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Ferrara Rinascimentale

Il Rinascimento a Ferrara decollò dalla signoria di Lionello d’Este (1441 – 1450) e produsse alcuni dei risultati più originali del primo Rinascimento italiano. Questa è la rinomata scuola di Cosmé Tura, Francesco del Cossa ed Ercole de ‘Roberti. Una seconda scuola è iniziata nel XVI secolo, con Dosso Dossi.

Contesto storico e culturale
La corte estense di Ferrara fu una delle più importanti dell’Italia settentrionale dalla fine del XIV secolo, quando Niccolò d’Este avviò l’Università e iniziò la costruzione del castello. Le connotazioni cortesi erano forti, come dimostra l’interesse per il mondo della favola del patrimonio medievale, testimoniato dai numerosi romanzi che arricchirono la famosa biblioteca, verso l’astrologia e l’esoterismo. Sul piano artistico, Pisanello fu molto apprezzato, che realizzò varie medaglie per Lionello d’Este, e la produzione illuminata fu internazionale, nella quale si trovava Belbello da Pavia (autore della Bibbia di Niccolò d’Este), e aggiornato all’umanesimo, tale come quello di Taddeo Crivelli (Bibbia di Borso d’Este).

Con Leonello d’Este al potere (dal 1441 al 1450) gli orizzonti culturali della corte si allargarono ulteriormente, spaziando da tutti i nuovi fermenti e contribuendo a creare un ambiente totalmente singolare sulla scena italiana. Educato dall’umanista Guarino Veronese, fu in contatto con le principali personalità artistiche dell’epoca, tra cui, oltre al già citato Pisanello, Leon Battista Alberti, Jacopo Bellini, Piero della Francesca (dal 1448 circa) e il giovane Andrea Mantegna (in città nel 1449 e 1450-1451). Cominciò anche una collezione di antiquariato e una fabbrica di arazzi, che creò rapporti stretti e continui con le Fiandre: a Ferrara, alcuni grandi maestri transalpini rimasero a Ferrara, come Rogier van der Weyden (intorno al 1450) e Jean Fouquet (verso il 1447, lasciando il ritratto del buffone Gonella). Le opere di questi autori sono state ammirate nelle collezioni di marzo di artisti italiani di passaggio, permettendo il contatto tra le due grandi scuole pittoriche.

Pittura
Fu durante l’era di Borso d’Este (in potere dal 1450 al 1471) che i numerosi ferimenti artistici della corte furono trasformati in uno stile peculiare, soprattutto nella pittura. Gli stimoli di base erano la cultura cortigiana, la razionalità prospettica e la luce limpida di Piero della Francesca, l’attenzione ottica ai dettagli dei pittori fiamminghi e il donatellismo, filtrati attraverso gli squarcioneschi. A ciò gli artisti ferraresi hanno presto aggiunto una loro peculiare interpretazione, caratterizzata da tensione lineare, esasperazione espressiva, preziosità unita a forte espressività.

Lo Studiolo di Belfiore
La nascita della scuola ferrarese, con il suo linguaggio peculiare, si ritrova nelle decorazioni sopravvissute dello Studiolo di Belfiore, commissionato da Lionello ma completato ai tempi di Borso, già nella scomparsa “Delizia” di Belfiore. La decorazione consisteva nell’intarsio di Lendinara e in un ciclo di dipinti di Muse a bordo, persi o distrutti dopo la scomparsa dell’edificio.

Tra i tavoli più rappresentativi, Thalia di Michele Pannonio è stilisticamente legata allo stile gotico internazionale, con una figura snella ed elegantemente avvitata, sottolineata da profili scivolosi che si spezzano però nel tagliente drappeggio del ginocchio, mentre l’esuberante spazialità della seduta e la ricchezza decorativa stravagante, con un gusto antico, che ricorda il Rinascimento padovano.

