Sala di Umberto Boccioni, Museo del Novecento

Al primo piano ci sono opere della collezione Jucker e dei futuristi. Di particolare interesse, tra le opere dell’artista futurista Boccioni (1882-1916), uno dei vari esemplari della famosa scultura Forme uniche di continuità nello spazio, esposte nella sala dedicata all’artista.

La Collezione inizia con un tributo ai movimenti internazionali d’avanguardia, con dipinti dei primi del 1900 di Pablo Picasso, Georges Braque, Paul Klee, Kandinsky e Amedeo Modigliani. La mostra continua con il futurismo, rappresentato da un nucleo di opere d’arte uniche al mondo, che espongono Umberto Boccioni, Giacomo Balla, Fortunato Depero, Gino Severini, Carlo Carrà e Ardengo Soffici.

Biografia
Umberto Boccioni (19 ottobre 1882 – 17 agosto 1916) fu un influente pittore e scultore italiano. Ha contribuito a modellare l’estetica rivoluzionaria del movimento futurista come una delle sue figure principali. Nonostante la sua breve vita, il suo approccio al dinamismo della forma e alla decostruzione di solidi artisti di massa guidati molto dopo la sua morte. Le sue opere sono conservate in numerosi musei d’arte pubblica e nel 1988 il Metropolitan Museum of Art di New York ha organizzato una grande retrospettiva di 100 pezzi.

I genitori di Umberto erano Raffaele Boccioni e Cecilia Forlani, originari di Morciano di Romagna (25 km da Rimini). Il padre, che ha lavorato come prefetto usciere, è stato costretto a trasferirsi in Italia in base alle esigenze di servizio. Umberto nacque il 19 ottobre 1882 a Reggio Calabria; qui frequentò le prime classi della scuola elementare, successivamente la famiglia si trasferì a Forlì, poi a Genova e Padova. Nel 1897 arrivò l’ordine per un nuovo trasferimento a Catania. Questa volta la famiglia si separò: Umberto e suo padre andarono in Sicilia; la madre con la sorella maggiore Amelia, nata a Roma, rimase in Veneto. A Catania Umberto frequentò l’istituto tecnico fino all’ottenimento del diploma. Collaborò con alcuni giornali locali e scrisse il suo primo romanzo: Pene dell’anima che porta la data del 6 luglio 1900.

Nel 1901 Umberto si trasferì a Roma, dove suo padre fu trasferito di nuovo. Visita spesso la casa di zia Colomba. In breve tempo si innamora di una delle sue figlie, Sandrina. Umberto ha circa vent’anni e frequenta lo studio di un artista di poster, dove apprende i primi rudimenti della pittura. In questo periodo incontra Gino Severini, con il quale frequenta, a Porta Pinciana, lo studio del pittore divisionista Giacomo Balla. All’inizio del 1903 Umberto e Severini frequentano la Free School of Nude, dove incontrano Mario Sironi, anch’egli allievo di Balla, con il quale stringeranno un’amicizia duratura. In quell’anno Umberto dipinse la sua prima opera Campagna Romana o Meriggio.

Con l’aiuto di entrambi i genitori riesce a viaggiare all’estero: la prima destinazione è Parigi (aprile-agosto 1906), seguita dalla Russia da cui ritorna nel novembre dello stesso anno. A Parigi conobbe Augusta Popoff: dalla loro relazione nacque un figlio, Pëtr (Pietro) nell’aprile del 1907. Nell’aprile del 1907 Umberto si iscrisse alla Free School of Nude del Royal Institute of Fine Arts di Venezia. Comincia un altro viaggio in Russia, ma lo interrompe a Monaco, dove visita il museo. Al suo ritorno disegna, dipinge attivamente, pur restando insoddisfatto perché sente i limiti della cultura italiana che considera ancora essenzialmente “cultura provinciale”. Nel frattempo, affronta le sue prime esperienze nel campo dell’incisione.

Nell’autunno del 1907 andò a Milano per la prima volta, dove sua madre e sua sorella vivevano da alcuni mesi. Capisce immediatamente che è la città più di altre in aumento e che corrisponde alle sue aspirazioni dinamiche. Diventa amico di Romolo Romani, frequenta Previati, di cui influenza una certa influenza nella sua pittura che sembra volgere al simbolismo. Diventa membro della Permanente. Durante questi anni formativi, visita molti musei e gallerie d’arte. Ha, quindi, la possibilità di conoscere direttamente opere di artisti di ogni età ma, soprattutto, antichi. Alcuni di questi, come Michelangelo, rimarranno sempre i suoi modelli ideali.

