Museo d’Arte Orientale a Torino, Italia

Il Museum of Oriental Art (MAO) è un museo che contiene una delle più importanti collezioni di arte asiatica in Italia. Le opere della collezione rappresentano tradizioni culturali e artistiche provenienti da tutto il continente asiatico.

Panoramica
MAO, il Museo di Arte Orientale, è situato nella storica sede settecentesca di Palazzo Mazzonis. Il patrimonio del museo comprende circa 1500 opere, in parte provenienti dalle collezioni del VI secolo accumulate da varie istituzioni cittadine, in parte acquisite negli ultimi anni. La struttura espositiva del Museo è suddivisa in quattro aree culturali: Asia meridionale, Cina, Giappone, regione dell’Himalaya e paesi islamici. Questo layout corrisponde naturalmente alla struttura fisica dell’edificio che è suddivisa nello stesso numero di spazi espositivi collegati ma strutturalmente separati utilizzati per ospitare le varie sezioni.

Il museo è stato aperto il 5 dicembre 2008, con la fusione della collezione asiatica del Museo di arte antica della città di Torino a Palazzo Madama e contributi del Municipio di Torino, della Regione Piemonte, della Fondazione Giovanni Agnelli e della Compagnia di San Paolo. L’architetto Andrea Bruno ha curato il restauro di Palazzo Mazzonis per ospitare il museo appena formato.

I reperti ora ospitati nel nuovo Museo d’Arte Orientale di Torino sono per lo più opere già presenti nel Museo d’Arte Ci6thc della città. Altri, tuttavia, furono donati al museo dalla Regione Piemonte, così come dalla Fondazione Agnelli e dalla Compagnia di San Paolo.

Lo spazio espositivo del museo, che è stato progettato per ospitare quattro diverse aree tematiche, come l’atrio dove è possibile osservare i tipici giardini Zen giapponesi. Ogni area, da questo punto in poi, gode di una diversa caratterizzazione dello spazio e delle opere esposte. Al piano terra si possono ammirare reperti provenienti dall’Asia meridionale, la maggior parte dei quali molto antichi, e dall’Asia sud-orientale. Al primo piano ci sono manufatti di fabbricazione cinese, tra cui opere in bronzo e terracotta risalenti al 3000 a.C., e nelle apposite sale è possibile ammirare numerosi manufatti di arte giapponese. Ma questo non è tutto. Infatti, al terzo piano del Museo d’Arte Orientale di Torino è presente anche una collezione di oggetti della regione himalayana, mentre l’ultimo piano è interamente dedicato all’arte islamica.

Storia
Inaugurato il 5 dicembre 2008, il MAO – Museo di arte orientale di Torino è tra le più recenti istituzioni museali per inserirsi nel già ricco contesto culturale della capitale piemontese. Da qualche tempo le istituzioni locali si chiedono come organizzare meglio le collezioni orientali, precedentemente conservate nel Museo Civico di Arte Antica e, con il contributo della Regione Piemonte, della Compagnia di San Paolo e della Fondazione Agnelli, nei primi anni 2000 è stato raggiunto un numero considerevole di reperti. Il sostegno concreto fu garantito anche dal Comune di Torino, che rese disponibile il prestigioso Palazzo Mazzonis al nascente complesso museale. Il museo è stato diretto fino al 2013 da Franco Ricca, professore universitario di meccanica quantistica, che è stato a lungo un appassionato amante dell’arte orientale.

Dalle sue origini come residenza degli aristocratici sabaudi durante il periodo barocco fino a diventare gli uffici di un’azienda tessile alla fine del XIX secolo, dalla testimonianza del terrorismo degli “Anni di Piombo” (o Anni di piombo) alla svolta dell’ultimo secolo per diventare una finestra sull’est nel 2008, l’edificio che ospita il MAO può essere visto come un microcosmo dei grandi cambiamenti subiti dalla sua città e dalla regione circostante.

