Palazzo Te è un edificio storico e monumentale a Mantova. un bell’esempio di stile manierista di architettura, costruito tra il 1524 e il 1534 su commissione di Federico II Gonzaga, è l’opera più famosa dell’architetto italiano Giulio Romano. Il complesso ospita ora il museo civico e, dal 1990, il Centro internazionale per l’arte e la cultura di Palazzo Te che organizza mostre di arte e architettura antiche e moderne.

Storia
Il Palazzo del Te fu costruito tra il 1524 e il 3434 per Federico II Gonzaga, Marchese di Mantova, come palazzo del tempo libero. Il sito scelto era quello delle scuderie della famiglia a Isola Del Te, ai margini delle paludi appena fuori le mura della città di Mantova. Il nome deriva da Tejeto, il bosco che un tempo cresceva su quella che all’epoca era un isolotto nelle paludi intorno al centro della città.

Giulio Romano, allievo di Raffaello, fu incaricato di progettare l’edificio. Il guscio del palazzo, eretto in diciotto mesi, è fondamentalmente una casa quadrata che contiene un cortile di clausura. Un giardino formale completava la casa, racchiuso da annessi colonnati che terminavano in un colonnato semicircolare noto come “Esedra”.

Una volta completato il guscio dell’edificio, per dieci anni una squadra di stuccatori, intagliatori e pittori di affreschi lavorò, fino a quando a malapena una superficie in una delle logge o nei saloni rimase non decorata. Sotto la direzione di Romano, pittori decorativi locali come Benedetto Pagni e Rinaldo Mantovano lavorarono ampiamente sugli affreschi.

Nel luglio 1630, durante la guerra di successione mantovana (1628-1631), Mantova e il palazzo furono saccheggiati per tre giorni da un esercito imperiale di 36.000 mercenari di Landsknecht. La popolazione rimanente cadde vittima di una delle peggiori piaghe della storia che gli invasori avevano portato con sé. Il palazzo fu saccheggiato da cima a fondo e rimase un guscio vuoto: ninfe, dio, dee e giganti rimangono sulle pareti delle vuote sale echeggianti.

simbologia
I simboli e gli stemmi riempiono le pareti del palazzo e il suo voluttuoso proprietario con significati più o meno nascosti e spesso politici. Il Monte Olimpo, ad esempio, circondato da un labirinto e che sorge dalle acque è un simbolo che spesso si trova, è ripreso in elementi architettonici costitutivi dell’edificio come i due grandi stagni che attraverso un ponte che conduce al giardino o come il labirinto di bosso (ora scomparso) del giardino stesso.

Un altro simbolo interessante è la salamandra, che Federico sceglie come personale, insieme alla quale viene spesso usato il motto: quod huic deest me torquet (ciò che mi manca mi tormenta); infatti la lucertola verde era considerata l’unico animale insensibile agli stimoli dell’amore, ed era usata come contrasto concettuale con il duca e la sua natura sensuale e galante, che invece era tormentata dai vizi dell’amore.

La struttura architettonica
I simboli e gli stemmi riempiono le pareti del palazzo e il suo voluttuoso proprietario con significati più o meno nascosti e spesso politici. Il Monte Olimpo, ad esempio, circondato da un labirinto e che sorge dalle acque è un simbolo che spesso si trova, è ripreso in elementi architettonici costitutivi dell’edificio come i due grandi stagni che attraverso un ponte che conduce al giardino o come il labirinto di bosso (ora scomparso) del giardino stesso.

Un altro simbolo interessante è la salamandra, che Federico sceglie come personale, insieme alla quale viene spesso usato il motto: quod huic deest me torquet (ciò che mi manca mi tormenta); infatti la lucertola verde era considerata l’unico animale insensibile agli stimoli dell’amore, ed era usata come contrasto concettuale con il duca e la sua natura sensuale e galante, che invece era tormentata dai vizi dell’amore.

La struttura architettonica
L’edificio è a pianta quadrata con al centro un ampio cortile quadrato, un tempo anch’esso decorato con un labirinto, con quattro ingressi su tutti e quattro i lati (Giulio Romano si ispira alla descrizione vitruviana della casa di abitazione: la domus romana con quattro ingressi, ciascuno su uno dei quattro lati).

