Rinascimento romano nel 16 ° secolo

Il Rinascimento a Roma ha avuto una stagione che va dagli anni Quaranta del Quattrocento, fino al culmine nella prima metà del XVI secolo, quando la città papale era il luogo più importante della produzione artistica di tutto il continente, con maestri che ha lasciato un segno indelebile nella cultura figurativa occidentale come Michelangelo e Raffaello.

La produzione a Roma in questo periodo non era quasi mai basata su artisti locali, ma offriva agli artisti stranieri un terreno di grande sintesi e confronto in cui mettere a frutto le loro ambizioni e capacità al meglio, spesso ricevendo vastissime e prestigiose compiti.

Alessandro VI (1492-1503)

Pittura
L’ultima parte del secolo è stata dominata dalla figura di Papa Alessandro VI Borgia, originario di Valencia. Il gusto ornato, prepotente, esuberante – mutuato dall’arte catalana – e aggiornato con citazioni e riferimenti antiquari portati nel mondo umanistico trova il suo interprete ideale in Bernardino Pinturicchio, già distinto nell’ambiente romano. A lui il Papa ha affidato le decorazioni di sei grandi sale recentemente rinnovate nel Palazzo Apostolico, chiamato Appartamento Borgia. Fu un’impresa artistica così vasta e ambiziosamente unitaria da non avere precedenti nell’Italia del Rinascimento, fatta eccezione per il ciclo Sistina.

Il risultato è stato un tesoro di preziose e raffinate decorazioni, con infinite dorature e grottesche in cui i riflessi dell’oro su pareti e soffitti si susseguono continuamente, legandosi al patrimonio del gotico internazionale. Il programma iconografico fondeva la dottrina cristiana con continui riferimenti al gusto archeologico allora in voga a Roma, e fu quasi certamente dettato dagli scrittori della corte papale. Emblematico è stato il ripescaggio della leggenda greco-egizia di Io / Iside e Apis / Osiride, in cui la doppia trasformazione dei protagonisti nel bestiame si riferisce all’allarme araldico dei Borgia e ad altri significati legati alla celebrazione di Papa Alessandro come pacifico righello.

Scultura
Sotto il pontificato di Alessandro VI avvenne anche la prima permanenza del giovane Michelangelo a Roma. Coinvolto nel tentativo di frodare il cardinale Raffaele Riario, nel quale il suo Cupido assopito, opportunamente seppellito, fu spacciato come un’antica statua, fu poi invitato a Roma dallo stesso cardinale, desideroso di conoscere l’architetto in grado di rivaleggiare con l’antico. Così Michelangelo arrivò a Roma nel 1496, dove ricevette la commissione di un Bacco, una statua a tutto tondo che ricorda nelle sue dimensioni e modi l’arte antica, in particolare ellenistica. Il dio viene infatti ritratto durante l’ebbrezza, con un corpo ben proporzionato e con effetti illusori e tattili che non hanno equivalenti nell’arte del tempo.

Poco dopo, nel 1498, il cardinale Jean de Bilhères gli commissionò un’opera con un soggetto cristiano, la famosa Pietà vaticana completata nel 1499. Rinnovando la tradizione iconografica delle Vesperbilds in legno del Nord Europa, Michelangelo concepì il corpo di Cristo come dolcemente appoggiato sul gambe di Maria con straordinaria naturalezza, senza la rigidità delle precedenti rappresentazioni e con una compostezza di sentimenti senza precedenti. Le due figure sono collegate dal drappeggio delle gambe di Maria, con pieghe pensose e frastagliate, generando profondi effetti di chiaroscuro. Estremamente accurata è la finitura dei dettagli, soprattutto nella modellazione anatomica del corpo di Cristo, con effetti di morbidezza degni della cera statuaria, come il dettaglio della carne tra il braccio e il fianco, modificato dalla ferma presa di Maria opposto al peso del corpo abbandonato.

