Palazzo Reale di Torino, Italia

Il Palazzo Reale di Torino è la prima e più importante delle residenze sabaude in Piemonte, teatro della politica degli stati sabaudi da almeno tre secoli. Fu originariamente costruito nel XVI secolo e successivamente modernizzato da Christine Marie of France (1606–1663) nel XVII secolo, su progetto dell’architetto barocco Filippo Juvarra.

La residenza reale celebra le vaste sale, i soffitti intagliati e dorati, i dipinti, gli arazzi, le lampade di cristallo di montagna, i mobili e gli strumenti, cesellati, intarsiati, impiallacciati, ricchi d’oro, pietre preziose, madreperla e avorio, e i pavimenti impegnati e intarsiati con legni di varia natura.

Si trova nel cuore della città, nella Piazzetta Reale adiacente alla centralissima Piazza Castello, da cui si diramano le principali arterie del centro storico: via Po, via Roma, via Garibaldi e via Pietro Micca. Il palazzo comprende anche il Palazzo Chiablese e la Cappella della Sacra Sindone, quest’ultima costruita per ospitare la famosa Sindone di Torino.

La Reggia rappresenta il cuore della corte sabauda, ​​simbolo del potere della dinastia e, insieme alle altre residenze reali della cintura torinese, come la reggia di Venaria Reale, il casino di caccia di Stupinigi o il castello del Valentino, è parte integrante dei beni dichiarati dall’UNESCO Patrimonio dell’Umanità.

Storia
Il palazzo, inteso come residenza ducale, fu progettato tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento da Ascanio Vittozzi. Alla morte di quest’ultimo, i lavori furono affidati, durante la reggenza di Cristina di Francia, ad Amadeo di Castellamonte. La facciata ha una parte centrale affiancata da due ali superiori, secondo il progetto seicentesco di Carlo Morello. Le stanze del piano nobile sono decorate con immagini allegoriche celebrative della dinastia reale, realizzate dalle mani di diversi artisti.

Alla fine del XVII secolo Daniel Seiter fu chiamato ad affrescare il soffitto della Galleria, che si chiamerà anche Galleria del Daniel, e Guarino Guarini costruisce la Cappella della Sindone per custodire la preziosa reliquia.

Nel Settecento l’architetto Filippo Juvarra fu chiamato per alcune modifiche. Realizzò per il Palazzo la Scala delle Forbici composta da doppie rampe e il Gabinetto Cinese decorato con affreschi settecenteschi di Claudio Francesco Beaumont, artista di corte durante il regno di Carlo Emmanuele III. Juvarra redigerà anche il progetto e relativi disegni del magnifico “Gabinetto del Maneggio Segreto degli Affari di Stato”. Un ambiente, altamente decorato sia nella volta, con dipinti di Claudio Francesco Beaumont, sia nella boiserie, con specchiere e legni intagliati e dorati. Sempre nella stessa sala sono presenti i due grandi mobili dell’ebanista Pietro Piffetti. I due mobili, uno di fronte all’altro, sono alti più di 3 metri e sono realizzati con legni pregiati, avorio, decorazioni in madreperla e bronzo. Nella saletta attigua che prende il nome di “andito al Pregadio”, si trovano i magnifici pannelli dipinti da Carlo Andrea Van Loo.

Nell’Ottocento i lavori di restauro e modifica sono affidati a Ernesto Melano e Pelagio Palagi che si ispirano all’antichità e alla cultura egizia. Palagi realizzò il grande cancello con le statue di Castore e Polluce, che chiude la piazza antistante il Palazzo. Poco dopo l’Unità d’Italia, lo Scalone d’Onore fu costruito su progetto di Domenico Ferri. La volta dello Scalone d’Onore è stata dipinta da Paolo Emilio Morgari e rappresenta l’apoteosi del re Carlo Alberto e del duca Emanuele Filiberto.

Una volta trasferita la capitale a Roma, il Palazzo è stato trasformato da sede a museo pubblico. Il Giardino fu ridisegnato alla fine del Seicento da André Le Nôtre con varie conche e suggestivi percorsi decorati con fontane e statue. Il giardino è stato negli anni risistemato e restaurato da diversi architetti.

La balaustra è opera di Giovanni Battista Casella “de Monora” e Mattia Solari (1660).

Origini della villa
Il palazzo fa parte di un complesso di edifici, situato nel centro della città, che può certamente essere annoverato tra i più antichi e affascinanti di Torino: è vicino al sontuoso Palazzo Madama, uno dei più singolari accostamenti di arte antica e medievale ., barocco e neoclassico che ricordano. A tal proposito, Palazzo Reale ha origini, se non paragonabili nel tempo al ben più remoto Palazzo Madama, almeno molto prima di quanto possa far sembrare l’austera facciata: originariamente l’edificio era adibito a palazzo vescovile, fino a almeno al XVI secolo, il che suggerisce una fondazione molto più remota.

Lo splendore della residenza vescovile è solo immaginabile, pochissimo si è risparmiato del periodo antecedente al Cinquecento: in ogni caso doveva avere un fascino e una magnificenza superiori al già celebre Palazzo Madama se, all’epoca del Trasferendo la sede ducale da Chambéry a Torino, Emanuele Filiberto I di Savoia la scelse come sua residenza personale, scacciandone il legittimo proprietario, dopo aver trascorso alcuni anni nell’adiacente castello di Palazzo Madama, forse poco adatto per essere elevato a corte.

Fu così che il vescovo fu lasciato ad abitare nell’adiacente Palazzo di San Giovanni, mentre la nuova residenza della corte divenne il Palazzo Ducale di Torino, un passaggio che segnava profondamente l’architettura della piazza e della città stessa: siamo nel Cinquecento, e la geografia urbana della capitale sabauda relega l’edificio ai margini della cinta muraria, rendendolo un facile bersaglio di un ipotetico assedio. Non è un caso, quindi, che sotto Carlo Emanuele II di Savoia la città si espanderà partendo proprio dal lato del palazzo, creando così via Po fino a piazza Vittorio Veneto.

