Sala di Lucio Fontana, Museo del Novecento

L’ultimo piano del museo è interamente dedicato a Lucio Fontana. La Sala Fontana è stata progettata come un’opera di immersione ambientale. I protagonisti sono il punto di riferimento del soffitto del 1956, inizialmente creato per la sala da pranzo dell’Hotel del Golfo all’Isola d’Elba e concesso dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali; il Neon di proprietà della Fondazione Fontana; e i concetti spaziali degli anni ’50.

Biografia
Lucio Fontana (19 febbraio 1899 – 7 settembre 1968) era un pittore, scultore e teorico argentino-italiano. È principalmente conosciuto come il fondatore dello spazialismo.

Figlio dello scultore italiano Luigi Fontana (1865 – 1946) e di una madre argentina, iniziò la sua attività artistica nel 1921 lavorando nel laboratorio di scultura di suo padre e collega e amico di suo padre Giovanni Scarabelli. Dopodiché divenne seguace di Adolfo Wildt. Dal 1949, rompendo la tela con buchi e tagli, supera la tradizionale distinzione tra pittura e scultura. Lo spazio cessa di essere l’oggetto della rappresentazione secondo le convenzionali regole di prospettiva. La superficie della tela stessa, interrompendosi in rilievi e rientranze, entra in una relazione diretta con lo spazio e la luce reali. Alla fine degli anni ’40, collaborò con Fontana Arte nella creazione di basi in ceramica per tavoli e tavolini (basati sul design dell’architetto Roberto Menghi), e con la società Borsani.

Lucio è nato da una relazione tra Lucia Bottini, figlia dell’incisore svizzero Jean e che in seguito sposerà Juan Pablo Maroni, e il padre Luigi che terrà con sé suo figlio e in seguito sposerà Anita Campiglio, sempre considerata da Fontana una vera madre. La famiglia Fontana era abbastanza a suo agio, quindi il giovane Lucio fu inviato in Italia per studiare prima in importanti college e poi presso l’Istituto tecnico Carlo Cattaneo e il liceo artistico di Brera. Nel 1917 si offrì volontario per arruolarsi nell’esercito. Nel 1921, dopo aver conseguito il diploma di esperto edile, tornò in Argentina. Nel 1924, dopo aver lavorato con suo padre, aprì il suo studio a Rosario abbandonando lo stile realistico di suo padre e osservando invece le forme cubiste di Aleksandr Archipenko come in Nudo (1926) e in La mujer y la balde (1927).

Lavoro
Nel 1927 tornò a Milano e si iscrisse all’Accademia di Brera e si laureò nel 1930. Fu influenzato dal suo professore Adolfo Wildt.

Dirà nel 1963 “Avevo un grande insegnante come guida: Wildt, ero considerato il miglior studente del corso. Anzi, Wildt mi aveva espresso più volte che ero diventato un continuatore della sua arte. Invece, non appena ho lasciato l’Accademia, ho preso una massa di intonaco, le ho dato una struttura approssimativamente figurativa di un uomo seduto e le ho lanciato del catrame. Quindi per una reazione violenta. Wildt si è lamentato e cosa potrei dirgli? Ho avuto un grande rispetto per lui, Gli ero grato, ma ero interessato a trovare un nuovo percorso, un percorso tutto mio. “Nacque una delle opere più importanti del primo periodo di Fontana: The Black Man (1930- ora perduto). Ricordando le opere di Archipenko e Zadkine, cerca un ritorno alle origini della forma. Il catrame nero e la massa quasi senza forma sono in contrasto con il recupero delle forme romane ed etrusche di Arturo Martini e Marino Marini. Insieme a Renato Birolli e Aligi Sassu considera l’espressionismo un’alternativa alla moda del ventesimo secolo come nel campione olimpico (o campione in sospeso) (1932).

Crea anche numerose ceramiche con colori vivaci. Conosce le avanguardie architettoniche milanesi: Figini e Pollini e il gruppo BBPR, ovvero Belgioioso, Banfi, Peressutti, Rogers. Ha acquisito la lezione di Le Corbusier. La vicinanza all’architettura è chiaramente visibile nel monumento a Giuseppe Grandi (Il grande scultore della “Scapigliatura” lombarda) purtroppo mai realizzato (1931) e progettato insieme al cugino architetto Bruno Fontana e all’ingegnere Alcide Rizzardi. Il progetto include un cono invertito e cristalli. Nota la derivazione da opere costruttiviste e razionaliste: vedi Melnikov (Columbus Lighthouse 1929) e Tatlin (monumento al III Internazionale). Negli anni Trenta Fontana era sempre in bilico tra figurazione espressionista e rarefazione di forma e bidimensionalità.

