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Rinascimento mantovano

Il Rinascimento a Mantova decollò dalla metà del XV secolo, dipendendo interamente dalla dinastia dei Gonzaga, che resero la città, nonostante la piccolezza del territorio e la sua relativa importanza sulla scacchiera europea, una delle corti più splendide d’Europa. A differenza delle altre declinazioni del Rinascimento italiano, Mantovano riguardava solo la famiglia dominante: la differenza tra le commissioni dei Gonzaga e quelle del Mantovano, per quanto ricche, è abissale.

Contesto storico e culturale
I Gonzaga avevano espulso i Bonacolsi nel 1328, imponendo un dominio su Mantova che durò fino al diciassettesimo secolo. Essendo Mantova un feudo imperiale, i Gonzaga lavorarono duramente per ottenere la legittimità imperiale, che arrivò nel 1432, quando Gianfrancesco Gonzaga ottenne il titolo di marchese. Il legame imperiale era sempre motivo di orgoglio e prestigio per la famiglia, sottolineato anche dai ripetuti matrimoni con principesse di discendenza tedesca.

Dinastia di grandi mecenati, i Gonzaga si dedicarono immediatamente a rappresentare il loro dominio sulla città anche attraverso commissioni artistiche, installandosi nel castello decentrato di San Giorgio.

Dopo il 1423 Gianfrancesco Gonzaga finanzia la creazione della Ca ‘Zoiosa, la scuola dell’umanista Vittorino da Feltre, che era il precettore dei figli del marchese. La futura classe dirigente fu così educata dall’infanzia alla cultura classica, alla storia romana, alla poesia, alla filosofia, alla matematica e all’astrologia.

Nella prima metà del secolo prevalse uno stile tardo gotico come nel resto dell’area lombarda, con la fondamentale dimora di Pisanello come artista di corte fino alla sua morte nel 1455, che realizzò affreschi di tono cavalleresco (Torneo-Battaglia di Louverzep) e una serie di medaglie di grande eleganza. Tuttavia, non mancarono i contatti con gli artisti toscani, così come la presenza di Filippo Brunelleschi nella città tra il 1436 e il 1438, quando gli fu chiesto delle questioni idrauliche. L’ampia conoscenza umanistica che si stava diffondendo nella città determinò un precoce riavvicinamento con l’Umanesimo padovano, con i ripetuti contatti con Donatello e con i soggiorni degli architetti toscani Antonio Manetti e Luca Fancelli.

Un salto di qualità arrivò dopo la pace di Lodi (1459), quando il territorio di Mantova ebbe un felice momento di prestigio politico, sancendo l’importanza della città nella scacchiera italiana, tra i Visconti di Milano e la Serenissima. Questa centralità fu suggellata quell’anno, quando Mantova fu scelta come sede del consiglio chiamato da Pio II per organizzare la crociata contro gli Ottomani per riprendere Costantinopoli, che cadde nel 1453. In quell’occasione il marchese Ludovico III quasi chiamò simultaneamente Leon Battista Alberti (in città dal 1459) e Andrea Mantegna (dal 1460), che hanno segnato gli indiscussi punti di riferimento delle avanguardie artistiche mantovane.

L’era di Ludovico Gonzaga, in potere fino al 1478, segnò un primo climax nella vita artistica della città, seguito dal breve marchesato del figlio Federico, sostanzialmente continuando quello del padre. Con l’ascesa al potere di Francesco II gli interessi del giovane erede, essi si volsero principalmente per portare avanti la tradizione militare della famiglia, diventando un noto leader. Invece, sua moglie Isabella d’Este, una delle donne più colte e celebri del Rinascimento, dominava la scena artistica, collezionando oggetti d’antiquariato di grande valore e richiedendo la collaborazione dei più grandi artisti attivi nella penisola, come Tiziano, Perugino, Leonardo da Vinci e Correggio. Questa passione per il mecenatismo fu trasmessa anche a suo figlio, Federico II, che chiamò a Mantova Giulio Romano, importante studioso di Raffaello, che creò per lui Palazzo Te, uno straordinario esempio di classicismo cinquecentesco.

Pianificazione urbana
Gli interventi urbani sulla città erano limitati, anche per la sua struttura già fissata da tempo e non molto flessibile: su tre lati la città è chiusa dalla fascia dei laghi che provengono dal Mincio, con una rete stradale derivata dal romano era. L’angolo nord-est della città era il vecchio centro politico-religioso, attorno all’attuale piazza Sordello, sede del palazzo Bonacolsi, in contrapposizione al nucleo comunale di Piazza delle Erbe e del Broletto, ridotto al mercato.