Il Cinquecento
Giulio II (1503-1513)
Giulio II, un secolo Giuliano Della Rovere, fu un pontefice estremamente energico, che prese con forza e determinazione i progetti di Renovatio dell’Urbe, sia a livello monumentale che politico, con l’obiettivo di restaurare la grandezza di Roma e l’autorità papale. del passato imperiale. Se il suo pontificato è descritto come disastroso da un punto di vista politico e finanziario, la sua intuizione era infallibile nella scelta degli artisti che potevano meglio attuare la vastità e l’audacia delle sue intenzioni, e la sua figura è ricordata oggi soprattutto per gli obiettivi artistici.

Nipote di Papa Sisto IV, che per lui fu sempre un modello importante, dal momento che il cardinale Giuliano era stato un cliente intelligente e la sua esperienza diretta legata ad Avignone gli aveva fatto scoprire come la residenza papale in Francia fosse molto più splendida e grandiosa di quella romana uno.

Il suo ferro perseguirà il mito del restauratio imperii, intrecciando fortemente politica e arte, e facendo uso dei più grandi artisti viventi, del calibro di Bramante, Michelangelo e Raffaello, ai quali ha affidato, coinvolgendoli, progetti di grande impegno e prestigio, in cui potrebbero sviluppare al massimo le loro straordinarie capacità.

Bramante
Il Bramante era a Roma agli inizi del secolo, dopo la caduta di Ludovico il Moro. Qui aveva ripreso le meditazioni sulla strutturazione organica e coerente degli edifici con il chiostro di Santa Maria della Pace (1500-1504) e con il tempio di San Pietro in Montorio (1502). Quest’ultimo edificio, a pianta centrale, ha una forma cilindrica circondata da un colonnato toscano, con un tamburo e una cupola, e originariamente doveva essere al centro di un cortile porticato centrale. Era già evidente come i motivi dell’arte antica fossero rielaborati in forme “moderne”, fornendo intuizioni fondamentali agli architetti successivi.

Nel 1503 Giulio II lo nominò generale soprintendente delle fabbriche papali, affidandogli la connessione tra il Palazzo Apostolico e la residenza estiva del Belvedere progettata ai tempi di Innocenzo VIII. Il progetto originale, attuato solo in parte e distorto dalla costruzione di un ulteriore edificio trasversale alla fine del XVI secolo, prevedeva un vasto cortile terrazzato tra due ampie ali in declino, con scalinate spettacolari e una grande esedra al culmine, di chiara ispirazione antica. (il santuario di Palestrina e le descrizioni delle ville romane).

Sotto la supervisione del Bramante, fu progettata una nuova viabilità in città, con l’apertura di Via Giulia e con la sistemazione della Lungara, che dai villaggi condusse alla porta Settimiana e che nei progetti avrebbe dovuto innestarsi su Via Portuense.

Nei primi mesi del 1506 il pontefice, vista l’impossibilità di attuare i piani dei suoi predecessori nella Basilica Vaticana (costruzione di una cupola per l’innesto delle armi), prese la coraggiosa decisione di demolire e ricostruire completamente la basilica, risalente all’era di Costantino. Bramante elaborò diversi progetti, ma ciò che fu scelto mostrò l’uso in pianta della croce greca, culminando nelle riflessioni sul tema del piano centrale elaborato in quegli anni. Un’ampia cupola emisferica e quattro cupole più piccole erano fornite alle estremità delle braccia, alternate a quattro torri angolari. Dal 1506 al 1514 Bramante seguì i lavori sulla basilica e sebbene il suo progetto fu poi abbandonato dai suoi successori a favore di una basilica a croce latina, il diametro della cupola rimase invariato (40 metri, quasi quanto quello del Pantheon) e le dimensioni della crociera, con i pilastri già in fase di completamento alla morte dell’architetto.

Baldassarre Peruzzi
L’altro grande architetto attivo nella capitale in quegli anni fu il senese Baldassarre Peruzzi. Lavorò principalmente per il raffinato banchiere Agostino Chigi, per il quale progettò la villa della Farnesina (all’epoca chiamata Villa Chigi), composta come libero uso di elementi classici, di particolare originalità nella facciata sui giardini, dove ci sono due pareti laterali e una loggia centrale al piano terra che funge da filtro tra l’ambiente naturale e la struttura architettonica.

