Boudoir in porcellana di Maria Amalia di Sassonia, Museo Nazionale di Capodimonte

Il boudoir di porcellana di Maria Amalia di Sassonia è un interno in stile rococò ora situato nel Palazzo di Capodimonte a Napoli. Fu originariamente costruito per il Palazzo dei Portici nel 1757-1759, ma ora è stato trasferito nel Palazzo di Capodimonte e prende il nome da Maria Amalia di Sassonia, regina di Napoli. Si compone di pannelli in porcellana bianca decorati in alto rilievo con festoni e scene di genere, attingendo alla cineseria popolare all’epoca. Fu progettato da Giuseppe Gricci (1700-1770 ca.) e prodotto nella fabbrica di porcellana reale di Capodimonte, fondata da Maria Amalia e suo marito Carlo di Borbone nel 1743.

Dopo che Carlo divenne Carlos III di Spagna e trasferì la fabbrica di Capodimonte a Madrid come Real Fábrica del Buen Retiro, vennero realizzate stanze simili per il Palazzo di Aranjuez (anche cineseria) e il Palacio Real, Madrid, questa volta in stile neoclassico.

Panoramica
La stanza 51 è stata modificata dalla sua forma originale, di dimensioni ridotte, perdendo l’apertura sul giardino, ma conservando quella sul cortile interno, per fungere da ingresso al salotto in porcellana di Maria Amalia di Sassonia, si trasferì nel palazzo di Capodimonte nel 1886: la sala è decorata con arazzi di Domenico Del Rosso e numerosi dipinti di Elisabetta Vigée Le Brun e Pietro Duranti e uno di Carlo Bonavia, la Cascata, creato nel 1755; l’ambiente si completa con alcune sedie realizzate a Napoli tra la fine del XVIII secolo e l’inizio del XIX secolo e un orologio di Joseph Martineau.

Il salone di porcellana della regina di Napoli Maria Amalia di Sassonia, oggi nel palazzo reale di Capodimonte, è una sala in stile rococò interamente ricoperta da piatti di porcellana bianca decorati in alto rilievo con festoni e scene di genere ispirate al gusto della “Chinoiserie” prevalente nel XVIII secolo. Una delle creazioni più felici della civiltà napoletana del XVIII secolo, rappresentava la “somma” delle competenze tecniche e artistiche acquisite in poco meno di vent’anni dalla Fabbrica Reale di Porcellana di Capodimonte, fondata nel 1743 da Carlo di Borbone e dalla stessa Maria Amalia.

Nella sala 52 si trova il salotto in porcellana, composto da oltre tremila pezzi e realizzato tra il 1757 e il 1759 da Giovanni Battista Natali, destinato all’uso privato della regina Maria Amalia, che tuttavia lo utilizzerà pochissimo. è che, secondo i documenti dell’epoca, l’ultima operazione del lampadario risale al luglio 1759 e il 6 ottobre dello stesso anno la regina lasciò Napoli per trasferirsi a Madrid, dove ne fece costruire una simile al palazzo reale di Aranjuez: originariamente montato nel palazzo di Portici, fu trasferito nel palazzo di Capodimonte nel 1866 per volere di Annibale Sacco.

Tutte le fasi della sua realizzazione sono note attraverso diversi documenti: Luigi Vanvitelli, in una lettera indirizzata a suo fratello Urbano, datata giugno 1758, parlava di aver visto i lavori non ancora assemblati ed è quindi deducibile che questo fosse stato avviato nel precedente anno, e certamente terminò nel 1759, anno in cui Giuseppe Gricci andò a Portici con ventisei carrozze che contenevano il materiale pronto per essere assemblato; nel maggio del 1759 il soffitto a stucco, le porte in legno e il lampadario erano pronti, mentre non si sa se anche il pavimento fosse dipinto o in porcellana.

I pezzi di porcellana sono stati lavorati nello stabilimento di Capodimonte, sotto la guida del capo modellista Giuseppe Gricci, che si è avvalsa della collaborazione di Geatano Fumo e Ambrogio Di Giorgio per la formatura e Gaetano Tucci per la cottura, in modo da realizzare i disegni di Johann Sigmund Fischer e Luigi Restile; a Portici invece Mattia Gasparini lavorava per gli stucchi e Gennaro Di Fiore per le sculture in legno. Anche il salotto doveva essere interamente arredato in porcellana, di cui, tuttavia, non rimane traccia se non una console del 1759, conservata al museo nazionale di Ceramique a Sèvres.