Gli edifici promossi dai Gonzaga furono imperniati sul nuovo centro politico del Castello di San Giorgio e sulle due chiese di Sant’Andrea, contenenti reliquie venerate, e San Sebastiano, una chiesa privata della dinastia.

Architettura

San Sebastiano
In architettura fu decisivo l’arrivo nel 1459 di Leon Battista Alberti, chiamato da Ludovico III Gonzaga. Il suo primo intervento riguardò, dal 1460, la chiesa di San Sebastiano, che si erge sul bordo del centro lungo una delle arterie principali che conducono alla zona paludosa del Tè, appena fuori le mura, dove erano le bancarelle dei famosi cavalli , orgoglio di casa.

Alberti progettò un edificio austero e solenne e, sebbene il suo progetto non fosse stato fedelmente e arbitrariamente restaurato nel XX secolo, fu la base per le riflessioni rinascimentali sugli edifici con una croce greca. La chiesa è divisa su due piani, con il piano seminterrato inferiore, ed è articolata su uno spazio centrale, quasi cubico e coperto da una volta a crociera, da cui partono tre braccia corte di dimensioni uguali. Il quarto lato è quello della facciata, dove c’è un portico che oggi è composto da cinque aperture. In generale è un’elaborazione classica del tempio sul podio, con architrave rotto, timpano e arco siriaco, che testimoniano l’estrema libertà con cui l’architetto ha disposto gli elementi. Forse l’ispirazione era un’opera tardoantica, come l’arco arancione.

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Sant’Andrea
L’antico lessico fu manipolato con altrettanta facilità nella Basilica di Sant’Andrea, anche se, in questo caso, manomettendo i progetti originali avvenuti durante il corso dell’opera, dopo la morte di Alberti. L’edificio fu creato per sostituire un santuario dove veniva venerata una preziosa reliquia del sangue di Cristo. Alberti cambiò l’orientamento della chiesa allineandola con l’asse stradale che collegava Palazzo Ducale al Tè.

La pianta della chiesa è a croce latina, con un’unica, grande navata con volta a botte a lacunare, su cui si aprono cappelle laterali a base rettangolare. La scelta era anche legata a specifici riferimenti antichi, come il tempio etrusco descritto da Vitruvio e la Basilica di Massenzio. Al fine di sigillare l’intera area monumentale, è stata data particolare importanza alla facciata, costituita come un arco trionfale con un solo arco tra le pareti, ancora più monumentale rispetto al precedente esempio sulla facciata del Tempio Malatestiano. Più enfasi viene quindi data da un secondo arco superiore, oltre il timpano, che segna l’altezza della navata e che grazie all’apertura interna consente l’illuminazione dell’edificio. L’atrio ha un grande spessore, come punto di filtraggio tra interno ed esterno, che ricorre anche nel contorno delle cappelle interne.

Palazzo Ducale e il castello di San Giorgio
Fin dai tempi di Ludovico III Gonzaga il Castello di San Giorgio, forte fortezza sul Mincio, fu oggetto di cambiamenti che gradualmente, generazione dopo generazione, trasformarono il suo aspetto da edificio militare a residenza signorile. Col tempo il castello fu dotato di nuove ali e cortili, diventando un vero palazzo, Palazzo Ducale, una vera e propria città-palazzo separata e totalmente fuori scala rispetto alla città reale.

Palazzo Te
Costruita tra il 1524 e il 1534 su commissione di Federico II Gonzaga, è l’opera più famosa dell’architetto italiano Giulio Romano.

Pittura

Andrea Mantegna
La produzione pittorica per i Gonzaga fu dominata per tutto il Quattrocento da Andrea Mantegna, artista di corte dal 1460, quando riuscì fino al compianto Pisanello, fino alla sua morte nel 1506. Scelto giovane a Padova da Ludovico III Gonzaga, l’artista si distinse come uno tra i più innovativi e rivoluzionari della scena italiana, con i suoi forti interessi per l’antichità classica e per la creazione con la pittura di spazi illusionisticamente aperti, dove lo spazio reale e dipinto si fondono con grande maestria. Tra le sue prime opere per il marchese si trova la tavola della Morte della Vergine, creata per una cappella privata mancante del Castello di San Giorgio, dove il tema è trattato senza miracoli, in un’architettura con una vista dalla finestra che è finemente afferrato dalla vita. L’addolcimento di forme e colori, iniziato nel percorso dell’artista già nella Pala di San Zeno (1457-1459), è ulteriormente sviluppato qui, con una maggiore naturalezza dei gesti e dei tipi umani, che sono nobilitati dall’ampio respiro monumentale della composizione .