L’epoca d’oro
Con la morte di Carlo Emanuele I di Savoia nel 1630, si comincia a considerare la vera evoluzione del Palazzo, che all’epoca del “Granduca” aveva visto pochissime modifiche, tra cui un tempio circolare interno. La parentesi di Vittorio Amedeo I di Savoia colloca ai vertici del ducato una donna, Maria Cristina di Borbone-Francia, definita “Madama Reale”, grande estimatrice di questi luoghi. Ed è, infatti, per sua volontà che, dopo i disastri causati dall’assedio del 1640, che danneggiò notevolmente l’edificio, furono ricostruiti gli ambienti, chiamando il grande architetto di corte Carlo di Castellamonte, con il figlio Amedeo; hanno realizzato in buona parte la facciata e gli interni, anche se molte delle opere che li hanno contraddistinti sono stati, come si vedrà, vanificati dai successivi ritocchi del palazzo,

L’età dell’oro, quindi, risale ai grandi fasti successivi alla fine dei lavori di ricostruzione, e che possiamo collocare già nel 1656, anno della fine dell’imponente e severa facciata di Amedeo di Castellamonte. Ma, se sotto l’austero regno di Vittorio Amedeo II di Savoia il lusso sembrava svanire dalla corte, ridotto in numero e molto censurato negli usi e nelle frivolezze, ecco che dal 1722, anno delle nozze di Carlo Emanuele, erede di il trono con la principessa palatina Cristina di Baviera-Sulsbach, il lusso è tornato a imperversare nella residenza, almeno al secondo piano, dedicata dal Re di Sicilia, al figlio: i lavori, in questa fase, furono diretti da Filippo Juvarra, e molto altro è stato ottenuto in seguito all’abdicazione di Vittorio Amedeo,

E, se per i preparativi dell’erede Carlo Emanuele Filippo Juvarra fu chiamato a corte, anche per i successivi matrimoni i sovrani non lesinarono la commissione: per le nozze di Vittorio Amedeo III con Maria Antonietta di Borbone-Spagna, Benedetto Alfieri fu su commissione, architetto di corte dal 1739, già noto in Piemonte come grande architetto. Quando poi il secondogenito di Vittorio Amedeo III, Vittorio Emanuele, Duca d’Aosta, ottenne un’ala della residenza, furono Carlo Randoni e Giuseppe Battista Piacenza a ridisegnare gli ambienti che oggi prendono il nome di Appartamenti del Duca d’Aosta.

Anche Carlo Alberto commissionò le ricostruzioni, per le nozze, questa volta, di Vittorio Emanuele II: l’architetto, molto amato da Carlo Alberto, fu Pelagio Palagi, autore dell’enorme cancello, del 1835, visto per la prima volta a Palazzo.

Contemporaneo
Tra il 1799 e il 1815 la residenza ufficiale della famiglia reale e della corte, in esilio da Torino a causa dell’occupazione napoleonica, passò temporaneamente al Palazzo Reale di Cagliari.

Con l’Unità d’Italia, il Palazzo rimase sede della monarchia fino al 1865: in questi anni, e precisamente nel 1862, fu il grandioso Scalone d’Onore, progettato da Domenico Ferri, voluto da Vittorio Emanuele II per celebrare la nascita del nuovo nazione e per rendere il palazzo degno di tale titolo regale: in questa grande sala, grandi tele e statue illustrano momenti e personaggi della storia sabauda. Con un gran numero di arredi ed effetti personali, la famiglia Savoia si trasferì poi a Palazzo Pitti a Firenze, lasciando la prima casa come semplice alloggio per le loro visite a Torino.

Ulteriori lavori furono eseguiti per le nozze di Umberto II di Savoia, nel 1930: la caduta della monarchia nel 1946 lasciò queste stanze nell’oblio, tanto che molte ali dovettero essere pesantemente restaurate, come quelle dei duchi d’Aosta al secondo piano.

Descrizione
I Musei Reali di Torino sono uno dei complessi museali più grandi e vari d’Europa e sono uguali, per dimensioni e valore delle collezioni, alle maggiori residenze reali europee. Si trovano nel cuore della città antica e offrono un itinerario di storia, arte e natura che si snoda attraverso oltre 3 km di passeggiata museale su 30.000 mq di spazi espositivi e di deposito, 7 ettari di giardini, con testimonianze che vanno dalla Preistoria al età moderna.

La loro origine risale al 1563, quando Emanuele Filiberto di Savoia trasferì la capitale del ducato da Chambéry a Torino e iniziò la grande trasformazione urbana e l’arricchimento delle collezioni dinastiche.

Tra il Seicento e il Settecento la residenza, con al centro il maestoso Palazzo Reale, si espanse a forma di città seguendo lo schema ortogonale della prima espansione urbana verso il fiume Po. Abitato dai Savoia fino al 1946, è oggi di proprietà dello Stato italiano.

A partire dal 2014, i Musei Reali hanno riunito in un unico compendio cinque istituzioni precedentemente separate per gestione e controllo: il Palazzo Reale, l’Armeria Reale, la Biblioteca Reale, la Galleria Sabauda, ​​il Museo delle Antichità, i Giardini Reali.

Il palazzo reale

Nel 1563, quando Torino divenne capitale del ducato, Emanuele Filiberto di Savoia stabilì la sua residenza nel palazzo vescovile. Gli stili che caratterizzano l’edificio sono tre: barocco, rococò e neoclassico.

L’esterno
Gli esterni del palazzo, in piazza Castello, si affacciano sulla maestosa scenografia della piazza progettata dal Vittozzi, collegandosi agli altri edifici che insieme formano il grande corpo del palazzo. La solenne facciata che si offre al visitatore da piazza Castello non è quindi l’unica, ma certamente, oltre ad essere l’ente più importante, è anche il più famoso. La grande porta, eretta al posto di un grande portico poi distrutto, fu realizzata dai Palagi, completata dalle pregevoli statue dei due Dioscuri, unite da Abbondio Sangiorgio. Alle spalle del palazzo, poi, si estendono i Giardini del Parco Regio.

Facciata
“… forse solo alla sua facoltà di architettura mancava una borsa di studio più ampia di quella del Re di Sardegna: e questo è testimoniato dai tanti e grandiosi disegni che lasciò morente, e che furono raccolti dal Re, nei quali c’erano moltissimi vari progetti per vari abbellimenti da fare a Torino, e tra gli altri per ricostruire quel muro molto sconcertante, che divide piazza del Castello da piazza del Palazzo Reale, muro che si chiama, non so perché, il Padiglione “.
(Vittorio Alfieri, Vita di Vittorio Alfieri da Asti, cap.28)

Così Vittorio Alfieri, riferendosi allo zio Benedetto Alfieri, affronta il muro esterno del palazzo verso la fine del Settecento: quello che vediamo oggi, decisamente elegante, con la famosa porta Palagi, è infatti diverso da quello che potrebbe avere Apparve agli occhi dell’astigiano: l’aspetto austero del palazzo è in linea con l’architettura barocca, ma priva di fronzoli, di tutta la piazza. La sua facciata, lunga 107 metri, ha un’altezza media di trenta metri, nulla in confronto alla maestosità scenica della Palazzina di Caccia di Stupinigi, ma allo stesso tempo adatta allo scopo assegnato a questo edificio: il centro strategico da cui esercitarsi energia.

