Liberty a Torino

Con libertà a Torino si intende la diffusione di questo stile nella città sabauda, ​​attribuibile alla stagione artistica della belle époque tipica della fine del XIX secolo e che si è conclusa in una convergenza verso l’eclettismo nei primi due decenni del XX secolo.

La libertà interessava l’Italia intera e in particolare la capitale piemontese, coinvolgendo varie discipline artistiche tra cui le arti applicate e, principalmente, l’architettura. Nello specifico, a Torino, quest’ultima è stata influenzata dall’influenza delle scuole parigine e belga nelle sue opere principali, diventando uno dei maggiori esempi italiani di questa corrente, non senza subire inevitabili incursioni eclettiche e déco.

Per il successo di questa tendenza stilistica e della tipologia degli edifici sorti nei primi decenni del Novecento, Torino è stata definita “la capitale della libertà italiana” al punto che possiamo ancora percepire notevoli testimonianze architettoniche di quel periodo.

Storia e contesto storico-artistico
La transizione dal diciannovesimo al ventesimo secolo in Europa è stata caratterizzata da un fervido rinnovamento delle espressioni artistiche, fortemente influenzato dal progresso tecnico e dall’entusiasmante esaltazione positivista degli importanti obiettivi raggiunti dalla scienza. Le evoluzioni delle avanguardie artistiche di fine Ottocento coinvolgono dapprima le arti applicate, assumendo diverse denominazioni in base alle aree geografiche: nella zona francofona ha preso il nome di Liberty, in Germania jugendstil, in Austria sezessionstil, stile moderno in Gran Bretagna e modernismo in Spagna.

In Italia, e in particolare a Torino, la nuova corrente fu inizialmente istituita come “nuova arte”, declinando il termine direttamente dal francese. Nel complesso e variegato panorama nazionale questa nuova corrente, che in seguito ha assunto anche il nome di “stile floreale”, non si è mai consolidata in una vera scuola di riferimento italiana ma si è affermata, seppur con un leggero ritardo rispetto ai principali paesi europei, vivendo il suo massimo splendore all’inizio del XX secolo. Nel suo primo decennio, infatti, possiamo parlare di libertà, un termine che finalmente divenne più diffuso in Italia e derivato dai famosi magazzini londinesi di Arthur Lasenby Liberty, tra i primi ad esporre e diffondere oggetti e stampe dal gusto esotico che sfoggiavano le forme sinuose tipiche di questo nuovo stile.

La libertà, quindi, ha trovato nell’architettura il suo maggior successo, lasciando ai posteri una delle testimonianze più durature. All’inizio del XX secolo, l’alta borghesia, ormai definitivamente stabilita come classe egemonica della società italiana, ha trovato il suo elemento distintivo distintivo nella libertà, o l’opportunità di mostrare la sua superiorità e allo stesso tempo sottolineare la separazione dal vecchio classe nobile e le sue case neoclassiche e barocche ancora fortemente legate allo stile eclettico più conservatore che aveva caratterizzato l’intero diciannovesimo secolo. Tuttavia, il suo aspetto innovativo non era solo l’opposizione al neo-gotico e all’eclettismo, ma anche una maggiore considerazione delle arti applicate come un punto di forza implicito, dal momento che la libertà confidava, grazie anche al crescente sviluppo della tecnologia, in larga scala produzione di un’arte che nella sua bellezza emblematica era accessibile alla maggior parte del tessuto sociale del tempo; nonostante queste premesse, anche a Torino, questa iniziale vocazione populista dell’Art Nouveau calò, l’ideale di un “socialismo della bellezza” si evolse in un ricco trionfo di motivi floreali, nervature filiformi, audaci decorazioni metalliche di chiara ispirazione fitomorfa, ma presto divenne solo un privilegio delle classi sociali più ricche. In questo contesto, Torino, con largo anticipo rispetto al resto d’Italia, fu la città italiana che riuscì ad accettare le lusinghe di questo nuovo stile e fare l’emblema dello status della borghesia emergente locale e straniera, quella nella capitale piemontese creare nuovi e numerosi stabilimenti negli anni molto vicini tra il XIX e il XX secolo.