Michelangelo: la Tomba di Giulio II (primo progetto)

Fu probabilmente Giuliano da Sangallo a dire a papa Giulio II, nel 1505, gli incredibili successi fiorentini di Michelangelo, tra cui la scultura del colossale David ..

Convocato a Roma, a Michelangelo fu affidato il compito di una monumentale sepoltura per il Papa, da collocare nella tribuna della nuova basilica di San Pietro.

Il primo progetto prevedeva una colossale struttura architettonica isolata nello spazio, costituita da tre ordini che si restringevano gradualmente da una base rettangolare a un’altra quasi piramidale. Attorno al catafalco del Papa, in una posizione elevata, c’erano una quarantina di statue di dimensioni superiori a quelle naturali, alcune libere nello spazio, altre appoggiate a nicchie o pilastri, sotto il segno di un gusto per la grandiosità e articolazione complessa, su tutte e quattro le facciate dell’architettura. Il tema della decorazione statuaria era il passaggio dalla morte terrena alla vita eterna dell’anima, con un processo di liberazione dalla schiavitù della materia e dalla schiavitù della carne.

Partì per Carrara per scegliere le biglie, ma Michelangelo soffrì, secondo fonti antiche, una sorta di cospirazione contro di lui da parte degli artisti della corte papale, tra cui in particolare il Bramante, che distolse l’attenzione del Papa dal progetto della sepoltura, giudicato un cattivo presagio per una persona ancora viva e piena di progetti ambiziosi.

Fu così che nella primavera del 1506 Michelangelo, mentre era pieno di marmo e aspettative dopo estenuanti mesi di lavoro, fece l’amara scoperta che il suo gigantesco progetto non era più al centro degli interessi del Papa, accantonato a favore del basilica e nuovi piani di guerra contro Perugia e Bologna.

Buonarroti, incapace di ricevere anche un’udienza chiarificatrice, fuggì rapidamente a Firenze, dove riprese alcuni progetti sospesi prima della sua partenza. Ci sono volute le ripetute e minacciose richieste del Papa per Michelangelo di prendere finalmente in considerazione l’ipotesi della riconciliazione. L’occasione fu data dalla presenza del papa a Bologna nel 1507: qui l’artista fondeva una statua di bronzo per il Papa e pochi anni dopo, a Roma, ottenne la commissione di “riparazione” per la decorazione della volta della Cappella Sistina.

Michelangelo: la volta della Sistina

I processi di insediamento avevano spezzato il soffitto della Cappella Sistina nella primavera del 1504, rendendo inevitabile un rifacimento. La scelta cadde su Buonarroti, nonostante la sua scarsa esperienza con la tecnica dell’affresco, per tenerlo impegnato con una grande compagnia. Dopo alcune esitazioni fu elaborato un primo progetto, con figure di apostoli sui frontoni e quadrature architettoniche, presto arricchito con le Storie della Genesi nei pannelli centrali, figure di Veggenti sui frontoni, episodi biblici e Antenati di Cristo sulle vele, così come la decorazione delle lunette sopra la serie dei papi del XV secolo. A ciò si aggiungono altre figure di riempimento, come gli Ignis, medaglioni con altre scene bibliche e le statuette dei nudi bronzei.

Le scene centrali sono lette dall’altare verso la porta d’ingresso principale, ma Michelangelo cominciò a dipingere sul lato opposto; I teologi al servizio del Papa certamente lo hanno aiutato a elaborare un complesso di grande completezza e molteplici letture: le storie di Genersi ad esempio possono anche essere lette all’incontro, come prefigurazioni della Passione e risurrezione di Cristo, seguendo la lettura che idealmente fece la processione papale quando entrò nella cappella durante le più importanti solennità, quelle della Settimana Santa.

Nel luglio del 1508 l’impalcatura, occupando circa metà della cappella (per non pregiudicare le attività liturgiche), fu pronta e Michelangelo iniziò l’affresco. Inizialmente fu aiutato da una serie di colleghi specificamente chiamati da Firenze, ma insoddisfatti dei loro risultati li licenziò a breve, procedendo nell’enorme compito in solitudine, a parte alcuni apprendisti per i compiti preparatori secondari. Se per scene centrali usava cartoni che erano stati spolverati, nelle scene laterali delle lunette procedeva con incredibile rapidità, dipingendo su schizzi disegnati direttamente sul muro. Nell’agosto del 1510 il lavoro era quasi dimezzato ed era tempo di abbattere il drappeggio per ricostruirlo dall’altra parte.

