Rinascimento veneziano nel 16 ° secolo

Il Rinascimento veneziano fu la declinazione dell’arte rinascimentale sviluppata a Venezia tra il XV e il XVI secolo.

16 ° secolo
Agli inizi del XVI secolo Venezia controllava un territorio diviso in “Stato della Terra”, dall’Adda all’Isonzo e allo “Stato da Mar”, tra cui l’Istria, la Dalmazia, le Isole Ionie, Creta, le Cicladi e parte del Sporadi e Cipro. La città si affermava come uno dei centri artistici più vivaci e innovativi della penisola, grazie anche alla prosperità delle attività commerciali e mercantili e alla ricchezza del suo emporio, uno dei più cosmopoliti d’Europa. La politica generale è ora orientata alla riconversione da un impero marittimo a una potenza continentale, all’interno dell’equilibrio politico tra gli stati italiani. La crisi del 1509, quando la città fu colpita da un divieto papale e dall’attacco della Lega di Cambrai,

Da un punto di vista culturale la città si stava affermando come centro di studi umanistici, soprattutto grazie alle tipografie che pubblicavano i testi classici. A ciò è stato aggiunto un appassionato interesse per gli studi di archeologia, i dati scientifici e, soprattutto, le discipline botaniche. Uno dei dibattiti che animano la scena culturale veneziana dell’epoca è quello della possibilità di riconciliare la “vita contemplativa”, intesa come attività speculativa filosofica e religiosa da svolgere in solitudine distaccata da eventi mondani, e “vita attiva” “, inteso come servizio alla comunità per il conseguimento dell ‘” onore “. “Se i grandi veneziani umanisti del tardo quindicesimo cercarono di dimostrare la possibilità di riconciliazione tra i due opposti,

La pratica “contemplativa” tra gli intellettuali veneziani favorisce la diffusione di particolari forme di collezionismo, come collezioni di antichità, gemme, monete, rilievi, codici, incunaboli e dipinti, tutti legati a particolari inclinazioni culturali e caratteristiche del collezionista. Uno degli esempi più famosi fu la collezione del cardinale Domenico Grimani.

La relativa libertà che l’oligarchia della Serenissima garantiva ai suoi cittadini e ai suoi visitatori, era la migliore tra quelle che i tribunali italiani potevano offrire, e in quegli anni rendeva spesso rifugio a coloro che erano rimasti coinvolti nei pericolosi giochi di potere del i propri stati, accogliendo alcuni tra i più illustri geni italiani e stranieri. Tra gli ospiti più illustri c’erano Michelangelo o gli esuli del Sacco di Roma, tra cui Jacopo Sansovino, che si insediò nella città portando le innovazioni architettoniche sviluppate nell’Italia centrale.

Dürer a Venezia
Nel 1505, fino all’inizio del 1507, il più importante pittore tedesco dell’epoca, Albrecht Dürer visitò la città di Venezia per la seconda volta, dopo essere stato lì nel 1494 – 1495. In questo secondo soggiorno la sua fama è ora molto ampia, grazie a una serie di registrazioni di successo in tutta Europa, ei mercanti del Fondaco dei Tedeschi gli commissionano una pala d’altare per la loro chiesa a Rialto, San Bartolomeo.

Nel dipinto il maestro tedesco ha assorbito le suggestioni dell’arte veneziana del tempo, come il rigore della composizione piramidale con il trono di Maria in cima, la monumentalità della pianta e lo splendore cromatico, mentre il gusto tipicamente nordico è il dettagli accurati e fisionomia, l’intensificazione gestuale e la concatenazione dinamica tra le figure. L’opera richiama infatti la calma monumentalità di Giovanni Bellini, con l’esplicito omaggio dell’angelo musicista al centro. Nonostante l’ammirazione generale e la risonanza, il dipinto suscitò un po ‘di influenza tra gli artisti veneziani, certamente meno delle incisioni dell’artista.

Leonardo e Leonardeschi a Laguna
Leonardo da Vinci visitò Venezia nel 1500 e forse aveva già seguito Verrocchio nel 1496. Sebbene le sue opere create o lasciate nella città lagunare non siano certamente identificabili, molti indizi e citazioni iconografiche e stilistiche confermano che il suo passaggio non era inosservato, contribuendo fondamentalmente alla nascita del tonalismo, una conseguenza estrema della sfumatura e la diffusione della prospettiva aerea.

