Liberty a Napoli

Con libertà a Napoli si intende una declinazione architettonica della corrente floreale sviluppata nella città di Napoli nei primi due decenni del Novecento, principalmente sul Vomero, sul Posillipo e sul Chiaia.

Nata come decadenza dell’eclettismo, molti degli edifici di questo periodo riflettono quindi le tendenze legate all’architettura eclettica e monumentale della seconda metà del XIX secolo, ad esempio alcuni palazzi del distretto di Amedeo. Le architetture che assumono le caratteristiche di una sorta di castelli urbani sono disegnate da Francesco De Simone, mentre la più modesta libertà eclettica di Emmanuele Rocco si esprime in alcuni edifici residenziali in periferia. Al Vomero invece, il designer principale è Adolfo Avena, che adotta una libertà languagevery rurale. Mentre forme più mature di stile furono raggiunte tra il 1910 e lo scoppio della prima guerra mondiale con l’opera napoletana di Giulio Ulisse Arata e Gioacchino Luigi Mellucci e gli ingegneri Gregorio Botta e Stanislao Sorrentino.

introduzione

Panoramica storica degli eventi urbani e architettonici a Napoli

Urbanistica napoletana tra Otto e Novecento
Gli anni immediatamente successivi all’annessione al Regno d’Italia videro un fervido aumento della classe imprenditoriale inclusa nell’edilizia. La città era la più popolosa del paese e doveva essere sostituita dall’eccessiva densità di popolazione concentrata nelle aree storiche. Nel 1860 l’asse di via Duomo fu progettato dagli ingegneri Luigi Cangiano e Antonio Francesconi. Le opere già pianificate negli ultimi mesi di regno di Francesco II delle Due Sicilie furono realizzate dopo il settembre dello stesso anno, quando Giuseppe Garibald assunse il titolo di dittatore provvisorio e emanò il decreto esecutivo. L’episodio di via Duomo è stato il primo di una serie di eventi legati al rinnovamento della città post-unificata.

Uno dei temi caldi di quel periodo fu l’estensione del lungomare di Napoli. Durante il diciannovesimo secolo sono stati presentati numerosi progetti, ma nessuno di essi è stato seguito. Nel 1868 una commissione composta da Rodolfo d’Afflitto, Ettore Capecelatro e l’architetto Federico Travaglini fu organizzata con l’obiettivo di esaminare le varie richieste di concessione in molte aree della città e ripropose il tema della riorganizzazione del lungomare e negli anni settanta del nel secolo il tender fu assegnato alla ditta Giletta-Du Mesnil con l’impegno di realizzare il bonifico in mare tra la Torretta a Mergellina e il Castel dell’Ovo. Dopo varie trattative tra il Du Mesnil e il Comune di Napoli fu concordato di concordare i tempi e le opere, affidando il progetto all’ingegnere napoletano Gaetano Bruno. Finirono molto lentamente a causa della mancanza di liquidità della società contraente e finirono intorno al 1885. Negli stessi anni in Consiglio Comunale si tornò a discutere sull’eventualità della bonifica del distretto di Santa Lucia fino al progetto per il nuovo quartiere fu approvato nel 1886, in seguito all’emanazione della legge speciale della riabilitazione dell’anno precedente.