Ripercorrere la storia dell’edificio, che è tanto simbolico quanto modesto, significa radicare saldamente il Museo nella trama e nella vita della città.

L’edificio
Palazzo Mazzonis è una dimora signorile del XVII secolo, situata in via San Domenico, nel centro di Torino. Dal 2008 ospita la sede del MAO – Museum of Oriental Art. Per ben tre secoli l’edificio fu la residenza torinese di due rami di una delle principali famiglie dell’aristocrazia piemontese: il Solaro della Chiusas (discendenti del Solaro di Morettas) e il Solaro della Margaritas. In origine, la famiglia Solaro apparteneva alla classe patrizia di Asti che aveva investito i suoi proventi dalle attività commerciali e di usura europee per acquisire diritti signorili. Successivamente furono integrati nel sistema di amministrazione e onorificenze dello stato della Savoia.

L’edificio era noto fin dal 1587 e la sua storia è strettamente legata alla storia dei suoi proprietari, che può essere in parte rivisitata attraverso le decorazioni a stucco nella grande sala al piano principale dell’edificio. Carlo Ubertino I è ritratto in armatura e abito del XVI secolo; fu ambasciatore del duca Carlo Emanuele I a Roma, Francia, Spagna, Portogallo, Inghilterra e Scozia.

Suo figlio, Emanuele Filiberto Solaro, era anche un soggetto di fiducia del duca Carlo Emanuele I, e fu nominato governatore del Vercelli, ambasciatore presso le corti di Francia e Mantova e Great Chamberlain. Emanuele Filiberto Solaro è ritratto nei primi anni del XVII secolo e indossa il Collare dell’Annunziata, il più alto onore concesso dai Duchi di Savoia. Il Marchese Carlo Ubertino II indossa un abito della fine del XVII secolo e il Collare dell’Annunziata (Collare dell’Annunciazione). Durante la guerra civile durante la quale i fratelli del defunto duca Vittorio Amedeo I si opposero alla duchessa Maria Cristina di Francia, sostenne quest’ultimo e prestò servizio come suo diplomatico. Era anche Gran Maestro della Camera e membro del Consiglio di Stato segreto.

Nel 1723 il Marchese Francesco Amedeo Ludovico decise di modernizzare l’edificio e creare una residenza adatta al suo status. Suo figlio, Giuseppe Ludovico Maurizio, probabilmente legato a un progetto di decorazione ancora visibile nella grande sala, probabilmente commissionò il medaglione che lo ritrae. Dopo i lavori di ristrutturazione nel diciassettesimo secolo, l’edificio divenne la residenza aristocratica che possiamo ancora vedere oggi.

Nel 1830 la famiglia Solaro della Chiusa vendette il palazzo al conte Clemente Solaro della Margarita, ministro e primo segretario di Stato agli affari esteri di Carlo Alberto, noto per il suo conservatorismo politico. Nel 1870 il figlio di Clemente vendette l’edificio al cavaliere Paolo Mazzonis, un industriale tessile. Il piano terra dell’edificio fu rapidamente riqualificato come sede aziendale e poi rimase invariato per un secolo. L’edificio è ancora noto come Palazzo Mazzonis.

Nel 1910, su richiesta del Ministero della Pubblica Istruzione, un usciere comunale notificò all’edificio un monumento d’arte e di storia degno di nota. L’avviso menzionava una visita all’edificio da parte di un giovane Jean Jacques Rousseau. Questa nota colorata era dovuta all’attribuzione dell’edificio alla famiglia Solaro di Govone, che il Rousseau appena convertito aveva servito, come scrisse nelle sue Confessioni. Tuttavia, diversi elementi portano alla convinzione che la famiglia Solaro di Govone – e quindi Rousseau – non abbia mai risieduto in via San Domenico Palazzo. Gli interventi più recenti sull’edificio sono stati fatti lungo la scala principale e sono stati commissionati da Ottavio Mazzonis. Ottavio Mazzonis fu, tra l’altro, allievo dell’artista Nicholas Arduino e nel 1955 affrescò la volta con l’allegoria dell’arte e dell’industria e lo stemma di famiglia.