Seguendo questa stagione stilistica, spesso considerata “frivola” e forse ingenuamente ottimista, prevalse il valore aggiunto della tecnologia e dell’industria, proprio come la “funzione” prevalse sulla “forma”, ma la modernità si sviluppò presto negli orrori della Grande Guerra che, non solo simbolicamente, decretò la fine della stagione della libertà.

Torino tra Otto e Novecento: la libertà
Torino, pur vantando un panorama architettonico caratterizzato principalmente dalla connotazione barocca della scuola guariniana e juvarrese dei numerosi palazzi nobiliari e delle residenze sabaude, nei vent’anni tra Ottocento e Novecento si lascia permeare da questa nuova corrente stilistica.

Inizialmente nota come “nuova arte” o, secondo il giornalista torinese Emilio Thovez, “arte floreale”, questo nuovo stile sorprende di essere così “fedelmente naturalistico e in sostanza chiaramente decorativo”. A seguito delle edizioni dell’Esposizione Internazionale di Arte Decorativa Moderna, Torino ha visto la crescente proliferazione di questo nuovo stile nella sfera prevalentemente architettonica, celebrando una sorta di “Rinascimento delle arti decorative”, avvalendosi dei contributi dei principali autori del periodo come Raimondo D’Aronco e il torinese Pietro Fenoglio, che si è affermato per la sua proficua attività di ingegnere e che ha reso la libertàTurino è uno degli esempi più brillanti e coerenti del variegato panorama architettonico italiano dell’epoca.

Un contributo significativo è venuto anche dall’industria che, coinvolta in primo piano nel processo di rinnovamento del capoluogo piemontese, ha svolto il ruolo di cliente privilegiato ma anche di interlocutore in grado di offrire la tecnica e un solido sostegno a beneficio di quei lavoratori necessari per la piena affermazione di questa nuova corrente a Torino. Decisivo, per citare un esempio, è stato il lavoro della Porcheddu Company con sede a Torino, che, grazie all’iniziativa del suo proprietario Giovanni Antonio Porcheddu, già nel 1895 fu la prima impresa edile a importare e utilizzare l’innovativa Systéme Hennebique esclusivamente per L’Italia, il primo brevetto per la costruzione di “strutture e pavimenti ignifughi” in cemento armato depositati dall’ingegnere francese François Hennebique.

Mostre universali e l’avvento del 1902
In questo gruppo di vivaci fermenti culturali, Torino ha visto la nascita dell’edizione di Torino dell’Esposizione Universale del 1887, che ha portato, sulla scia del tardo Romanticismo, alla realizzazione simultanea del Borgo Medievale, seguendo le pulsioni della neo contemporanea – Stile gotico

Dapprima questi eventi raccolsero un tiepido entusiasmo, tuttavia le edizioni successive riscossero sempre più successo vedendo la graduale affermazione della libertà e, per dare un impulso decisivo alla sua diffusione, fu l’obiettivo più ambizioso del 1902, con la Mostra d’Arte Internazionale una moderna decorazione che, nei suoi numerosi padiglioni di stile, ha visto importanti ospiti stranieri tra cui Peter Behrens, Hendrik Petrus Berlage, Victor Horta, René Lalique, Charles Mackintosh, Henry van de Velde oltre a favorire un clima che ha contribuito a erigere vari edifici pubblici e privati , decretando così la definitiva consacrazione della libertà a un nuovo stile artistico dominante.

Un ulteriore contributo è stato dato anche dall’industria editoriale che a Torino ha contato la presenza di importanti case editrici come Camilla e Bertolero, Crudo & Lattuada, l’editrice Libraria F.lli Fiandesio & C. e la più longeva di tutte, la Roux e la Viarengo , tutti attivi dal tardo diciannovesimo secolo.

Il primo dal 1889 pubblica il periodico The practical architecture, rivista specializzata fondata dall’architetto Andrea Donghi e diretta dal suo collega Giuseppe Momo. Sempre pubblicata da Camilla & Bertolero è stata la rivista di settore L’Arte Decorativa Moderna, fondata a Torino nel 1902 per iniziativa del pittore torinese Enrico Reycend, avvalendosi di illustri colleghi come: Davide Calandra, Leonardo Bistolfi, Giorgio Ceragioli e lo scrittore Enrico Thovez. Altre pubblicazioni periodiche degne di nota sono l’Emporium, l’Architettura italiana e la Casa Bella, testate più tardi per la regia di Gio Ponti e che esiste ancora oggi come Casabella.