L’edificio ha proporzioni insolite: sembra un grande blocco basso, con un solo piano, la cui altezza è di circa un quarto della larghezza.

Il complesso è simmetrico lungo un asse longitudinale.

Sul lato principale dell’asse (nord-ovest) l’apertura di ingresso è un vestibolo quadrato, con quattro colonne che lo dividono in tre navate. La volta della navata centrale è una volta a botte e le due laterali presentano un soffitto piatto (alla maniera dell’atrio descritto da Vitruvio e che ebbe così tanto successo nei palazzi italiani del XVI secolo), assumendo così una conformazione serliana estrusa.

L’ingresso principale (sud-est) verso la città e il giardino è una loggia, la cosiddetta Loggia Grande, all’esterno composta da tre grandi archi su colonne gemelle che compongono una successione di serliane. che si riflettono nei piccoli stagni di fronte. Il balcone prosegue fino al secondo registro, nella parte superiore della facciata era originariamente una loggia; questo lato dell’edificio fu infatti ampiamente ristrutturato alla fine del 1700, quando fu aggiunto anche il frontone triangolare che sormontava la grande serliana centrale.

Le facciate esterne sono disposte su due livelli (registri), unite da pilastri dorici lisci di ordine gigante. Le intercolonne variano secondo un ritmo complesso. Tutta la superficie esterna è trattata con bugnato (compresi i telai delle finestre e le porte) più marcato sul primo registro:

– Il primo registro bugnato ha finestre rettangolari incorniciate da bugne sporgenti (borchie rustiche).

– Il secondo registro ha un bugnato più regolare e più regolare, con finestre quadrate senza cornici

Anche il cortile interno segue un ordine dorico, ma qui su colonne (semicolonne) di marmo lasciate quasi grezze sormontate da una potente trabea dorica.

Qui la superficie parietale è trattata con un bugnato rustico non troppo marcato, regolare e omogeneo senza differenze significative tra il primo e il secondo registro.

G. Romano ispirato a un linguaggio architettonico classico, lo reinterpreta creando un’opera con una ricca collezione di invenzioni stilistiche, reminiscenze archeologiche, spunti naturali e decorativi, come:

– Colonne doriche giganti incorporate nelle superfici delle pareti per trattare blocchi di pietra con una superficie rustica

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– alcuni bugnati bugnati cadono nel fregio della trabeazione che circonda e incorona il cortile quadrato. Si può vedere nelle facciate sull’asse longitudinale (cioè nord-ovest e sud-est), al centro di ogni intercolonna, un triglyph che sembra scivolare verso il basso, come un arco di pietra; su questi due lati anche le intercolonne, come l’esterno, non sono tutte uguali. Questi dettagli spostano l’osservatore e danno una sensazione di incompiuto al tutto.

Sembra che il palazzo sia stato originariamente dipinto anche all’aperto, ma i colori sono scomparsi mentre rimangono gli affreschi interni dipinti dallo stesso Giulio Romano e da numerosi collaboratori. Oltre agli affreschi, le pareti sono state arricchite con tende e applicazioni in pelle, oro e argento, le porte di legno intarsiato e bronzi e i caminetti realizzati con marmi nobili.

I terremoti dell’Emilia del 2012 hanno causato danni ad alcune stanze del palazzo Gonzaga.

Le sale del palazzo
Sala dei Giganti: l’affresco della caduta dei Giganti fu dipinto tra il 1532 e il 1535, coprendo la stanza dalle pareti al soffitto con la rappresentazione illusoria della battaglia tra i Giganti che cercava di salire sull’Olimpo e Zeus

Sala dei cavalli: con i ritratti a grandezza naturale dei sei destrieri preferiti dei Gonzaga era la sala da ballo. I cavalli spiccano in tutta la bellezza delle loro forme su un paesaggio naturale che si apre dietro alcune colonne corinzie dipinte e che alternano il purosangue con figure di divinità mitologiche in false nicchie. Il soffitto a cassettoni in legno e le rosette dorate ospitano il Monte Olimpo e la lucertola, i simboli del duca e il suo schema sono tratti dal pavimento dando simmetria all’ambiente (il pavimento non è l’originale del tempo).