Spostandoci ulteriormente, lungo l’attuale distretto di Amedeo, c’era un vasto programma urbano progettato per ridefinire le aree occidentali della città storica. Per quanto riguarda il lungomare, anche all’interno di Chiaia c’erano diversi progetti promossi dal regno borbonico e riconfermati da Garibaldi nei primi giorni dell’annessione. Il progetto per il quartiere occidentale fu stilato nel 1859 dalla stessa squadra che progettò il Corso Maria Teresa [N 1]. Forniva un lungo asse rettilineo che collegava via Chiaia con gli ultimi anelli del percorso. Il progetto ha avviato una serie di lunghe discussioni tra professionisti, che hanno presentato ulteriori progetti e proposte economiche al problema sollevato. Il dibattito terminò nel 1871 quando l’amministrazione comunale affidò direttamente il progetto all’architetto Luigi Scoppa e Federico Rendina sulla base di un progetto redatto nel 1868. In questa fase dell’opera fu costruito il lotto tra l’attuale Piazza Amedeo e Via Andrea d ‘Isernia. Nel 1877 fu eseguito il secondo lotto corrispondente all’attuale Via Vittoria Colonna. Le basse ali di Palazzo Carafa di Roccella e i giardini del Palazzo d’Avalos del Vasto furono sacrificati per la sua costruzione e fu risparmiata la scala a tenaglia della Chiesa di Santa Teresa in Chiaia. Un terzo lotto fu costruito a partire dal 1885 con le sovvenzioni speciali della legge per i servizi igienico-sanitari e riguarda il completamento dell’asse stradale dalla Rampe Brancaccio fino a via Chiaia con la distruzione di parte del giardino di Palazzo Cellamare. I lavori per completare i lavori trovano la conclusione dopo la fine della Grande Guerra.

Durante l’espansione della città in seguito all’epidemia di colera del 1884, fu progettato un distretto satellite per occupare le aree a valle di Castel Sant’Elmo e dietro la villa Floridiana. Il nuovo distretto collinare, il Vomero, è stato costruito con la concessione della gara d’appalto alla Banca Tiberina che si riferiva allo sconto e alla Sete Bank. Per favorire l’urbanizzazione dell’area, sia il Comune che l’ente appaltante si sono impegnati a realizzare l’ampliamento delle vecchie strade di collegamento e la creazione di nuove, nonché la costruzione di due skilift meccanizzati: la funicolare di Chiaia nel 1889 e il Montesanto funicolare nel 1891. Il progetto del nuovo quartiere iniziò nel 1886 ma presto fu sottoposto a revisione da parte della stessa Banca sotto la pressione del Comune per realizzare con primaria importanza la rete infrastrutturale dell’intero distretto del Vomero, rendendo l’espansione dell’Arenella essere costruito al secondo posto. dopo la Grande Guerra. Il 20 febbraio 1889, in seguito alle cause generate dall’enorme bolla speculativa assorbita dalle banche del Regno, la Banca Tiberina fu liquidata e incorporata nel Discount Counter che presto, insieme ad altri enti, fu riunificata nella neonata Banca d’Italia . I pochi edifici costruiti dalla Tiberina sono concentrati tra Via Scarlatti e Via Gian Lorenzo Bernini. Parecchi edifici furono messi in liquidazione così come i terreni non costruiti, i restanti furono acquistati dalla Banca d’Italia, dal Banco di Napoli e dal Comune di Napoli. Progressivamente i terreni venduti alle Banche furono acquisiti da piccoli imprenditori che crearono suddivisioni più piccole all’interno delle grandi insulae previste dal piano in modo da arrivare nel 1910 al Piano di Leasing della Banca d’Italia che contava la presenza di duecentoventidue lotti per essere venduti a privati ​​..

Il tardo eclettismo di Lamont Young
Lamont Young era una personalità isolata nella scena architettonica urbana. Di discendenza scozzese dal lato paterno e indiano sul lato materno, si è formato presso le scuole svizzere. Questi fattori personali hanno contribuito allo stile di Young. All’inizio del XX secolo è stato autore di diverse architetture significative che si sono distanziate dallo stile accademico dei professionisti locali. La sua matrice culturale lo portò ad una continua sperimentazione di diversi stili in grado di armonizzarsi tra loro, questo modo di vedere l’architettura aprì la strada alle soluzioni stilistiche del movimento floreale che in quel periodo nacque e si diffuse nella città.

Le sue opere più importanti del nuovo secolo sono il castello di Aselmeyer e Villa Ebe. Il primo realizzato durante i lavori del nuovo Parco Grifeo come sua residenza, insieme a una serie di edifici costruiti lungo le anse della stretta via principale del parco, costituiva un interessante itinerario tra le diverse forme dell’architettura eclettica di quegli anni come la villa neogotica Curcio, già costruita nel 1875 e abitata da Scarfoglio e sua moglie Serao. In questa villa sono stati spiegati i temi che erano cari al mondo romantico anglosassone dei preraffaelliti, Ruskin e Morris in lingua medievale. La villa fu concepita come un piccolo castello caratterizzato da un maschio centrale gravemente ferito.