In questa occasione, l’artista ha potuto finalmente vedere il suo lavoro dal basso e ha preso la decisione di aumentare la scala delle figure, con meno affollato ma con più effetto dal basso, spazi più nudi, gesti più eloquenti, meno profondità. Dopo un’interruzione di circa un anno di lavoro, a causa degli impegni militari del pontefice, Michelangelo tornò a lavorare nel 1511, procedendo con una velocità incredibile. L’energia e la “terrificabilità” delle figure sono estremamente accentuate, dalla potente grandezza della Creazione di Adamo, ai movimenti vorticosi delle prime tre scene della Creazione, in cui Dio Padre appare come l’unico protagonista. Anche le figure dei Profeti e dei Sibylsthey crescono gradualmente in proporzioni e in pathos psicologico mentre si avvicinano all’altare, fino alla furia divinatoria dell’enorme Giona.

Nel complesso, tuttavia, le differenze stilistiche non si notano, grazie alla unificazione cromatica dell’intero ciclo, ambientato in toni chiari e brillanti, come l’ultimo restauro ha riscoperto. È infatti soprattutto il colore a definire e modellare le forme, con effetti iridescenti, diversi livelli di diluizione e con diversi gradi di finitezza (dalla finitezza perfetta delle cose in primo piano a una sfumatura opaca per quelle all’indietro), piuttosto che l’uso delle sfumature ombre scure.

Raffaello: la Stanza della Segnatura
L’altra grande impresa pittorica del pontificato di Giulio II è la decorazione di un nuovo appartamento ufficiale, le cosiddette Sale del Vaticano. Rifiutando di utilizzare l’Appartamento Borgia, il papa scelse alcune sale al piano superiore, risalenti all’epoca di Niccolò V e in cui esistevano già le decorazioni quattrocentesche di Piero della Francesca, Luca Signorelli e Bartolomeo della Gatta. Prima aveva i soffitti dipinti da un gruppo di pittori, tra cui Perugino, Sodoma, Baldassarre Peruzzi, Bramantino e Lorenzo Lotto., Oltre allo specialista grottesco Johannes Ruysch. Alla fine del 1508 venne aggiunto Raffaello, chiamato su consiglio di Bramante, suo concittadino.

Le prime prove nella volta e le lunette della Stanza della Segnatura convinsero il pontefice a tal punto che affidò a Sanzio la decorazione dell’intera stanza e quindi dell’intero complesso, senza esitare a distruggere le opere più antiche.

La Stanza della Segnatura era decorata con scene legate alle categorie del sapere, forse in relazione ad un ipotetico uso come biblioteca. La disputa del sacramento era una celebrazione della teologia, la Scuola di Filosofia di Atene, il Parnaso della poesia e le Virtù e la Legge della Giurisprudenza, ognuna delle quali corrispondeva anche a figure simboliche sul soffitto.

Raffaello rifiutò di operare una semplice galleria di ritratti di uomini illustri e figurazioni simboliche, come per esempio il Perugino o il Pinturicchio, ma tentò di coinvolgere i personaggi in un’azione, caratterizzandoli con movimenti ed espressioni.

Raffaello: la stanza di Eliodoro
Nell’estate del 1511, quando i lavori non erano ancora stati completati nella Stanza della Segnatura, Raffaello stava già elaborando i disegni per un nuovo ambiente, la stanza che allora si chiamava Eliodoro, usata come stanza dell’Udienza.

Il pontefice era tornato a Roma in giugno, dopo le pesanti sconfitte nella campagna militare contro i francesi, che aveva comportato la perdita di Bologna e la continua minaccia di eserciti stranieri. I nuovi affreschi riflettono il momento di incertezza politica, sottolineando l’ideologia del Papa e il suo sogno di rinnovamento. Le scene di Eliodoro inseguite dal tempio e l’Incontro di Leone Magno con Attila mostrano miracolosi interventi a favore della Chiesa contro nemici interni ed esterni, mentre la messa di Bolsena rende omaggio alla speciale devozione del Papa verso l’Eucaristia e la liberazione di San Pietro dalla prigione richiama il trionfo del primo papa all’apice delle tribolazioni.