Sala di Amore e Psiche: è la sala da pranzo del duca. Interamente affrescato, ogni parete raffigura la storia mitologica di Psiche come lussuriosa, è il simbolo dell’amore del duca per Isabella Boschetti. La fonte letteraria è la metamorfosi di Apuleio. Alle altre due pareti, senza relazioni con la storia, ci sono episodi mitologici con Marte e Venere e, sopra le finestre e il camino, vari amori divini.

Sala delle Aquile: la camera da letto di Federico ornata al centro della volta con l’affresco della caduta di Fetonte dal carro del sole, è completata da stucchi scuri di aquile con ali spiegate nelle lunette agli angoli della stanza e affreschi di favole pagane.
Sala dei venti o dello zodiaco

Sala degli affari

Sala di Ovidio e Metamorfosi

Sala del sole e della luna: prende il nome dall’affresco centrale della volta raffigurante i carri del sole e della luna. Menzionata come un “salotto” nei documenti, la sala aveva la funzione di introdurre gli ospiti nelle sale più private delle compagnie e di Ovidio. In cima all’ampia volta disgustata si apre una prospettiva che raffigura l’allegoria del carro del sole al tramonto e quella della Luna che sorge, una metafora dell’incessante passare del tempo. Secondo una lunga tradizione, l’affresco fu dipinto dal più geniale allievo di Giulio Romano: il bolognese Francesco Primaticcio. Nonostante la mancanza di certezza documentale, la qualità del lavoro non contraddice questa opinione. Le vele della volta sono decorate con lacunari (192 tra losanghe e triangoli ai bordi della composizione) con rilievi in ​​stucco, su uno sfondo blu, raffiguranti uomini, animali, emblemi e le gesta di Ramarro e Monte Olimpo, favoriti da Federico II . Le raffigurazioni sono tratte dal repertorio classico: monete e gemme, di cui Giulio Romano era un collezionista. Il soffitto e il cornicione sottostante, simili alle altre decorazioni di questa ala dell’edificio, possono essere collocati negli anni 1527-28.

Sala degli Imperatori:
La stanza dei bassorilievi e la Sala dei Cesari: l’imperatore Carlo V, da cui Federico ottenne il titolo di duca nel 1530, è chiaramente familiare.

Loggia d’onore o di David: è la loggia che sovrasta i pescivendoli, parallela alla “Grande” che segna l’ingresso dell’edificio e mostra l’incantevole vista del giardino che è chiusa a nord dall’esedra. La volta è divisa in grandi piazze con cornici di canne palustri in cui è rappresentata la storia biblica di David, scene prese tra il 1531 e il 1534. La decorazione della loggia è durata fino al diciannovesimo secolo. Le 14 nicchie furono abbellite con altrettante statue in pietra raffiguranti le personificazioni delle virtù tratte dall’iconologia di Cesare Ripa, opera pubblicata più volte, dal 1593 al 1630. Fu nel 1653 che il duca Carlo II Gonzaga Neversto commissionò le statue per il la maggior parte, nove, realizzata dallo scultore bolognese Gabriele Brunelli. Le ultime cinque statue furono realizzate nel 1805.

Tutta questa parte della villa elogia, attraverso i dipinti e i simboli dell’arte romana e il paganesimo dei miti dell’Olimpo, la figura dell’imperatore Carlo V, ma qui viene rivelato uno dei “segnali” nascosti della muffa politica, in tutti gli eventi rappresentano l’attenzione posta sulla forza e l’importanza del grande Giove sembra offuscarne il prestigio.

L’angolo segreto
L’appartamento della grotta fu costruito intorno al 1530 nell’angolo est del giardino vicino all’esedra che conclude lo spazio della villa. L’appartamento è composto da poche stanze di dimensioni molto inferiori a quelle del corpo dell’edificio; una loggia che si apre in un piccolo giardino mostra ciò che resta di un ambiente poi decorato e affrescato.

Dal giardino si accede alla Grotta, una piccola stanza adibita a bagno, con una realizzazione davvero insolita. L’apertura è realizzata come per dare l’idea di un ambiente naturale, di una grotta, non ci sono marmi e materiali raffinati del resto dell’edificio, gli interni sono stati coperti con conchiglie (ora scomparsi) e giochi d’acqua che hanno dovuto rallegrare il visitatore e lo stupisce allo stesso tempo.