Osservando la facciata del palazzo si nota subito la geometria e l’equilibrio dei due padiglioni laterali, firmati dagli architetti Carlo di Castellamonte e Amedeo di Castellamonte, la simmetria è interrotta dal maestoso prospetto, a sinistra, della Cappella del Santo Sindone, destinato a custodire uno dei gioielli più preziosi nelle mani di Casa Savoia, ovvero il Sacro Linteo.

Interni
“L’interno del palazzo reale è sbalorditivo: fino ad ora non saprei che altro paragonarlo nella ricchezza e vivacità dei suoi arazzi, che sembrano quadri. I bei pavimenti, le porcellane, i quadri di ogni scuola, tutto è prezioso: senza di esso non vedresti un angolo, una porta o una finestra “.
(Girolamo Orti, raccolta ampliata di scritti di viaggio)

Questa è l’impressione che ebbe il conte Girolamo Orti visitando gli interni di Palazzo Reale nella prima metà dell’Ottocento, resi così sontuosi dalla maestria degli artisti che vi operarono nei secoli. Bastano pochi nomi per avere raggiunto il livello di raffinatezza: Isidoro Bianchi, Claudio Francesco Beaumont, Rocco Comaneddi, Giuseppe Paladino, Francesco de Mura, Angelo Maria Crivelli, Giovanni (Johann) Carlone, Vittorio Amedeo Cignaroli, Leonardo Marini, Michele Antonio Milocco , Giuseppe Duprà, Massimo d’Azeglio, e poi Jean-Baptiste van Loo, Giuseppe Maria Bonzanigo, Pietro Piffetti: il livello di fregi, decorazioni, arte in generale raggiunse qui alcune delle vette più alte dell’epoca.

Primo piano
Denominato generalmente Primo Piano Nobile, è dominato da uno stile cortese, volto a sottolineare l’importanza della dinastia; Particolare valore è dato ad alcune stanze, tra cui il Chinese Living Room, gran parte dell’opera di Beaumont, già attiva in quel periodo presso la Great Gallery, che poi prese il suo nome, presso la Royal Armoury, l’imponente Gallery of Daniel, da il XVII secolo, affrescato dal viennese Daniel Seiter, la cui magnificenza rivaleggiava con la Galleria degli Specchi di Versailles, che la ispirò prima di essere trasformata, sotto il regno di Carlo Alberto, in una pinacoteca con ritratti di personaggi storici legati alla Casa Savoia .
Di grande valore sono anche il King’s Winter Apartment e la Sala del Trono.

Le stanze del primo piano erano arredate con soffitti intagliati e dorati e grandi dipinti allegorici di Jan Miel e Charles Dauphin, i cui soggetti esaltano le virtù del sovrano secondo il programma del retore di corte Emanuele Tesauro. Nel 1688 Daniel Seyter fu chiamato da Roma per affrescare la galleria da allora conosciuta come “del Daniel”. Nell’appartamento al piano terra intervenne anche Seyter, affiancato dal genovese Bartolomeo Guidobono, poi noto come Madama Felicita.

Alla fine del XVII secolo, la disposizione del giardino fu rivista e ampliata dal famoso architetto francese André Le Notre. Quando Vittorio Amedeo II ottenne il titolo reale, nel 1713, venne creata la cosiddetta “zona di comando”, annessa al palazzo e composta da Segretariati, Uffici, Teatro Regio e Archivio di Stato. Il direttore di questi interventi è stato Filippo Juvarra, autore anche della Scala delle Forbici e del Gabinetto Cinese.

Secondo piano
Si accede al Secondo Piano grazie ad uno dei più grandi capolavori dell’architetto Filippo Juvarra: la scala detta “delle Forbici”, nella quale il Messina ci regala uno dei suoi reperti più ingegnosi e, allo stesso tempo, affascinanti: un imponente marmo scala, che sembra librarsi verso l’alto con una leggera e sinuosa voluta, scarica tutto il suo peso sulle pareti adiacenti, quelle del muro esterno dell’edificio, in modo da non gravare eccessivamente sul pavimento sottostante, realizzato in legno, materiale che , quindi, difficilmente avrebbe sopportato il peso del marmo. In questo caso, Juvarra mantiene le ampie vetrate che si affacciano sul cortile retrostante l’edificio, in modo da fornire all’ambiente, poco spazioso, un’efficace fonte di illuminazione esterna.

La carica di primo architetto reale passò a Benedetto Alfieri, che definì gli elementi decorativi degli appartamenti al secondo piano e allestì le nuove sale dell’Archivio, affrescate da Francesco De Mura e Gregorio Guglielmi.

All’epoca di Carlo Alberto (1831-1849) furono ristrutturate alcune stanze del piano nobile sotto la direzione del Pelagio Palagi, come il Salone degli Svizzeri e la Sala del Consiglio, e altre stanze del secondo piano; nel 1862 fu costruito il nuovo scalone d’onore. Con il trasferimento della capitale da Torino a Firenze e poi a Roma, il palazzo perse progressivamente le sue funzioni di residenza. Dal 1955 è ceduto alla Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici; oggi fa parte dei Musei Reali.

Appartamenti del Principe di Piemonte
Il secondo piano porta una forte impronta, dovuta ai continui lavori commissionati dai sovrani per il loro primogenito, che coniuga, in molte stanze, stili e mode differenti a seconda delle epoche. Questi lavori di riorganizzazione, dovuti al gusto del momento, hanno spesso danneggiato, come già osservato, le opere preesistenti (emblematiche, i soffitti, o gli affreschi); nel 1660 il pittore Giovanni Andrea Casella collaborò all’esecuzione del fregio nella Sala delle Virtù (più tardi nota come Staffieri). A Pietro Somazzi si deve la decorazione a stucco dei vari ambienti.

Per i matrimoni del 1722, 1750 e 1775, quindi, furono effettuati dei rimaneggiamenti che toccarono l’intero piano, prima che fosse condiviso con le stanze del Duca d’Aosta. In particolare, ricordiamo il grande Salone delle Feste, di tipico stile alfieri: la sala, decorata con grandi arazzi raffiguranti le Storie di Don Chisciotte, è poi collegata con l’altrettanto affascinante Pinacoteca di Beaumont, che fungeva da collegamento con le ali di Vittorio Emanuele IO.

Di impronta tipicamente palagiana invece hanno le Tre Anticamere (Sala Guardie del Corpo, Sala Staffieri, Sala Paggi), e le stanze utilizzate, nel Novecento, come stanze private della Principessa Maria José: soffitti e pavimenti, recanti ancora tracce dei disegni preferiti da Carlo Alberto di Savoia.