Il Castello di Aselmeyer presenta canoni linguistici leggermente diversi, attinge dal repertorio più caro a Young, quello Tudoriano creando una sublime commistione tra il gusto inglese dei caratteristici archi ribassati, le cornici geometriche delle finestre fortemente accentuate e le vetrate con quelle di la tradizione italiana dal sapore neoromanico come la presenza di finestre rotonde e polifore sostenute da colonne sottili. L’ingresso è sottolineato da un atrio che richiama le forme del rivellino presente nei castelli inglesi. Per accentuare questa fusione di elementi di successo contribuisce anche l’uso sapiente della pietra locale e l’abile gioco di volumi completamente asimmetrici nella loro interezza e in grado di rendere la costruzione altamente moderna nel contesto locale.

Art Nouveau in città

Leonardo Paterna Baldizzi, Giovan Battista Comencini, Gioacchino Luigi Mellucci, Antonio Curri e Angelo Trevisan: il primo approccio allo stile floreale
La prima fase di Liberty ha visto protagonisti architetti e ingegneri legati ad investitori non locali e per ragioni accademiche trasferite a Napoli [N 2]. Antonio Curri, originario dell’area barese, fu formato sotto la guida di Enrico Alvino all’Accademia di Belle Arti. Già nel 1880 partecipò alla prima competizione per il monumento a Vittorio Emanuele, vincendo la medaglia d’argento. Nello stesso anno partecipa all’Esposizione di Belle Arti a Torino. Le esperienze delle competizioni hanno permesso a Curri di sviluppare nuovi approcci stilistici che erano poi sconosciuti alla maggior parte dei designer. Tra il 1887 e il 1890 fu tra i progettisti dell’eclettica Galleria Umberto I insieme a Emmanuele Rocco ed Ernesto Di Mauro. Il lavoro è ancorato alla lingua umbertina, in voga nell’ultimo quarto del XIX secolo, in particolare per gli edifici ad uso pubblico. Il primo approccio al cambiamento arrivò con il lavoro al Caffè Gambrinus nel 1890, mescolando timidamente motivi tardo-umbertini con quelli che vanno oltre il primo Art Nouveau. Molto probabilmente Curri era a conoscenza dei cambiamenti artistici avvenuti nel resto d’Europa e in particolare in Francia [N 3]. Sempre alla fine del secolo, commissionato dall’importante drammaturgo napoletano Eduardo Scarpetta, disegnò La Santarella secondo gli stili ancora permeati dalla lingua dei castelli medievali inaugurata da Young.

Giovan Battista Comencini e Angelo Trevisan arrivarono in città come tecnici di compagnie private del nord che investirono capitali nelle opere di urbanizzazione in seguito agli eventi della Riabilitazione. Comencini iniziò la sua attività napoletana nel 1885 nelle opere di trasformazione che interessarono l’area di Piazza Municipio. In occasione degli accordi progettò, tra il 1895 e il 1899, il Grand Hotel de Londres, adiacente al Teatro Mercadante, considerato come uno dei primi esempi italiani del nuovo stile per l’interior design. Oggi perso nel cambio di destinazione della struttura che ospita il TAR della Campania. Nel1902, per iniziativa di Alfredo Campione, divenne l’autore dell’interno del Grand Hotel Santa Lucia in via Partenope e oggi completamente stravolto dalla modernizzazione dell’albergo.