Alberi da frutto di Palazzo Te
Le ciotole di frutta si trovano sul lato meridionale del giardino di Palazzo Te; di pianta rettangolare, sono costituiti da un unico ambiente diviso in tre navate. La copertina è supportata da dieci coppie di pilastri.
I lavori di costruzione iniziarono nel 1651 su progetto dell’architetto Nicolò Sebregondi e nel 1655 l’edificio iniziò a ospitare piante e agrumi collocati in vasi di terracotta per il ricovero invernale. Ma già dal secolo successivo le ciotole di frutta e le stalle adiacenti venivano utilizzate come deposito militare. Numerosi e impropri usi si susseguirono fino al 1989 quando, dopo un adeguato restauro, divenne sede espositiva per le mostre realizzate dal Centro Internazionale d’Arte e Cultura di Palazzo Te.

Museo Civico
Le occupazioni spagnole, francesi e austriache e le varie guerre significarono che nel corso degli anni il palazzo fu utilizzato come caserma e giardini come accampamenti per le truppe, impoverendo le sale e distruggendo alcune sculture (rimangono visibili sui muri della stanza di i giganti i graffiti e le incisioni con nomi e date di un glorioso passato per il monumento). La proprietà della villa da parte della famiglia Gonzaga passò, ad eccezione del breve periodo di dominazione napoleonica, al governo austriaco fino al 1866 quando fu acquisita dallo Stato italiano. Nel 1876 l’edificio diventa proprietà del Comune di Mantova. Dopo diversi restauri, il palazzo oggi ritorna, con le sue stanze e giardini, un incantevole tuffo nella creatività di Giulio Romano e nell’importanza della corte dei Gonzaga. Grazie alla riorganizzazione dell’orangerie, dove venivano coltivate arance e limoni, fu creata una vasta sala per mostre temporanee. Ma un ulteriore obiettivo dell’impegno delle istituzioni della città era quello di ottenere un museo a Palazzo Te per ospitare almeno una parte delle collezioni civiche. Lo spazio espositivo permanente è stato creato nelle sale al piano superiore. Ci sono quattro raccolte in mostra:

Sezione Gonzaga
La sezione è costituita da materiali legati principalmente alla storia di Mantova dall’età dei Gonzaga (1328-1707): una collezione numismatica composta da 595 monete prodotte dalla zecca di Mantova, una collezione di coni e punzoni, l’antica serie di pesi statali e misure di Mantova e una collezione di 62 medaglie dei Gonzaga e illustri personaggi mantovani.

Donazione “Arnoldo Mondadori”
La sezione è composta da diciannove dipinti di Federico Zandomeneghi (1841-1917) e tredici da Armando Spadini (1883-1925), raccolti da Arnoldo Mondadori e donati nel 1974 dagli eredi dell’editore mantovano. Nove dipinti della collezione sono prestati per la grande mostra The Impressionism di Zandomeneghi, concepita dopo il centenario della morte del pittore veneziano. Le nove opere esposte a Palazzo Zabarella a Padova sono: La cuisinière (La cuoca), 1881, olio su tela; Corsage bleu (La giacca blu), 1884, pastello su carta incollata su cartone; Femme au bar (Al caffè), 1884, olio su tela; Femme qui s’étire (Awakening), 1895, pastello su carta; The Attentive (Attesa), 1896-1898, pastello su carta applicata su cartone; Rêverie (Reverie), 1893-1900, olio su tela; Ragazza con fiori gialli, 1900-1905, pastello su carta incollata su cartone; La fête (Ragazza con un mazzo di fiori), 1894, olio su tela; Still life: pommes (Natura morta con mele), 1917, olio su tela.

Collezione egiziana “Giuseppe Acerbi”
Giuseppe Acerbi (1773-1846), Console Generale d’Austria in Egitto, partecipò nel 1829 ad alcune fasi della famosa spedizione archeologica guidata da Jean François Champollion. Costituiva un’importante raccolta di materiali archeologici, 500 pezzi che nel 1840 donarono alla città di Mantova. Ora la sua collezione è interamente esposta a Palazzo Te.

Collezione Mesopotamica “Ugo Sissa”
La collezione composta da Ugo Sissa, architetto e pittore mantovano (1913-1980), capo architetto a Baghdad tra il 1953 e il 1958, comprende circa 250 pezzi di arte mesopotamica risalenti alla fine del VI millennio a.C. e alla fine del 1 ° millennio d.C.

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