Rinascimento fiorentino e dei Medici

Il Rinascimento nacque ufficialmente a Firenze, una città che viene spesso definita la sua culla. Questo nuovo linguaggio figurativo, legato anche a un diverso modo di pensare all’uomo e al mondo, è iniziato con la cultura e l’umanesimo locali, che erano già stati portati alla ribalta da persone come Francesco Petrarca o Coluccio Salutati. Le notizie, proposte all’inizio del XV secolo da maestri come Filippo Brunelleschi, Donatello e Masaccio, non furono immediatamente accettate dal committente, anzi rimasero per almeno vent’anni una minoranza e in gran parte frainteso fatto artistico, di fronte all’ormai dominante Gotico internazionale.

Più tardi il Rinascimento divenne il linguaggio figurativo più apprezzato e cominciò a essere trasmesso ad altre corti italiane (prima tra tutte quelle papali di Roma) e poi europee, grazie ai movimenti degli artisti.

Il ciclo del Rinascimento fiorentino, dopo gli inizi dei primi vent’anni del Quattrocento, si diffuse con entusiasmo fino alla metà del secolo, con esperienze basate su un approccio tecnico-pratico; la seconda fase ebbe luogo al tempo di Lorenzo il Magnifico, dal 1450 circa fino alla sua morte nel 1492, e fu caratterizzata da un accordo di conquiste più intellettualistico. Una terza fase è dominata dalla personalità di Girolamo Savonarola, che segna profondamente molti artisti convincendoli a ripensare alle proprie scelte. L’ultima fase, databile tra il 1490 e il 1520, è definita rinascita “matura” e vede la presenza a Firenze di tre geni assoluti dell’arte, che influenzarono le generazioni a venire: Leonardo da Vinci, Michelangelo Buonarroti e Raffaello Sanzio.

Caratteristiche
Almeno tre erano gli elementi essenziali del nuovo stile:

Formulazione delle regole della prospettiva centrica lineare, che ha organizzato lo spazio insieme;
Attenzione all’uomo come individuo, sia nella fisionomia che nell’anatomia e nella rappresentazione delle emozioni

Rifiuto di elementi decorativi e ritorno all’essenzialità.

Tra queste, la più caratteristica era certamente quella della prospettiva centrica lineare, costruita secondo un metodo matematico-geometrico e misurabile, sviluppato all’inizio del secolo da Filippo Brunelleschi. La facilità di applicazione, che non richiedeva conoscenze geometriche di particolare raffinatezza, era uno dei fattori chiave del successo del metodo, adottato dai negozi con una certa elasticità e con modalità non sempre ortodosse.

La prospettiva centrica lineare è solo un modo di rappresentare la realtà, ma il suo carattere è particolarmente in sintonia con la mentalità dell’uomo del Rinascimento, poiché ha dato origine a un ordine razionale dello spazio, secondo criteri stabiliti dagli stessi artisti. Se da un lato la presenza di regole matematiche rendeva la prospettiva una questione oggettiva, dall’altra le scelte che determinavano queste regole erano di natura perfettamente soggettiva, come la posizione del punto di fuga, la distanza dallo spettatore, l’altezza dell’orizzonte. In definitiva, la prospettiva del Rinascimento non è altro che una convenzione rappresentativa, che oggi è così profondamente radicata da sembrare naturale, anche se alcuni movimenti del XIX secolo come il cubismo, hanno mostrato come sia solo un’illusione.

Contesto storico
Prima metà del XV secolo
Dopo il collasso economico e sociale della metà del quattordicesimo secolo (causato da fallimenti bancari, peste nera, carestia e accanite lotte civili), culminata con il Tumulto dei Ciompi del 1378, Firenze stava iniziando una ripresa. La popolazione riprese la sua crescita e, sotto il dominio dell’oligarchia mineraria borghese, furono riaperti i cantieri pubblici interrotti nella città. Alla cattedrale nel 1391 fu iniziata la decorazione della porta della mandorla e più o meno nello stesso periodo iniziò la decorazione delle nicchie esterne di Orsanmichele dall’art. Nel 1401 fu annunciata la competizione per la porta nord del Battistero.

