Rinascimento di Rimini

Il Rinascimento a Rimini ebbe una breve ma intensa stagione che coincise con la signoria di Sigismondo Pandolfo Malatesta, dal 1432 al 1468.

Contesto storico e culturale
Sigismondo Pandolfo Malatesta era un famoso capitano della fortuna del XV secolo. Militò al comando delle truppe papali, fiorentine e al servizio della Serenissima. Fu nominato cavaliere e legittimato in suo potere dall’imperatore Sigismondo di Lussemburgo nel 1433. Uomo di notevole cultura e conoscitore dell’arte militare, si distinse tra i leader dell’epoca, riuscendo anche ad ampliare i suoi possedimenti tra l’attuale Romagna e le Marche . La fragilità del suo stato, tuttavia, si manifestò in quanto divisa in due dalla Signoria di Pesaro, vera “chimera” per Sigismondo. Questa consapevolezza lo rendeva sempre molto incline a sotterfugi con il nemico per evitare di stare lontano dalla sua terra per troppo tempo e, non di rado, ha portato alla rottura o alla sospensione del trattato di condotta stipulato.

Le ingenti spese necessarie per modernizzare le fortezze create per difendere il territorio e soprattutto per accrescere il prestigio personale attraverso la creazione di opere pubbliche e una corte che amplierebbe le imprese, lo portarono ad essere sempre molto propenso a ricevere piuttosto che a dare. Ma questo ha portato alla sua emarginazione da parte delle altre potenze italiane che lo hanno visto come un personaggio ambiguo e inaffidabile. Con la pace di Lodi sua signoria entrò in un periodo di crisi, principalmente a causa della mancanza di reddito dovuta alla fine dei contratti di condotta e alla povertà dell’economia rurale e urbana. L’agricoltura era infatti piuttosto arretrata, mentre il commercio cittadino era nelle mani di mercanti stranieri, per lo più fiorentini, veneziani ed ebrei.

Con l’elezione di Papa Pio II ha dovuto subire la confisca di alcuni territori a beneficio del suo eterno rivale, Federico da Montefeltro. Con l’inizio della guerra tra gli Angioini e gli Aragonesi per il trono del Regno di Napoli, un conflitto che interesserà la maggior parte degli stati italiani, Sigismondo decise di scontrarsi con il papato per riprendere i suoi territori. In seguito alla brillante battaglia di Nidastore, nella quale sconfisse un esercito papale tre volte più grande del suo, subì il rovescio delle fortune angioine. Prima dell’ultima battaglia nel sud, Sigismondo si trovò contro un esercito papale guidato da Federico da Montefeltrot che lo sconfisse nei pressi di Senigallia durante un tentativo di ritirarsi di notte dal suo rivale. La sconfitta del suo esercito portò alla dissoluzione dei suoi territori, che furono successivamente assorbiti dagli stati confinanti legati al papa e al papato stesso.

La stagione rinascimentale di Rimini fu per molti aspetti simile a quella di Urbino di Federico da Montefeltro, dipendendo esclusivamente dalle iniziative del signore, che per i suoi ambiziosi e importanti progetti chiamavano artisti di altre regioni di grande importanza, alcuni dei quali (Leon Battista Alberti, Piero della Francesca), erano anche attivi a Urbino. I personaggi autocompiacimento dei Malatesta erano, tuttavia, più accentuati e, sia per la brevità che per la diversa statura intellettuale del suo protagonista, il Rinascimento a Rimini non riuscì a dare origine a una cultura dotata di una propria, precisa, fisionomia, tanto sicché alla morte di Sigismondo le fabbriche rimasero interrotte e non vi furono ulteriori sviluppi artistici.