Sia De Londres che Santa Lucia avevano la caratteristica di avere una falsa corrispondenza linguistica tra interni ed esterni, al di fuori erano presentati come fabbriche simmetriche di fine Ottocento dominate dal gusto neo-rinascimentale. Un altro caposaldo dello stile floreale di Comencini è la sala del Circolo Artistico Politecnico costruito nel 1911. Angelo Trevisan arrivò a Napoli all’inizio del XX secolo e fu prontamente contattato da Giulio Huraut per la progettazione di un albergo nella nuova Piazza Amedeo nell’omonimo quartiere. È configurato come un imponente edificio simmetrico situato dietro i giardini sopravvissuti di Palazzo Balsorano e separato dalla piazza dal suo giardino piantato con palme. L’architettura dell’edificio richiama quella delle architetture neo-romaniche con influenze vagamente moresche ma la massima qualità rimane nell’interpretazione personale di questi elementi in modo del tutto originale con la presenza di interessanti eccezioni sull’uso degli ordini, tutte accomunate dal decorazioni in ferro battuto, vetro, maiolica, arredi e plastica minore aderenti al gusto floreale. Negli stessi anni fu l’autore della villa Maria all’inizio di via del Parco Margherita, voluto dallo stesso Huraut come sua residenza a monte del Grand Hotel. Tra i due edifici non c’è una differenza stilistica significativa in modo da apparire come un singolo complesso.

Leonardo Paterna Baldizzi è il rappresentante più significativo di questa fase del movimento floreale. Arrivato a Napoli nel 1905 come professore al Politecnico, Paterna Baldizzi era di Palermo, fu formato sotto la guida di Giuseppe Damiani Almeyda e iniziò ad attirare l’attenzione sul panorama artistico e culturale attraverso le partecipazioni a Palermo l’Esposizione nel 1891 che quella di Genova 1892. Dopo aver prestato servizio nel 1894 e aver vinto i pensionati nel 1896, si trasferì definitivamente a Roma dove entrò in contatto con Ettore Ximenesand con circoli artistici d’avanguardia. A Napoli, la prima commissione che si svolse fu la realizzazione dell’armatura della Gioielleria del cavaliere in Piazza dei Martiri nel 1906 e ora trasformata dopo il danno della Guerra. Va menzionato perché rappresenta un caso emblematico delle realizzazioni floreali a Napoli, tanto che ha largamente giovato alla diffusione urbana della nuova tendenza del gusto. Paterna Baldizzi si distinse anche per i progetti di abitazioni plurifamiliari al Vomero. Le prime due case Marotta sono nate nel 1911, il cavalier Marotta voluto dall’imprenditore edile e l’edificio Cifariello in via Solimene. Nel 1913 fu costruita la terza casa Marotta e nel 1914 fu la volta di Villa Paladino alla Gaiola. Lo stile di Paterna Baldizzi era caratterizzato dall’estrema semplicità compositiva delle facciate delineata da elementi in stucco molto geometrici come nella terza casa Marotta e Cifariello ma allo stesso tempo arricchita da elementi in ferro battuto con quadrati che conferiscono una grande eleganza al architettura come in Villa Paladino.

Giulio Ulisse Arata e i clienti dell’azienda Borrelli, Ricciardi e Mannajuolo, Gioacchino Luigi Mellucci

Arata, di origini piacentine e di educazione milanese, si diplomò alla scuola di Ornato e partì per Napoli con il compito di svolgere il servizio militare e in seguito si dedicò all’attività di decoratore. Durante questa prima fase napoletana, della durata di circa due anni, Arata iniziò a fare i primi contatti con imprenditori e artisti locali. In questa fase sono stati fatti i primi contatti con la compagnia Borrelli, Ricciardi e Mannajuolo che in quegli anni stava costruendo la villa Mannajuolo al Vomero e l’Hotel Bertolini al Grifeo Park, entrambe opere orientate verso una decorazione modernista.

Arata continuò il suo percorso formativo tornando a Milano e poi a Roma dove ritrovò nel 1906 la compagnia Borrelli, Ricciardi e Mannajuolo impegnati nella costruzione del Palazzaccio. Fabio Mangone avanza l’ipotesi che Piacenza avrebbe potuto prestare la sua collaborazione alla difficile e lunga costruzione del Palazzaccio durante questi anni romani. In questa delicata fase, si consolida il consolidamento del rapporto tra Arata e l’azienda e in quel momento si poteva definire quello che si poteva definire come lo stile Arata. Always Mangone realizza nello stile Arata di come nelle opere, sia milanesi che napoletane, i rapporti con la scuola d’arte milanese siano chiari, e con il lavoro di Giuseppe Sommarugain in particolare, soprattutto per quanto riguarda la volontà di creare una versione autenticamente italiana del modernismo , vigorosamente di plastica. A parte i grafismi bidimensionali dell’arte liberty franco-belga e austriaca, si esaminano altre esperienze europee, come il Secessionismo di Praga o il modernismo catalano, accentuando soprattutto la componente floreale, leggibile nelle decorazioni naturalistiche tumide. Senza esitazione, anche i moduli appartenenti alla tradizione accademica vengono accettati, sottoposti a distorsioni o interpretazioni libere, e assemblati accanto a neologismi europei, con straordinarie capacità combinatorie, in un tessuto che è in qualche modo classicistico.