Polymnia, invece, già attribuita a Francesco del Cossa e ora considerata un anonimo ferrarese, mostra invece un chiaro debito verso le vie di Piero della Francesca, con una pianta solenne e sintetica, che si staglia su un chiaro paesaggio aperto.

Nel Calliope del Cosmè Tura, invece, ci sono già degli stimoli che, ricomposti in modo originale, erano alla base della scuola ferrarese: una costruzione solida e prospettica, con un punto di vista ribassato e una fantasia sfrenata nella descrizione del trono, con elementi liberi derivati ​​dalla lezione padovana di Francesco Squarcione, ma evidenziati dall’incidente leggero a una tensione surreale.

Cosmè Tura
Il fondatore della scuola ferrarese è considerato Cosmè Tura, a cui si sono aggiunti Francesco del Cossa ed Ercole de ‘Roberti. Nonostante le loro differenze individuali, le loro opere sono unite dalla loro preferenza per le immagini preziose e raffinate, i profili nitidi, il chiaroscuro incisivo che rende ogni materiale come metallo sbalzato o pietra dura.

Lo stile di Tura può essere letto in tutta la sua originalità e complessità nel lavoro delle porte dell’organo del Duomo di Ferrara, dipinto nel 1469. Quando sono aperte mostrano un’Annunciazione, quando San Giorgio e la principessa chiudono. Nell’Annunciazione la solenne architettura dello sfondo, che menziona il vecchio, ricorda Andrea Mantegna, così come il drappo “di pietra” o la presenza, nel paesaggio, di speroni rocciosi stratificati. Allo stesso tempo ci sono dettagli di grande naturalismo e riferimenti al mondo di corte, come nei bassorilievi sotto le arcate che raffigurano i Pianeti, tutti fusi e rielaborati con una straordinaria ispirazione. Il lato di San Giorgio, d’altra parte, è caratterizzato da dinamismo sfrenato, reso ancora più espressivo da spigoli vivi e taglienti, punti salienti grafici e dall’estrema espressionismo che distorce i volti di uomini e animali.

Francesco del Cossa
Francesco del Cossa, un po ‘più giovane del Tura, partì da una base comune per il suo collega, ma raggiunse risultati diversi a causa della maggiore enfasi data alla lezione di Piero della Francesca, con figure più composte e solenni. La sua partecipazione allo studio di Belfiore non è certa, ma ha partecipato all’altro grande saggio della pittura ferrarese, il Salone dei Mesi di Palazzo Schifanoia (1467 – 1470). Diversi pittori hanno lavorato a questo complesso ciclo di affreschi, probabilmente diretto da Cosmè Tura, basato su un programma iconografico di Pellegrino Priscianorich in riferimenti astronomici, filosofici e letterari. Originariamente, la decorazione consisteva in dodici settori, uno al mese, di cui sette rimangono oggi. Ogni settore è diviso in tre sezioni: una più alta dove è raffigurato il trionfo del dio protettore del mese, circondato dai “figli” coinvolti in attività tipiche, una centrale con uno sfondo blu con il segno zodiacale e tre “decani” e uno inferiore con scene che ruotano attorno alla figura di Borso d’Este. Celebrare il Signore e i suoi ideali ha celebrato l’intero stato nelle sue varie funzioni, che vanno dalla rappresentanza al governo.

Ad esempio, Francesco del Cossa si è tenuto per il mese di marzo, caratterizzato da forme solide e sintetiche, colori brillanti e un’attenta cura nella costruzione prospettica, che ha anche finito per ordinare le rocce dello sfondo, con forme immaginariamente visionarie. Alle forme quasi cristallizzate di Cosmè Tura, Francis contrastava una rappresentazione umana più naturale.

Ercole de ‘Roberti
Il terzo protagonista della scuola ferrarese è Ercole de ‘Roberti, anch’essa attiva al Salone dei Mesi. A lui viene attribuito settembre, dove le forme subiscono una stilizzazione geometrica (come nelle rocce) e le figure assumono un tale dinamismo, grazie ai contorni tesi e spigolosi, per rendere tutto antinaturalistico, ma di grande violenza espressiva.