Appartamenti del Duca d’Aosta
Dominati dalle orme di Piacenza e Randoni, oltre che dalla sapiente manifattura di Bonzanigo, gli appartamenti ducali sono destinati a Vittorio Emanuele I, duca d’Aosta, e alla moglie Maria Teresa. La loro ubicazione, nella pianta dell’edificio, li colloca nell’area adiacente all’edificio dell’Armeria Reale.

Di rilievo in queste stanze è il piccolo Gabinetto Cinese, crogiolo di stucchi e lacche orientali, sapientemente lavorato da Bonzanigo e dal suo team per ricreare immagini tipiche del favoloso Oriente.

Armeria reale

L’Armeria Reale di Torino è una delle più ricche collezioni di armi e armature antiche al mondo insieme all’Armeria Reale di Madrid, l’Armeria Imperiale di Vienna e quella dei Cavalieri di Malta. Queste armi, ammirevoli per la loro manifattura e per gli ornamenti metallici con disegni e sculture in bassorilievo o altorilievo o in cavità e dorature e opera d’arte, l’Armeria Reale è ricchissima.

L’Armeria Reale situata nel manicotto di collegamento tra il Palazzo Reale e le Segreterie di Stato (oggi sede della Prefettura), all’interno di un complesso appartenente al sito UNESCO delle Residenze Sabaude, iscritta nella Lista del Patrimonio Mondiale dal 1997. L’Armeria fa parte dei Musei Reali di Torino, che dal 2012 riuniscono il Palazzo Reale, la Galleria Sabauda, ​​il Museo Archeologico e la Biblioteca Reale.

La struttura comprende lo scalone di Benedetto Alfieri (1738-1740), la sala della Rotonda (1842), la galleria Beaumont, progettata da Filippo Juvarra (1732-1734), completata da Alfieri dopo il 1762 e decorata ad olio su muro da Claudio Francesco Beaumont, che ha rappresentato sulla volta le Storie di Enea (1738-1743), e infine il medagliere disegnato da Pelagio Palagi (1835-1838).

Storia
L’idea di istituire un museo dedicato alle armi risale alla fine del 1832 quando Carlo Alberto, dopo aver fondato la “Regia Pinacoteca”, iniziò a raccogliere nella Galleria Beaumont, ormai svuotata delle grandi tele che ornavano le pareti, le armi di proprietà dei Savoia. Nel 1837 l’Armeria fu aperta al pubblico.

Partendo dal nucleo di armi del Museo delle Antichità e degli arsenali di Torino e Genova, la collezione è stata notevolmente ampliata con l’acquisto delle collezioni appartenenti allo scenografo milanese Alessandro Sanquirico (1833) e alla famiglia Martinengo della Fabbrica di Brescia ( 1839).). Anche successivamente l’Armeria continuò ad arricchirsi di altre armi e cimeli provenienti sia dalle collezioni personali dei re d’Italia sia da acquisti e donazioni, spesso legati all’attività diplomatica. Da quest’ultimo derivano, ad esempio, armi e armature orientali e africane.

Nel 1842 le sale della Rotonda furono aggiunte alla Galleria Beaumont, progettata da Pelagio Palagi, concepita per ospitare le più recenti collezioni del museo Carloalbertino, compresa la collezione di armi orientali. Questo settore si arricchì ulteriormente dopo il 1878 con la donazione delle collezioni personali di Carlo Alberto e Vittorio Emanuele II. Con l’avvento della Repubblica nel 1946, l’Armeria – fino ad allora alle dipendenze del Ministero della Casa Reale – divenne un museo statale.

Dopo una serie di lavori di risistemazione e restauro ultimati nel 2005, la struttura storicizzante della collezione è stata restaurata secondo criteri scenografici. L’Armeria conta attualmente più di 5.000 oggetti che vanno dalla preistoria ai primi del Novecento, tra cui uno dei nuclei più importanti è costituito da armi e armature cinquecentesche. All’Armeria è annesso anche il Real Medal Cabinet, destinato a raccogliere, nei preziosi mobili palagiani, la collezione di monete e una selezione di pezzi d’antiquariato classici e oggetti preziosi di Carlo Alberto.

Opere esposte
L’Armeria contiene numerosi tipi di armi e armature, dal Neolitico al XX secolo. Preziose armi medievali, numerosi esemplari dei secoli XVI, XVII e XVIII, molti pezzi appartenuti ai sovrani sabaudi.

Gli oggetti provenivano inizialmente dagli Arsenali di Torino e Genova e dalle collezioni del Museo delle Antichità. A questi si aggiunsero esemplari acquistati nel mercato antiquario, tra cui l’importante collezione dello scenografo milanese Alessandro Sanquirico (1833) e la cospicua collezione appartenuta alla famiglia bresciana Martinengo della Fabbrica (1839). Nel 1840 il Museo si dotò del suo primo catalogo che descriveva 1554 oggetti e conteneva una serie di riproduzioni litografiche utili per facilitarne lo studio e la promozione.

Tra i pezzi più importanti la spada di San Maurizio, preziosa reliquia appartenuta alla famiglia Savoia, databile al XIII secolo e custodita insieme alla sua cassa quattrocentesca in cuoio sbalzato, dorato e dipinto; il morso del cavallo decorato a smalti, di manifattura napoletana della metà del Trecento; il trio di lanciatori a ruota a tre canne appartenuti all’imperatore Carlo V d’Asburgo; la targa da parata di Enrico II; le armature di Emanuele Filiberto e quelle dell’armatore milanese Pompeo della Cesa; un moschetto e un bus di prua riccamente decorati in avorio dall’incisore tedesco Adam Sadeler (1600 circa); la spada usata da Napoleone Bonaparte nella campagna d’Egitto e nella battaglia di Marengo; le armi appartenute ai re di Sardegna e poi d’Italia, tra cui l’armatura giapponese offerta nel 1870 a Vittorio Emanuele II di Savoia e un revolver modello russo Smith & Wesson donato a Vittorio Emanuele III. Degna di nota è anche la raccolta di oltre 250 bandiere, per lo più legate alla storia dei Savoia e dell’esercito sardo durante le guerre del Risorgimento italiano.

Il medagliere deriva dal Gabinetto delle Medaglie del Re Carlo Alberto di Savoia, che nel 1832 acquistò la collezione di monete antiche e medievali di Domenico Promis, che fu contemporaneamente nominato curatore del Gabinetto. Attraverso acquisti e regali, la collezione di monete, medaglie e sigilli è stata aumentata fino alla consistenza attuale di circa 33.000 pezzi. Tra il 1835 e il 1838 Carlo Alberto aveva una sala annessa alla Galleria Beaumont appositamente riorganizzata dall’architetto Pelagio Palagi, che a tale scopo progettò i mobili neogreci, in cui sono esposti vari pezzi di antiquariato e preziosi oggetti provenienti dal Palazzo Reale.