Nel 1937 andò a Parigi per l’Esposizione Universale. Conosce Tristan Tzara e Costantin Brancusi e vede le opere di Picasso. Visita i laboratori di ceramica di Sèvres e crea nuove ceramiche. Dal 1940 al 1947 visse in Argentina e insieme ad altri artisti astratti scrisse Il manifiesto blanco: è necessario un cambiamento nell’essenza e nella forma. Richiede il superamento di pittura, scultura, poesia e musica. È necessaria una maggiore arte in base alle esigenze del nuovo spirito.

Nel 1940 tornò in Argentina. A Buenos Aires (1946) fondò l’Accademia Altamira insieme ad alcuni dei suoi studenti e rese pubblico il Manifesto Bianco, dove si afferma che “Materia, colore e suono in movimento sono i fenomeni il cui sviluppo simultaneo costituisce la nuova arte” . Nel testo, che Fontana non firmò ma a cui contribuì attivamente, iniziò a formulare le teorie che avrebbe dovuto espandere come Spazialismo, o Spatialismo, in cinque manifesti dal 1947 al 1952. Al suo ritorno dall’Argentina nel 1947, egli ha sostenuto, insieme a scrittori e filosofi, il primo manifesto dello spazialismo (Spazialismo) **. Fontana aveva trovato il suo studio e le opere completamente distrutte dai bombardamenti alleati di Milano, ma presto riprese le sue opere di ceramica ad Albisola. A Milano,

Dopo il suo ritorno in Italia nel 1948, Fontana espose il suo primo Ambiente spaziale a luce nera (‘Ambiente spaziale’) (1949) alla Galleria del Naviglio di Milano, un’installazione temporanea costituita da una gigantesca forma simile ad un’ameba sospesa nel vuoto in un stanza buia e illuminata dalla luce al neon. Dal 1949 iniziò il cosiddetto concetto spaziale o serie di barre, che consisteva in buchi o tagli sulla superficie dei dipinti monocromatici, disegnando un segno di ciò che chiamava “un’arte per l’era spaziale”. Ha ideato il generico titolo Concetto spaziale (“concetto spaziale”) per queste opere e lo ha usato per quasi tutti i suoi dipinti successivi. Questi possono essere suddivisi in grandi categorie: i Buchi (“buchi”, a partire dal 1949, e il Tagli (“tagli”), che istituì a metà degli anni ’50.

Fontana spesso rivestiva il retro delle sue tele con una garza nera in modo che l’oscurità brillasse dietro i tagli aperti e creasse un misterioso senso di illusione e profondità. Ha quindi creato un elaborato soffitto al neon chiamato “Luce spaziale” nel 1951 per la Triennale di Milano. Nella sua importante serie di Concetto spaziale, La Fine di Dio (1963-1964), Fontana utilizza la forma dell’uovo. Con la sua serie Pietre (pietre), iniziata nel 1952, Fontana fonde lo scultoreo con la pittura incrostando le superfici delle sue tele con impasto pesante e vetro colorato. Nel suo ciclo Buchi (buchi), iniziato tra il 1949 e il 1950, ha perforato la superficie delle sue tele, rompendo la membrana della bidimensionalità per evidenziare lo spazio dietro l’immagine. Dal 1958 ha purificato i suoi dipinti creando superfici opache, monocromatiche, focalizzando così lo spettatore ‘ s attenzione alle fette che rendono la pelle della tela. Nel 1959 Fontana espose dipinti recisi con molteplici elementi combinabili (chiamò i set quanti) e iniziò Nature, una serie di sculture realizzate tagliando uno squarcio attraverso una sfera di terracotta, che successivamente gettò in bronzo.

Fontana si è impegnato in numerosi progetti di collaborazione con i più importanti architetti della giornata, in particolare con Luciano Baldessari, che ha condiviso e sostenuto la sua ricerca per Spatial Light – Structure in Neon (1951) alla IX Triennale e, tra le altre cose, gli ha commissionato progettare il soffitto del cinema nel padiglione Sidercomit alla 21a Fiera di Milano nel 1953.

Intorno al 1960, Fontana iniziò a reinventare i tagli e le forature che fino a quel momento avevano caratterizzato il suo stile molto personale, coprendo tele con strati di pittura ad olio denso applicati a mano e pennello e usando un bisturi o un coltello Stanley per creare grandi fessure nella loro superficie . Nel 1961, a seguito di un invito a partecipare insieme agli artisti Jean Dubuffet, Mark Rothko, Sam Francis e altri in una mostra di pittura contemporanea intitolata “Arte e contemplazione”, tenutasi a Palazzo Grassi a Venezia, ha creato una serie di 22 opere dedicate alla città lagunare. Manipolava la vernice con le dita e vari strumenti per creare solchi, a volte includendo frammenti sparsi di vetro di Murano. Fontana fu successivamente invitata da Michel Tapié a esporre le opere alla Martha Jackson Gallery di New York.