Al secondo periodo napoletano gli fu attribuita la paternità degli apparati decorativi di Palazzina Paradisiello, realizzati per l’Impresa Borrelli, Ricciardi e Mannajuolo. Già nel 1959, De Fusco attribuiva, nel suo saggio Il Floreale a Napoli, alla mano di Piacenza. Più tardi, nella catalogazione, fu attribuito a Gaetano Licata, ipotesi anch’essa raccolta dallo stesso De Fusco nella seconda edizione del suo saggio nel 1989. Mangone, nel suo saggio su Arata, afferma che l’edificio, con un’ambientazione neobarocca, è già progettato e costruito e più tardi Arata avrebbe creato, con compiti di decorazione, i disegni degli stucchi, del ferro battuto e della scala interna. L’anno seguente divenne l’autore del palazzo Leonetti. Articolato secondo un piano a forma di U, aperto con un giardino in direzione di Via dei Mille, risolve efficacemente i problemi posti dal contesto creando relazioni significative con i due contigui isolati: uno originariamente verde e l’altro caratterizzato dalla presenza dell ‘ Avalos del Vasto, preceduto da un giardino. In questo modo, l’autore si è opposto alle direttive del piano urbanistico che prevedeva tutti i fronti allineati. La plastica minore è affidata alle decorazioni a stucco che richiamano i motivi classici deformati dalle incursioni di elementi floreali e le elaborate griglie in ferro battuto delle balaustre dei balconi e delle porte esterne.

Allo stesso tempo, Arata e l’ingegnere Gioacchino Luigi Mellucci si occuparono della progettazione di un ulteriore edificio da affittare sul lato opposto della stessa strada e al Complesso Termale Agnano e costruito dagli stessi mecenati che sostenevano l’architetto con il i tecnici Carlo Borgstrom e Luigi Centola. Il complesso, progettato nelle migliori intenzioni culturali del tempo, consisteva in due ali periferiche, che ospitavano i bagni di fango e le stufe, collegati da un corpo centrale che fungeva da sala per eventi e gallerie. Il progetto di Aratean si è rivelato abbastanza magniloquente nelle forme che potrebbero essere definite come un edificio classicista con forti influenze moderniste con costante riferimento alla lingua di Sommaruga.

Adolfo Avena, Francesco De Simone e il neo-eclettico moto volante
Adolfo Avena e Francesco De Simone rappresentano due personalità di spicco nel movimento floreale di Napoli. Entrambi sono diventati portavoce degli echi linguistici introdotti da Lamont Young. In particolare, Avena riuscì a conciliare un innato interesse per l’ingegneria strutturale e l’uso di tecnologie d’avanguardia con un’attenta ricerca storiografica, svolgendo un ruolo chiave prima come funzionario del Ministero della Pubblica Istruzione tra il 1886 e il 1899, poi come direttore tra il 1899 e 1908 e infine sovrintendente dei Monumenti del Sud Italia dal 1908. A partire dai dieci anni del XX secolo, profondamente amareggiato dagli attacchi denigratori della stampa sul suo lavoro, gradualmente si è allontanato dal campo della protezione monumentale e si è dedicato a rinnovare entusiasmo per la progettazione di residenze urbane e ville. Tutte le opere create prima dello scoppio della guerra sono influenzate da queste ibridazioni tra una rinnovata esperienza eclettica del gusto neo-modernista e il modernismo, quest’ultimo visibile soprattutto negli schemi planimetrici fortemente liberi.

