I confini tra arte e moda, Tra Arte e Moda, Museo Salvatore Ferragamo

I confini tra arte e moda divennero meno chiari negli anni Ottanta, quando le forme di relazione tra i due mondi crebbero a livello internazionale. Istituzioni d’arte hanno aperto le porte a designer come il Metropolitan È emersa una nuova categoria di curatori di mostre e musei dedicati.

Mentre le gallerie d’arte e le case d’aste hanno prestato sempre più attenzione al fenomeno, i principali stilisti hanno creato spazi appositamente dedicati alle mostre d’arte e hanno finanziato mostre e opere d’arte in tutto il mondo, contribuendo alla loro crescente fama.

A loro volta, gli artisti hanno collaborato con la moda per le ragioni più varie e complesse: dalle semplici considerazioni finanziarie al desiderio di popolarità, dalle relazioni personali alla curiosità, e dal grande progetto di un’opera d’arte totale a un’utopia rivoluzionaria.

Andy Warhol strategie di comunicazione.
Molte volte gli artisti hanno lavorato per la comunicazione della moda, come designer per riviste, come illustratori di cataloghi pubblicitari. Un esempio lampante di questa simbiosi tra mondo dell’arte e della moda è Andy Warhol.

Warhol è nato con la moda sin dai primi anni ’50, era stato designer e pubblicità per “Glamour”, “Vogue” e “Harper’s Bazaar”, creando scarpe dalla linea sottile ed elegante. In questa sezione verranno esposte alcune pagine pubblicate sulle riviste di moda di quegli anni che mostrano i suoi primi test come illustratore di moda. Warhol diresse una rivista “Intervista”, qui riprodotta in diciotto numeri, che fungeva da sindacato tra il mondo dell’arte e quello della moda.

Con la sua presenza sulla scena culturale newyorkese, a feste, vernissage, retrospettive e sfilate di moda, ha plasmato il rapporto tra arte, moda e celebrità che conosciamo oggi. Questo concetto è rappresentato da una serie di scatti fotografici che ritraggono Warhol in diversi momenti della vita sociale di New York e dalla famosa installazione Altered Image di Christopher Makos.

Quello che è certo è che nei suoi progetti Andy Warhol ha diffuso input estetici di grande impatto con una natura spesso irriverente. L’esempio più eclatante è “The Souper Dress”, presentato nella mostra, un concentrato di moda, arte e logica industriale. È un abito di carta, cellulosa e cotone prodotto negli anni ’60 con il motivo del famoso Campbell Soup, un’immagine ripetuta in sequenza, stampata in serigrafia dalla lattina della zuppa.

Germana Marucelli.
Raro interprete di poesia. Se l’atelier di Ferragamo rappresenta l’officina dell’artista-artigiano rinascimentale, dove la padronanza tecnica che è andata di pari passo con la creatività è fondamentale, l’atelier di Germana Marucelli degli anni sessanta è il luogo di incontro tra operatori della moda, artisti e intellettuali uniti nella ricerca per nuove forme espressive in grado di interpretare il loro tempo. La sezione riproduce l’atelier-salone Marucelli che ospita le opere d’arte originali di Pietro Zuffi, Getulio Alviani, Paolo Scheggi che sono state esposte sulle pareti e sugli abiti, frutto della collaborazione con questi artisti. Arricchita da documenti, fotografie, opuscoli promozionali e pubblicazioni, questa parte della mostra documenta anche gli anni precedenti questo momento, il dopoguerra, quando la sarta istituì il premio di poesia di San Babila e il suo salone era frequentato ogni giovedì da scrittori e poeti , tra cui i maggiori rappresentanti della poesia italiana del Novecento, Ungaretti, Quasimodo e Montale.

Dall’atelier alla mood board.
Questa sezione mostra come le immagini degli stilisti siano sempre più una narrazione attraverso immagini che emergono dal flusso di informazioni, cercando di stimolare due qualità come l’attenzione e la memoria del pubblico. Creato con la rivista “A MAGAZINE CURATED BY”, uno spazio immersivo accoglie il pubblico e lo proietta nell’universo visivo e fantasioso di menti creative eccezionali. Il mondo di Haider Ackermann, Martin Margiela, Yohji Yamamoto, Iris van Herpen, Dries van Noten, Giambattista Valli, Stephen Jones, Rodarte, Jun Takahashi, Kris van Assche, Martine Sitbon, Proenza Schouler, Riccardo Tisci compone un caleidoscopio di immagini d’arte, musica, poesia e fotografia.