Sulla ripresa, tuttavia, c’era la minaccia di Gian Galeazzo Visconti, che aveva circondato Firenze nel progetto di creare uno stato-nazione in Italia sotto il dominio di Milano. D’altra parte, i fiorentini erano più che mai pronti a mantenere la loro indipendenza, alimentando un forte orgoglio civico che faceva appello al motto storico di Libertas. Con la morte improvvisa di Visconti nel 1402 la presa militare sulla città fu allentata, consentendo una ripresa economica, per quanto effimera. Nel 1406 fu conquistata Pisa e nel 1421 il porto di Livorno.

Nel 1424 la città subì una grave sconfitta contro i Visconti e Lucca, e il peso della guerra, sommato alla febbrile attività edilizia per completare la cupola del Duomo, rese necessaria l’imposizione di nuove tasse. Nel 1427 la Signoria impose il “catasto”, il primo tentativo di equità fiscale nella storia moderna, che tassò le famiglie sulla base delle loro stime patrimoniali, attirando per la prima volta dove il denaro era veramente concentrato, cioè nelle mani di quelle famiglie di mercanti e banchieri che padroneggiavano anche l’attività politica.

La signoria dei Medici
Fu forse in quel momento che un banchiere come Cosimo de ‘Medici capì che per proteggere i suoi interessi era necessario un maggiore controllo diretto sulla politica. Nonostante la sua nota prudenza, iniziò una graduale salita al potere, che non vide mai protagonista diretto, ma sempre in seconda linea dietro gli uomini della sua stretta fiducia. Ma arrivato allo scontro con le altre potenti famiglie della città, prima fra tutti gli Albizi e gli Strozzi, dovette rinunciare dapprima all’esilio e poi tornare trionfante in città, acclamato dal popolo che rese omaggio in nome di Pater Patriae e ha allontanato i suoi nemici. Fu il primo trionfo dei Medici, che da allora dominò la città per circa tre secoli. Nel 1439 Cosimo incoronò il suo sogno di una “nuova Roma”

L’era di Lorenzo il Magnifico (in potere dal 1469 al 1492), dopo un inizio critico con la cospirazione dei Pazzi, fu in seguito un’era di pace, prosperità e grandi conquiste culturali per la città, che divenne una delle più raffinate in Italia e in Europa, esportando i suoi ideali negli altri centri della penisola grazie all’invio di artisti e scrittori in “ambasciatori culturali”: emblematica è la prima decorazione della Cappella Sistina realizzata da un “pool” di artisti provenienti da Firenze (Botticelli , Ghirlandaio, Perugino, ecc.).

Con la morte di Lorenzo si aprì un’epoca di crisi e ripensamento, dominata dalla figura di Girolamo Savonarola, che dopo l’espulsione di Piero il Fatuo ristabilì la Repubblica e creò uno stato di ispirazione teocratica. Le sue proclamazioni dal pulpito di San Marco influenzarono profondamente la società fiorentina, che, spaventata anche dalla crisi politica che attraversava la penisola italiana, ritornò ad una religiosità più austera e superstiziosa, in contrasto con gli ideali ispirati al mondo classico che caratterizzava periodo precedente. Molti artisti sono rimasti influenzati dal frate ferrarese e da allora si sono astenuti dalla creazione di opere di ispirazione profana (come Botticelli e il giovane Michelangelo), a volte addirittura distruggendo la sua facciata frontale compromettente (come Fra Bartolomeo).

La battaglia di Savonarola contro Papa Alessandro VI Borgia decretò la fine del prestigio del frate, condannato come eretico e bruciato in Piazza della Signoria nel 1498. Da allora la situazione politica e sociale si fece ancora più confusa, con la partenza di numerosi artisti dalla città. Nel frattempo un figlio di Lorenzo il Magnifico, Giovanni, era diventato cardinale e con la forza dell’intimidazione (con il tremendo sacco di Prato del 1512, a scopo dimostrativo) gli aveva restituito la città. Asceso al soglio pontificio con il nome di Papa Leone X (1513), governò da Roma attraverso alcuni membri della famiglia la città inquieta.