Galleria Sabauda

La Galleria Sabauda è una pinacoteca situata a Torino ed è una delle più importanti raccolte pittoriche d’Italia. Il Palai du Roy conferma una quantità immensa delle Tavole dei più grandi maestri delle Scuole d’Italia e delle Fiandre. Sono ben conservati e sistemati con tutto il gusto e l’ordine che potrebbero essere nell’armadio di un curioso e di un dilettante. Ospitato nella Manica Nuova del Palazzo Reale, all’interno del complesso dei Musei Reali di Torino, ospita oltre 700 dipinti che vanno dal XIII al XX secolo.

Tra i contenuti più interessanti c’è una raccolta particolarmente importante di autori piemontesi, tra cui Giovanni Martino Spanzotti, Macrino d’Alba, Gerolamo Giovenone, Bernardino Lanino, Il Moncalvo, Tanzio da Varallo, Gaudenzio Ferrari e Defendente Ferrari, un vasto assortimento di opere prodotte dai maggiori nomi della pittura italiana, come Beato Angelico, Duccio di Boninsegna, Piero del Pollaiolo, Andrea Mantegna, Bronzino, Filippino Lippi, Daniele da Volterra, Il Veronese, Tintoretto, Guercino, Orazio Gentileschi, Giambattista Tiepolo, Guido Reni, Bernardo Bellotto e uno dei migliori gruppi italiani di pittura di scuola fiamminga, con nomi come Van Dyck, Rubens, Rembrandt, il Brueghel, Memling e Van Eyck.

Storia
La Galleria Sabauda nasce nel 1832 per volontà di Carlo Alberto, accogliendo inizialmente le collezioni del Palazzo Reale di Torino, della Galleria Sabauda e di Palazzo Durazzo a Genova (acquistato nel 1824), accresciute con acquisti e donazioni lungo il corso del Ottocento per integrare o colmare le lacune presenti nelle collezioni sabaude, soprattutto per quanto riguarda il Rinascimento italiano.

La Galleria Reale è stata inizialmente allestita al piano nobile di Palazzo Madama; nel 1860 fu venduto allo Stato da Vittorio Emanuele II e nel 1865 il museo fu spostato al secondo piano del palazzo dell’Accademia delle Scienze. Nel 1930 la Pinacoteca fu ulteriormente arricchita dalla donazione della collezione d’arte antica dell’industriale piemontese Riccardo Gualino comprendente dipinti, sculture, oggetti preziosi, mobili e reperti archeologici di epoche e culture diverse, che fu allestita come casa-museo.

Nel dicembre 2014 il Museo ha cambiato sede e le sue collezioni sono state ricollocate nella cosiddetta Manica Nuova di Palazzo Reale, realizzata tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento dall’architetto di corte Emilio Stramucci. Attualmente sono esposte circa 500 opere di artisti piemontesi, italiani, olandesi, fiamminghi ed europei su quattro livelli di visita in un arco cronologico che va dal XIV al XX secolo.

Tra le opere dei maestri italiani dal XIV al XVI secolo si possono ammirare dipinti di Beato Angelico, Pollaiolo, Filippino Lippi, Mantegna e Paolo Veronese. Sono esposte opere di pittori piemontesi come Martino Spanzotti, Defendente Ferrari, Macrino d’Alba e Gaudenzio Ferrari.

Collezione
Tra i dipinti italiani del Seicento e del Settecento possiamo annoverare opere lombarde e caravaggesche, tra cui la bellissima Annunciazione di Orazio Gentileschi, capolavori di Guido Reni, Guercino, Sebastiano Ricci, Francesco Solimena, Giuseppe Maria Crespi e le celebri vedute di Torino realizzate da Bernardo Bellotto.

La Galleria Sabauda vanta anche una ricca presenza di dipinti di scuola fiamminga e olandese dal XV al XVII secolo: tra i primitivi ci sono le tavole di Jan van Eyck, Rogier van der Weyden, Hans Memling. Di straordinaria importanza e qualità pittorica sono il Ritratto di vecchio di Rembrandt van Rijn, le due tele raffiguranti Ercole e Dejanira di Pieter Paul Rubens, i figli di Carlo I d’Inghilterra e il principe Tommaso di Savoia-Carignano a cavallo, di Anton van Dyck. Opere di Gerard Dou, Paulus Potter e David Teniers provengono dalla pinacoteca del principe Eugenio di Savoia Soissons (1663-1736), grande comandante al servizio della corte viennese e colto collezionista.

Museo delle antichità

Il Museo delle Antichità di Torino, o Museo Archeologico, nasce nel 1940 con la separazione delle collezioni egizie (che andarono a costituire la base dell’attuale Museo egizio) e delle collezioni greco – romane degli allora regi egizi greco-romani raccolta dai Savoia a partire dal XVI secolo. Conserva inoltre numerose testimonianze dell’antico Piemonte, con sale dedicate alla storia di Torino che si affacciano sui resti del teatro romano.

Attorno al portico al piano terra sono incastonate nel muro lapidi, figure romane e colonne scavate nella demolizione dei borghi e dei bastioni della città, e in varie altre parti del Piemonte, e soprattutto tra le rovine di l’antica città dell’Industria, che si trovava a Monteu di Po. Su questo stesso piano terra si trova un museo di antichità, distribuito in varie stanze, dove sono contenute cose molto preziose.

Il Museo delle Antichità si compone di diverse Sezioni:
la Manica Nuova, con la mostra di Archeologia a Torino e le Sale del Tesoro di Marengo
il Territorio, dedicato all’archeologia del Piemonte e le “Mostre in passerella”
le Collezioni, il nucleo “storico” del Museo e l’allestimento del Papiro Artemidoro
Dal 2013 il piano interrato della Manica Nuova di Palazzo Reale è sede del rinnovato allestimento del Tesoro di Marengo e della Mostra di Archeologia a Torino che presenta i materiali archeologici della città, provenienti dalle collezioni di studiosi del Cinquecento , accresciuto dagli antiquari dei secoli successivi e confluito nelle collezioni reali, insieme alle nuove acquisizioni derivanti da recenti scavi archeologici. La sezione si collega con l’area archeologica del teatro romano che in parte contiene e si affaccia.

La sezione del Territorio è stata allestita, dal 1998, in una nuova struttura architettonica, in parte interrata, che espone i materiali archeologici rinvenuti in Piemonte nel passato e negli scavi più recenti. Un ideale viaggio a ritroso nel tempo si snoda lungo il percorso espositivo per incontrare, come nelle realtà dello scavo archeologico, le tante e sorprendenti testimonianze del Piemonte antico. Piccole mostre temporanee si alternano sulla passerella di collegamento tra la Manica Nuova e il padiglione delle Collezioni.