Nonostante ciò, diventeranno anche i principali obiettivi della controversia lanciata nel periodo futurista contro l’arte antica e contro il passato. Nel 1907 incontrò i Divisionisti a Milano e con Filippo Tommaso Marinetti, insieme a Carlo Carrà, Luigi Russolo, Giacomo Balla e Gino Severini, scrisse il Manifesto dei pittori futuristi (1910), a cui seguì il Manifesto tecnico del movimento futurista (1912): l’obiettivo dell’artista moderno doveva essere, secondo i disegnatori, di liberarsi dai modelli e dalle tradizioni figurative del passato, per rivolgersi risolutamente al mondo contemporaneo, dinamico, vivace, in continua evoluzione.

Come soggetti della rappresentazione, quindi, venivano proposti la città, le macchine, la caotica realtà quotidiana. Nelle sue opere, Boccioni esprimeva magistralmente il movimento delle forme e la concretezza della materia. Sebbene influenzato dal cubismo, al quale rimproverava un’eccessiva staticità, Boccioni evitava le linee rette nei suoi dipinti e usava colori complementari. In dipinti come Dynamism of a cyclist (1913) o Dynamism of a football player (1911), la rappresentazione dello stesso soggetto in fasi successive nel tempo suggerisce efficacemente l’idea di muoversi nello spazio. La scultura governa anche intenti simili a quelli di Boccioni, per i quali l’artista trascurava spesso materiali nobili come marmo e bronzo, preferendo legno, ferro e vetro. Era interessato a illustrare l’interazione di un oggetto in movimento con lo spazio circostante. Pochissime delle sue sculture sono sopravvissute.

All’interno della Società umanitaria dove ha appena finito il grande dipinto “Il Lavoro” (oggi al MoMA di New York con il titolo The City Rises), nell’aprile-maggio 1911, con Ugo Nebbia, Carlo Dalmazzo Carrà, Alessandrina Ravizza e altri, dà vita a Milano al Primo Padiglione della Free Art, una imponente mostra con linee guida ultramoderne, dove si terrà anche il primo collettivo di pittori futuristi di sempre (nei padiglioni in disuso di Giulio Ricordi).

Nel 1912 Boccioni inaugurò un periodo di intensi studi sia in vista della pubblicazione del suo più importante testo teorico, pittura e scultura futurista (1914), sia in vista della realizzazione del capolavoro Materia (1912). Consulta numerosi volumi di argomenti storico-artistici e filosofici di cui redige un elenco di titoli. In particolare, approfondisce la sua conoscenza del pensiero del filosofo francese Henri Bergson, leggendo il libro Materia e memoria (1896). Le teorie di Bergson sulla memoria spontanea, intese come intuizione dell’unità fondamentale della materia, suggeriscono a Boccioni l’idea di compenetrazione dei piani come “simultaneità dell’interno con l’esterno + memoria + sensazione”, permettendogli di combinare ricordi personali durante il processo creativo (familiare, per esempio) ai suggerimenti derivanti dall’arte antica o primitiva, alla decomposizione delle forme cubiste. Nell’olio su tela Materia, ad esempio, Boccioni realizza un ritratto di sua madre Cecilia Forlani, divinizzata come Grande Madre, che integra la decomposizione cubista e l’uso di colori complementari di derivazione impressionista con la gerarchia frontalità della statuaria greca dall’era arcaica.

Tra i libri consultati nel 1912, infatti, Boccioni cita, nella sua lista, il tomo VIII, dedicato alla scultura arcaica, e in particolare la pagina 689, dell’opera multi-volume di Georges Perrot e Charles Chipiez, Histoire de l’arte dans l’antiquité (1882-1914) in cui i due autori si occupano della cosiddetta legge di frontalità nell’antica statuaria.

Tra le opere pittoriche più rilevanti di Boccioni troviamo Il Lavoro (La città che sale) (1910), Rissa in Galleria (1910), Stati d’animo n. 1. Addii (1911) – in cui i movimenti dell’anima sono espressi attraverso lampi di luce, spirali e linee ondulate disposte in diagonale – Forze di una strada (1911), dove la città, quasi un organismo vivente, ha un peso preponderante umano presenze.