Nel 1527 il Sacco di Roma fu l’occasione per una nuova ribellione contro i Medici, ma con l’assedio di Firenze del 1529-30 la fine della repubblica fiorentina si trasformò in un ducato nelle mani di Cosimo I de ‘Medici, poi Granduca dopo la sanguinosa conquista di Siena. Firenze era ora a capo di uno stato regionale della Toscana.

Contesto sociale e culturale
Il rinnovamento culturale e scientifico iniziò negli ultimi decenni del Trecento e all’inizio del Quattrocento a Firenze e fu radicato nella riscoperta dei classici, iniziata già nel Trecento da Francesco Petrarca e da altri studiosi. Nelle loro opere l’uomo ha cominciato a essere l’argomento centrale piuttosto che Dio (il Canzoniere di Petrarca e il Decameron di Boccaccio ne sono un chiaro esempio).

All’inizio del secolo gli artisti della città erano in bilico su due scelte principali: l’adesione allo stile gotico internazionale o un recupero più rigoroso dei modi classici, per altri sempre riecheggiati nell’arte fiorentina dal XII secolo. Ogni artista si è dedicato, più o meno consapevolmente, a una delle due strade, anche se quella che prevaleva era la seconda. È sbagliato, tuttavia, immaginare un linguaggio rinascimentale trionfante avanzato che procede contro una cultura sclerotica e morente, come stabilito da una storiografia ormai superata: il tardo gotico era un linguaggio vivace come mai prima, che in alcuni paesi era apprezzato ben oltre il Quindicesimo secolo e la nuova proposta fiorentina era inizialmente solo un’alternativa di una chiara minoranza, inascoltata e fraintesa per gli ultimi venti anni a Firenze stessa,

La “rinascita” è riuscita ad avere una diffusione e una continuità straordinariamente ampia, da cui è emersa una nuova percezione dell’uomo e del mondo, in cui l’individuo è in grado di autodeterminarsi e coltivare le proprie capacità, con le quali può vincere la fortuna ( in senso latino, “destino”) e dominano la natura modificandola. Altrettanto importante è la vita associata, che acquista un valore particolarmente positivo legato alla dialettica, allo scambio di opinioni e informazioni, al confronto.

Questo nuovo concetto si diffuse con entusiasmo, ma, basandosi sulla forza degli individui, non era privo di lati duri e angoscianti, sconosciuti nel rassicurante sistema medievale. Alle certezze del mondo tolemaico, le incertezze dell’ignoto furono sostituite, la volubile fortuna si alternò con la fede nella Provvidenza, e la responsabilità dell’autodeterminazione comportò l’angoscia del dubbio, dell’errore, del fallimento. Questo lato negativo, più sofferente e spaventoso, è tornato ogni volta che il fragile equilibrio economico, sociale e politico è fallito, portando via il sostegno agli ideali.

I nuovi temi erano in ogni caso l’eredità di una piccola élite, che godeva di un’educazione progettata per un futuro negli uffici pubblici. Gli ideali degli umanisti, tuttavia, erano condivisi dalla maggior parte della società borghese mercantile e artigianale, soprattutto perché si riflettevano efficacemente nella vita di tutti i giorni, all’insegna del pragmatismo, dell’individualismo, della competitività, della legittimità della ricchezza e dell’esaltazione. di vita attiva. Gli artisti erano anche partecipanti a questi valori, anche se non avevano un’educazione che potesse competere con quella dei letterati; tuttavia, grazie anche alle opportune collaborazioni e alle grandi capacità tecniche apprese sul campo, le loro opere hanno suscitato un ampio interesse a tutti i livelli, eliminando le differenze elitarie perché sono più facili da usare rispetto alla letteratura, rigorosamente ancora scritta in latino.

Gli anni del primo dominio dei Medici (1440-1469)
La prossima generazione di artisti ha elaborato l’eredità dei primi innovatori e dei loro diretti seguaci, in un clima che registrava un diverso orientamento dei clienti e un nuovo quadro politico.