Villa Loreley fu tra le prime case costruite da Avena al Vomero, il suo quartiere preferito per la sperimentazione e la costruzione della sua architettura. Fu costruito nel 1912 alla prima traversa di via Gioacchino Toma, tanto da influenzare gli aspetti compositivi come la pianta a forma di L. Persino Villa Ascarelli soffre delle stesse peculiarità compositive, collocata anch’essa in un tornante di via Palizzi, gioca sottilmente con vuoti pieni e volumetrici arricchiti da logge, motivi a stucco e ferri battuti. Nelle altre opere di Avena, una spazialità più dinamica e complessa sono seguite da motivi di origine medievale come Villa Scaldaferri, la stessa villa dell’architetto, entrambe demolite durante la ricostruzione postbellica degli anni Cinquanta e Sessanta, e gli ultimi esempi di Villa Catello -Piccoli nel 1918 e Villa Spera nel 1922, così come gli edifici plurifamiliari costruiti in via Toma nel 1928 per completare Villa Palazzolo e l’edificio del Parco Grifeo costruito negli stessi anni.

Francesco De Simone era un ingegnere salentino che si è laureato presso la Scuola di Applicazione degli Ingegneri di Napoli, dove in seguito si è affermato professionalmente. Divenne noto con il piano urbanistico del 1914, ma prima di affrontare i problemi urbani dell’ex capitale lavorò come designer aderendo al nuovo linguaggio floreale. Nel 1906 progettò l’edificio Velardi. L’edificio fu tra i primi ad adottare lastre in cemento armato che permisero di realizzare l’ardito sbalzo al momento della torre di vedetta angolare. Proprio la presenza di quest’ultimo caratterizza l’edificio come una sorta di castello.

Gregorio Botta e villa Pappone
Pietra miliare della nuova corrente architettonica di inizio secolo fu Villa Pappone, costruita nel 1912 per volontà del venditore di fiori artificiali all’ingrosso Francesco Pappone. Il progetto edilizio fu affidato all’ingegnere Gregorio Botta, un professionista che aveva diversi progetti in Egitto, controllato dal protettorato inglese, mentre il cliente acquisiva i gusti e le tendenze culturali del periodo grazie ai continui scambi culturali con l’Europa.

Le confluenze culturali di entrambi favorirono la nascita di un progetto architettonico di ampio respiro, culturalmente allineato con le costruzioni attraverso le Alpi. Nonostante l’aspetto di una proprietà a tre piani, è uno dei pochi a Napoli solo per la residenza del cliente. La villa ha, a differenza di molti altri edifici contemporanei della città, tutte le caratteristiche floreali tipiche come l’assenza di simmetria nel piano e lungo le elevazioni dovute alla presenza di corpi aggiunti alla figura della matrice della pianta; le diverse altezze dei singoli corpi che costituiscono il volume; elaborate rifiniture in stucco accompagnate da balaustre in ferro battuto di diverso disegno e che culminano nel riparo dell’ingresso in ferro e vetro, i corsi di archi decorati con maioliche. I continui riferimenti stilistici fanno riferimento alla lingua della Secessione viennese, filtrata attraverso le opere italiane pubblicate dalla casa Crudo & Co. a Torino.

I designer minori del floreale
La corrente del floreale riuscì comunque a creare un discreto seguito di stilisti che, seguendo la moda in voga, riuscirono ad adattarsi allo stile con idee più o meno creative. Tra i più noti sono Emmanuele Rocco, Stanislao Sorrentino, Michele Capo, Gioacchino Luigi Mellucci, Michele Platania, Gaetano Costa e Augusto Acquaviva Coppola.

Emmanuele Rocco, ingegnere diplomato presso la Scuola di Applicazione per Ingegneri di Napoli nel 1875. Diventò una delle operazioni tecniche di pulizia per la ricostruzione del quartiere Umbertino di Santa Brigida dove insieme a Antonio Curri si occupò della Galleria Umberto I. All’inizio del XX secolo si unì alla corrente floreale con il progetto di Palazzina Rocco. La singolarità dell’edificio è la sua varietà volumetrica. Per la necessità di avere una superficie prospettica capace di contenere il numero massimo di finestre, la facciata del parco Margherita presenta una serie di pieghe. Nonostante questa apertura al nuovo stile, è filtrato molto timidamente attraverso aspetti compositivi ancora legati al mondo ottocentesco come la formalità simmetrica e la presenza di stucchi classici, il contrappunto a questi aspetti è gestito dal progetto del rifugio e del serramenti delle aperture. Nella stessa fu la volta di un condominio in via Crispi e Palazzo Fusco in via Filangieri, due edifici caratterizzati da un approccio liberty tiepido con tendenze all’eclettismo più consolidato.