Nel 1915 l’Italia entra in guerra. Boccioni, interventista, volontari, insieme a un gruppo di artisti, nel Corpo nazionale dei ciclisti e automobilisti volontari, ma non ha alcuna possibilità di entrare in combattimento. In una lettera del fronte dell’ottobre 1915 il pittore scrisse, infatti, che la guerra “quando ci si aspetta di combattere, è solo questa: insetti + noia = eroismo oscuro ….”.

Nel giugno del 1916 Boccioni (che all’epoca attendeva di partire per il fronte) fu ospite del Marchese Della Valle di Casanova a Villa San Remigio, sulla sponda orientale del Lago Maggiore. Nello stesso periodo Vittoria Colonna, mentre il marito Leone Caetani è in prima fila, trascorre le sue giornate nella quiete dell’Isolino di San Giovanni (la più piccola delle Isole Borromee), che affittò per l’estate. Qui si occupa del giardino e scrive lettere a suo marito. Dopo un primo incontro con la Casanova, Boccioni e Vittoria iniziano a vedersi ogni giorno. E, durante il mese di luglio, Boccioni è due volte ospite di Vittoria all’Isolino. L’ultimo soggiorno termina il 23 luglio; meno di un mese dopo, il 17 agosto, morirà di una caduta da un cavallo; nel suo portafoglio, l’ultima delle lettere ricevute da Vittoria.

Il 17 agosto 1916 Boccioni morì all’età di 33 anni presso l’ospedale militare di Verona, a causa delle ferite riportate in seguito alla caduta accidentale della sua cavalla, che si arrabbiò alla vista di un camion. L’autunno è avvenuto il giorno prima durante un esercizio militare, in località Sorte in Chievo, una frazione di Verona, dove oggi si trova la sua targa commemorativa, in una stradina immersa nella campagna. Il corpo di Boccioni fu invece sepolto nel monumentale cimitero di Verona, negli antichi calti del secondo accampamento, accanto al quale anche la madre voleva essere sepolta. Sul marmo che chiude e porta il nome dell’artista, si possono osservare le testimonianze scritte lasciate da altri artisti e conoscenti in visita.

Il suo lavoro

Primi ritratti e paesaggi
Dal 1902 al 1910, Boccioni si concentrò inizialmente sui disegni, poi schizzò e dipinse ritratti – con sua madre come modello frequente. Dipinse anche paesaggi – spesso includendo ad esempio l’arrivo dell’industrializzazione, treni e fabbriche. Durante questo periodo, intreccia tra puntinismo e impressionismo e l’influenza di Giacomo Balla, e le tecniche di divisionismo sono evidenti nei primi dipinti (anche se in seguito in gran parte abbandonati). The Morning (1909) è stato notato per “la violenza audace e giovanile delle tonalità” e come “un audace esercizio di luminosità”. Le sue tre donne del 1909–10, che ritrae al centro sua madre e sua sorella, e l’amante di lunga data Ines, fu citata come espressione di grande emozione: forza, malinconia e amore.

Sviluppo del futurismo
Boccioni ha lavorato per quasi un anno nella vendita di La città o The City Rises, 1910, un enorme dipinto (2m per 3m), che è considerato il suo punto di svolta nel futurismo. “Ho tentato una grande sintesi di lavoro, luce e movimento”, ha scritto ad un amico. Alla sua mostra a Milano nel maggio 1911, il dipinto attirò numerose recensioni, per lo più ammirate. Nel 1912 era diventato un dipinto per la mostra itinerante in Europa, l’introduzione al futurismo. Fu venduto al grande pianista, Ferruccio Busoni per 4.000 lire quell’anno, e oggi è spesso esposto in mostra al Museum of Modern Art di New York, all’ingresso del dipartimento di pittura.

La risata (1911, La risata) è considerata la prima vera opera futurista di Boccioni. Si era completamente separato dal divisionismo e ora si concentrava sulle sensazioni derivate dalla sua osservazione della vita moderna. La sua ricezione pubblica fu piuttosto negativa, rispetto sfavorevolmente a Tre donne, e fu deturpata da un visitatore, facendo scorrere le dita sulla vernice ancora fresca. Le critiche successive sono diventate più positive, con alcuni che considerano il dipinto una risposta al cubismo. Fu acquistato da Albert Borchardt, un collezionista tedesco che acquistò 20 opere futuriste esposte a Berlino, tra cui The Street Enters the House (1911) che raffigura una donna su un balcone che si affaccia su una strada trafficata. Oggi il primo appartiene anche al Museo di arte moderna e il secondo al Museo Sprengel di Hannover.