Il Sanzio ha aggiornato il suo linguaggio per scene che richiedevano una componente storica e dinamica in grado di coinvolgere lo spettatore, ispirato agli affreschi di Michelangelo e utilizzando un’illuminazione più drammatica, con colori più densi e più pieni. L’eccitazione dei gesti assume una forte carica espressiva, spingendo una lettura accelerata dell’immagine (la caccia al tempio di Eliodoro), o su sottili equilibri compositivi (Messa di Bolsena), o accentuati contrasti luministici con un’articolazione in pausa della storia (Liberazione di San Pietro).

Lo studio dei modelli preparatori consente di evidenziare l’attualizzazione degli affreschi agli eventi del 1511-1512, con il momentaneo trionfo di Giulio II: il Papa fu quindi aggiunto o collocato in una posizione più prominente negli affreschi.

Leone X (1513-1521)
L’elezione di Leone X, figlio di Lorenzo de ‘Medici, fu salutata come l’inizio di un’era di pace, capace di redimere l’unità dei cristiani, grazie al carattere calmo e prudente del pontefice, così diverso dal temperamento guerriero di Giulio II. Amante delle arti, soprattutto della musica, incline al lusso e allo splendore delle cerimonie liturgiche, Leone X si fece ritrarre da Raffaello seduto a un tavolo, tra due cardinali, i suoi parenti, nell’atto di sfogliare una Bibbia riccamente miniata usando un lente di ingrandimento.

Raffaello: il Borgo Fire Room
Raffaello godeva a Leone X della stessa ammirazione incondizionata del suo predecessore. Attivo nella terza sala dell’appartamento papale, poi chiamato dell’Incendio di Borgo, creò una decorazione basata sulla celebrazione commendativa degli antenati omonimi del pontefice, Leone III e Leone IV, nei cui volti inseriva sempre l’effige di il nuovo papa, alludendo agli eventi dei primi anni del suo pontificato.

Ad esempio l’Incendio di Borgo, che è stata la prima scena da completare, ancora con un forte intervento diretto di Sanzio (le scene seguenti saranno per lo più dipinte dall’aiuto), allude al lavoro di pacificazione di Leone X per estinguere la pausa fuori dalle guerre tra stati cristiani.

Raffaello: gli arazzi Sistine
Poco dopo l’inizio dei lavori, Raffaello fu nominato capo della fabbrica di San Pietro dopo la morte di Bramante (1514) e poco dopo fu incaricato di preparare una serie di cartoni araldici con Storie dei Santi Pietro e Paolo, per essere Bruxelles e da collocare nel registro inferiore della Cappella Sistina. Il pontefice entrò così attivamente nella decorazione della cappella papale che aveva così caratterizzato gli investimenti artistici dei suoi predecessori, in un momento in cui, tra le altre cose, era il luogo delle più importanti cerimonie liturgiche, essendo la basilica inutilizzabile.

Nella selezione dei soggetti, sono state considerate numerose allusioni simboliche tra il pontefice in carica e i primi due “architetti della Chiesa”, rispettivamente predicatori agli ebrei e ai “gentili”, con Leone come restauratore dell’unità. Le difficoltà tecniche e il confronto diretto con Michelangelo hanno richiesto un notevole impegno da parte dell’artista, che ha quasi dovuto abbandonare la pittura delle stanze. Nelle scene degli arazzi, Raffaello ha raggiunto un linguaggio figurato appropriato, con schemi compositivi semplificati in primo piano e un’azione chiarita da gesti eloquenti e contrapposizioni acute di gruppi.

Raffaello: architettura e studio dell’antico
Alla morte di Bramante, Raffaello assunse il difficile compito di un nuovo sovrintendente presso la fabbrica di San Pietro. Le sue esperienze in architettura erano ormai ben al di là del semplice bagaglio di un pittore e aveva già avuto esperienze di studio dell’antico e di lavoro soprattutto per Agostino Chigi (scuderia di Villa Farnesina, Cappella Chigi). Nei primi lavori dimostrò aderenza agli schemi di Bramante e Giuliano da Sangallo, distinguendosi per le rinnovate suggestioni con il vecchio e un più stretto rapporto tra architettura e decorazione, dando vita di volta in volta a una soluzione di grande originalità, di quale storiografia ha riconosciuto l’importanza solo in tempi relativamente recenti.