Anche il settore dell’arredamento è stato attivamente coinvolto nel fiorente periodo dell’Art Nouveau, un campo eccellente per le arti applicate; sebbene non faccia ancora parte di una realtà industriale, potrebbe contare su lavoratori qualificati e rappresentare una realtà artigianale molto apprezzata. Alcuni esponenti da ricordare sono la Vetreria Albano & Macario che tra le varie opere creò la Terrazza Solferino e il Mobilificio Torinese F. Cesare Gandolfo che realizzò anche molti mobili per caffè, ristoranti e alberghi, tra cui l’Albergo Rocciamelone di Usseglio per il quale realizzò il mobili interi.

Torino ha quindi vissuto intensamente e “a tutto tondo” la stagione liberty che, sebbene relativamente breve, è diventata un importante punto di riferimento per l’Italia, in grado di attrarre contributi da importanti personalità internazionali come l’architetto friulano Raimondo D’Aronco che, dopo i recenti risultati in Istanbul, per la mostra di Torino del 1902 disegnò il Grande Vestibolo. Sull’onda del successo della mostra, Torino ha continuato ad essere terreno fertile per vari esperimenti, anche se molto coerenti e sobri, da un nutrito gruppo di architetti e ingegneri come: Eugenio Ballatore di Rosana, Giovanni Battista Benazzo, Pietro Betta, Eugenio Bonelli, Paolo Burzio, Carlo Ceppi, Camillo Dolza, Andrea Donghi, Michele Frapolli, Giuseppe Gallo, Giuseppe Gatti, Giovanni Gribodo, Quinto Grupallo, Gottardo Gussoni, Giuseppe Hendel, Giacomo Mattè Trucco, Eugenio Mollino, Giuseppe Momo, Ludovico Peracchio, Alfredo Premoli , Giovanni Reycend, Annibale Rigotti, Paolo Saccarelli, Annibale Tioli, Giovanni Tirone, Giovanni Vacchetta, Antonio Vandone di Cortemilia, Giuseppe Velati Bellini, Genesio Vivarelli; tuttavia, il personaggio più prolifico e protagonista indiscusso della libertà torinese era, senza dubbio, Pietro Fenoglio.

Il lavoro di Fenoglio
Il principale protagonista della libertà torinese fu senza dubbio Pietro Fenoglio, la cui prolifica attività portò alcuni dei più grandi esempi italiani di questo nuovo stile a Torino. Per circa tredici anni si dedicò alla costruzione di oltre trecento progetti tra ville e palazzi, alcuni dei quali concentrati nell’area di Corso Francia e strade adiacenti, oltre a diversi edifici industriali commissionati dalla nuova classe dirigente torinese; tuttavia, il suo contributo non era solo quello di uno stimato professionista, ma fu anche chiamato ad intervenire a livello politico, ricoprendo posizioni come consigliere e consulente per lo studio del nuovo piano generale completato nel 1908.

Fenoglio fu anche tra gli organizzatori delle edizioni dell’Esposizione Internazionale del 1902 e 1911, ma fu anche attivo nel campo dell’editoria, essendo tra i fondatori e tra i più importanti collaboratori della rivista Modern Italian Architecture. Parallelamente all’intensa attività architettonica, entrò a far parte della nascente borghesia industriale e finanziaria di Torino, arricchendo le sue capacità e intensificando la sua influenza nel settore delle costruzioni; Fenoglio, infatti, ha ricoperto la carica di vicepresidente della nota Impresa Porcheddu, della Anonima Cementi del Monferrato, nonché di membro dell’Accomandita Ceirano & C. e amministratore delegato della nascente Banca Commerciale Italiana.

