Rinascimento romano nel 15 ° secolo

Il Rinascimento a Roma ha avuto una stagione che va dagli anni Quaranta del Quattrocento, fino al culmine nella prima metà del XVI secolo, quando la città papale era il luogo più importante della produzione artistica di tutto il continente, con maestri che ha lasciato un segno indelebile nella cultura figurativa occidentale come Michelangelo e Raffaello.

La produzione a Roma in questo periodo non era quasi mai basata su artisti locali, ma offriva agli artisti stranieri un terreno di grande sintesi e confronto in cui mettere a frutto le loro ambizioni e capacità al meglio, spesso ricevendo vastissime e prestigiose compiti.

Il Quattrocento
Premessa storica
Il XIV secolo, con l’assenza dei papi durante la prigionia di Avignone, era stato un secolo di abbandono e miseria per la città di Roma, che raggiunse il suo minimo storico in termini di popolazione. Con il ritorno del papato in Italia, ripetutamente rinviato a causa delle pessime condizioni della città e della mancanza di controllo e sicurezza, fu prima necessario rafforzare gli aspetti dottrinali e politici del pontefice. Quando nel 1377 Gregorio XI era effettivamente tornato a Roma, aveva trovato una città in preda all’anarchia a causa delle lotte tra la nobiltà e la fazione popolare, e in cui ormai il suo potere era più formale che reale. Seguirono quarant’anni di instabilità, caratterizzati a livello locale dal conflitto di potere tra il comune e il papato, ea livello internazionale dal grande scisma dell’Occidente tra i papi di Roma e gli antipapi di Avignone, alla fine dei quali fu papa eletto, di comune accordo tra le parti, Martino V della famiglia Colonna. Riuscì a ridurre la città all’ordine, gettando le basi per la sua rinascita.

Martin V (1417-1431)
Martino V, che fu ristabilito nella Sede Apostolica nel 1420, fu il primo papa a occuparsi di una rinascita della città anche in termini monumentali e artistici. Nel 1423 fu chiamato un giubileo per celebrare la rinascita della città. I suoi piani miravano a restituire quel prestigio alla città, che aveva anche uno scopo politico specifico: recuperando lo splendore della Roma imperiale, proclamò anche il suo erede diretto e continuo.

I primi siti ad essere aperti riguardarono essenzialmente i due poli del Laterano (con gli affreschi – ora perduti – nella basilica di San Giovanni dove lavorarono Gentile da Fabriano e Pisanello tra il 1425 e il 1430) e il Vaticano, dove fu trasferita la residenza papale , iniziando la trasformazione dell’area oltre il Tevere dall’area periferica a un immenso cantiere.

Nel frattempo, la città aveva iniziato ad essere un polo di attrazione per gli artisti desiderosi di studiare e affrontare la tradizione classica delle sue rovine. La più antica notizia di un viaggio compiuto da artisti stranieri per cercare e studiare le forme e le tecniche dell’arte romana antica è quella del 1402, quando i fiorentini Brunelleschi e Donatello andarono là, tornando più volte a trovare ispirazione per quello che era il Rinascimento in arte.

Anche Pisanello ei suoi assistenti si ispiravano spesso a resti antichi, ma il loro approccio era essenzialmente catalogato, interessato all’acquisizione dei più svariati modelli di repertorio da sfruttare in diverse composizioni e combinazioni, senza interessarsi alla comprensione dell’essenza dell’arte antica.

Il papa, che era rimasto a Firenze, chiamò artisti fiorentini, come Masaccio e Masolino, per partecipare al suo programma, anche se l’innovativo contributo del primo fu interrotto dalla morte prematura. Nel 1443-1445 Leon Battista Alberti scrisse la Descriptio urbis Romae, dove propose un sistema per una sistemazione geometrica della città centrata sul Campidoglio.

In ogni caso non è ancora possibile parlare di una “scuola romana”, poiché gli interventi degli artisti, quasi esclusivamente stranieri, erano ancora essenzialmente legati alle rispettive matrici culturali, senza specifici elementi di contatto o indirizzi comuni.