La presenza e l’influenza degli artisti lombardi della matrice leonardesca negli anni immediatamente successivi è più documentata. A Venezia la nazione longobarda si riunì alla Scuola dei Lombardi, situata in un edificio eretto alla fine del XV secolo nella Basilica dei Frari. Dal punto di vista quantitativo prevalgono gli scultori e gli scalpellini (tra cui quelli della famiglia Lombardo). Dalla fine del XV secolo, tuttavia, alcuni pittori cominciarono ad essere presenti e ben inseriti, tra cui Andrea Solario, fratello dello scultore Cristoforo e autore di piccole opere di soggetto sacro, e Giovanni Agostino da Lodi, considerato il primo divulgatore di le vie leonardesche a Venezia. Quest’ultimo è responsabile per la pala d’altare dei barcaioli per la chiesa di San Pietro Martire a Murano.

Poi venne Francesco Napoletano, morto a Venezia nel 1501, e Marco d’Oggiono, ex collaboratore diretto di Leonardo, che realizzò una serie di tele per la scuola lombarda, ormai perduta, che dovette contribuire molto alla diffusione delle vie di Leonardo , soprattutto in Giorgione.

Giorgione
Giorgione fu il pittore che intraprese un profondo rinnovamento del linguaggio pittorico lagunare, in poco più di dieci anni di attività. Figura in molti modi misteriosa, con pochissime informazioni biografiche, era un artista perfettamente integrato nel circolo degli intellettuali aristocratici, per il quale ha creato alcuni ritratti e soprattutto opere di dimensioni ridotte da complessi significati allegorici, oggi solo parzialmente decifrabili.

Meditando sui modelli leonardeschi, è venuto a sviluppare uno stile in cui il colore è il maestro: spesso posato direttamente sul supporto senza un preciso disegno preparatorio, genera le variazioni di luce per “macchie” di colore, che definiscono il volume del figure, la morbidezza e il rilievo, con effetti chiaroscurali di “avvolgimento atmosferico”, cioè quel particolare risultato per cui le figure sembrano essere inestricabilmente unite nel paesaggio. L’ispirazione del momento inizia così a prevalere sullo studio preparatorio.

Già nelle opere attribuite alla fase iniziale, come la Sacra Famiglia di Benson o l’adorazione dei pastori di Allendale, viene catturata una delicata bozza cromatica che mette in evidenza i valori atmosferici e l’armonia tra le figure e l’ambiente. La Pala di Castelfranco (1502 circa) mostra già un’innovativa semplificazione strutturale, risolvendo la conversazione sacra, ancora impostata in modo piramidale, su uno sfondo rurale piuttosto che architettonico (come nella tradizione di Giovanni Bellini) e senza preoccuparsi della prospettiva rigore (come si vede nella relazione poco chiara tra la profondità dei troni e il pavimento a scacchi). Soprattutto le figure dei santi laterali sono modellate con morbidi piloni di luce e ombra, sullo sfondo di un parapetto rosso che divide la composizione in due metà, una terrena e una ”

Nei Tre Filosofi (circa 1504-1505) si uniscono numerosi elementi allegorici, forse riferibili ad una rappresentazione dei Magi come “tre saggi”. Il sole sta tramontando e dà all’opera una luce calda e morbida, che accentua il senso di sospensione e mistero, in cui l’apparizione della stella (forse il bagliore nella caverna) viene a guidare la ricerca cognitiva dei Magi. Altrettanto complessa, ricca di significati stratificati, è la pittura della Tempesta, un magnifico esempio di un paesaggio in cui figure allusive sono perfettamente integrate.

Opere di tale complessità sono nate in un contesto di relazioni molto strette tra cliente e artista, partecipanti alla stessa cultura, come evidenziato da una lettera di Thaddeo Albano a Isabella d’Este in cui l’agente dichiara di non essere in grado di procurarsi un’opera da Giorgione alla marchesa perché i relativi proprietari non li avrebbero venduti “fingendo che nessuno” li avesse “fatti fare per volere che si divertissero per loro”.

Il capolavoro dell’ultima fase è Venere addormentata, un recupero iconografico dall’antichità che ha avuto un notevole successo ben oltre Venezia, dove la dea rilassata e addormentata, di una bellezza limpida e ideale, trova sottili accordi ritmici nel paesaggio che la domina .

Intorno al 1508 Giorgione ricevette l’unica commissione pubblica di cui rimangono tracce, la decorazione ad affresco della facciata esterna del Fondaco dei Tedeschi, realizzata in collaborazione con Tiziano. Solo la figura di un Nudo molto deteriorato rimane del ciclo, nel quale, tuttavia, devono esserci stati molteplici riferimenti simbolici e un intenso naturalismo, che si possono trovare anche in altri lavori riferiti a quegli anni come l’Antico Ritratto (1506).