Le Collezioni Storiche (in parziale riordino) rappresentano il nucleo originario del Museo formatosi quando il duca Emanuele Filiberto di Savoia (1553-1580) iniziò la raccolta delle antichità, incrementata dai suoi successori e riordinata da Vittorio Amedeo II, re di Sardegna, che dona all’Università degli Studi di Torino. Le collezioni archeologiche rinvenute nel 1989 ospitano le Arance di Palazzo Reale, sede dell’allestimento del Papiro di Artemidoro dal 2014.

Biblioteca reale
La Biblioteca Reale di Torino è una delle istituzioni culturali più importanti della città, ospita oltre 200.000 volumi, mappe antiche, incisioni e disegni, come il famoso “Autoritratto” di Leonardo da Vinci. La particolare Biblioteca del Re è ricca delle più scelte e belle edizioni moderne di opere appartenenti alla storia, ai viaggi, alle arti, all’economia pubblica e alle scienze varie. Ci sono più di 30.000 volumi a stampa, di cui alcuni in pergamena e miniati.

Storia
Fu fondata nel 1839 da Carlo Alberto, che incaricò il conte Michele Saverio Provana del Sabbione di raccogliere quanto restava del patrimonio librario a Palazzo Reale dopo la donazione di Vittorio Amedeo II all’Università di Torino, e quanto era stato sottratto al saccheggi dell’età napoleonica.

Alle raccolte residue Carlo Alberto aggiunse i propri libri e tutti i volumi che gli furono donati da vari donatori. Il bibliotecario Domenico Promis ha poi svolto un ruolo fondamentale nello sviluppo della biblioteca, individuando la possibilità di creare una raccolta specializzata nella storia degli antichi stati sardi e in temi militari, araldici e numismatici.

Nel 1840 la biblioteca possedeva già 30.000 volumi, tutti di notevole valore. La crescita del patrimonio ha comportato la sua sistemazione nell’ala sottostante la Galleria Beaumont, nelle sale allestite dall’architetto Pelagio Palagi. I pittori Marco Antonio Trefogli e Angelo Moja, su disegno del Palagi, hanno dipinto in monocromo la volta a botte del salone centrale, come attestano i fogli di pagamento del 1841.

La crescita dell’istituzione rallentò notevolmente con l’avvento al trono di Vittorio Emanuele II, poco sensibile alla cura dei libri, e con il trasferimento della capitale prima a Firenze e poi a Roma.

I re, tuttavia, continuarono a inviare a Torino i libri ricevuti in dono.

Un’importante acquisizione fu determinata attraverso il dono del codice sul volo degli uccelli da parte di Leonardo da Vinci da parte del conte Teodoro Sabachnikoff.

L’avvento della Repubblica nel secondo dopoguerra vide la biblioteca passare, seppur dopo una lunga controversia con la famiglia Savoia conclusasi nel 1973, allo Stato italiano.

Eredità
La biblioteca contiene attualmente circa 200.000 volumi a stampa, 4.500 manoscritti, 3.055 disegni, 187 incunaboli, 5.019 del XVI secolo, 20.987 opuscoli, 1.500 pergamene, 1.112 periodici, 400 album fotografici e numerose incisioni e carte geografiche.

L’autoritratto di Leonardo da Vinci
Tra i materiali conservati, la reliquia più importante è l’autoritratto di Leonardo da Vinci, venduto al re Carlo Alberto dal collezionista Giovanni Volpato nel 1839 e custodito in una sezione sotterranea della biblioteca.

I disegni della scuola svizzera
Nella raccolta di disegni, accanto ai capolavori di Hans Burgkmair, Albrecht Dürer, Wolfgang Huber, Nicolas Knüpfer, Christian Wilhhelm Ernst Dietrich, nella sezione dedicata ai maestri della cultura tedesca, ci sono solo tre esempi della scuola svizzera.

Con l’acquisto da parte di Carlo Alberto della collezione Giovanni Volpato nel 1839, entrarono nella collezione un autografo del pittore settecentesco Sigmund Freudenberger e due disegni dell’artista cinquecentesco Urs Graf. Queste, a penna e inchiostro grigio e nero, raffigurano Due coppie di contadini danzanti, risalgono al 1528 e sono firmate con il monogramma usato da Graf dal 1518, una lettera G attraversata dal pugnale.

I due fogli fanno parte di una serie di altri disegni con lo stesso soggetto conservati rispettivamente a Parigi (École des Beaux-Arts), Abbazia di Saint-Winoc (Bergues Museum), Basilea e Berlino (Kupferstichkabinett) e al Paul Getty Museum. di Los Angeles C’è un riferimento allo stesso tema creato da Albrecht Dürer nel 1514, ma qui Graf ha voluto sottolineare la depravazione e la carnalità dei due, con volti invecchiati e abiti lacerati

Cappella della Sacra Sindone

Sopra una rotonda interamente in marmo nero, con archi e pilastri di belle e ampie proporzioni, si eleva la cupola a zone esagonali sovrapposte e alternate, leggera e fantastica come nei templi indiani; raggiunta una certa altezza, la parte interna converge rapidamente, ed è tutta bucata da luci triangolari, finché lo spazio, reso angusto, viene chiuso da una stella scolpita che lascia intravedere attraverso i suoi scomparti un’altra volta su cui è dipinto il Santo Spirito in gloria .

Le vicende storico-architettoniche che hanno portato alla costruzione della Cappella della Sacra Sindone nella sua attuale configurazione sono molto lunghe e travagliate e coprono un arco temporale di circa ottant’anni (1611-1694).

La Cappella della Sacra Sindone fu originariamente commissionata dal Duca Carlo Emanuele di Savoia a Carlo di Castellamonte (1611) per conservare la preziosa reliquia, custodita dalla famiglia ducale sabauda dal 1453 e trasportata a Torino nel 1578.

Nel tempo, però, i progetti furono prima modificati da Amedeo di Castellamonte, figlio di Carlo di Castellamonte, e, dopo di lui, dallo svizzero Bernardino Quadri (1657), che si occupò del progetto di un edificio a base quadrata posto tra palazzo ducale (ex palazzo vescovile e futuro palazzo reale) e l’abside del Duomo di San Giovanni Battista.

Nel 1667 il progetto fu infine affidato al frate teatino, grande architetto del barocco, Guarino Guarini che rivoluzionò e completò (fino al 1683, anno della sua morte) il progetto di Bernardino Quadri realizzando la pianta interna circolare rialzata di un livello rispetto al presbiterio del Duomo, ponendolo così direttamente in comunicazione con gli ambienti aulici del primo piano del Palazzo Reale.