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Suoi sono anche i tavoli con le Storie di San Vincenzo Ferrer (1473, Pinacoteca Vaticana), dove vediamo un’evoluzione: se l’architettura appare più organizzata razionalmente, rimangono i contorni spezzati delle figure, il drappeggio drappeggiato con forza e il sogno paesaggi, che nel complesso sono adatti alle preoccupazioni serpeggianti del periodo, che hanno portato a una crisi degli ideali rinascimentali alla fine del secolo.

Infine, un punto di arrivo molto diverso fu la Pala Portuense (1479 – 1481), per la chiesa di Santa Maria in Porto vicino a Ravenna, dove le tensioni espressioniste sono relegate ad alcuni bassorilievi sulla base del trono della Vergine, mentre il generale il sentimento è concesso ad un’armonia calma ed equilibrata, con corrispondenze simmetriche nei colori. Tutto è tuttavia ravvivato anche dalla vertiginosa architettura del trono, che lascia spazio a un panorama aperto alla base (dove allude alla mitica fondazione della chiesa) con colonne dove il marmo è reso con straordinaria sensibilità luministica.

Il sedicesimo secolo
La generazione dei maestri del Quattrocento fu esaurita negli anni novanta del secolo, senza un cambio artistico di un altro livello: i frutti della scuola ferrarese erano stati incorporati soprattutto altrove, così all’inizio del nuovo secolo gli Este presero parte i loro artisti di ala protettiva di formazione più varia, aggiornati alle novità del Rinascimento romano e veneziano.

Le figure dominate della pittura di corte in questo periodo furono il Garofalo, Ludovico Mazzolino e, soprattutto, Dosso Dossi. La presenza di grandi studiosi come Ludovico Ariosto favorì un clima di fantastica evocazione, che viene percepito soprattutto nello straordinario studio di Alfonso II d’Este, l’Alabastro Camerini, distrutto nel 1598. La decorazione, diretta da Dossi, includeva una serie di straordinari dipinti di Baccanali, realizzati da vari artisti tra cui Giovanni Bellini e, soprattutto, Tiziano. Lo stesso Dosso riprende da Tiziano alcuni elementi stilistici come la ricchezza cromatica e le ampie aperture del paesaggio, a cui aggiunge uno stile fluido e vivace ricco di inventiva, soprattutto nei soggetti letterari e mitologici. Alcuni dei suoi motivi mitologici alimentano ancora l’ispirazione per i pittori emiliani del primo Seicento come Annibale Carracci.

Un altro apprezzato pittore ferrarese fu Lorenzo Costa, che divenne pittore di corte a Mantova dopo la scomparsa del Mantegna.

La seconda metà del secolo, con la scomparsa di Dosso e la fine delle grandi commissioni granducali, mantenne una certa vitalità alla presenza della famiglia Filippi, nella quale spiccava Sebastiano, alias Bastianino, autore di un giudizio universale di chiara ascendenza Michelangelesca nell’abside del Duomo di Ferrara. Successivamente la scuola locale ha beneficiato di Carlo Bononi, ma con l’annessione allo Stato della Chiesa e il trasferimento della capitale Estense a Modena, Ferrara ha perso il ruolo di centro artistico di riferimento. La fine di un’epoca fu suggellata dallo smantellamento dei camerini in alabastro (1598), le cui decorazioni, portate a Roma, finirono per essere disperse e ora si trovano in vari musei.

Architettura e pianificazione urbana
Già nel 1443 Leon Battista Alberti soggiornò in città, chiesto da Lionello d’Este per il campanile del Duomo e per la sistemazione del monumento equestre a Niccolò III, ma la presenza del grande architetto non ebbe un grande impatto l’architettura della città. che rimase dominato dalla tradizione tardo-trecentesca con l’uso della terracotta decorata.