Boccioni trascorse gran parte del 1911 a lavorare su una trilogia di dipinti intitolata “Stati d’animo” (“Stati della mente”), che disse espresse partenza e arrivo in una stazione ferroviaria – Gli addii, quelli che vanno e quelli che rimangono. Tutti e tre i dipinti furono originariamente acquistati da Marinetti, fino a quando Nelson Rockefeller li acquistò dalla sua vedova e in seguito li donò al Museum of Modern Art di New York.

A partire dal 1912, con Elasticità o Elasticità, raffigurante la pura energia di un cavallo, catturato con intenso cromatismo, completò una serie di dipinti di Dinamista: Dinamismo di un corpo umano, Ciclista (Ciclista), Foot-baller, e di 1914 Dinamismo plastico: cavallo + caseggiato (Dinamismo plastico: cavallo + case).

Pur continuando questa attenzione, ha rianimato il suo precedente interesse per il ritratto. A partire da L’antigrazioso (L’antigraceful) nel 1912 e proseguendo con I selciatori (The Street Pavers) e Il bevitore (The Drinker) entrambi nel 1914.

Nel 1914 Boccioni pubblicò il suo libro, Pittura, scultura futuriste (Pittura e scultura futurista), che causò una spaccatura tra se stesso e alcuni dei suoi compagni futuristi. Di conseguenza, forse, abbandonò la sua esplorazione del dinamismo e cercò invece un’ulteriore scomposizione di un soggetto per mezzo del colore. Con Volumi orizzontali nel 1915 e il Ritratto di Ferruccio Busoni nel 1916, completò un pieno ritorno alla pittura figurativa. Forse appropriatamente, quest’ultimo dipinto era un ritratto del maestro che acquistò la sua prima opera futurista, The City Rises.

Scultura
La scrittura del suo Manifesto tecnico della scultura futurista, pubblicato l’11 aprile 1912, fu il lancio intellettuale e fisico della Boccioni nella scultura; aveva iniziato a lavorare nella scultura l’anno precedente.

Alla fine del 1913 aveva completato in cera quello che è considerato il suo capolavoro, Forme uniche della continuità nello spazio. Il suo obiettivo per il lavoro era quello di rappresentare una “continuità sintetica” del movimento, invece di una “discontinuità analitica” che vide in artisti come František Kupka e Marcel Duchamp. Durante la sua vita, l’opera esisteva solo come calco in gesso. Fu realizzato per la prima volta in bronzo nel 1931. Questa scultura è stata oggetto di ampi commenti e nel 1998 è stata selezionata come immagine da incidere sul retro della moneta italiana da 20 centesimi di euro.

Poco dopo la morte di Boccioni nel 1916 (e dopo una mostra commemorativa tenutasi a Milano), la sua famiglia li affidò per un periodo impermanente a un collega scultore, Piero da Verona; da Verona chiese quindi al suo assistente di metterli nella discarica locale. Il resoconto oltraggiato di Marinetti sulla distruzione delle sculture era leggermente diverso; nelle sue memorie, affermava che le sculture erano state distrutte da operai per liberare la stanza che lo “invidioso scultore passatempo dalla mente ristretta” le aveva collocate. Pertanto, gran parte del suo lavoro sperimentale dalla fine del 1912 al 1913 fu distrutto, inclusi pezzi relativi a dipinti contemporanei, che sono noti solo attraverso le fotografie. Uno dei pochi pezzi sopravvissuti è l’Antigrazioso (Anti-Graceful, chiamato anche The Mother).

Nel 2019, la Collezione Estorick di arte moderna italiana ha organizzato una mostra che ricostruisce alcune delle sculture distrutte.

La mostra
La collezione del Museo del Novecento consente ai visitatori di cogliere appieno il percorso artistico del più grande esponente del Futurismo: dai dipinti ancora in vena divisionista come “La Signora Virginia” (Mrs Virginia, 1905) fino ad esempi ben noti e più rappresentativi del esperienza astratta come la scultura “Forme uniche della continuità nello spazio” (Unique Forms of Continuity in Space, 1913).