L’opera di Fenoglio si caratterizza per l’abile uso di tonalità pastello, decori murali che alternano soggetti floreali a elementi geometrici circolari e l’ampio uso di cornici in litociation combinate con l’eleganza decorativa, a volte audace, del ferro e del vetro, eleggendo materiali privilegiati. Tra i suoi lavori più noti ricordiamo: il Villino Raby (1901), la famosa Villa Scott (1902), il trionfo di logge, torrette, finestre a bovindo, bow windows e, soprattutto, la sua più conosciuta e apprezzata: Casa Fenoglio-Lafleur (1902 ), considerato «l’esempio più significativo di stile liberty in Italia. ”

Altri edifici degni di nota che riproducono elementi decorativi derivanti dal successo di Casa Fenoglio-Lafleur sono la Casa Rossi-Galateri (1903) in Via Passalacqua e la non meno apprezzabile Casa Girardi (1904) in Via Cibrario 54. Il lavoro di Fenoglio è stato relativamente breve ma proficuo e molti edifici simili possono essere citati, altre “case in affitto” per uso residenziale: Casa Rey (1904), Casa Boffa-Costa (1904), Casa Macciotta (1904), Casa Balbis (1905), Casa Ina (1906), Casa Guelpa (1907), fino a uscire dal Piemonte, con la costruzione della villa dell ‘on. Magno Magni a Canzo, vicino a Como.

L’attività fenomenica ebbe anche come cliente il mondo emergente dell’industria, che trovò a Torino un posto favorevole per stabilire la sede di nuovi insediamenti. Tra i più noti ricordiamo: la Conceria Fiorio (1900), la Boero Factory (1905), le Fonderie Ballada (1906), la fabbrica automobilistica di Officine Diatto (1907) e la grande costruzione del primo birrificio italiano Bosio & Caratsch con la casa padronale annessa (1907) e, naturalmente, il Leumann Village.

Il villaggio Leumann
Grazie all’esperienza acquisita nella progettazione di impianti industriali, Fenoglio si è anche occupata del vasto progetto del Leumann Village. Nasce dall’idea di un imprenditore illuminato di origine svizzera, Napoleon Leumann, che trasferì la fondazione della sua azienda tessile da Voghera a Torino, beneficiando dei vantaggi offerti dalla capitale piemontese, reduce dal conteso trasferimento della capitale in Firenze e poi Roma; inoltre, l’ampia offerta di manodopera specializzata a costi ridotti ha completato il processo di attrazione di capitali stranieri e imprenditori come Abegg, Geisser, Kind, Metzger, Menier, Remmert, Scott, contribuendo a fare di Torino la nuova capitale dell’industria. La scelta cadde sul vasto appezzamento di terreno di circa 60.000 m² nella campagna circostante Collegno, al tempo una cittadina appena fuori città. La presenza di canali di irrigazione e la vicinanza della nuova ferrovia che, percorrendo l’asse dell’attuale corso della Francia, consentiva un rapido collegamento con Torino, la vicina Rivoli, era fondamentale nella scelta del luogo. Ma anche con la Val di Susa e Francia, attraverso il nuovo tunnel del Fréjus.

Il complesso, progettato tra il 1875 e il 1907 da Pietro Fenoglio, è costituito da due quartieri residenziali dello stabilimento tessile, che cessarono la sua attività nel 2007, che in origine ospitava circa un migliaio di persone tra lavoratori, impiegati e le loro famiglie. Comprende ancora 59 piccole ville e case divise in 120 alloggi, ciascuno fornito fin dall’inizio con servizi igienici annessi e un giardino in comune al piano terra. Oltre al cotonificio, alle case, ai bagni pubblici, all’asilo “Wera Leumann” e alla scuola, Fenoglio progettò anche la chiesa di Santa Elisabetta: una delle pochissime al mondo, forse l’unica, realizzata in libertà stile.

L’organizzazione urbana, l’architettura degli edifici, le istituzioni sociali e i servizi di welfare creati in esso hanno reso il villaggio un organismo che ha posto al centro dei suoi obiettivi una migliore qualità della vita dei lavoratori, sia al lavoro che nella vita privata ; un’area ben definita in cui lavoro, famiglia, tempo libero, istituzioni sociali e di sicurezza sociale erano strettamente intrecciate, formando un ambiente socialmente evoluto ed efficiente.

Esempi simili sono emersi nello stesso periodo in Lombardia e in Veneto, ma il Leumann Village è forse l’esempio più ampio, completo e funzionale, tale da essere diventato una interessante testimonianza di carattere storico, culturale e architettonico.