Spostato nel palazzo di Capodimonte, in una sala adattata per l’occasione, si nota come la volta a stucco si unisce perfettamente alla costruzione in porcellana, che è fissata al muro da viti appoggiate su una gabbia di legno, nascoste da cornici, festoni e frutti: le decorazioni alle pareti sono costituite da animali, trofei musicali con cartigli o ideogrammi cinesi, che lodano il re Carlo e scritti da un poeta appartenente al collegio cinese di Napoli, festoni e scene della vita cinese alternate a specchi; la sala in porcellana è l’esempio più significativo per il gusto della cineseria che si diffuse in Europa nel XVIII secolo.

La sala 53, anch’essa ridotta nella sua forma originale, ospita ritratti di Ferdinando e dei figli di Maria Carolina commissionati a Elisabetta Vigée-Le Brun, un arazzo realizzato dai Gobelins, che elogia Don Chisciotte al festival di Barcellona tenuto da Don Antonio Moreno e , alle pareti, quattro console con cintura dorata decorata con trofei militari del XIX secolo: su di esse poggiano quattro vasi ornati con coppie di statuette raffiguranti l’Ercole Farnese, realizzate in terracotta dalla fabbrica Del Vecchio.

Storia
Il “salotto” fu commissionato alla manifattura di porcellana per la sala boudoir dell’appartamento privato della regina nella Reggia di Portici vicino a Napoli e costruito, a partire dal 1757, su un progetto preliminare preparato dal pittore e quadraturista piacentino Giovan Battista Natali ( Pontremoli 1698 – Napoli 1765). È noto, tuttavia, che le indicazioni gustative della stessa Maria Amalia, che almeno per la definizione delle sculture in legno, assunsero un ruolo di supervisione diretta delle opere, evidenziate dai documenti relativi all’attuazione del “salotto” , ha avuto anche un’influenza significativa.

È una stanza rettangolare (6,75 x 4,8 x 5,13 m) interamente ricoperta da tremila pezzi di porcellana con uno sfondo bianco decorato con applicazioni in plastica a bassorilievo, accompagnata da sei grandi specchi francesi e con un soffitto in stucco Rocaille trattato a imitazione porcellana. Vi erano anche porte e tende intagliate appositamente progettate, mentre sussistono dubbi sul fatto che il pavimento in porcellana, a cui Vanvitelli fa riferimento in una lettera del 1748, non sia mai stato realizzato.

La realizzazione del “salotto” ha coinvolto gli “specialisti” della porcellana per circa tre anni a pieno regime. Ma a causa della complessità del progetto, furono coinvolti anche lavoratori esterni alla “Real Fabbrica”, come stuccatori, intagliatori e doratori, guidati rispettivamente dall’ornista Mattia Gasparini, autore del soffitto in stucco per uso porcellana, e dallo scultore in legno Gennaro di Fiore, due nomi legati alla commissione di Carlo III anche in Spagna. Giuseppe Gricci è stato il creatore dei piatti in porcellana realizzati “in stampo” su forme in gesso, dal 1743 a capo della “Camera del Modellato” della manifattura, mentre la decorazione pittorica “terzo fuoco” spetterà a Johann Sigmund Fischer, e a Luigi Restile.

Il 10 maggio 1759, si potrebbe dire che il boudoir fosse stato completato (tranne forse il pavimento), poiché in quella data Maria Amalia ebbe l’opportunità di vederlo assemblato e completato con le incisioni. Nondimeno, non ebbe il tempo di viverci, poiché poco dopo la coppia reale sarebbe partita da Napoli per la Spagna, per circondare la corona. Ma il lavoro deve essere stato per la sua piena soddisfazione, poiché la regina ha richiesto una replica per la residenza di Aranjuez, alle porte di Madrid.

Durante il diciannovesimo secolo il soggiorno assunse dapprima varie funzioni di scrittura e poi la sala di ricevimento, come documentato dagli inventari di mobili di epoca portica. Finalmente nel 1866, con il trasferimento dei beni borbonici nel Regno d’Italia, il rivestimento in porcellana della stanza fu smantellato e trasferito al Palazzo Reale di Capodimonte. In quell’occasione fu dotato di nuove finiture in legno realizzate secondo il gusto della cineseria dalla seconda metà del XIX secolo, mentre gli arredi furono completati con mobili inglesi e napoletani delle collezioni reali, ancora oggi a Capodimonte. Solo nel 1958, infine, il soffitto originale fu ricollegato alle pareti, dopo una delicata operazione di restauro.