Tra le ultime opere di Fontana ci sono una serie di Teatrini (“piccoli teatri”), in cui è tornato ad un linguaggio essenzialmente piatto usando backcloths racchiusi in ali che ricordano una cornice; il riferimento al teatro enfatizza l’atto di guardare, mentre in primo piano una serie di sfere irregolari o di sagome ondulate e oscillanti crea un vivace gioco di ombre. Un’altra opera di quel tempo, Trinità (Trinity) (1966), è costituita da tre grandi tele bianche punteggiate da linee di fori, abbracciate in uno scenario teatrale costituito da fogli di plastica ultramarina che ricordano vagamente le ali.

Negli ultimi anni della sua carriera, Fontana divenne sempre più interessato alla messa in scena del suo lavoro nelle numerose mostre che lo onorarono in tutto il mondo, così come all’idea di purezza raggiunta nelle sue ultime tele bianche. Queste preoccupazioni furono importanti alla Biennale di Venezia del 1966, per la quale progettò l’ambiente per il suo lavoro. Nel Documenta IV di Kassel nel 1968, posizionò una grande fessura di gesso al centro di un labirinto completamente bianco, tra soffitto e pavimento (Ambiente spaziale bianco).

Poco prima della sua morte era presente alla dimostrazione “Destruction Art, Destroy to Create” al Finch College Museum di New York. Quindi lasciò la sua casa a Milano e andò a Comabbio (in provincia di Varese, Italia), città madre della sua famiglia, dove morì nel 1968.

Fontana ha creato una prolifica quantità di opere grafiche con motivi astratti e figure, poco conosciute nel mondo dell’arte, mentre stava producendo le sue opere astratte perforate. Fu anche scultore del busto di Ovidio Lagos, fondatore del quotidiano La Capital, in marmo di Carrara.

Esposizioni
Fontana fece le sue prime mostre personali alla Galleria del Milione, Milano, nel 1931. Nel 1961, Michel Tapié organizzò la sua prima mostra negli Stati Uniti, una mostra della serie di Venezia, alla Martha Jackson Gallery di New York. La sua prima mostra personale in un museo americano si tenne al Walker Art Center, Minneapolis, nel 1966. Partecipò alla Bienal de São Paulo e a numerose mostre in tutto il mondo. Tra le altre, importanti retrospettive sono state organizzate dalla Collezione Peggy Guggenheim, Venezia (2006), Hayward Gallery, Londra (1999), Fondazione Lucio Fontana (1999) e dal Centro Georges Pompidou (1987; si recarono a La Fundación ‘la Caixa’ Barcellona; Museo Stedelijk, Amsterdam; Whitechapel Gallery, Londra). Dal 1930 le opere di Fontana erano state esposte regolarmente alla Biennale di Venezia, e ha rappresentato l’Argentina varie volte; gli è stato assegnato il Gran Premio per la pittura alla Biennale di Venezia del 1966. Nel 2014, il Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris dedica una retrospettiva all’artista. L’arte Tornabuoni ha tenuto una mostra parallela nel suo spazio nella galleria di Avenue Matignon a Parigi.

collezioni
Le opere di Fontana si trovano nelle collezioni permanenti di oltre cento musei in tutto il mondo. In particolare, esempi della serie Pietre sono ospitati nello Stedelijk Museum di Amsterdam, nel Centre Pompidou, a Parigi, nel Museum of Modern Art di New York, nella Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, nel Museum of Contemporary Art di Villa Croce a Genova e il Van Abbemuseum, Eindhoven. I gioielli di Fontana sono inclusi nella collezione permanente del Museum of Fine Arts di Boston.

Mercato dell’arte
Lo studioso italiano Enrico Crispolti ha curato un catalogo in due volumi di dipinti, sculture e ambienti di Fontana nel 2006. Nel 2013, Luca Massimo Barbero, Nina Ardemagni Laurini e Silvia Ardemagni hanno pubblicato un catalogo in tre volumi di opere su Fontana, tra cui più di 5.500 opere in ordine cronologico.