Gli altri personaggi della libertà torinese
Nonostante la connotazione prevalentemente barocca della scuola guariniana e juvarra, il patrimonio architettonico della vecchia capitale sabauda conserva ancora intatte testimonianze di libertà ancora intatte e la presenza di architetture di quell’epoca può ancora essere vista in alcune aree centrali della capitale come i quartieri del centro storico, la Crocetta, San Salvario, la collina ma con una predominanza assoluta nell’area intorno al primo tratto di Corso Francia, compresi i quartieri Cit Turin e San Donato.

L’emblema di alcuni primi esperimenti che, da un approccio ancora palesemente eclettico, caro a Carlo Ceppi, lascia ancora a Protostilemi la libertà di brillare, sono certamente Palazzo Bellia (1898) e Palazzo Priotti (1900). Qui Ceppi, ha saputo fondere stili barocchi ed eclettici sinuosi già di libertà e, nel caso di Palazzo Bellia, ha fatto largo uso di bovindi, torrette e archi trilobati, rendendolo uno degli edifici più caratteristici della via centrale Pietro Micca.

Allievo di Carlo Ceppi, il prolifico Pietro Fenoglio ha costruito il suo successo sullo stile liberty dichiarato e la sua influenza stilistica ha infettato molti altri architetti, alimentando una competizione crescente e fruttuosa che ha reso la stagione della libertà torinese degna di essere ricordata. L’antagonismo del folto gruppo di architetti che in questi anni lavorò a Torino vide anche fiorire diverse correnti dello stesso stile; l’architetto Pietro Betta, ad esempio, differiva per abbracciare uno stile più tracciabile al sezessionstil e nel cui studio si formarono giovani architetti come Domenico Soldiero Morelli e Armando Melis de Villa, protagonisti della stagione successiva del razionalismo italiano. L’opera di Betta si distinse per l’approccio più monumentale, contaminato da elementi classici sapientemente combinati con stili secessionisti, il cui esempio più impressionante appare nella casa di Avezzano (1912) del quartiere Crocetta, dove la facciata è scandita da una sequenza di grandi colonne corinzie sporgenti sostenuto da protomi taurini e “incatenato” a una serie di bovindi.

Altri esempi particolarmente secessionisti sono la Casa Bonelli (1904), residenza dello stesso architetto Bonelli, le cui facciate sono caratterizzate da finestre francesi molto particolari circondate da un’ampia cornice circolare che mostra una decorazione finemente decorata e Casa Mussini, austero edificio residenziale della precollina , progettato dall’architetto Ferrari nel 1914.

Un altro esponente vicino al vocabolario del design di Pietro Betta fu l’architetto Annibale Rigotti che, all’angolo di via Vassalli Eandi con via Principi d’Acaja, non lontano dalla Casa Ina di Fenoglio, disegnò Casa Baravalle (1902), una monorota riconoscibile villa per le sue pareti blu e caratterizzata da decorazioni geometriche, con forme estremamente sobrie. Qui Rigotti, già autore di alcuni padiglioni dell’Esposizione Internazionale del 1902, sembra quasi anticipare il rigore che prevarrà nel seguente stile déco.

Dal 1902 in poi, sull’onda del successo delle mostre, la libertà si diffuse in tutta la città contribuendo alla sua crescita. La contestuale vocazione industriale della città ha anche attratto la nuova forza lavoro e la domanda di alloggi è cresciuta fino ad allargare il tessuto urbano. Grazie all’avvento dell’elettricità e alla sua crescente popolarità, le industrie proliferarono e stabilirono nuovi insediamenti alla periferia della città, abbandonando definitivamente il distretto di San Donato e l’area precollinare, una scelta obbligata fino a quando la forza motrice fu relegata all’energia idraulica del mulini e martinetti che salivano in quelle zone caratterizzate da forti differenze di altezza.

Il quartiere di San Salvario, vicino al Parco del Valentino e sede delle mostre di quegli anni, fu uno dei primi a sviluppare nuovi blocchi di edifici industriali e residenziali, a volte modificando la prospettiva di edifici esistenti o richiedendo l’autorizzazione per le varianti di progetto a costruire edifici con un look “contemporaneo”. Oltre alle numerose “case in affitto” della vicina via Pietro Giuria, via Saluzzo e via Madama Cristina, anche Villa Javelli sorgeva a San Salvario, l’abitazione torinese che D’Aronco progettò e costruì per sua moglie; non lontano si trova il famoso Villino Kind (1906), residenza dell’ingegnere svizzero Adolfo Kind, diventato famoso in Italia per aver introdotto per la prima volta il nuovo sport dello sci e fondatore del primo club italiano, lo Ski Club Torino.