Chinoiserie
La Cina evocata nel boudoir di Maria Amalia di Sassonia non era quella di prima mano dei manufatti originali, importati dalle migliaia nel XVIII secolo attraverso i mercati olandese e britannico, che hanno anche svolto un ruolo importante nella definizione dell’estetica rocaille. Al contrario, quello meraviglioso e irraggiungibile della cineseria: l’esotismo fiabesco, sottilmente sfuggente, trasfigurato dall’immaginazione di artisti francesi come Watteau e Boucher, si diffuse presto in tutta Europa, come un fenomeno di costume delle classi benestanti. Era un materiale duttile di forme, motivi e ambientazioni, ricreato incessantemente dall’inesauribile ispirazione di abili artigiani, ora riproposto nelle forme di un padiglione da giardino, ora in quelle di un mobile laccato, ora di una parata, seguendo le richieste di un cliente colto e scettico, incline a fuggire nel fantastico.

Come altri prodotti più o meno riusciti di quel genere, l’Oriente rappresentato nel salotto di Portici era quindi un prodotto di pura fantasia, reinventato in questo caso attraverso le scenette di genere realizzate sulle pareti.

Ciò che rese immediatamente interessante questo ambiente fu l’introduzione – per la prima volta – della porcellana come materiale quasi unico per rivestire le pareti, sostituendo le solite boiserie, stucchi o carte da parati. Da quell’unione senza precedenti, il mondo evanescente della cineseria rinacque più intimamente, grazie alle qualità intrinseche e simboliche che la sensibilità europea aveva da tempo riconosciuto per il prezioso materiale. Raccolta con nitidezza “moderna” nei bagni delle curiosità orientali, la porcellana era anche metafora e paradigma per Catai “vero”: il paese da cui proveniva e di cui sembrava sintetizzare l’essenza estetica e spirituale. Nel salotto della regina di Napoli, le due visioni di quel mondo, quella “reale” e quella inventata, arrivarono per la prima volta, eccezionalmente, a coincidere.

Museo Nazionale di Capodimonte
Il Museo Nazionale di Capodimonte è un museo a Napoli, in Italia, situato all’interno dell’omonimo palazzo nella zona di Capodimonte, che ospita diverse gallerie d’arte antica, una di arte contemporanea e un appartamento storico.

Fu aperto ufficialmente come museo nel 1957, anche se le sale del palazzo ospitano opere d’arte dal 1758. Conserva prevalentemente dipinti, distribuiti principalmente nelle due principali raccolte, il Farnese, che includono alcuni dei più grandi nomi della pittura italiana e internazionale . come Rafael, Tiziano, Parmigianino, Brueghel il Vecchio, El Greco, Ludovico Carracci o Guido Reni; e la Galleria napoletana, che è composta da opere provenienti da chiese della città e dintorni, trasportate a Capodimonte per motivi di sicurezza dopo la soppressione degli ordini religiosi, e presenta opere di artisti come Simone Martini, Colantonio, Caravaggio, Ribera, Luca Giordano o Francesco Solimena. Anche la collezione di arte contemporanea è importante, in cui spicca il Vesuvio di Andy Warhol.

Il Museo di Capodimonte vanta 47.000 opere d’arte che formano una delle collezioni più grandi e complesse di arte medievale, moderna, moderna e contemporanea al mondo. In 126 gallerie distribuite su 151.000 piedi quadrati, sono esposte opere dei grandi artisti come: Michelangelo, Caravaggio, Raffaello, Tiziano, Botticelli, Simone Martini, Giovanni Bellini, Colantonio, Artemisia Gentileschi, Jusepe de Ribera, Battistello, Luca Giordano, Mattia Preti, Francesco Solimena, Carracci, Guido Reni, Lanfranco, Bruegel il Vecchio e Van Dyck per citarne alcuni.

Tutto ebbe inizio con la Collezione Farnese che Carlo I di Borbone, figlio del re di Spagna, ereditò da sua madre Elisabetta e portò con sé a Napoli nel 1735, con il desiderio di esporlo in questo palazzo in cima alla collina. La costruzione del palazzo iniziò nel 1738, per funzionare come una galleria di immagini e una casa di caccia. Capodimonte è l’unico museo italiano che oltre a rappresentare quasi tutte le scuole della prima arte moderna italiana, può anche vantare opere di artisti contemporanei come Burri, Paolini, Bourgeois, Warhol e Kiefer.

Il Parco Reale di Capodimonte, con i suoi 300 acri e più di 400 specie vegetali, è uno spazio verde incontaminato che domina la città e il Golfo di Napoli. Qui sono state piantate specie esotiche, tra cui i primi mandarini in Italia. È il più grande parco urbano in Italia, con circa 1.500.000 visitatori all’anno. All’interno del Royal Park è possibile ammirare l’ultimo giardino barocco dal design sino-inglese pieno di rare fragranze orientali.

Maestosamente immerso nel suo Parco Reale che domina il Golfo di Napoli, Capodimonte offre una combinazione davvero singolare di bellezza artistica e naturale assolutamente unica al mondo.