Arte sotto Cosimo de ‘Medici
Con il ritorno di Cosimo de ‘Medici dall’esilio (1434), la Repubblica era entrata in una fase di continuazione formale ma di profondo cambiamento sostanziale, con la centralizzazione de facto del potere nelle mani di Cosimo attraverso una strategia sottile e prudente di alleanze e controllo delle magistrature da parte di uomini di stretta fiducia, che non l’hanno mai visto impegnato nel governo della città. Il suo comportamento fu ispirato dai modelli stoici di Cicerone, esternamente basati sul perseguimento del bene comune, sulla moderazione, sul rifiuto del prestigio personale e dell’ostentazione. Seguendo questo modello commissionò importanti opere di valore pubblico, come la ristrutturazione della Fiesolana di Badia, il convento di San Marco o il palazzo mediceo.

Le opere di mecenati privati ​​furono invece informate da un gusto diverso, come il David-Mercurio di Donatello (1440-1443 circa), animato da un gusto intellettuale e raffinato, che soddisfaceva le esigenze di un ambiente colto e raffinato. Tra le classiche citazioni (Antinoo silvano, Prassitele) e gli omaggi ai mecenati (il fregio dell’elmo Golia ricavato da un antico cammeo), lo scultore ha anche impresso un acuto senso della realtà, che evita di cadere nella pura compiacenza Estetica: il leggero le asimmetrie della posa e l’espressione monolitica, che danno vita a riferimenti culturali in qualcosa di sostanzialmente energetico e reale, ne sono la prova.

Dopotutto, la fondazione dell’Accademia neoplatonica aveva sancito gli orizzonti intellettuali della cultura sotto Cosimo, sviluppando le discipline umanistiche verso una rievocazione più nobile e ideale del passato classico.

Arte sotto Piero de ‘Medici
Sotto il figlio di Cosimo, Piero de ‘Medici, si accentuò il gusto per l’intellettualismo, con una minore enfasi sulle opere pubbliche a favore di un gusto orientato principalmente verso collezioni di oggetti preziosi e spesso minuti (gemme, antichità, arazzi), ricercate sia per il loro valore intrinseco e il loro status di oggetti rari che hanno dimostrato prestigio sociale.

Il governo di Piero a Firenze durò solo cinque anni (1464-1469), ma prese un orientamento ben definito, che riprendeva le vie delle raffinate corti aristocratiche, che era anche ispirato dall’emulazione dell’aristocrazia cittadina. Opera emblematica di quella stagione sono gli affreschi della Cappella dei Magi di Benozzo Gozzoli, la cappella privata di Palazzo Medici (1459), decorata da Piero. Nella sontuosa processione dei membri della famiglia dei Magi e dei loro sostenitori vengono trasfigurati nell’episodio sacro, dove il mito diventa un pretesto per ritrarre la scintillante società borghese dell’epoca.

Nei decenni centrali del secolo, gli scultori si ispirarono spesso ai principi di Copia et Varietas, teorizzati da Alberti, che includevano ripetizioni di modelli simili con lievi variazioni ed evoluzioni, per soddisfare il gusto articolato del cliente. Esemplare in questo senso è l’evoluzione dei monumenti funebri, da quello di Leonardo Bruni di Bernardo Rossellino (1446-1450), a quello di Carlo Marsuppini di Desiderio da Settignano (1450-1450) alla tomba di Piero e Giovanni de ‘Medici di Andrea del Verrocchio (del primo periodo Laurenziano, 1472). In questi lavori, pur partendo da un modello comune (l’arcosolio), otteniamo risultati progressivamente più raffinati e preziosi.

Una delle opere più significative dei decenni centrali del XV secolo a Firenze fu tuttavia la cappella del Cardinale del Portogallo, una raffinata celebrazione di Jacopo di Lusitania, morto a Firenze nel 1458, e della sua famiglia reale. La cappella è il miglior esempio di quel gusto tipico di Firenze nei decenni centrali, legata alla varietà di materiali, tecniche, modi espressivi e riferimenti culturali, che insieme creano un effetto elegante e sottilmente scenografico. L’architettura è una croce greca, con ogni braccio con una decorazione diversa (basata sulla pittura o sulla scultura), ma il tutto è unificato dal continuo fregio con le armi dei reali del Portogallo e la ricorrenza del fuoco e della serpentina. Nessuna superficie è priva di decorazioni:

Il lato focale è il lato est, dove si trova la tomba del cardinale scolpita da Antonio e Bernardo Rossellino. Lo spazio è scenografico e sottolineato da una cortina che, ai lati dell’arco, è tirata indietro come una tenda da due angeli dipinti. Ogni decorazione contribuisce a mettere in scena il “trionfo soprannaturale” del cardinale. Lo stile generale è caratterizzato dalla ricchezza di figure, poste con naturalezza sciolta, che creano un’animazione elegante, mai sperimentata nei precedenti monumenti. La modellazione delle sculture è molto sensibile e crea effetti illusionistici che sono lontani dalla ricerca razionale che aveva animato gli artisti del Rinascimento della prima generazione. Il bassorilievo del seminterrato contiene una delle più antiche testimonianze di antichi miti riutilizzati in chiave neoplatonica e cristiana: il tema della tauromachia della discesa mitraica sui lati corti (simbolo della resurrezione e della forza morale), l’auriga (simbolo platonico della mente che guida l’anima e domina le passioni), gli unicorni che si fronteggiano (simbolo della verginità) e i geni seduti sulle teste leonine (forza). Al centro, sopra la ghirlanda, è il cranio affiancato dal giglio e dalla palma, simboli della purezza e dell’immortalità dell’anima. Il complesso simbolico allude alle virtù morali del giovane prelato, alla vittoria sulle passioni e sull’ascetismo. è il teschio fiancheggiato dal giglio e dalla palma, simboli della purezza e dell’immortalità dell’anima. Il complesso simbolico allude alle virtù morali del giovane prelato, alla vittoria sulle passioni e sull’ascetismo. è il teschio fiancheggiato dal giglio e dalla palma, simboli della purezza e dell’immortalità dell’anima. Il complesso simbolico allude alle virtù morali del giovane prelato, alla vittoria sulle passioni e sull’ascetismo.

I protagonisti

Fra Angelico
Beato Angelico fu uno dei primi seguaci di Masaccio e nella fase matura ebbe un ruolo importante nell’arte fiorentina. La sua cultura, derivata dalla tradizione tomista domenicana, lo portò a cercare di saldare le conquiste del Rinascimento (specialmente l’uso della prospettiva e del realismo) con i valori del mondo medievale, come la funzione d’insegnamento dell’arte. Nel quarto decennio del XIV secolo la sua produzione fu orientata verso la “pittura della luce” influenzata da Domenico Veneziano, con un uso razionale delle fonti luminose, che ordinano e unificano tutti gli elementi della scena. Tra gli esempi vi sono la pala d’altare dell’Incoronazione della Vergine del Louvre e la sua predella, dove i ritmi e le simmetrie tipicamente gotiche sono attualizzati da una composizione spaziale virtuosistica dal colore splendente, più ricco di luci e ombre, che dà volume e indaga i materiali con sensibilità. L’interesse per la resa dei fenomeni luminosi ha portato l’Angelico, nella sua fase matura, ad abbandonare l’illuminazione indistinta e generica a favore di una resa più attenta e razionale di luci e ombre, dove ogni superficie è identificata dalla sua “lucentezza” specifica .

Di fondamentale importanza per la scena artistica fiorentina nei decenni centrali del secolo fu la costruzione e la decorazione del convento di San Marco, finanziato da Cosimo de ‘Medici, che ebbe luogo tra il 1436 e gli anni Cinquanta del Quattrocento. L’Angelico e il suo staff furono i protagonisti di un ciclo di affreschi che dovevano offrire meditazione e preghiere ai monaci. Le scene destinate alle celle dei monaci mostrano spesso alcuni santi dominicani che sono un esempio, con il loro atteggiamento, del comportamento da assumere di fronte a ciascun episodio: meditazione, compassione, umiltà, prostrazione, ecc. Tra gli affreschi eseguiti per comune aree del convento la cosiddetta Madonna delle Ombre si distingue per la sua originalità (risalente al primo o all’ultimo anno della decorazione), dipinto nello stretto corridoio del primo piano dove la luce proviene da una piccola finestra in basso a sinistra; anche nella pittura l’angelo cercò di usare questa stessa fonte di illuminazione, con l’ombra dei capitelli dipinti che incombe sull’intonaco, mentre i santi a destra hanno persino il riflesso della finestra negli occhi.