Stanislao Sorrentino, ingegnere impiegato presso la Société Anonyme des Tramways Provinciaux e autore di Adolfo Avena di un progetto di teleferica tra via Toledo e corso Vittorio Emanuele, ha progettato l’Ermolli Palazzina Russo nel tornante di via Palizzi. E ‘caratterizzato da un accesso situato vicino al penultimo piano dell’edificio ed è collegato alla strada attraverso una breve passerella, sotto la carreggiata ci sono altri quattro piani chiaramente visibili da Piazza Amedeo. Compositivamente risponde ai criteri dello stile adottando soluzioni volumetriche asimmetriche, mentre la plastica minore riprende i motivi dell’intonaco intonacato su cui si sovrappongono motivi che incorporano elementi vegetali che culminano nell’imponente coronamento del calcestruzzo martellato che deriva dalla Secessione viennese.

Michele Capo, ingegnere diplomato a Napoli in Ingegneria Civile e nel 1894 in quello Navale di Genova, iniziò con la produzione edilizia cittadina ancora legata al formalismo eclettico di fine Ottocento. In linea con l’attuale libertà progettò l’edificio Guida di Porta Capuana e casa di Arienzo a Sant’Eframo vecchio, di scarso interesse spaziale perché caratterizzato solo da motivi a muro. Nel 1904, insieme a Ettore Bernich, disegnò la villa Elena e Maria in forme ancora condizionate da un linguaggio marcatamente eclettico con qualche concessione decorativa tendente al floreale per corpi secondari. Di grande interesse architettonico è Villa Cuomo del 1919. In pianta, le sue stanze continuano nell’edificio senza interruzione. La parte più interessante è data dalla scala in cui l’elemento di collegamento è formalmente separato dalla scatola a muro e sostenuto da travi di ferro come un cigno.

Gioacchino Mellucci fu un illustre ingegnere napoletano, uno dei primi a concepire nuovi edifici utilizzando la forza espressiva del cemento armato. È considerato un personaggio secondario della stagione floreale in quanto il suo lavoro è limitato alla definizione delle strutture portanti degli edifici progettati dall’azienda Borrelli, Ricciardi e Mannajuolo, quindi progettati dall’architetto Arata. Nelle opere più individualiste del parco Margherita, le idee compositive si possono leggere verso una reinterpretazione meno pragmatica dell’eclettismo.

Michele Platania, anche lui ingegnere, era il tecnico della Compagnia Italiana Grandi Alberghi e realizzò a Villa De Cristoforo in via Palizzi. La costruzione, molto essenziale nelle sue linee, affida la decorazione delle altezze al geometrismo attraverso bande rosse intonacate. La piccola costruzione anticipa attraverso la sua scarsa immagine la tendenza del protorazionalismo degli ultimi vent’anni di cui Platania divenne uno dei protagonisti.

Gaetano Costa, risorto nel 1927 con la tarda costruzione floreale della stazione di Mergellina, fu un attivo designer nell’ambiente floreale dei Dieci anni con costruzioni modeste caratterizzate da una plastica floreale su installazioni spaziali legate alla tradizione ottocentesca. Ha disegnato due tipici esempi di fiori al Vomero, le due case De Marinis, attualmente demolite per far posto a moderni condomini.

Augusto Acquaviva Coppola progettò l’edificio per le abitazioni in affitto a Margherita Park nel 1912 come unico edificio aderente alla nuova lingua. L’edificio è caratterizzato da aspetti compositivi presi dalla fine del XIX secolo come l’adozione del tipo di blocco senza cortile. La particolarità è quella di trovarsi in un luogo particolare dove ulteriori tre piani vengono aggiunti a valle e il piano terra ospita il piccolo Teatro San Carluccio. Nonostante il layout tradizionale, presenta lungo le sue prospettive apparati decorativi derivati ​​dalla reinterpretazione di elementi provenienti dalla Secessione viennese.