La società Mazzonis chiuse negli anni sessanta e l’edificio rimase inutilizzato. Nel 1980 Ottavio Mazzonis, che nel frattempo si era trasferito altrove, concluse le trattative per vendere l’edificio al Comune di Torino. Dopo un periodo di ristrutturazione di cinque anni, tra il 1980 e il 1985, l’edificio fu riqualificato per diventare uffici della Corte. L’edificio era dotato di strutture e ampi spazi per grandi gruppi di persone ed è diventato la sede di grandi processi terroristici e di “lotta armata”.

L’ultima grande trasformazione dell’edificio ha luogo anche tra il 2004 e il 2008. È stata riaperta nel dicembre 2008, quando le collezioni del MAO Oriental Art Museum sono state esposte per la prima volta circondate da decorazioni in stucco barocco e pareti intrise di storia recente.

Il Museo
Il MAO è un’istituzione culturale che mira a raccogliere, preservare e presentare al suo pubblico opere significative della produzione storica e artistica delle società asiatiche, consentendo allo stesso tempo uno studio approfondito delle sue opere per studiosi interessati alla cultura e all’arte dei paesi asiatici. Il MAO mira anche a essere un ponte tra le opere che espone e i suoi visitatori, che generalmente conoscono poco i concetti culturali e l’ambiente da cui provengono le opere. Il Museo cerca di fornire ai visitatori l’ispirazione per nuove forme di pensiero e rappresentazione e una consapevolezza approfondita del grande valore di tutte le espressioni della conoscenza umana.

Il MAO mira a essere un punto di riferimento per le comunità asiatiche a Torino e in tutta Italia, fornendo loro una maggiore consapevolezza delle loro culture native. Il MAO cerca quindi di fungere da ponte tra mondi e culture diverse.

Installazione
Il museo è stato installato tra maggio e dicembre 2008, su progetto dell’architetto Andrea Bruno, esperto italiano Unesco per il restauro e la conservazione del patrimonio artistico e culturale, e con la consulenza del direttore del museo, il professor Franco Ricca.

Gli spazi sono stati progettati attorno a gruppi di opere di raccolta preesistenti. Ciò ha comportato l’articolazione delle collezioni in 5 diverse gallerie, una per ogni diversa area culturale.

Gli usi precedenti di alcune aree sono stati riprogettati per offrire ai visitatori una migliore esperienza del Museo. Quindi, ad esempio, l’accesso alle collezioni non avviene tramite la scala monumentale e il cortile d’ingresso coperto è diventato un’area di accoglienza per i visitatori; il cortile centrale è stato racchiuso in una struttura vetrata contenente due giardini di ispirazione giapponese. Ora funge da luogo di transizione tra Occidente e Oriente. Lo spazio sotto il tetto è diventato un’area espositiva aperta facilmente accessibile e attraente, uno spazio artificiale che nasconde gli elementi strutturali dell’edificio.

L’installazione del museo prevedeva lo spostamento di opere che fino a quel momento erano state collocate in strutture di stoccaggio adeguatamente monitorate. Tutti i reperti attualmente in mostra sono stati inclusi nella mossa, dai più fragili oggetti in vetro e ceramica, a quelli più consistenti in pietra. Operatori specializzati hanno svolto tutte le attività di trasporto e movimentazione con il supporto del personale museale. Successivamente i lavori furono decompressi sotto il controllo del personale del museo e collocati in teche appositamente progettate. Gli armadi e le vetrine sono stati personalizzati per le esposizioni specifiche che dovevano tenere e realizzati con una varietà di caratteristiche e materiali.

Un layout grafico esteticamente adatto è stato progettato per l’intera area espositiva, fornendo ai visitatori informazioni utili per la loro visita e migliorando la loro esperienza delle collezioni.