La signora Virginia, Umberto Boccioni, 1905
Forme uniche della continuità nello spazio, Umberto Boccioni, 1913

Umberto Boccioni e il futurismo
Umberto Boccioni, nato a Reggio Calabria nel 1882, arrivò a Milano nel 1908 dopo aver vissuto a Padova e Venezia e aver studiato nello studio di Giacomo Balla a Roma insieme a Gino Severini e Mario Sironi. Fu nel capoluogo lombardo, fulcro della modernità e dello sviluppo economico dell’inizio del XX secolo, che Boccioni conobbe Filippo Tommaso Marinetti nel 1910. Insieme contribuirono all’offensiva contro il tradizionalismo culturale unendosi al movimento futurista: al fianco di Carlo Carrà , Luigi Russolo e Gino Severini, Boccioni firmarono il “Manifesto dei pittori futuristi” e il “Manifesto tecnico della pittura futurista” nel 1910.

Stati d’animo – Gli addii, Umberto Boccioni, 1911,
In Stati d’Animo, (States of Mind), un trittico creato nel 1911, affronta un argomento amato dagli artisti che lavorano in quel periodo, usando uno stile che tradisce ancora le influenze divisioniste nel suo uso del colore.

Stati d’animo – Quelli che vanno, Umberto Boccioni, 1911,
Stati d’animo – Quelli che restano, Umberto Boccioni, 1911,
Studio per gli stati d’animo, Umberto Boccioni,

Dopo Parigi
Dopo aver visto le opere dei cubisti durante un viaggio a Parigi nel 1912, Boccioni iniziò a riflettere sull’importanza della composizione geometrica di un’opera; ha aggiunto la spinta e la potenza del movimento al mix, portando a capolavori come “Elasticità” nel 1913 e le forme frammentate di “Donna al Caffè” e “Costruzione Spiralica” (Spiral Construction) .

Elasticità, Umberto Boccioni, 1912,
Donna al caffè – Compenetrazione di luci e piani, Umberto Boccioni, 1912/1914,
Costruzione spiralica, Umberto Boccioni, 1913,

“Sotto il pergolato a Napoli”
Il suo senso di urgenza creativa alla fine lo portò a superare questa fase, e le opere dei suoi ultimi anni furono influenzate dal suo studio di Cézanne. In “Sotto il pergolato a Napoli” (Under the Pergola in Naples, 1914), la solidità delle forme ritorna come elemento centrale del dipinto, sebbene accompagnato da molti elementi innovativi. Boccioni morì nel 1916 dopo essere caduto da cavallo. La sua morte prematura ha frenato una fase artistica che senza dubbio avrebbe portato a ulteriori sperimentazioni.

Museo del Novecento a Milano
Il Museo del Novecento di Milano è una mostra permanente di opere d’arte del XX secolo ospitate nel Palazzo dell’Arengario e nell’adiacente Palazzo Reale di Milano. Il museo ha assorbito le collezioni del precedente Museo Civico di Arte Contemporanea (CIMAC) che si trovava al secondo piano del Palazzo Reale e che fu chiuso nel 1998.

Il Museo del Novecento, situato all’interno del Palazzo dell’Arengario in Piazza del Duomo, ospita una collezione di oltre quattromila opere che catalizzano lo sviluppo dell’arte italiana del XX secolo.

Il Museo del Novecento è stato istituito il 6 dicembre 2010 con l’obiettivo di diffondere la conoscenza dell’arte del 20 ° secolo e di offrire una visione più completa delle collezioni che la città di Milano ha ereditato nel tempo. Oltre alla sua principale attività espositiva, il Museo è attivo nella conservazione, ricerca e promozione del patrimonio artistico e culturale italiano del 20 ° secolo con l’obiettivo finale di raggiungere un pubblico sempre più vasto.

A parte una stanza singola che ospita opere di artisti stranieri tra cui Braque, Kandinsky, Klee, Léger, Matisse, Mondrian e Picasso, la maggior parte delle opere esposte nel museo sono di artisti italiani. Una sezione importante è dedicata ai futuristi italiani, con opere di Giacomo Balla, Umberto Boccioni, Carlo Carrà, Fortunato Depero, Luigi Russolo, Gino Severini, Mario Sironi e Ardengo Soffici. Anche la grande tela di Giuseppe Pellizza da Volpedo Il Quarto Stato (1902) è esposta in una sala a sé stante.

Altre sezioni del museo sono dedicate a singoli artisti come Giorgio de Chirico, Lucio Fontana e Morandi. Ci sono anche sezioni dedicate ai movimenti artistici del XX secolo, tra cui Astrattismo, Arte Povera, Novecento Italiano, Postimpressionismo e Realismo, e generi come il paesaggio e l’arte monumentale.