Attività tardiva di Giovanni Bellini
L’esempio di Giorgione accelerava quel processo, che si è sviluppato negli ultimi due decenni del Quattrocento, per rappresentare la profondità dello spazio attraverso un effetto di modulazione di aria e luce, in cui le figure sono inserite con calma naturalezza. Tra i protagonisti di queste conquiste c’è ancora il vecchio Giovanni Bellini, in opere come il Battesimo di Cristo e la Madonna del Prato, ma è con opere successive, come la Pala di San Zaccaria che dimostra l’assimilazione e l’appropriazione della tecnica tonalistaof Giorgione. In questa pala d’altare la struttura architettonica si apre sui lati con una chiara visione del paesaggio, che lascia penetrare una luce calda e chiara, che evidenzia l’intensa concentrazione delle figure e la ricchezza cromatica delle loro vesti.

Un ulteriore passo nella fusione tra elementi del paesaggio e figure ha avuto luogo con la pala d’altare dei Santi Cristoforo, Girolamo e Ludovico di Tolosa per la chiesa di San Giovanni Grisostomo, che integra alcune idee di maestri più giovani, come Giorgione e la Pala di Castelfranco o come Sebastiano del Piombo e la sua Pala di San Giovanni Crisostomo.

La sua fama, ormai vasta oltre i confini dello stato veneziano, è oggetto di numerose richieste da parte di individui, su argomenti rari nella sua produzione, legati alla letteratura e al classicismo. In una lettera di Pietro Bembo a Isabella d’Este (1505), impariamo come il vecchio maestro è pienamente coinvolto nel nuovo clima culturale, in cui l’artista è ora attivo anche nell’elaborazione tematica e iconografica del soggetto richiesto: « l’invenzione »scrive Bembo« sarà necessario che l’accordo alla fantasia di colui che ha da fare, che abbia piacere che molti termini marcati non diano al suo stile, usi, come si dice, per vagare sempre alla sua volontà nei dipinti ».

Tra gli ultimi capolavori c’è il Festino degli dei, opera che inaugura la serie di decorazioni pittoriche dello spogliatoio in alabastro di Alfonso I d’Este, o Ebbrezza di Noè. Un anno prima della sua morte, nel 1515, firmò la Giovane donna nuda nello specchio, in cui il corpo femminile è modellato delicatamente tra la luce fioca dell’interno e la luce che emana la finestra aperta su un paesaggio ampio, sotto la bandiera di un chiaro classicismo.

Gli inizi di Tiziano
All’inizio del Cinquecento Tiziano fece anche i primi passi, chiamati a completare le opere sia dopo la morte di Giovanni Bellini (il Festino degli dei) che di Giorgione (la Venere di Dresda). Intorno all’anno dieci, la sua assimilazione del linguaggio di Giorgione era così forte che rendeva estremamente difficile, ancora oggi, attribuire all’uomo o all’altra opere come il Concerto campestre, quasi all’unanimità riferite a Tiziano anche se permeate di temi dell’intellettuale di Giorgione cerchi.

Lo stile del pittore di Pieve di Cadore fu presto caratterizzato da una maggiore intensità cromatica e monumentale delle figure, più solida e inserita in contesti narrativi di facile immediatezza, come gli affreschi dei Miracoli di Sant’Antonio di Padova nella Scuola del Santo a Padova (1511). In questi primi lavori è evidente l’efficacia drammatica e una scansione decisiva dello spazio.

L’inizio di Sebastiano del Piombo
L’esempio di Giorgione fu fondamentale in quegli anni per un altro giovane artista, Sebastiano Luciani, in seguito chiamato Sebastiano del Piombo. Il suo esordio pittorico ebbe luogo tra il 1506 e il 1507, con opere legate alle suggestioni di Giorgione con maggiore rilievo plastico e monumentale, come le porte dell’organo di San Bartolomeo a Rialto, o la Pala di San Giovanni Crisostomo. Quest’ultimo mostra una composizione audace e asimmetrica, con lo sfondo diviso tra una parte architettonica e un’apertura paesaggistica, secondo uno schema che verrà poi utilizzato per sviluppi brillanti (come il Pala Pesaro di Tiziano).

Gli inizi di Lorenzo Lotto
Più originali furono le prime esperienze di Lorenzo Lotto, attivo almeno dal 1503. In quell’anno era a Treviso dove dipinse un ritratto del vescovo Bernardo de ‘Rossi, caratterizzato da una solida struttura plastica e una precisa definizione di fisionomia, che echeggiava le suggestioni psicologiche di Antonello da Messina e la nitidezza dell’arte nordica. La custodia del dipinto è stata anche dipinta con un’allegoria sul contrasto tra virtus e voluptas, di interpretazione criptica, così come il coperto di allegoria di un ritratto sconosciuto (Washington, circa 1505), dove i motivi allegorici comuni sono giustapposti liberamente, come è successo , in qualche modo, nella composizione degli emblemi araldici.