Eugenio IV (1431-1447)

Filarete, tessera della porta di San Pietro
Eugenio IV fu, come il suo predecessore, un uomo colto e raffinato, che viaggiò molto, conoscendo le innovazioni artistiche di Firenze e di altre città e chiamando artisti rinomati per decorare Roma. Il Concilio di Basilea aveva sanzionato la sconfitta delle tesi conciliari e riaffermato una struttura monarchica del papato. Nell’appendice di Firenze anche lo scisma secolare dell’Oriente era stato riparato, anche se in modo molto effimero. In questo contesto è stato possibile proseguire i lavori di restauro nelle basiliche romane. Nei primi anni Quaranta fu chiamato l’umanista Filarete, che finì nel 1445 le porte bronzee di San Pietro, dove c’è un precoce gusto antiquario legato alla capitale e alle sue vestigia.

Poco dopo, arrivò in città il Beato Angelico, che iniziò una serie di grandi affreschi persi in San Pietro, e il francese Jean Fouquet, che assistette con la sua presenza al nascente interesse in Italia della pittura fiamminga e nordica in generale. Sebbene il termine del pontificato di Eugenio IV non permettesse di attuare appieno i suoi piani, Roma iniziò a diventare quel fertile luogo di incontro tra artisti di diverse scuole, che presto si tradurrebbe in uno stile comune e, per la prima volta, definibile “romano” “.

Niccolò V (1447-1455)

Pianificazione urbana
Fu con Niccolò V che le sporadiche trasformazioni dei suoi predecessori assunsero una fisionomia organica, aprendo la strada ad ambiziosi sviluppi successivi. Il piano di riorganizzazione della città si è concentrato su cinque punti fondamentali:

Restauro delle mura
Restauro o ricostruzione delle quaranta chiese della città
Reset del villaggio
Estensione di San Pietro
Ristrutturazione del Palazzo Apostolico
L’intento era quello di ottenere una cittadella religiosa sulla collina del Vaticano, al di fuori della città secolare che aveva il suo fulcro attorno al Campidoglio. Questo progetto era indissolubilmente destinato ad esaltare il potere della Chiesa, dimostrando inequivocabilmente la continuità tra Roma imperiale e Roma cristiana.

A causa della brevità del papato di Niccolò, l’ambizioso progetto non poteva essere completato, ma riuniva artisti di più di una scuola (soprattutto toscani e lombardi), che condividevano l’interesse per l’antichità e il fascino con i resti classici: questo comune la passione ha finito per determinare, in qualche modo, una certa omogeneità delle loro opere.

Architettura
La presenza di Leon Battista Alberti, anche se non direttamente collegata ai veri e propri cantieri (a cui si rivelò molto critico), fu importante per riaffermare il valore dell’eredità dell’antica Roma e il suo legame con il papato. Nel 1452 dedicò a Niccolò V il trattato De re aedificatoria, dove furono teorizzate le basi per il riutilizzo della lezione degli antichi, aggiornate con una rigorosa ripresa anche di elementi derivati ​​dalla tradizione medievale.

Un esempio paradigmatico del gusto sviluppato in quel periodo in architettura è Palazzo Venezia, iniziato nel 1455 incorporando costruzioni preesistenti. Nel progetto del cortile del Palazzetto (di cui l’autore è sconosciuto) ci sono elementi presi dall’architettura romana, ma combinati senza rigore filologico, privilegiando la funzionalità e la rigida aderenza al modello. Prende il modello del viridarium ed è ispirato al Colosseo negli ordini architettonici sovrapposti e nella cornice con un fregio a mensola .. Ma la larghezza degli archi è diminuita e semplificata, in modo da non farli sembrare troppo imponenti rispetto a gli spazi che contengono. Nel palazzo reale (costruito nel 1466) si ebbe un più fedele revival degli antichi modelli, testimoniando una graduale comprensione più profonda: per esempio il vestibolo era un tempo un lacunare in cemento (preso dal Pantheon e dalla Basilica di Massenzio) o la loggia del il cortile principale ha gli ordini sovrapposti e le semicolonne appoggiate ai pilastri, come nel Colosseo o nel Teatro di Marcello.