Domenico Veneziano
Domenico Veneziano fu uno dei primi artisti fiorentini ad assimilare alcuni tratti della pittura nordica, in particolare fiamminga, che all’epoca godeva di una moda particolare e di interesse collettivo, per virtuosismi che rispondevano all’allora dominante gusto di Varietas.

L’educazione dell’artista è incerta (Venezia, ma più probabilmente Firenze stessa), ma ha acquisito tutti i suggerimenti allora disponibili in Italia. Un primo processo, commissionato da Piero de ‘Medici, fu il round dell’Adorazione dei Magi (1438-1441), in cui l’eleganza e la sontuosità del marchio tardogotico aggiungevano un senso concreto di spazio e volume, che i minimi dettagli nel in primo piano il paesaggio all’aperto sullo sfondo. L’opera doveva piacere al cliente, infatti negli anni immediatamente successivi Domenico fu arruolato nella decorazione della chiesa di Sant’Egidio, ad un ciclo perduto di affreschi a cui parteciparono anche Andrea del Castagno, Alesso Baldovinetti e il giovane Piero della Francesca, che fu decisamente influenzata dalla ricerca luministica di Domenico. In questi anni, infatti,

Il capolavoro della sua ricerca è la Pala di Santa Lucia dei Magnoli (1445-1447), dove ha anche dimostrato piena familiarità con le regole della prospettiva centrica lineare, ambientato in quel caso a tre punti di fuga. L’elemento dominante del dipinto è comunque il gioco di luci che spunta dall’alto definendo i volumi dei personaggi e l’architettura, e minimizza le suggestioni lineari: il profilo di Santa Lucia, ad esempio, si distingue non in linea di contorno, ma grazie al contrasto della sua luce sullo sfondo verde.

Filippo Lippi
Filippo Lippi fu un altro pittore che subì molte influenze, tra cui quella fiamminga. Dopo un soggiorno a Padova tornò a Firenze nel 1437 e in quell’anno eseguì la Madonna di Tarquinia, dove usò un rilievo in plastica masaceana, un gusto per lo sguardo e per i gesti presi da Donatello nella vita reale e, soprattutto, un nuova attenzione per l’ambientazione e il gioco di luci. Alcuni dettagli, come la carta appesa alla base del trono, sono inequivocabilmente fiamminghi.

Gradualmente, l’arte di Fra ‘Filippo si volge verso un gusto preponderante verso la linea, come nel Pala Barbadori (1438), dove l’unità della scena è data dalla progressione ritmica dei contorni. La luce non proietta plasticamente le figure create dal casting, come in Masaccio, ma sembra avvolgere le figure partendo dal disegno, in un chiaroscuro che restituisce il rilievo in modo più ovattato.

Un nodo cruciale nella carriera di Lippi furono gli affreschi con le Storie di Santo Stefano e San Giovanni Battista nel Duomo di Prato (1452-1464). In queste scene le figure umane e il loro dinamismo dominano la rappresentazione, con scorci profondi dell’architettura, costruiti con molteplici punti di fuga, che accentuano il senso del movimento. Le azioni raccontate sono fluide e attente a ripristinare la verità umana dei personaggi.

Filippo Lippi ebbe una profonda influenza sui successivi artisti fiorentini, ponendo l’accento soprattutto sulla raffinatezza delle pose con un dominio virtuosistico del contorno. A questa corrente dominante si contrapponeva, in minoranza, quella che cercava l’armonia tra colori chiari e volumi puri, capitanata da Domenico Veneziano, che ebbe particolare successo nell’area umbro-marchigiana.

Andrea del Castagno
Andrea del Castagno ha sviluppato una pittura rigorosa, ispirata a tratti che fino ad allora erano stati poco seguiti da Masaccio e Donatello, come il chiaroscuro plastico, accentuato e reso più drammatico dall’uso di colori più contrastanti, e il realismo delle fisionomie e degli atteggiamenti, a volte esagerato. fino a raggiungere risultati espressionistici.