Una rara, grande opera cremisi con una singola barra, che Fontana ha dedicato a sua moglie e che è sempre stata conosciuta come Teresita, ha ottenuto 6,7 milioni di sterline (11,6 milioni di dollari) a Christie’s London nel 2008, quindi un disco d’asta per l’artista. Il Concetto Spaziale di Fontana, Attese (1965), della collezione di Anna-Stina Malmborg Hoglund e Gunnar Hoglund, ha stabilito un nuovo record per un taglio di taglio a £ 8,4 milioni a Sotheby’s London nel 2015. Ancora più popolari sono le tele ovali di Fontana. Sotheby’s ha venduto un’opera intitolata Concetto spaziale, la fine di dio (1963) per £ 10,32 milioni nel 2008. Parte del circolo veneziano di Fontana, Festival on the Grand Canal è stato venduto a Christie’s a New York per $ 7 milioni nel 2008.

La mostra
Nato in Argentina, Lucio Fontana visse a Milano dagli anni 1920 in poi, stabilendo lì il suo studio. Nel corso della sua carriera artistica, Lucio Fontana ha creato una ricca varietà di opere che vanno dalle sculture in ceramica ai dipinti e dalle sculture agli ambienti spaziali.

Anni Venti e Trenta
Negli anni Venti, il suo lavoro – ancora di natura figurativa all’epoca – ruotava attorno alla creazione di sculture per clienti privati ​​(“Busto femminile”, 1931). Queste opere erano quindi piuttosto piccole, anche se in questo periodo affrontò anche pezzi più complessi e sperimentali, partecipando a concorsi pubblici con opere come “Signorina Seduta” (Young Woman Seated, 1934).

Busto femminile (1931)
Signorina seduta (1934)

Ambienti spaziali
La sua intensa collaborazione con architetti durante gli anni tra le due guerre ebbe un’influenza critica e formativa sull’artista, portandolo a iniziare a progettare “ambienti spaziali” dopo la seconda guerra mondiale. Esempi includono “Struttura al Neon”, inaugurata per la nona Triennale di Milano nel 1951, e “Soffitto Spaziale” (Soffitto spaziale) per l’Hotel del Golfo di Procchio nel 1956.

Struttura al neon per la IX Triennale di Milano (1951)

Concetti spaziali
Nei suoi famosi “Concetti spaziali”, tele monocromatiche su cui l’artista fece una serie di buchi e tagli netti, Fontana si aprì ad una dimensione spaziale infinita, andando oltre i limiti di un dipinto tradizionale.

Concetto spaziale, Attesa (1960)
Concetto spaziale (1956)
Concetto spaziale, La bara del marinaio (1957)
Concetto spaziale (La notte) (1956)
Concetto spaziale, Attese (1959)

Museo del Novecento a Milano
Il Museo del Novecento a Milano è una mostra permanente di opere d’arte del XX secolo ospitate nel Palazzo dell’Arengario e nell’adiacente Palazzo Reale di Milano. Il museo ha assorbito le collezioni del precedente Museo Civico di Arte Contemporanea (CIMAC) che si trovava al secondo piano del Palazzo Reale e che fu chiuso nel 1998.

Il Museo del Novecento, situato all’interno del Palazzo dell’Arengario in Piazza del Duomo, ospita una collezione di oltre quattromila opere che catalizzano lo sviluppo dell’arte italiana del XX secolo.

Il Museo del Novecento è stato istituito il 6 dicembre 2010 con l’obiettivo di diffondere la conoscenza dell’arte del 20 ° secolo e di offrire una visione più completa delle collezioni che la città di Milano ha ereditato nel tempo. Oltre alla sua principale attività espositiva, il Museo è attivo nella conservazione, ricerca e promozione del patrimonio artistico e culturale italiano del 20 ° secolo con l’obiettivo finale di raggiungere un pubblico sempre più vasto.

A parte una stanza singola che ospita opere di artisti stranieri tra cui Braque, Kandinsky, Klee, Léger, Matisse, Mondrian e Picasso, la maggior parte delle opere esposte nel museo sono di artisti italiani. Una sezione importante è dedicata ai futuristi italiani, con opere di Giacomo Balla, Umberto Boccioni, Carlo Carrà, Fortunato Depero, Luigi Russolo, Gino Severini, Mario Sironi e Ardengo Soffici. Anche la grande tela di Giuseppe Pellizza da Volpedo Il Quarto Stato (1902) è esposta in una sala a sé stante.

Altre sezioni del museo sono dedicate a singoli artisti come Giorgio de Chirico, Lucio Fontana e Morandi. Ci sono anche sezioni dedicate ai movimenti artistici del XX secolo, tra cui Astrattismo, Arte Povera, Novecento Italiano, Postimpressionismo e Realismo, e generi come il paesaggio e l’arte monumentale.