Per esigenze difensive e per la crescente domanda di alloggi, gli interventi estoni sulla città si concentrarono principalmente sulla pianificazione urbana piuttosto che sulla costruzione di singoli edifici. Ferrara era essenzialmente una città medievale, con un nucleo di strade strette e tortuose, senza piazze e chiusa a sud da Po di Volano ea nord dal canale Giovecca, con le uniche emergenze nel Duomo, l’ex residenza Estense e , un po ‘più a nord, il Castello di San Michele.

Una prima espansione avvenne con Borso d’Este a metà del secolo, ma fu soprattutto Ercole I a creare un ambizioso progetto urbano, nel contesto dell’esperienza rinascimentale della “città ideale”, che è oggi ricordata come uno dei primi in Europa e ha conquistato la città il riconoscimento del patrimonio mondiale dell’UNESCO dall’UNESCO. Infatti, Ercole affidò all’architetto Biagio Rossetti la pianificazione di un raddoppio della città secondo un nuovo schema razionale, la cosiddetta Addizione Erculea.

Prima di tutto, il fossato della Giovecca fu sepolto, facendo una larga strada, il Corso della Giovecca, che incardinava con la parte antica della città: infatti, agli sbocchi delle vie medievali faceva regolari ampliamenti, organizzando in modo organico il vecchio e il nuovo. La nuova parte, riferita all’urbanistica romana nelle descrizioni di Vitruvio, aveva una rete stradale ortogonale che era divisa in due assi principali: via degli Angeli (oggi Corso Ercole I), che era un precedente collegamento tra il castello e Belfiore., e via dei Prioni, che andava dalla porta del Po a Porta a Mare verso est-ovest. Questo asse in particolare, completamente nuovo e dal sapore “pubblico” (rispetto all’altro asse rimasto legato al passaggio dei duchi), è stato particolarmente sottolineato con una grande piazza alberata, l’attuale Piazza Ariostea.

Per integrare l’aggiunta con il resto della città e ammorbidire la possibile rigidità dello schema, Rossetti ha lasciato aree verdi che avrebbero dovuto fungere da “pausa” nel tessuto dell’edificio e, per gli edifici da lui progettati, ha continuato a utilizzare la terracotta tradizionale. I punti di vista monumentali sono stati evitati anche negli outlet delle strade, preferendo scorci di architettura. Le prerogative paradigmatiche del suo progetto sono pienamente sentite all’incrocio degli assi, il cosiddetto “Quadrivio degli Angeli”, che non è stato enfatizzato da una piazza, ma solo dalle eleganti decorazioni degli angoli degli edifici, tra cui il Spicca il Palazzo dei Diamanti, di Rossetti. L’edificio deve il suo nome al rivestimento a punta appuntito, che crea un suggestivo effetto chiaroscuro, con lastre decorate con candelabri all’angolo all’incrocio, dove si trova anche un balcone. Gli altri edifici sull’incrocio non hanno eguagliato la grandezza, concentrandosi piuttosto sulla ricerca di effetti di variazione, con grandi portali o pilastri angolari.

La nuova situazione urbana a Ferrara era, nel panorama italiano ed europeo dell’epoca, la più moderna e anche la più durevole nel tempo: non c’è una chiara divisione tra la città dei signori e le città dei soggetti, né c’è un relazione di soggezione tra i due (come è avvenuto a Mantova o a Pienza), ma piuttosto c’è un’armoniosa integrazione tra le parti, ognuna con la propria caratterizzazione. Uno sviluppo completo dell’aggiunta sarebbe stato completato nel tempo, anche se la mancanza di crescita della popolazione e la successiva caduta della dinastia bloccarono il progetto. Nonostante ciò, grazie alla modernità e alla natura organica del progetto originale, il nuovo volto della città ha resistito bene alle trasformazioni urbane fino ai giorni nostri.

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