A poco a poco il suo linguaggio cominciò a deviare dalla cultura attuale, da una sorta di irrequietezza, che si manifestava sia nelle scelte formali che nei contenuti. Ad esempio, la pala d’altare di Santa Cristina al Tiverone appare come una citazione dal Pala di San Zaccaria di Bellini, ma si separa per il ritmo più stretto, che porta i personaggi ad intrecciare sguardi e gesti con atteggiamenti irrequieti e vari, non più solo nel segno di contemplazione serena e silenziosa. La luce è fredda e incidente, lontano dall’atmosfera calda e avvolgente dei tonalisti.

A queste resistenze ai motivi dominanti, l’artista ha accompagnato un’apertura verso un realismo più acuto nella resa dei dettagli, un sentimento più patetico e un’attrazione per la rappresentazione della natura inquieta e misteriosa, tipica di artisti nordici come quelli del Danubio scuola. Esempi come il matrimonio mistico di Santa Caterina, il penitente San Girolamo o la Pietà di Recanati.

La maturità di Tiziano
La morte di Giorgione e poi di Bellini, la partenza di Sebastiano del Piombo e Lorenzo Lotto favorirono, all’inizio del Cinquecento, l’incontrastata asserzione di Tiziano sulla scena veneziana. Ottenuta una rapida fama soprattutto con una serie di ritratti, nel 1517 divenne pittore ufficiale della Serenissima. In quegli anni anche i dipinti di soggetto profano erano destinati ai mecenati più colti, come le Tre età dell’uomo (intorno al 1512) e il Sacro Amore e l’Amore Profano (1515 circa).

A partire dal 1518 circa iniziò a misurarsi a distanza con le conquiste del rinascimento romano di Michelangelo e Raffaello. La pala d’altare dell’Assunzione suscitò ammirazione ma anche perplessità per il decisivo balzo in avanti nello stile, impostato su dimensioni grandiose e monumentali, gesti eloquenti e un uso del colore che trasmette un’energia senza precedenti, ora lontana dalla calma atmosfera della tonalità. La fama acquisita procurò le prime commissioni da tribunali italiani, tra cui quelli di Ferrara e Mantova. A partire dal 1518 circa, Alfonso I d’Este gli commissiona una serie di baccanali per il suo studio, tra cui spiccano Bacco e Arianna, unendo riferimenti classici, dinamismo e sapiente uso del colore, scelti nelle migliori qualità disponibili nell’emporio veneziano.

Nei ritratti di quegli anni ha mostrato interesse nel fare la presenza fisica dei protagonisti, con innovativi tagli compositivi e luministici e pose non tradizionali, all’insegna dell’immediatezza e della vivacità.

Il rinnovamento promosso dal Doge Andrea Gritti si rivela in opere come il Pala Pesaro, in cui gli schemi del Quattrocento vengono lasciati definitivamente. La Madonna è infatti su un trono posto lateralmente, come se nella navata laterale della chiesa, a cui era destinata la pala d’altare, vi fosse un’apertura con un altare orientato nella stessa direzione di quello maggiore. I gesti e gli atteggiamenti sono naturali, in uno schema deliberatamente asimmetrico e quindi più dinamico.

Con l’amicizia di Pietro Aretino, legato da rapporti con numerosi tribunali, Tiziano potrebbe accentuare il carattere imprenditoriale della sua attività, diventando uno degli artisti più ricchi e richiesti della penisola.

Pordenone
Con Palma il Vecchio defunto nel rigoroso ruolo di osservatorio “tizianesca”, l’unico pittore in grado di confrontarsi con Tiziano sulla scena veneziana degli anni ’20 / ’30 è il friulano pordenonese. La sua formazione fu ispirata da Mantegna, dalle incisioni di Dürer e degli altri maestri nordici e culminò con un viaggio a Roma nel 1514-1515, quando entrò in contatto con le opere di Michelangelo e Raffaello. Così ha sviluppato uno stile magniloquente, equilibrato tra memorie classiche e narrazione popolare.
La sua specialità erano i grandi cicli di affreschi, come quelli nella cattedrale di Treviso, nella chiesa di Madonna di Campagna a Piacenza, nella chiesa di San Francesco a Cortemaggiore e soprattutto nel Duomo di Cremona. Qui il suo stile mostra una rappresentazione allo stesso tempo discorsiva e solenne, con una notevole prospettiva virtuosistica.

Le pale d’altare sono più discontinue: se in quelle destinate alla provincia il tono rimane magniloquente, quelle per Venezia appaiono troppo macchinose, legate a forzature forse per l’ansia di non deludere gli acquirenti.

Con la sua morte a Ferrara, in modi misteriosi, il confronto con Tiziano finì e il suo lavoro passò sistematicamente in silenzio nella successiva letteratura artistica veneziana.