La ristrutturazione della basilica costantiniana di San Pietro fu affidata a Bernardo Rossellino. Il progetto prevedeva la manutenzione del corpo longitudinale a cinque navate che lo copriva con volte a crociera su pilastri che dovevano inglobare le vecchie colonne, mentre l’abside fu ricostruita con l’allargamento del transetto, l’aggiunta di un coro, che fu la continuazione logica della navata e l’inserimento di una cupola all’incrocio delle braccia. Questa configurazione ha forse influenzato in qualche modo il successivo progetto Bramante per un totale rinnovamento dell’edificio, che di fatto ha conservato ciò che era già stato costruito. I lavori iniziarono verso il 1450, ma con la morte del Papa non si svilupparono ulteriormente e rimasero sostanzialmente immobili durante i pontificati successivi fino a Giulio II, che decise quindi una ricostruzione completa.

Pittura
La commissione papale esercitò un’azione di amalgama ancora più forte nella pittura, dove la tradizione non forniva modelli vincolanti. Il rinnovamento del Palazzo Apostolico ebbe una prima tappa nella decorazione della cappella privata del Papa, la cappella Niccolina, a cui il Beato Angelico lavorò e aiutò, tra cui Benozzo Gozzoli. La decorazione comprendeva storie di San Lorenzo e Santo Stefano, interpretate da Angelico con uno stile ricco di dettagli, con citazioni colte e motivi più vari, dove il suo “umanesimo cristiano” tocca uno dei suoi vertici espressivi. Le scene sono ambientate in maestose architetture, nate da suggestioni di Roma antica e paleocristiana, ma non legate a riferimenti pedonali, forse memore dei progetti che già circolavano alla corte papale per la ricostruzione di San Pietro. Le figure sono solide, i gesti calmi e solenni, il tono generale più aulico della solita sintesi meditativa dell’artista.

In vista del Giubileo del 1450, sono state avviate molte opere e il ricavato che ha garantito le celebrazioni ha permesso di attrarre alla città un gran numero di artisti anche molto diversi tra loro. Il papa non era interessato all’omogeneità stilistica, infatti chiamò a lavorare per lui i veneziani Vivarini, l’umbro Bartolomeo di Tommaso e Benedetto Bonfigli, l’toscano Andrea del Castagno e Piero della Francesca, un Luca detto “tedesco”, e forse il fiammingo Rogier van der Weyden. Questa ricchezza di idee ha aperto la strada alla sintesi che, verso la fine del secolo, ha portato alla creazione di un linguaggio che fosse propriamente “romano”.

Pio II (1458-1464)
Sotto Pio II, il Papa umanista, lavorò dal 1458 al 1459 Piero della Francesca, che lasciò alcuni affreschi nel Palazzo Apostolico, ben documentati ma ora persi, dopo essere stati distrutti nel XVI secolo per fare spazio alle prime Sale Vaticane di Raffaello.

Le risorse del Papa, tuttavia, erano principalmente rivolte, in campo artistico, alla ricostruzione di Corsignano, sua città natale in provincia di Siena, il cui nome fu in seguito cambiato in Pienza, in suo onore.

Tuttavia, la sua commissione fu anche accertata per importanti opere romane, forse non più esistenti oggi, come il progetto di rinnovamento della Platea Sancti Petri di fronte alla basilica vaticana attraverso la costruzione di un progetto di Francesco del Borgo della Loggia delle Benedizioni. poi non completata, della scalinata di fronte al quadriportico e delle statue di San Pietro e San Paolo poste sullo stesso scalone e attribuite allo scultore Paolo Romano.

In questo periodo nacque il problema della conservazione dei monumenti classici, come pure Pio II, che autorizzò l’uso del marmo del Colosseo per la costruzione della Loggia, e nel 1462 pubblicò la bolla Cum almam nostra urbem nella sua dignità e splendore preservare cupiamus che vietava a chiunque di danneggiare gli antichi edifici pubblici.

Paolo II (1464-1471)
Il pontificato di Paolo II è caratterizzato da una certa ostilità nei confronti degli umanisti, in modo da abolire il collegio degli abbreviatori e imprigionare la Platina. Tuttavia, il processo di ricerca del linguaggio rinascimentale continua in relazione continua con l’antico. Lo stesso papa commissionò al Campidoglio la loggia delle benedizioni della Basilica di San Marco Evangelista, realizzata utilizzando materiale nudo proveniente probabilmente dal Colosseo, e progettata utilizzando la sintassi dell’architettura antica con la sovrapposizione degli ordini e la presenza di archi sui pilastri , incorniciato da un ordine di trabeazione, che anticipa le architetture romane di Brante di pochi decenni dopo.