Architettura, urbanistica, scultura
Le azioni di Sigismondo Pandolfo Malatesta a Rimini non facevano parte di un progetto urbano unitario, ma erano limitate a dominare la città, segnalando inequivocabilmente la presenza del potere. Per provare questo suggerimento possiamo citare il castello di Rimini, un’opera difensiva costruita vicino all’antica porta Gattolo e stranamente rivolta verso la città. I cannonieri delle torri erano in realtà per la maggior parte rivolti verso il centro della città. Questa struttura fu probabilmente il risultato delle giovani esperienze di Sigismondo che dovette affrontare due sollevazioni popolari quando non aveva ancora raggiunto la maggiore età. Di Castel Sismondo rimane oggi solo una parte del nucleo centrale, con le torri spogliate a parte le sale interne, che ancora riescono a suggerire l’originale grandezza del maniero con sei torri sul paese.

Il Tempio Malatestiano
Il risultato più significativo fu la sistemazione dell’antica chiesa di San Francesco, l’antica sepoltura della famiglia Malatesta, che dal 1447 fu affidata ai progetti di Matteo de ‘Pasti. Inizialmente Sigismondo si occupò della costruzione di una cappella funeraria e solo negli anni immediatamente seguenti, forse su suggerimento di Alberti e in seguito a prestigiose vittorie e riconoscimenti, si decise di trasformare l’intero edificio sacro in un monumento funerario che celebra Sigismondo e la sua famiglia. All’interno della grande navata centrale è rimasta intatta, aggiungendo cappelle laterali e decorazioni classiche comunque prive di calcoli proporzionali. Protagonista era la ricca decorazione plastica, che viene ad oscurare la struttura architettonica, come i pilastri all’ingresso di ogni cappella, divisi in settori con rilievi allegorici o narrativi. Ha diretto questa decorazione Agostino di Duccio, che aveva sviluppato il proprio stile fluido partendo dallo stiacciato Donatello, favorendo un po ‘il freddo, “neo-attica”. I temi sono per lo più profani e intrecciano complesse allegorie probabilmente decise dallo stesso Sigismondo. Ricorre spesso in tutto il suo monogramma all’interno di ghirlande.

La glorificazione del cliente ha il culmine nell’affresco di Piero della Francesca Sigismondo Pandolfo Malatesta in preghiera davanti a San Sigismondo (datato 1451), dove la cornice religiosa si intreccia con aspetti politici e dinastici, come nei tratti di San Sigismondo che nascondono quelli dell’imperatore Sigismondo di Lussemburgo, che nel 1433 investì Malatesta come cavaliere e legittimò la successione dinastica, ratificando il sequestro del potere.

L’esterno dell’edificio è stato progettato da Leon Battista Alberti, che pensava che un recinto di marmo lasciasse intatto l’edificio preesistente. L’opera, incompiuta, prevedeva una facciata tripartita con archi punteggiati da semicolonne corinzie che formavano nicchie progettate per accogliere le spoglie mortali di Sigismondo e dei suoi antenati. In effetti le archi tombali dovevano essere collocate qui. La possibilità di un collasso della struttura, tuttavia, spinse De Pasti a cambiare parte del progetto originale, murando le nicchie in due archi ciechi. In cima c’era un abbozzo di frontone con arco al centro fiancheggiato da pilastri. I lati del tempio sono contrassegnati da una sequenza di archi su pilastri, destinati a ospitare i sarcofagi dei più alti dignitari della corte e oltre. Tra questi troviamo infatti la tomba di Giorgio Gemisto Pletone, i cui resti furono presi da Sigismondo durante la sua crociata a Morea. I fianchi e la facciata sono unificati da un alto basamento che isola l’edificio dallo spazio circostante. È interessante notare come Alberti traesse ispirazione dall’architettura classica, ma basandosi su idee locali, come l’Arco di Augusto, la cui forma è triplicata nella facciata.

Una medaglia di Matteo de ‘Pasti del 1450 mostra l’aspetto originale che il tempio avrebbe dovuto avere, con una grande rotonda coperta da una cupola emisferica simile a quella del Pantheon. Se completata, la navata assumerebbe quindi un ruolo di semplice accesso al maestoso edificio circolare, e la funzione celebrativa dell’edificio sarebbe stata molto più evidente, anche in relazione al paesaggio cittadino.