Grande capolavoro dell’artista a Mantova è la Camera degli Sposi, completata nel 1474. L’ambiente di rappresentanza piuttosto piccolo è coperto da affreschi sulle pareti e sulla volta. Dei quattro lati, due sono coperti da drappi dipinti, mentre gli altri presentano le stesse tende, ma spostati per rivelare scene della corte dei Gonzaga. Le colonne dipinte sembrano contenere una loggia che rompe lo spazio reale del muro, coinvolgendo anche i veri oggetti della stanza, come la mensola del camino che diventa una base rialzata di una terrazza dove Ludovico, seduto accanto a sua moglie, sta ricevendo una lettera dalla sua segretaria. Il gioco illusorio trova il suo apice nel famoso oculo della volta, dove una serie di cherubini e damigelle, guardando giù scherzosamente, si affacciano, fortemente accorciati da sott’in su. Sulla volta ci sono anche una raffinata serie di affreschi di grisaglia, con busti di imperatori romani e scene mitologiche, che danno alla sala il tono di una magnifica sala antica, dove la vita della corte contemporanea rivendica la stessa nobiltà dell’età classica. La Camera degli Sposi segnò una svolta epocale nello stile delle corti italiane, che dalle sontuose decorazioni in stile tardo gotico passarono a un’immagine più solenne, intellettuale e umanistica.

Sotto Francesco II, Mantegna si dedicò a un’opera ancor più ambiziosa, i Trionfi di Cesare (1485 ca.-1505), dove la passione per l’antico, la prestigiosa ostentazione per i mecenati e l’eredità medievale della passione per i dettagli e il dettaglio episodico . Il ciclo, di cui sono conosciute nove tele, tutte nell’edificio di Hampton Court a Londra, era estremamente famoso, visitato da ogni ospite di rispetto e celebrato da tutti, anche se tutta questa popolarità è all’origine del cattivo stato di conservazione oggi , a causa dei numerosi e impropri tentativi di restauro nel corso dei secoli. Ogni tela ha una forma quadrata, di circa 2,80 metri per lato, dove sono rappresentati i protagonisti di una processione trionfale di Giulio Cesare, che si dipana in un dipinto per un’intera stanza, con un punto di vista ottimizzato per una vista dal basso. Infatti, nei tempi antichi si pensava che esistesse un sistema di pilastri in legno che intercalasse le scene, dando l’impressione anche in questo caso di vedere tutto attraverso una loggia aperta. La processione, ispirata a fonti più antiche e moderne, si sviluppa con continue invenzioni, senza cedere, dove i dati degli studiosi sono posti sullo sfondo dalla rappresentazione umana, colti nelle più svariate attitudini.

L’era di Isabella d’Este e Federico Gonzaga
Nell’epoca di Isabella d’Este la fama di Mantegna, ormai anziano, subì un certo ridimensionamento. Sebbene la marchesa apprezzava il suo talento indiscusso come pittore di scene figurative e mitologiche, commissionando vari dipinti per il suo studio, lo criticava come ritrattista, forse cogliendo le caratteristiche più rigide del suo stile, non incline ad attenuarsi secondo lo stile di dolce naturalezza che fu poi spopolato in Italia, con esponenti come Leonardo da Vinci, Perugino e Veneziani come Giovanni Bellini e Giorgione.

L’inizio del XVI secolo è dominato dalle iniziative culturali della marchesa, di cui rimane una preziosa corrispondenza con vari pittori, che testimonia il rapporto tra clienti e artisti alla vigilia del “Modern Manner”. Per il suo Studiolo ha richiesto dipinti dei maggiori artisti dell’epoca, tra cui il già citato Mantegna e il Perugino, oltre a Lorenzo Costa il Vecchio e il Correggio. Isabella era anche commissaria di Tiziano.

L’amore per le arti fu trasmesso pienamente al figlio Federico, che nel 1524 imprimeva una svolta “moderna” all’arte di corte con l’arrivo di Giulio Romano, allievo di Raffaello, che creò Palazzo Te affrescando la famosa Sala dei Giganti.

Scultura
Alla corte di Mantova la scultura non ebbe molto seguito, a causa della mancanza di cave nel territorio e dei costosi dazi di importazione dai territori limitrofi. Per questo motivo è stata sviluppata una ricca produzione di dipinti a grisaglia, che ha avuto il più grande creatore di Mantegna. Solo ai tempi di Isabella d’Este ci sono i soggiorni di alcuni famosi scultori, come il Lombardo o l’Antico, autore di una serie di bronzi che imitavano opere classiche per lo studio di Isabella.

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