Sisto IV (1471-1484)
Sisto IV, eletto pontefice nell’agosto del 1471, fu l’ideale continuatore dei grandiosi progetti di Niccolò V. Ex professore di teologia e generale dei francescani, poco dopo la sua elezione fece un gesto di forte valore simbolico, restituendo il Campidoglio al Popolo romano, dove furono collocati antichi rilievi e bronzi in grado di tramandare la memoria imperiale, tra cui la Lupa.

Si è circondato di importanti umanisti, come Platina o Giovanni Alvise Toscani, e per loro ha rifondato, arricchito ed ampliato la Biblioteca Vaticana. Pictor papalis fu chiamato Melozzo da Forlì, che affrescò uno degli emblemi della cultura umanistica romana dell’epoca, Sisto IV nomina Platina prefetto della biblioteca vaticana (1477), dove il papa è ritratto tra i suoi nipoti in una sontuosa architettura classica. Pochi anni dopo, per Giuliano della Rovere, Melozzo affrescò l’abside della Basilica dei Santi Apostoli con un’Ascensione tra musicisti di Apostoli e Angeli, considerato il primo esempio pienamente consapevole di una prospettiva “sott’in su”.

Papa Sisto commissionò il ponte di Sisto che, inaugurato per il Giubileo del 1475, doveva facilitare l’accesso a San Pietro per i pellegrini provenienti dalla riva sinistra del Tevere, fino a quel momento costretti a rastrellare sul Ponte Sant’Angelo con frequenti incidenti. Allo stesso scopo, ha aperto una nuova strada (la Via Sistina, l’odierna Borgo Sant’Angelo) nel rione Borgo. Ha anche ricostruito San Vitale nel 1475. Ha sancito il primo tentativo di riorganizzare il calendario giuliano di Regiomontano e ha chiamato a RomaJosquin des Prez per la sua musica. Il suo monumento funerario in bronzo, nella Basilica di San Pietro, che sembra una gigantesca scatola di oreficeria, è di Antonio Pollaiuolo.

La prima fase della Cappella Sistina
Il progetto più ambizioso e più risonante del pontificato di Sisto IV fu la ricostruzione e la decorazione della cappella palatina del Vaticano, che in seguito fu intitolata in suo onore alla Cappella Sistina. L’ambiente era destinato ad ospitare le funzioni più solenni e cerimoniali del calendario liturgico della corte papale, per le quali doveva essere una cornice sufficientemente sontuosa e monumentale, capace di esprimere il concetto della Majestas papalis a chiunque vi fosse entrato: il collegio cardinalizio, i generali degli ordini monastici, i diplomatici accreditati, l’alta burocrazia pontificia, il senatore e i conservatori della città di Roma, i patriarchi, i vescovi, i principi e altre personalità eminenti che visitano la città.

La demolizione parziale dell’edificio preesistente quasi fatiscente iniziò nel 1477 e la nuova costruzione, con le inevitabili irregolarità, fu rapidamente costruita sotto la direzione di Giovannino de ‘Dolci. Entro il 1481 deve essere già stato completato, dal momento che ha iniziato la decorazione ad affresco.

Per quelli di Papa Sisto, in quegli anni lavorava il Perugino, un giovane e promettente artista umbro, ma in parte fiorentino, autore di un ciclo perduto di affreschi nella Cappella della Concezione, situato nel coro della Basilica Vaticana (1479). Soddisfatto dal risultato di questa prima commissione, il papa dovette dare l’umbra alla decorazione ad affresco dell’intera Cappella Sistina, ma presto, dal 1481, Lorenzo il Magnifico, desideroso di riconciliarsi con il papa dopo aver rotto con la cospirazione dei Pazzi, mandò i migliori giovani “pittori ad affresco” attivi poi sulla scena fiorentina: Sandro Botticelli, Domenico Ghirlandaio e Cosimo Rosselli con i rispettivi aiutanti, alcuni dei quali diventarono in seguito nomi noti della scena artistica.

