato in un’assemblea sovrana con il nome di Maggior Consiglio, inizialmente composto da 35 e successivamente da 100 consiglieri, a cui furono aggiunti i membri del nuovo organismo Quarantia, a partire dal 1178. Da 1207 i consiglieri, quindi, non furono più nominati direttamente dall’assemblea popolare, ma da tre elettori scelti da quest’ultimo, poi aumentati a sette nel 1230.

La Serrata del Maggior Consiglio
Proposte per la trasformazione della partecipazione al concilio in diritto ereditario o cooptazione dal consiglio stesso erano già state presentate e rigettate ripetutamente sotto il dogadi di Giovanni Dandolo, nel 1286, e Pietro Gradenigo, nel 1296.

Ma ora la volontà delle famiglie aristocratiche e dello stesso doge di Gradenigo di assicurare con maggiore stabilità e continuità la partecipazione al governo della Repubblica, ormai troppo forte, portò il 28 febbraio 1297 alla Serrata del Maggior Consiglio: questa disposizione si aprì per legge il Maggior Consiglio a tutti coloro che ne avevano già fatto parte nei quattro anni precedenti e, ogni anno, quaranta tra i loro discendenti. La riforma ha anche aumentato senza limiti i membri del Consiglio.

L’entrata di nuovi membri era limitata dalle leggi del 1307 e del 1316; il 19 luglio 1315 fu ordinata la creazione del Libro d’oro in cui registrare, all’età di diciotto anni, i nomi di coloro che avrebbero avuto il diritto di accedere al Gran Consiglio.

Nel 1319 ci fu una stretta finale. Abbiamo proceduto a un attento esame della validità dei titoli dei membri nel Libro d’oro, dopo di che abbiamo proceduto ad abolire la possibilità di eleggere nuovi membri del Consiglio, stabilendo l’accesso automatico al Consiglio Maggiore per tutti i patrizi maschii all’età di venticinque anni, ad eccezione di trenta di essi, estratti ogni anno nel giorno di Santa Barbara, per accedervi già a vent’anni: il Maggior Consiglio divenne definitivamente un’assemblea chiusa ed ereditaria.

Nel 1423, il Maggior Consiglio abolì anche formalmente l’ormai popolare cattura popolare.

Dal XVI secolo alla caduta della Repubblica
Nel 1498 gli ecclesiastici furono esclusi dal Maggior Consiglio e nel 1506 e 1526 furono istituiti i registri delle nascite e dei matrimoni per facilitare l’accertamento del diritto di accesso al corpo della nobiltà. Nel 1527 i membri del Maggior Consiglio, selezionati per legge tra tutti gli uomini di oltre vent’anni delle famiglie più illustri della città, raggiungono il numero massimo: non meno di 2746 membri.

L’effetto delle disposizioni della Serrata aveva drammaticamente aumentato il numero dei membri, in modo da contare nel sedicesimo secolo fino al 2095 i patrizi con diritto di sedere nel Palazzo Ducale: le ovvie difficoltà di gestione di un tale organo e il la mancanza di selezione sulla reale capacità di coloro che entravano di diritto, ha portato a delegare le funzioni più immediate del governo a organi più piccoli, più snelli e selezionati, specialmente al Senato, senza pregiudizio della sovranità del Consiglio maggiore e del suo diritto di ultimo parola su qualsiasi argomento.

In alcuni rari casi, di fronte a gravi pericoli o difficoltà economiche, l’accesso al Gran Consiglio fu aperto a nuove famiglie, di fronte a generose donazioni allo Stato: fu il caso della guerra di Chioggia e della guerra di Candia, quando , per sostenere le enormi spese della guerra, furono ammesse le famiglie che più economicamente sostenevano lo sforzo bellico.

Un’altra peculiarità fu la creazione nel tempo di una divisione all’interno della nobiltà tra la ricca nobiltà, cioè delle famiglie che erano riuscite nel tempo a mantenersi intatte o ad accrescere le loro capacità economiche, ei poveri (i cosiddetti Barnabotti), quanti avevano progressivamente o improvvisamente esaurito le loro ricchezze, ma continuavano a mantenere il diritto ereditario di sedere nel Maggior Consiglio. Questo ha portato spesso le due parti della nobiltà a scontrarsi in consiglio e ha aperto la possibilità ai fenomeni di acquistare e vendere i voti.

Fu il Consiglio dei Sindaci, il 12 maggio 1797, a decretare la fine della Repubblica di Venezia, scegliendo – di fronte all’invasione napoleonica – di accettare l’abdicazione dell’ultimo doge Lodovico Manin e di sciogliere l’assemblea aristocratica: nonostante la mancanza del numero legale richiesto di 600 membri, il consiglio votò a larghissima maggioranza (512 voti favorevoli, 30 contrari, 5 astenuti) la fine della Serenissima e il trasferimento di poteri a un governo provvisorio indefinito.

Curiosità
In occasione dei voti più importanti, i membri del Maggior Consiglio si sono trovati nella zona antistante il Palazzo Ducale, chiamato Broglio (dall’antico brolo, frutteto, sul quale era sorta Piazza San Marco) dove si trovavano i cosiddetti barnabotti (la nobiltà caduta e impoverita) ha contratto i loro voti con i candidati. Questa pratica ha dato origine al termine frode per indicare le frodi elettorali.