Un’opera chiave della sua carriera artistica è il Cenacolo di Sant’Apollonia a Firenze, dove su una solida base prospettica dipinse una solenne Ultima Cena, con figure intensamente caratterizzate e isolate dal contorno pulito, rese in rilievo da una illuminazione laterale cruda. La parte superiore del ciclo contiene invece la Deposizione, la Crocifissione e la Resurrezione dove, seppur molto rovinati, ci sono episodi di grande partecipazione emotiva, che confutano l’immagine attuale coniata da Vasari di un artista incapace di tenerezza, che il colo cattivo colorare fece le opere “un po ‘crudeli e dure”.

Anche in opere successive, come la Trinità e i santi, ha accentuato i valori espressivi con uno sguardo spettacolare della croce e ha esasperato il realismo delle figure. La sua conferenza, appena implementata a Firenze, fu la base per lo sviluppo della scuola ferrarese.

Architetto Alberti
Importante era la presenza nella città di Leon Battista Alberti, che nei decenni centrali lavorò principalmente come architetto per il ricco mercante Giovanni Rucellai, con il quale aveva un legame di amicizia e affinità intellettuale.

Alberti aveva un concetto di architettura come attività puramente intellettuale, che era esaurito nella creazione del progetto, senza la necessità di una presenza costante sul cantiere. Per lui era una “filosofia pratica”, in cui metteva a frutto un bagaglio complesso di esperienze letterarie, filosofiche e artistiche, in meditazioni che coinvolgevano l’etica e l’estetica.

Dal 1447 istituì il Palazzo Rucellai, poi la facciata di Santa Maria Novella (1456) e costruì infine il tempio del Santo Sepolcro. Si trattava sempre di interventi parziali, che l’Alberti stesso sminuiva come “decorazione parietale”. A Palazzo Rucellai unificò diversi edifici preesistenti, concentrandosi principalmente sulla facciata, che era composta da una griglia di elementi orizzontali e verticali entro cui erano inserite le finestre. Con elementi classici (portali, cornici, ordini sovrapposti nei capitelli) elementi fusi della tradizione medievale, come il bugnato e le bifore. L’effetto complessivo è vario ed elegante, dovuto alla vibrazione della luce tra le aree chiare e lisce (pilastri) e quelle scure (aperture, solchi del bugnato).

In Santa Maria Novella la facciata era rimasta incompiuta dal 1365, raggiungendo il primo ordine di piccoli archi e con alcuni elementi già definiti come il rosone. Alberti cercò di integrare la parte vecchia con quella nuova, mantenendo la decorazione in intarsi di marmo bicolore e lasciando gli archi inferiori, inserendo al centro solo un portale (derivato dal Pantheon), chiuso dal motivo a colonna sul i lati. L’area superiore è separata dalla zona inferiore da una cornice sulla quale scorre una banda quadrata intarsiata, e una funzione di collegamento simile ha i due pergamene laterali. Il set si basa sui principi della composizione modulare (basata sull’uso dello squadrato e dei suoi multipli e sottomultipli), mitigato da alcune asimmetrie (volute o dovute agli esecutori materiali),

Sempre nel tempio del Santo Sepolcro, monumento funebre di Giovanni Rucellai, l’Alberti utilizzava gli intarsi marmorei della tradizione romanica fiorentina, creando una struttura rigorosamente classica con dimensioni basate sul rapporto aureo.

La differenza essenziale tra Brunelleschi e Alberti si trova soprattutto sul piano geometrico: dove i primi spazi sempre tridimensionali modulati, il secondo organizzava geometricamente le superfici bidimensionali. Un punto comune è invece la valorizzazione della tradizione locale, attingendo alla storia del singolo edificio e razionalizzando gli elementi esistenti, al fine di ottenere qualcosa di estremamente moderno ma radicato nel locale specifico.