Anche il mondo dell’industria, come già accennato, non è rimasto indifferente alla sinuosità senza precedenti dello stile Art Nouveau. Oltre alle concerie e birrerie progettate da Fenoglio nella zona di San Donato, nel quartiere di San Salvario nel 1903 la nuova sede della Società Porcheddu si trasferì, così direttamente coinvolta nel fermento edilizio di questi decenni, occupò un edificio basso che era in corso Valentino 20, o in corrispondenza dell’attuale sede FIAT di Corso Marconi, costruito verso la metà degli anni Trenta del Novecento. Anche la nascente industria automobilistica ha svolto il ruolo di cliente; una delle prime fabbriche ad utilizzare una nuova struttura secondo i dettami della nuova tendenza è stata quella dell’Accomandita Ceirano & C., prima produttrice di auto torinesi del piccolo marchio “vetturelle” Welleyes equipaggiato con il motore a combustione interna e che Fenoglio lui stesso era un partner; trasferì l’attività nel 1906 nella periferia meridionale della città, nell’attuale Corso Raffaello 17, in un edificio ancora ben riconoscibile dai cancelli di accesso circondati da grandi rotoli circolari in litociazione. La stessa FIAT, fondata a Torino nel 1899, commissionò il suo primo stabilimento al giovane architetto Alfredo Premoli che, tra il 1904 e il 1906, in Corso Dante Alighieri creò il complesso tra cui la Scuola Allievi e la prima fabbrica, il cui edificio è prominentemente incorniciato da motivi floreali stilizzati agli angoli dei piani in argilla cotta con l’acronimo della compagnia automobilistica torinese.

Significativa anche la Galleria dell’Industria Subalpina, una struttura ispirata ai tipici passaggi parigini, anche se è tornata con un gusto eclettico, che ha ospitato il famoso Caffè Romano e si affaccia sull’elegante Caffè Baratti & Milano, ristrutturato nel 1909; l’ingresso dai portici di Piazza Castello presenta una ricca cornice in marmo impreziosita da bassorilievi in ​​bronzo e interni riccamente lavorati, con ampio uso di tarsie e stucchi in marmo.

Nel quartiere Crocetta è possibile ammirare la notevole Casa Maffei (1905), con ringhiere e sbarre di ferro battuto del maestro lombardo Alessandro Mazzucotelli, progettato da Antonio Vandone di Cortemilia; altri esempi da citare sono alcuni palazzi di Corso Galileo Ferraris e Corso Re Umberto, caratteristici per le decorazioni fitomorfe e l’ampio uso di vetri colorati e ferro battuto. Tuttavia, l’architetto Vandone di Cortemilia si è dedicato anche ai locali commerciali: per essere citati doverosamente troviamo il Caffè Mulassano nella centralissima Piazza Castello, le cui piccole dimensioni non sfigurano però le eleganti boiserie e specchi, il soffitto a cassettoni in legno e pelle e numerosi decorazioni in bronzo. Ulteriori opere di Vandone di Cortemilia sono presenti anche al Cimitero Monumentale, insieme ad altre opere di L. Bistolfi, D. Calandra, G. Casanova, C. Fumagalli, E. Rubino e A. Mazzucotelli.

Nella zona di San Donato, oltre alla sfolgorante Casa Fenoglio, in via Piffetti ci sono due esempi risalenti al 1908, di Giovanni Gribodo e poco lontano ci sono altri esempi di palazzi Liberty in via Durandi, via Cibrario e ancora in via Piffetti, al numero 35; mentre Giovan Battista Benazzo è Casa Tasca (1903), che sfoggia decorazioni floreali, motivi geometrici circolari e ricche decorazioni in ferro battuto per ringhiere e finestre.