A San Pietro, con Fra ‘Giocondo, elaborò diversi progetti, fino a restaurare il piano basilicale a croce latina, ambientato nella crociera del Bramante. L’attività più singolare di Sanzio in quegli anni, tuttavia, è il progetto di Villa Madama, per il cardinale Giulio de ‘Medici (dal 1518). Nei piani originari la villa doveva svilupparsi attorno ad un cortile centrale, con molteplici percorsi e visuali, fino al giardino circostante, archetipo del giardino all’italiana, perfettamente integrato con l’ambiente circostante delle pendici di Monte Mario. Nella decorazione i modelli dell’antica Roma vennero fatti rivivere, con stucchi e affreschi sempre in armonia con il ritmo delle strutture.

Poi la famosa Lettera a Leone X, scritta con Baldassare Castiglione, in cui l’artista esprime il suo rammarico per la decadenza degli antichi monumenti di Roma e offre al papa un progetto per un rilevamento sistematico di un’antica pianta romana].

Michelangelo: la tomba di Giulio II
Il crescente successo di Raffaello, favorito dal nuovo pontefice dall’inizio del pontificato, mise Michelangelo in un certo isolamento, nonostante il clamoroso successo della Sistina. L’artista ebbe così il tempo di dedicarsi a progetti temporaneamente accantonati, prima fra tutti quello per la tomba di Giulio II, a nome degli eredi Della Rovere. Abbandonato il progetto iniziale faraonico, nel 1513 fu stipulato un nuovo contratto, che comprendeva una tomba appoggiata a un muro, con i lati più piccoli ancora molto sporgenti, quindi ridotta ad una tradizionale tomba a facciata (1516), sul ceppo ad esempio del Monumenti funebri dei cardinali Ascanio Sforza e Girolamo Basso Della Rovere dell’Andrea Sansovino (1505-1507), un arcosolio incastonato sullo schema dell’arco trionfale.

Nel progetto di Michelangelo, tuttavia, prevale lo slancio dinamico verso l’alto e prevale la prevalenza della decorazione plastica sugli elementi architettonici. Già nel 1513 l’artista dovette scolpire il Mosè, che richiamava i Veggenti della Sistina, e una serie di figure dinamiche da appoggiarsi ai pilastri, le cosiddette Prigioni, o nudi che si liberano dalla carica espressiva dirompente.

Interrotto di nuovo per i progetti nella chiesa di San Lorenzo a Firenze, Michelangelo arrivò al completamento dei lavori solo nel 1545, con un lavoro molto sottodimensionato rispetto ai grandiosi progetti sviluppati nei decenni precedenti.

Sebastiano del Piombo
In questa particolare congiuntura nasce anche l’associazione tra Michelangelo e il veneziano Sebastiano del Piombo (a Roma dal 1511), da cui nasce per circa due decenni un’amicizia e una collaborazione che può anche essere letto come un tentativo di opporsi all’egemonia di Raffaello.

Già per la Pietà di Viterbo (1516-1517), Vasari riportò la notizia del cartone fornito da Michelangelo, interpretato dal frate con un “paesaggio cupo molto elogiato”. Verso la fine del 1516 una doppia commissione del cardinale Giulio de ‘Medici accese la competizione tra Sebastiano / Michelangelo e Raffaello, impegnati in una grande pala d’altare ciascuno, destinata alla cattedrale di Narbona. Sebastiano dipinse la Resurrezione di Lazzaro, con il Salvatore e il Lazzaro scultoreo disegnato direttamente da Michelangelo. A Sebastian invece sono una ricca orchestrazione cromatica, già lontana dalla tonalità veneziana, e il senso dell’atmosfera che dà una nuova e misteriosa ed emozionante intonazione alla scena.