La decadenza della libertà
La libertà iniziò ad entrare in crisi dopo la fine della prima guerra mondiale, quando raggiunse il suo apice nella città. Uno dei fattori che ha contribuito alla decadenza è stato quello del paese di chiudersi gradualmente tra i suoi confini territoriali a causa del crescente fenomeno del nazionalismo nel vecchio continente. Questo problema fu la causa della dislocazione culturale tra i vari movimenti modernisti. Molti designer italiani dopo la parentesi dell’Art Nouveau si rifugiarono nei modi del neo-eclettismo accademico, regredendo le più moderne innovazioni linguistiche nel giro di pochi anni. Giulio Ulisse Arata che è tornato a Napoli per due progetti di condomini realizzati per la società Cottrau-Ricciardi in Piazza Amedeo e Piazza Sannazaro sentono già il distacco del designer dalle forme più libere del recupero floreale dal vocabolario accademico formale del ritorno all’ordine con l’applicazione di sistemi simmetrici tipici del palazzo borghese del secolo precedente e adornati con un’epidermide di matrice neoclassica.

L’inefficienza della produzione floreale napoletana è essenzialmente legata a un gusto decorativo che non ha influito su un tema spaziale. Va anche considerato che gli anni del floreale rappresentano a Napoli quelli del più grande squilibrio tra classe dirigente e tecnici. Va anche ricordato che tra la fine del diciannovesimo secolo e l’inizio del ventesimo secolo cominciò a verificarsi un nuovo fenomeno professionale. Per la prima volta in Italia, i progettisti si sono trovati a lavorare in aree sia locali che extra-regionali per spostarsi con i relativi tecnici da un capo all’altro del paese.

I movimenti avvenivano quasi sempre dal Nord al Sud, il che portò gli architetti del Sud a fare pochi esperimenti, ponendoli in una condizione di intellettuali subalterni. Allo stesso tempo, dobbiamo anche considerare la formazione dei designer italiani, in particolare di quelli di Napoli, provenienti da realtà accademiche altamente consolidate delle scuole di applicazioni di ingegneria e accademie di belle arti. Molti di loro furono coinvolti in battaglie civili con la pubblicazione di articoli su giornali e riviste come Gaetano Costa o nella protezione di monumenti come Adolfo Avena. Questo impegno ha anche portato i migliori designer a sacrificare l’atteggiamento irrealistico del floreale per far risalire a un neo-eclettismo che ha ripreso, sebbene influenzato dalla stagione floreale, gli stili compositivi ottocenteschi.

Un fronte minoritario dei progettisti della stagione floreale ha cominciato a mettere in discussione l’atteggiamento accademico delle Scuole di Ingegneria e Belle Arti, orientandosi verso la scarificazione di motivi compositivi floreali, lasciando semplicemente il gioco della pienezza e del vuoto insieme al sapiente gioco del adopted materials. They, among them Michele Platania, began to turn with the look at what happened over the Alpine arc like motion decò, the protorazionalismo matrix Loos and behresiana and the Nordic classicism Gunnar Asplund. At the same time the nationalistic ideals of the fascist regime began to spread, which imposed the compositional rigor derived from Italian classicism to the architecture of the state. In the 1930s the nucleus of the Faculty of Architecture of the “Federico II” University of Naples was established. The management of a faculty, dedicated to the renewal of professionals involved in building processes towards the emerging dictates of the modern movement, was entrusted to Raimondo D’Aronco, a bulwark of the Italian modernist season before the linguistic retrocession towards neo-eclecticism and the re-proposed classicism.

Lavori
The art nouveau has left a great testimony in architecture and the arts, in fact the Neapolitan liberty has not only dealt with a simple architecture and designed for the design of buildings but also small pieces like the Gay Odin stores that preserve after many years the original showcases of inlaid wood in the eponymous style .