Il cantiere si chiuse definitivamente nel 1694, quando la reliquia della SS. La Sindone è stata spostata nella Cappella del Guarini per essere collocata nell’altare centrale progettato da Antonio Bertola.

Nella prima metà dell’Ottocento la Cappella della Sacra Sindone venne infine adornata con quattro gruppi scultorei commissionati dal Re Carlo Alberto rappresentanti le grandi figure di Casa Savoia (Tommaso I, Amedeo VIII, Emanuele Filiberto e Carlo Emanuele II di Savoia ).

Dal 1694 fino ai primi anni novanta del Novecento, la Cappella della Sacra Sindone custodì la preziosa reliquia, oggi conservata nel transetto del Duomo di Torino.

Nella notte tra l’11 e il 12 aprile 1997, la Cappella della Sacra Sindone fu interessata da un incendio di vaste proporzioni che danneggiò profondamente l’edificio, rendendo necessario un lungo e impegnativo restauro architettonico e strutturale, finalizzato al ripristino della sua propria capacità portante e propria immagine. Questo intervento, che rappresenta uno dei più complessi che siano mai stati affrontati nell’ambito di questa disciplina, anche in considerazione del fatto che la struttura resistente della Cappella della Sacra Sindone non era mai stata indagata prima, sta andando alla conclusione fase, sotto la direzione di un’apposita Commissione, composta da rappresentanti degli Istituti del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e del Turismo (Segreteria Regionale per il Piemonte, Musei Reali

Dopo il lungo e difficile restauro, la mirabile architettura barocca di Guarino Guarini è finalmente tornata al mondo, accessibile al pubblico nel percorso dei Musei Reali. La cerimonia di apertura è prevista per giovedì 27 settembre 2018 e il pubblico potrà ammirare la Cappella della Sindone da venerdì 28 a domenica 30 settembre con uno speciale biglietto d’ingresso da 3 Euro. Da martedì 2 ottobre l’accesso sarà compreso nel consueto biglietto dei Musei Reali. Il restauro è stato finanziato dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali con il sostegno di Compagnia di San Paolo, Fondazione La Stampa – Specchio dei Tempi, Assessorato alla Valorizzazione dei Beni Artistici e Culturali di Torino, IREN e Performance in Lighting.

Palazzo Chiablese

Le sale al piano terra di Palazzo Chiablese, storicamente destinate ad ambienti di servizio e quasi prive di decorazioni, ospitano le mostre temporanee dei Musei Reali. Le mostre sono spesso dedicate a grandi artisti internazionali e permettono al visitatore di fare un viaggio nella storia e nell’arte, dall’epoca romana al Novecento.

Palazzo Chiablese è uno dei palazzi nobiliari del centro storico di Torino, le cui vicende sono legate alla storia della Real Casa Savoia. Appartenente agli edifici che compongono la zona di comando, è collegata al Palazzo Reale da un passaggio interno e presenta l’ingresso principale e la storica veduta di Piazza San Giovanni.

Di impianto seicentesco, il Palazzo fu ridisegnato nel 1753 dall’architetto Benedetto Alfieri per conto del Re per essere adibito a residenza di Benedetto Maria Maurizio, Duca di Chiablese, da cui prende il nome. Risale a questo periodo la maestosa scalinata che conduce al piano nobile, dove si trovano sontuose decorazioni, stucchi, suppellettili, porte dipinte e boiserie.

Il Palazzo, utilizzato nei secoli come residenza dei Savoia, è stato danneggiato durante la Seconda Guerra Mondiale e successivamente è passato allo Stato che lo ha restaurato e utilizzato come sede della Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Piemonte e delle Soprintendenze .

Le sale al piano terra di Palazzo Chiablese, storicamente destinate ad ambienti di servizio e quasi prive di decorazioni, ospitano le mostre temporanee dei Musei Reali. Le mostre sono spesso dedicate ai grandi artisti internazionali e permettono al visitatore di fare un viaggio nella storia e nell’arte, dall’epoca romana al Novecento.

I giardini reali

I Giardini Reali di Torino sono aree verdi situate alle spalle del Palazzo Reale e del Palazzo della Prefettura – Armeria Reale, nel cuore di Torino, tra piazza Castello e corso San Maurizio; la parte inferiore dei giardini è pubblica. Emanuele Filiberto volle fare capitale del suo guerriero ducato, i Giardini Reali del Palazzo presero forma come ispirazione ai maggiori palazzi d’Europa, poi decorati con eleganti giardini, una sorta di idea toscana (basti pensare alle ville medicee).

I giardini principali di Torino sono sei, e due di essi, il Valentino e il Giardino Reale, possono competere con qualsiasi altro di questo genere in termini di ampiezza, vaghezza ed eleganza di forma, disegno, viali. Il Giardino Reale, che per gentile concessione del Sovrano è liberamente aperto al pubblico e come tale può essere considerato ad uso pubblico, è una delle passeggiate più piacevoli per torinesi e stranieri. E nel cuore della città, annessa al Palazzo Reale e sorto dove un tempo c’erano i bastioni, baluardo della metropoli.

Alle spalle del palazzo, verso la tangenziale, si trova il R. Giardino sorretto dagli antichi bastioni. Lo ha fatto nel genere normale, introdotto da Le Nôtre per i giardini di Luigi XIV, i francesi Dupac o Duparc. È adornata da una grande fontana con Tritoni, vasi e statue. Alcune delle sue parti erano semplicemente in stile moderno. La cosa più deliziosa è l’ampio viale accanto alle segreterie.

I Giardini Reali si estendono dietro il Palazzo Reale e, ciò che è visibile oggi, è in gran parte opera dell’architetto André Le Nôtre. Le Nôtre, già attivo alla corte di Versailles, per ordine dei Borbone, rifletteva quella che era una caratteristica dei giardini nobiliari europei, i giochi d’acqua e la prospettiva floreale. Già all’epoca di Carlo Emanuele I e Vittorio Amedeo I il giardino aveva subito notevoli ampliamenti, ma è sostanzialmente dalla fine del Seicento che, con l’opera di De Marne (che realizzò i progetti di de Nôtre), i veri fasti.

Storia
Quando iniziarono a sorgere, si trovavano all’estrema periferia di quella Torino sabauda che Emanuele Filiberto voleva rendere capitale del suo guerriero ducato. Prendono forma ispirandosi ai maggiori palazzi d’Europa, poi abbelliti da eleganti giardini, una sorta di idea toscana (basti pensare alle ville medicee).