Dall’illuminazione delle vetrine all’installazione delle strutture, dagli elementi grafici nelle gallerie alla gestione dei manufatti, l’installazione del museo ha richiesto il coordinamento di numerosi professionisti e specialisti che lavorano fianco a fianco e combinano i loro tempistiche e attività in vista di un obiettivo comune.

Un grande progetto di reinstallazione ha portato alla creazione di una vasta area per le grandi mostre temporanee nella primavera del 2015.

Le collezioni
Frutto della necessità di utilizzare un nuovo strumento per la conoscenza di mondi lontani, il MAO accoglie le collezioni orientali precedentemente conservate nel Museo Civico di Arte Antica ma deve anche molto al contributo dei reperti provenienti dalle collezioni della Regione Piemonte, di la Compagnia di San Paolo e la Fondazione Agnelli. L’obiettivo del museo è preservare e rendere pubbliche le opere emblematiche della produzione artistica orientale e diventare un accesso privilegiato agli studiosi della cultura asiatica, anche con l’aiuto di iniziative specifiche. La disposizione interna, progettata dall’architetto Andrea Bruno, prevede la mostra a rotazione di 1.500 opere, alcune di notevole importanza, disposte in cinque sezioni. I criteri che hanno suggerito le scelte progettuali hanno permesso di creare un piacevole itinerario museale, nonostante la tipica disposizione di un antico palazzo e quindi non sempre favorevole. L’atrio, in cui è stato creato un grande spazio vetroso, conserva i ciottoli del XIX secolo che ospitano i giardini Zen giapponesi, con sabbia e muschio. Questo è il punto di partenza per visitare le cinque aree, caratterizzate da diverse scelte cromatiche e stilistiche, con ampio uso di teak, acciaio, vetro e una grafica museale che evoca i luoghi di origine.

Gallerie
Il MAO mira a ottenere la più ampia rappresentazione possibile della produzione artistica da molti paesi asiatici. Il museo ospita le principali tradizioni culturali e artistiche del continente asiatico. Le partecipazioni al Museo comprendono circa 2200 opere provenienti da diversi paesi asiatici. L’area espositiva permanente è divisa in cinque gallerie ognuna dedicata a una corrispondente area culturale: Sud e Sud-Est asiatico con opere del subcontinente indiano e dell’Indocina; La Cina, la culla di una civiltà artistica secolare e proteiforme; la regione himalayana con la sua fertile interazione tra culture indiane e cinesi; Giappone, una terra con sviluppi artistici originali nati dall’incontro tra culture asiatiche ed europee;

Il primo piano ospita la prima parte della Galleria giapponese, dove è possibile ammirare grandi schermi dipinti e una serie di sculture in legno laccato e dorato. Al secondo piano la galleria continua con l’esposizione di armi e armature, dipinti, tessuti e stampe preziose.

Al terzo piano si trova la Galleria dell’Himalaya che ospita preziosi e rari esemplari di thang-ka tibetano e sculture in bronzo; degna di nota è la parte dedicata all’esposizione di manoscritti con preziose copertine in legno.

Il quarto piano conclude l’itinerario con la sala rigorosamente verde dedicata all’arte islamica. L’ambiente, caratterizzato dal soffitto a capriate dell’edificio storico, appare come un grande corridoio affiancato dai mobili espositivi che ospitano velluti ottomani, ceramiche, bronzi, nonché rari manoscritti persiani e copie calligrafiche del Corano.