Nel vicino distretto Cìt Turìn, lungo Via Duchessa Jolanda, ci sono due edifici progettati da Gottardo Gussoni, chiari esempi di tardo Art Nouveau risalenti al 1914; allo stesso modo, anche gli edifici sul retro di via Susa riproducono la stessa scenografia: un cortile centrale con un basso edificio sul fondo sormontato da una torre merlata, un elemento che rende la libertà di Gussoni uno stile sempre più caratterizzato da un eclettismo che guiderà poi in un vero neogotico, per diventare uno degli architetti preferiti dal Cav. Carrera.

Daniele Donghi e Camillo Dolza: due ingegneri al servizio della pubblica amministrazione
La stagione liberty torinese è stata anche caratterizzata da una cospicua realizzazione di edifici pubblici tra cui scuole, uffici e bagni pubblici. In quest’area dell’amministrazione locale emersero figure illustre tra cui prima l’ingegnere Daniele Donghi, ex professore di architettura tecnica a Milano e Padova, che per quindici anni fu a capo dell’Ufficio Tecnico dei Lavori Pubblici, posizione che lasciò nello stesso periodo del ufficio del Comune di Padova, quello di Venezia, diventando infine direttore della filiale di Milano della Porcheddu Company di Torino.

A Donghi subentrò l’ingegner Camillo Dolza che firmò i più importanti progetti di edilizia pubblica a Torino nei primi decenni del Novecento, tra cui l’imponente edificio del liceo “V. Monti” di corso Galileo Ferraris 11 (1900), le prime Terme comunali in Via G. Saccarelli (1901), quelle di Via O. Morgari (1905), quelle di Borgo Vanchiglia (1910), Palazzo Poste e Telegrafi in Via Alfieri (1908) e la nuova scuola elementare “Santorre di Santarosa” “in via Braccini (1920).

Il neo-gotico e i detrattori della libertà
Parallelamente al naturalismo a volte esagerato dell’Art nouveau, il movimento neogotico continuò a essere lo stile preferito dell’aristocrazia e del gusto più conservatore e tradizionalista; inoltre, grazie alla forte connotazione allegorica dell’ispirazione medievale, è stato confermato lo stile preferito per la costruzione di edifici religiosi, a parte l’unico caso italiano della chiesa della libertà dedicata a Santa Elisabetta, all’interno del Villaggio di Leumann.

Uno dei maggiori detrattori della libertà fu il poeta torinese Guido Gozzano che, ironicamente, visse e morì in un edificio progettato secondo questo nuovo stile dallo stesso Pietro Fenoglio. Spesso esprimeva parole di biasimo per la libertà, fino al punto di chiamarlo “rubella del buon gusto”, quasi per paragonarlo a un’infatuazione fugace per i modelli europei che, secondo il suo pensiero, non avevano alcun legame con la tradizione architettonica italiana; al contrario, nel neogotico intuì un sano “ritorno all’ordine” che al riparo da pericolose avanguardie stilistiche troppo audaci.

Della stessa idea erano anche i maggiori esponenti della nobiltà e della finanza che, pur senza ricorrere al neogotico, per i loro edifici rappresentativi preferiscono uno stile neoclassico più sobrio, tradizionale e conservatore, come è successo ad esempio per l’eclettico edificio di Assicurazioni Generali Venezia in Piazza Solferino, progettata dallo stesso Pietro Fenoglio che, tuttavia, si è piegata alle indiscutibili esigenze del cliente.

Oltre al noto Borgo Medievale del Parco del Valentino, gioiello di un attento studio delle vestigia medievali locali coordinato dall’architetto portoghese Alfredo d’Andrade, nell’elegante quartiere residenziale Cit Turin si possono ammirare eccellenti esempi di architettura civile nel opere commissionate da Carrera: la Casa della Vittoria (1918-20) di Gottardo Gussoni, insieme alla casa di Carrera, ne sono l’esempio più importante. Il lavoro dell’architetto Giuseppe Gallo è anche degno di nota nello stesso quartiere, al quale dobbiamo il progetto della chiesa dedicata a Gesù Nazareno che si affaccia su Piazza Martini. Ulteriori esempi di edifici civili in stile neogotico si possono vedere nel vicino quartiere di San Donato con il gruppo di case in Via Piffetti, famoso per il ferro battuto, le sfingi e le decorazioni a coda di pavone.