Yinka Shonibare.
Che l’arte possa usare la moda per modellare il suo linguaggio critico è dimostrato dall’opera dell’artista britannico di origine nigeriana, Yinka Shonibare. Con le sue installazioni, trasposizioni filmiche, propone una profonda riflessione sulla multiculturalità, analizzando principalmente la questione coloniale. Le figure che animano le sue opere sono costituite da manichini in pose teatrali e drammatiche, vestiti secondo gli stili tratti dai dipinti dei secoli XVIII e XIX, ma realizzati con tessuti batik, di chiara origine africana.

Giochi di ruolo.
Oggi la riflessione sul rapporto arte / moda dovrebbe essere consapevole del fatto che il dualismo (due sistemi che scrutano, a volte dialogano, ma rimangono separati) che è passato attraverso la storia della moda dell’ultimo secolo è ormai obsoleto. La moda come l’arte mette in discussione le sue pratiche. La sezione attraverso il lavoro di una serie di autori come Hussein Chalayan, Martin Margiela, Viktor & Rolf, Helmut Lang, Nick Cave racconta come oggi sia sempre più difficile definire e chiudere diverse pratiche creative.

Attraverso arte e moda
è l’arte della moda? Una semplice domanda nasconde il complesso universo di una relazione articolata che è stata a lungo investigata, ma senza arrivare a una definizione chiara e inequivocabile. Questo progetto analizza le forme di dialogo tra questi due mondi: ispirazioni reciproche, sovrapposizioni e collaborazioni, dalle esperienze dei preraffaelliti a quelle del futurismo e dal surrealismo alla moda radicale. Il percorso espositivo si concentra sul lavoro di Salvatore Ferragamo, che è stato affascinato e ispirato dai movimenti artistici d’avanguardia del 20 ° secolo, su diversi atelier degli anni Cinquanta e Sessanta che erano luoghi di studi e incontri e sull’avvento del cultura delle celebrità. Esamina quindi la sperimentazione degli anni Novanta e continua a meditare se nell’industria culturale contemporanea possiamo ancora parlare di due mondi separati o se stiamo invece affrontando una fluida interazione di ruoli.

Questa semplice domanda nasconde il complesso universo di una relazione articolata, che è stata investigata a lungo nel tempo, senza mai raggiungere una definizione chiara o inequivocabile. La moda – per il suo bisogno di essere funzionale e quindi per riferirsi concretamente alla vita reale, così come per il suo legame con l’artigianato e l’industria – sembra essere lontana dall’ideale di art pour arte, un concetto che tuttavia non era sempre rappresentativo anche del mondo dell’arte. Andy Warhol ci ha insegnato che l’unicità dell’opera d’arte non coincide più con la produzione artistica e oggi le mostre degli stilisti proliferano e gli stilisti accolgono le pratiche dell’arte contemporanea con disponibilità. È ancora possibile, in questo contesto, parlare della dicotomia tra arte e moda come avvenuta nel secolo scorso?

Questo progetto analizza le forme di dialogo tra questi due mondi: contaminazioni, sovrapposizioni e collaborazioni. Dalle esperienze dei preraffaelliti a quelle del futurismo, dal surrealismo alla moda radicale. Il percorso si concentra sul lavoro di Salvatore Ferragamo, affascinato e ispirato dalle avanguardie artistiche del XX secolo; su alcuni atelier degli anni ’50 e ’60, un luogo di studio e di incontri, e sulla nascita della cultura delle celebrità, per continuare con gli esperimenti degli anni ’90 e chiederci se nell’industria culturale contemporanea possiamo ancora parlare di due mondi distinti, o se invece ci troviamo di fronte a un fluido gioco di ruoli.