Questa squadra, in un tempo molto breve (non molto più di un anno per quasi tutti), si è dedicata alla decorazione della fascia mediana delle pareti dove, sotto una serie di Papi tra le finestre, c’erano dodici storie in parallelo delle Storie di Mosè e di Gesù. Le corrispondenze tra l’Antico e il Nuovo Testamento simboleggiavano la continuità della trasmissione della legge divina dalle Tavole della Legge fino alla nuova alleanza con gli uomini rinfrescati dalla venuta di Cristo. Con la scena di Key Delivery, il passaggio del potere a San Pietro è stato ripetuto e da questi, implicando, ai suoi successori, cioè agli stessi papi. La funzione del potere universale del papa era quindi spiegata da altri significati allegorici, come la scena della punizione dei ribelli, che richiamava il trattamento che Dio poteva dare a coloro che si opponevano all’autorità del suo rappresentante sulla terra, cioè il papa.

I pittori della Sistina si attennero a convenzioni rappresentative comuni al fine di rendere il lavoro omogeneo risultato come l’uso della stessa scala dimensionale, della struttura ritmica e della rappresentazione del paesaggio; inoltre, utilizzavano non solo una singola gamma di colori, ma anche una moltitudine di luci in oro, che rendevano i dipinti luminosi nei bagliori delle torce e delle candele utilizzate per l’illuminazione. Il risultato mostra un ampio respiro monumentale, con molte citazioni di architetture classiche (archi trionfali, edifici con un piano centrale) e un ritmo calmo e sicuro delle scene, la cui narrazione procede senza intoppi.

La Cappella Sistina si affermò così, ben prima degli interventi di Michelangelo, il punto di riferimento per l’arte rinascimentale, ponendo le basi per la fine del XV secolo.

Innocenzo VIII (1484-1492)
Gli interventi fatti da Innocenzo VIII, papa dal 1484 al 1492, sembrano essere più scarsi di quelli del suo predecessore, anche a causa della perdita dei frutti di alcune delle sue più illustri commissioni. Durante il suo pontificato, tuttavia, iniziò quella rinascita classicista, legata alla prima età dell’oro delle scoperte archeologiche romane (in quegli anni furono scoperte le “Grotte” affrescate dalla Domus Aurea), destinato a diventare il raccoglitore e il motivo di attrazione per una quantità eterogenea di artisti.

La partenza anticipata dei pittori della Sistina aveva generato un certo vuoto nella scena artistica, che consentiva la rapida maturazione, con importanti commissioni, di alcuni giovani assistenti dei maestri Sistina. Si tratta principalmente di iniziative legate a cardinali, altri prelati e altri dignitari della curia, come Oliviero Carafa, che commissionò un ciclo di affreschi a Filippino Lippi (1488-1493), o Manno Bufalini, finanziatore di un ciclo di Pinturicchio (1484- 1486 circa).

Lippi ha dimostrato di aver imparato la lezione di Melozzo, aggiornato con la fioritura del revival classicista. In questo contesto ha elaborato uno stile unico, caratterizzato da una visione anticlassica esorbitante, in cui l’immagine è frammentata in una raccolta eclettica di citazioni e riferimenti alla scultura e alla decorazione dell’antichità, accumulata con una fantasia illuminata e amante del capriccio.

Il Pinturicchio ebbe un grandissimo successo, che lo portò presto a diventare il pittore preferito di Della Rovere e Borgia (annunciando le grandi opere di Alessandro VI), ed era anche al servizio del Papa, per il quale dipinse una serie quasi interamente affreschi perduti nella Loggia del Belvedere, con vedute delle città italiane viste “a volo d’uccello”, rappresentate con uno stile veloce e compendiario, nonché il primo esempio del recupero dell’antico stile di pittura paesaggistica del secondo stile pompeiano. In opere successive, come il Soffitto dei Semides per il cardinale Domenico Della Rovere, ha mostrato un gusto capace di ricreare suggestioni antiche con uno stile ornato e opulento, quasi miniaturistico.

La moda arcaelogica spinse il papa a chiedere a Francesco II Gonzaga, nel 1487, di inviare quello che allora era considerato il più valido interprete dello stile antico, Andrea Mantegna, reduce dallo straordinario successo dei Trionfi di Cesare. Il pittore padovese decorò la cappella del Belvedere con affreschi (1490), poi distrutta ma ricordata come “amenissimi”, che “sembrano una miniata” con vedute di città e villaggi, finti marmi e illusioni architettoniche, festoni, putti, allegorie e numerose figure.