Il ritorno di Donatello
Nel frattempo, il divario tra gli artisti del primo umanesimo e quelli della nuova generazione, legati a un gusto più vario e ricercato, era evidente quando Donatello tornò dal suo soggiorno di dieci anni a Padova nel 1453. Il suo doloroso Maddalena penitente ( 1453-1455) non poteva essere più diverso dal coevo di Desiderio da Settignano, molto più composto.

Donatello si trovò così isolato nella propria città e ricevette l’ultima commissione (i due pulpiti per San Lorenzo) grazie all’intervento diretto di Cosimo de ‘Medici, che era da lungo tempo suo ammiratore. Nel Pulpito della Passione (1460-1466) scene come Lamentazione e Deposizione mostrano un rifiuto delle regole di prospettiva, ordine e armonia, sotto la bandiera dell’espressionismo ancora più vivido che nei rilievi di Padova. L’occhio fatica a distinguere i protagonisti nella massa palpitante dei personaggi, mentre la composizione taglia senza scrupoli interi passaggi, come i ladri sulla croce di cui si vedono solo i piedi, dando l’effetto di uno spazio infinitamente indeterminato, che amplifica, drammatico pathos della scena.

L’artista e il laboratorio
Il XV secolo vide, con continuità speciale a Firenze, importanti progressi nello sviluppo della figura dell ‘”artista”, secondo un processo già iniziato nel secolo precedente. Gli artigiani aspiravano a disimpegnarsi dalla figura del lavoratore manuale, che produce oggetti su commissione (“artigiano”), in favore di una concezione più intellettuale e creativa del loro lavoro, che aspirava a far parte delle “arti liberali”. Un ruolo fondamentale è stato svolto dagli scritti teorici di Leon Battista Alberti, che già in De picturahe ha ritratto la figura di un artista istruito, colto, esperto che ha padroneggiato tutte le fasi del lavoro di persona, dall’idea alla traduzione nel manufatto , avendo cura di tutti i dettagli. La figura descritta da Alberti, tuttavia, rappresentava un obiettivo ideale,

La cellula base della produzione artistica rimase in effetti il ​​laboratorio, che era allo stesso tempo un luogo di produzione, commercio e formazione. Il corso del maestro è iniziato nel laboratorio, dove è entrato molto giovane (13, 14, 15 anni ..) e ha iniziato a guadagnare confidenza con il commercio in modo pratico, partendo da compiti secondari (come la riorganizzazione e la pulizia di strumenti) e assumendo gradualmente maggiore responsabilità e peso nella creazione e produzione di manufatti. Una costante era la pratica del disegno, indipendentemente dalla prevalente disciplina artistica in cui specializzarsi. La preparazione teorica era limitata a poche nozioni di base di matematica e geometria ed era principalmente lasciata alla buona volontà dell’individuo. Le procedure complesse, come la prospettiva, sono state apprese empiricamente,

I negozi si occupavano di due tipi di produzione di base:

Uno più impegnativo, di opere richieste su contratto di commissione, dove sono state stabilite le caratteristiche dell’oggetto, i materiali, i tempi di esecuzione e le modalità di pagamento. La libertà era solitamente lasciata su questioni di composizione e stile.
Un secondo tipo legato alle produzioni attuali, facile da vendere (casse nuziali, banchi di nascita, quadri votivi, arredi), che sono stati prodotti direttamente senza commissione specifica (nella maggior parte dei casi). Non mancano produzioni in serie, con stampi e calchi, come la Madonna in stucco, la terra cotta cruda o smaltata.
Nella seconda categoria di prodotti venivano spesso presi, semplificandoli e volgarizzandoli, le innovazioni delle opere più importanti e originali: anche le soluzioni più audaci e innovative, dopo un certo periodo di tempo, subivano questo processo di assimilazione e diffusione, diventando parte di il repertorio comune. Le decantazioni e le rivisitazioni anche tra discipline artistiche molto diverse erano frequenti e stimolanti, come l’uso come motivo dell’oreficeria delle riproduzioni in miniatura della lanterna di Santa Maria del Fiore (per esempio nella Croce del Tesoro di San Giovanni, a Museo dell’Opera del Duomo di Firenze, e in numerosi altri reliquiari, candelabri e ostensori).