La particolarità del piano espositivo risiede nella collaborazione di diverse istituzioni culturali e nella sede della mostra in varie località: oltre al Museo Salvatore Ferragamo, promotore e organizzatore del progetto insieme alla Fondazione Ferragamo, ospitano le varie mostre a Firenze, la Biblioteca Nazionale Centrale, le Gallerie degli Uffizi (Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti), il Museo Marino Marini e, a Prato, il Museo del Tessuto

Le istituzioni coinvolte hanno partecipato attivamente alla realizzazione dell’idea, con l’obiettivo di invitare una riflessione comune.

È un omaggio al Museo Salvatore Ferragamo che ha curato e ideato il progetto e un simbolo: da un lato un elemento decorativo, essenziale per l’estetica di un modello del 1958 di Salvatore Ferragamo, il décolleté di Tirassegno, e dall’altro un’opera di uno dei grandi artisti americani della seconda metà del ventesimo secolo, Kenneth Noland, che fu d’ispirazione.

La mostra al Museo Salvatore Ferragamo ha quattro curatori, Stefania Ricci, direttrice del Museo Salvatore Ferragamo, Maria Luisa Frisa, Enrica Morini, Alberto Salvadori, che con le loro diverse capacità e personalità hanno collaborato giorno dopo giorno alla costruzione del percorso, insieme ai direttori e ai dirigenti delle varie istituzioni che hanno partecipato all’iniziativa con entusiasmo e spirito di collaborazione e agli autori del catalogo, che hanno aiutato i curatori nella scelta finale delle opere, mettendo a disposizione le loro conoscenze e il loro professionista esperienze. Numerosi sono i prestiti delle più prestigiose collezioni pubbliche e private, nazionali e internazionali, che danno alla mostra un’atmosfera internazionale

Museo Salvatore Ferragamo
Il Museo Salvatore Ferragamo di Firenze, in Italia, è un museo della moda dedicato alla vita e alle opere del designer di scarpe italiano Salvatore Ferragamo e della sua omonima azienda. Il museo contiene 10.000 modelli di scarpe create e possedute da Ferragamo dagli anni ’20 fino alla sua morte nel 1960. Dopo la morte di Ferragamo la collezione fu ampliata dalla sua vedova e dai suoi figli. Il museo comprende anche film, ritagli di stampa, materiale pubblicitario, abiti e accessori dagli anni ’50 ad oggi.

La famiglia Ferragamo ha fondato il museo nel maggio 1995 per far conoscere a un pubblico internazionale le qualità artistiche di Salvatore Ferragamo e il ruolo che ha avuto nella storia non solo delle scarpe ma anche della moda internazionale.

Come la maggior parte dei musei aziendali, il Museo Salvatore Ferragamo e i suoi archivi nascono dalla visione di un imprenditore, in questo caso la vedova di Salvatore Ferragamo, Wanda, che ha guidato l’azienda dalla morte del fondatore nel 1960, e i suoi sei figli. In particolare, il maggiore dei loro figli, Fiamma, che dopo la morte del padre gestiva il core business dell’azienda calzaturiera e della pelletteria, rimase al timone di questo progetto per conto della sua famiglia e lo portò alla vita, dando forma alla sua strategia con l’assistenza degli storici e archivisti.

L’idea per il museo è nata inizialmente quando è stata organizzata una mostra a Palazzo Strozzi sulla storia di Salvatore Ferragamo. La mostra è andata in tournée ed è stata ospitata da alcuni dei musei più prestigiosi del mondo, come Victoria and Albert a Londra, il County Museum di Los Angeles, il New York Guggenheim, la Sogetsu Kai Foundation a Tokyo e il Museo de Bellas Artes in Messico. La mostra temporanea divenne gradualmente permanente.

In riconoscimento dell’importanza culturale del museo e di quella delle sue numerose iniziative nel corso degli anni, nel 1999 Salvatore Ferragamo ha ricevuto il Guggenheim Impresa e Cultura Award, assegnato annualmente alle aziende che investono meglio nella cultura per fini costruttivi. Il museo si trova nel centro storico di Firenze, in Palazzo Spini Ferroni, che è anche la sede dell’azienda dal 1938.