Altri esempi isolati del neogotico di Giuseppe Gallo sono presenti anche nell’area di San Salvario e nel quartiere della Crocetta, dove spicca la Casa Lattes (1911), un notevole esempio all’incrocio tra via Sacchi e Corso Sommelier. Nel quartiere Parella, invece, all’estrema periferia della campagna, sorge il Palazzotto Arduino, un ricco esempio di neogotico creato dagli architetti Coppedé e Mesturino nel 1926, quando le avanguardie architettoniche stavano già sperimentando in città i primi esempi di razionalismo come, ad esempio, Palazzo Gualino.

La parabola finale della libertà, l’avvento dell’art deco e della neoliberismo

L’arte déco
Mentre gli orrori della Prima guerra mondiale decretarono, non solo simbolicamente, la fine della stagione spensierata dell’Art Nouveau, durante il secondo decennio del XX secolo il tema della “funzione” prevalse sulla “forma” e l’art deco fu una sorta di sinossi stilistica che ha visto trasformare la sua sinuosa audacia in stili più rigorosi che anticipavano, anche se solo leggermente, le principali caratteristiche del razionalismo; Torino ospita anche alcuni degni esempi di questa nuova corrente.

Oltre ad alcune ville sulla zona collinare, una delle prime espressioni dell’architettura Decò è apparsa in Via Cibrario 62, dove sorge Casa Enrieu dell’architetto Bertola: il suo apparato decorativo, ora privo di decorazioni floreali, è caratterizzato da cornici e motivi odivaghi che si alternano con superfici piatte; lo stesso vale per l’edificio accanto, all’angolo con la vicina Via Bossi.

Un altro esempio di art deco fu l’edificio che fu costruito all’angolo di Corso Vittorio Emanuele II che fu costruito nel 1926 su progetto dell’ingegnere Bonadè-Bottino per ospitare il Palazzo del Cinema, in seguito Cinema Corso, all’epoca il più grande del cinema in Italia; nonostante la sua distruzione in un incendio, avvenuta il 9 marzo 1980, la caratteristica facciata con accesso angolare sormontato da una cupola fu conservata e l’edificio fu destinato a un uso diverso, su progetto dell’architetto Pier Paolo Maggiora. In piazza Solferino, invece, c’è un altro esempio delle forme sobrie ed eleganti create nel 1928 da Giuseppe Momo, come sede della Società Anonima Edile Torinese,

Un altro artista torinese che si è affermato per le sue opere di déco è stato l’architetto Vittorio Eugenio Ballatore di Rosana. Già autore del motovelodromo di vaga ispirazione liberty e del grandioso Stadium, si è distinto per il design delle Rivella Towers, la coppia di edifici collocati nell’omonima piazza all’incrocio tra corso Regina Margherita e Corso Regio Parco, nonché l ‘imponente edificio dell’Istituto elettrotecnico “Galileo Ferraris”, di corso Massimo d’Azeglio e un gruppo di edifici nei pressi di piazza Bernini.

La neoliberalità e la rivalutazione postuma della libertà torinese
In the fifties of the twentieth century the liberty had a sort of reinterpretation by some exponents of the Turin architecture of the time including Roberto Gabetti, Aimaro Isola, Sergio Jaretti and Elio Luzi and also the Milanese firm BBPR that, for their reinterpretation of floral and structural styluses, induced the critic Paolo Portoghesi to define this neoliberty phenomenon. The so-called House of the Obelisk is emblematic of Jaretti and Luzi, where refined stylistic references emerge with refined irony that lead to a revisiting of the building materials, proposing the use of the lito cement for decorative elements that characterize all the sinuous prospects of the building markedly marked by overlapping horizontal reliefs that recall Gaudí’s modernist morphologies.

Also in the hilly area of Borgo Po, at the beginning of the 2000s, an eccentric building appeared on the project of architect Alessandro Celli, who for his client created Villa Grivet Brancot, a true “historical fake”: a house unifamigliare characterized by a rich decorative apparatus consisting of litoceremento, cornices, decorations and wrought iron that seem to belong to the repertoire of Fenogliano but which are the result of careful contemporary research of workers and material that is philologically consistent with the Art Nouveau era and its perpetual tribute.