Ciò che è visibile oggi è in gran parte l’opera dell’architetto André Le Nôtre, già attivo alla corte di Versailles per ordine dei Borbone e che rifletteva quella che era una caratteristica dei giardini nobiliari europei: i giochi d’acqua e le prospettive floreali. Già in epoca di Carlo Emanuele I e Vittorio Amedeo I di Savoia, il giardino aveva subito notevoli ampliamenti, ma è sostanzialmente dalla fine del Seicento che i veri e propri splendori.

Al centro della parte recintata dei giardini è visibile una vasca in marmo bianco con al centro la Fontana della Nereide e dei Tritoni, più semplicemente chiamata “Fontana dei Tritoni”. Si tratta di un’opera raffigurante figure mitologiche: una Nereide (ninfa del mare) circondata da Tritoni (i figli del dio Poseidone. A sua volta, il bacino è circondato da dodici statuette di esseri per metà umani e per metà acquatici. L’opera è stata concepita. Dal lo scultore di corte Simone Martinez (1689-1768) nel 1765-1768, attualmente è in grave degrado e dovrebbe essere restaurato.

Triste degrado dell’intero complesso verde avvenne durante il periodo napoleonico, durante il quale non furono mancati saccheggi e saccheggi, terminati solo nel 1805 in seguito alla nomina del giardino a Parco Imperiale. Prima del ritorno dei Savoia, a seguito della Restaurazione, a quel Giuseppe Battista Piacenza che aveva già lavorato al secondo piano di Palazzo Reale fu incaricato di restaurare alcune statue settecentesche raffiguranti le Quattro Stagioni e grandi vasi celebrativi provenienti dalla reggia di Venaria Reale, e in fondo questa fu l’ultima grande modifica che subì il giardino; altre statue furono collocate verso la fine dell’Ottocento, quando, per volontà di Vittorio Emanuele II, furono collocate qui le rappresentazioni marmoree di Amedeo VI di Savoia, Vittorio Amedeo I e Vittorio Amedeo II,

disposizione
I Giardini Reali costituiscono un’area verde urbana unica per valore monumentale ed ambientale, si sviluppano nella porzione ancora racchiusa dai Bastioni, su una superficie complessiva di circa sette ettari. Il primo impianto risale al tempo di Emanuele Filiberto di Savoia (1528-1580) e successivamente importanti modifiche ebbero luogo alla fine del Seicento e nel 1886. Il percorso comprende il Giardino Ducale, a nord del Palazzo Reale, il Giardino delle Arti ad est, derivante dall’ampliamento voluto da Carlo Emanuele II (1634-1675) e il Boschetto, nel settore nord-est, di origine ottocentesca. L’arredo in pietra ha il suo fulcro nella fontana dei Tritoni di Simone Martinez (1756), con grandi vasi di Ignazio e Filippo Collino, statue e panchine.

Nel 1997, in seguito al tragico incendio che colpì la Cappella della Sindone, i Giardini Reali furono chiusi al pubblico. Nel 2008 sono iniziati i lavori di restauro, finanziati dal Fondo Europeo di Sviluppo Regionale, che hanno portato alla parziale riapertura nel 2016, mentre nell’area del Giardino delle Arti sono in corso i lavori di restauro che si concluderanno nel 2018. Nel biennio 2018-2019 saranno completati gli interventi di miglioramento del Giardino del Duca e del Giardino delle Arti, al termine dei quali i Giardini Reali saranno restituiti al pubblico nel loro antico splendore.

Il Giardino del Duca
L’area del Giardino Ducale è la più antica dei Giardini Reali. I lavori hanno consentito il recupero dell’intervento tardo ottocentesco dei fratelli Roda voluto nel 1886 da Umberto I, in occasione delle nozze del fratello Amedeo Ferdinando con Maria Letizia Bonaparte. Al centro del giardino è stata collocata una fontana con zampilli, ripresa dai disegni storici del giardino. Il bordo della vasca è costituito da lastre di granito recuperate dalle cave di pietra che Guarino Guarini scelse nel XVII secolo per ottenere i marmi che ornavano la Cappella della Sindone.

Il boschetto
La trasformazione del Boschetto, grazie all’intervento dell’architetto Paolo Pejrone, trova una nuova veste. Ai piedi dei grandi alberi viene allestito un nuovo sottobosco: una coltre di piante da ombra, arbusti ed erbacee crea un gioco di ombre, mentre ampi viali ortogonali definiscono gli spazi in grandi aiuole di forma regolare. All’interno del Boschetto è permanentemente collocata l’installazione Pietre Preziose dell’artista Giulio Paolini: i marmi originali, danneggiati dal fuoco, provenienti dalla Cappella della Sacra Sindone, capolavoro seicentesco di Guarino Guarini che ha conservato la Sacra Sindone, prendono nuova vita e diventare un’opera d ‘arte. Nelle parole di Giulio Paolini: “Qualcuno (l’autore) è qui, secoli dopo, a notare un’architettura in rovina, frammenti caduti e deviati dalla loro collocazione originaria”.

Il Giardino delle Arti
Ottenuto dalla costruzione dei nuovi bastioni a seguito dell’ampliamento della città voluto da Carlo Emanuele II (1634-1675), il Giardino delle Arti, propone la disposizione assiale di viali e prospettive disegnate da André Le Nôtre (1613-1700), il progettista dei giardini di Versailles. I lavori di restauro di quest’area dei Giardini prevedono un restauro conservativo riproponendo l’ingresso quadrato a valle dello scalone dell’Appartamento Levante del Palazzo. La leggera pendenza del viale centrale crea una spettacolare fuga prospettica che conduce all’affascinante Fontana delle Nereidi e dei Tritoni, realizzata nel 1755 dallo scultore Simone Martinez. All’interno della vasca, le figure mitologiche giocano con l’acqua in un tripudio di getti voluti dal Re.

Le mura e il “Garittone”
I Giardini Reali sono delimitati dalle antiche mura della città di Torino. Lungo il perimetro delle mura si trova l’edificio del “Garittone” o Bastione Verde, edificio eretto alla fine del Seicento a scopo difensivo e militare e situato in corrispondenza del Bastione di San Maurizio. Progettato dall’architetto di corte Ascanio Vittozzi, è riconoscibile per il suo tetto spiovente in stile francese, e fu utilizzato dalle Reali Madame come specchio verso la pianura che si estendeva fuori dalle mura cittadine.

I giardini inferiori
Questa parte dei Giardini Reali è separata dai Giardini Reali Superiori dai bastioni delle mura della città. All’interno di questi giardini, l’edificio che un tempo era utilizzato come Serra Reale o Orangerie, oggi ospita il Museo Archeologico. Nel 1864 una porzione del giardino inferiore fu adattata per ospitare il Regio Giardino Zoologico, su commissione di Vittorio Emanuele II.