Raffaello invece elaborò la famosa Trasfigurazione, resa più dinamica dalla combinazione con l’episodio della guarigione dell’ossessione. L’area superiore abbagliante contrasta con la dinamica inferiore e disarmonica, creando un effetto di contrasto violento, ma collegato emotivamente dalla contemplazione del Salvatore

Adriano VI (1522-1523)
Il breve pontificato di Adriano VI ha segnato l’arresto di tutti i siti artistici. La morte di Raffaello e la pestilenza che devastò la città nel 1523 portarono alla rimozione dei migliori studenti urbani, come Giulio Romano. Anche il nuovo pontefice era ostile alle attività artistiche. Il papa olandese era infatti legato a una spiritualità monastica e non amava la cultura umanistica né la sontuosa vita di corte, né tanto meno l’uso dell’arte in una funzione politica o celebrativa. Gli italiani vedevano in lui un pedante professore straniero, cieco alla bellezza dell’antichità classica, che riduceva notevolmente i salari dei grandi artisti. Musicisti come Carpentras, il compositore e cantante di Avignone che fu maestro della cappella sotto Leone X, lasciò Roma in quel momento, a causa dell’indifferenza di Adriano, se non in aperta ostilità verso l’arte.

Adriano arrivò a minacciare di distruggere gli affreschi di Michelangelo nella Cappella Sistina, ma la brevità del suo potere non gli permise di realizzare il suo intento.

Clemente VII fino al Sacco (1523-1527)
Giulio de ‘Medici, eletto il 19 novembre 1523 col nome di Clemente VII, riprese i lavori sui palazzi pontifici, trasferendosi a suo zio Leone X. Tra i primi atti del nuovo pontefice fu ordinato la ripresa dei lavori nella Sala di Costantino, di cui Raffaello aveva in tempo per disegnare il programma generale e le vignette per le prime due scene, gelosamente custodito dai suoi studenti e collaboratori. Questa circostanza ha fatto sì che la domanda di Sebastiano del Piombo fosse rifiutata di curare la decorazione, sostenuta da Michelangelo.

Tra gli allievi di Raffaello assume una posizione di rilievo Giovanni Battista Penni e, soprattutto Giulio Romano, considerato il vero “erede” dell’urbano e che dal 1521 aveva cercato una sintesi delle opere monumentali di Raffaello e Sebastiano del Piombo nella Lapidazione di santo Stefano, nella chiesa di Santo Stefano a Genova. La supremazia artistica di Giulio Romano termina nel 1524 con la sua partenza per Mantova.

Nel frattempo Sebastiano del Piombo dalla morte di Raffaello non ha più rivali come ritrattista sulla scena romana.

Il clima artistico sotto Clemente VII si evolve gradualmente verso un gusto “archeologico” più che mai, ovvero dove l’antico è ormai una moda che influenza profondamente la decorazione, sia con la rinascita dei motivi che con la ricerca di oggetti (statuari in testa), che sono integrati, se frammentari e liberamente raggruppati. Il dipinto fu più che mai ricercato e ascoltato, allontanandosi progressivamente dalla pesante eredità dell’ultimo Raffello e dalla volta della Cappella Sistina. Giovani artisti come Parmigianino e Rosso Fiorentinothey incontrano il gusto dei mecenati più all’avanguardia, creando opere di estrema eleganza formale, in cui il naturalismo delle forme, la misurabilità dello spazio e la probabilità non sono mai meno importanti. Un esempio è il vigoroso Cristo morto di Rosso, che a partire dal modello di Michelangelo (l’Ignudi), arriva ad una sensualità estenuata del corpo di Cristo, dove solo i simboli sparsi qua e là chiariscono il significato religioso dell’opera, impedendo, per esempio, per qualificare il dipinto come una rappresentazione della morte di Adone.

In questa splendida e cosmopolita cultura dell’età clementina, nella primavera del 1527, cadde la catastrofe del Sacco di Roma. Le conseguenze sul piano civile, politico, religioso e filosofico erano disastrose (era davvero la fine di un’era, letta come un segno del prossimo Avvento dell’Anticristo), mentre a livello artistico c’era una diaspora degli artisti in tutte le direzioni, che hanno portato ad una straordinaria diffusione di modi romani.