Percorsi espositivi

Galleria dell’Asia meridionale e del sud-est asiatico
La galleria dell’Asia meridionale ospita collezioni di tre principali aree geografiche culturali: Gandhara, India e Indocina.
Gandhara è il termine geografico per un’area tra l’Afghanistan e il Pakistan nord-occidentale. Lo stesso termine indica la produzione artistica di ispirazione buddista che fiorì nell’area tra il II secolo a.C. e il V secolo d.C. Oltre ai fregi del grande stupa di Butkara, scoperto negli anni ’50 dagli scavi della sezione piemontese di IsMEO, la sezione Gandhara mostra una serie di scisti, stucchi e statue in terracotta acquistati di recente.
La sezione India mostra opere d’arte ispirate all’induismo e al buddismo del Kashmir, dell’India e del Pakistan orientale. Le pietre, i bronzi, le ceramiche e i dipinti su cotone si estendono tra il II secolo a.C. e il XIX secolo. Le sale d’arte indiane contengono rilievi e sculture dal II secolo a.C. al XIV secolo d.C. e includono esempi di Shunga, Kushana, Gupta e arte indiana medievale.
Sud-est asiatico Nonostante riflettano forti influenze indiane, le opere d’arte della zona che comprende Thailandia, Myanmar, Vietnam e Cambogia esprimono convenzioni iconografiche e caratteristiche stilistiche determinate dalla storia culturale di questi paesi. Le sale del sud-est asiatico contengono arte tailandese, cambogiana e birmana, nonché importanti sculture del periodo Khmer.

Galleria della Cina
La storia millenaria della Cina e il suo controllo di vasti territori hanno generato una grande varietà di forme d’arte. Tuttavia, grazie alla sua struttura politica centralizzata e alla natura organica dei suoi modelli culturali, può essere caratterizzato in modo generalmente omogeneo.

La Galleria cinese contiene arte cinese antica dal 3000 a.C. circa al 900 d.C. circa, con ceramiche neolitiche, bronzi rituali, ceramiche, terracotta. Sono esposti anche oltre duecento esempi di arte funeraria dei periodi Han e Tang.

Galleria del Giappone
La produzione artistica giapponese rivela l’originalità di ciò che si è sviluppato dalla fusione della raffinata artigianalità tradizionale con un rispetto quasi religioso per le qualità intrinseche dei materiali, insieme alla volontà di accogliere elementi esterni emessi dai più alti livelli di espressione culturale.

Statue di ispirazione buddista (dal XII al XVII secolo) si trovano nelle sale dedicate al Giappone, insieme a magnifici schermi dei primi del XVII secolo, dipinti e stampe a blocchi di legno policromi e una ricca collezione di oggetti laccati finemente lavorati.

Galleria dell’Himalaya
L’arte della regione himalayana (Ladakh, Tibet, Nepal, Sikkim e Bhutan) condivide una versione tantrica comune del buddismo da cui emerge una visione del mondo che influenza l’architettura, le statue, la pittura, i libri e gli strumenti rituali. La Galleria dell’Himalaya espone notevoli collezioni di sculture in legno e metallo, strumenti rituali, dipinti a tempera che vanno dal XII al XVIII secolo e una serie di copertine di testi sacri in legno intagliati e dipinti.

Galleria islamica
La sezione islamica del museo espone opere provenienti dal Medio Oriente, dalla Persia, dalla Turchia e dalle ex repubbliche sovietiche dell’Asia centrale. Le collezioni comprendono bronzi, ceramiche e manoscritti, con particolare enfasi sul valore estetico della calligrafia.

La galleria presenta una ricca collezione di ceramiche e piastrelle smaltate che illustrano l’evoluzione della produzione ceramica dal nono al diciassettesimo secolo.

Lavori di restauro
Il progetto di restauro dell’edificio è stato redatto dal Dipartimento Edifici per la Cultura della città di Torino, seguendo le linee guida degli architetti Durbiano, Isola e Reinerio che erano stati nominati dalla Compagnia di San Paolo. Le decorazioni interne sono state restaurate tra il 2004 e il 2005, l’installazione di impianti e sistemi e il consolidamento strutturale sono stati completati tra il 2005 e il 2008.

Le linee guida per il progetto di restauro erano di consolidare la struttura dell’edificio, rispettando le sue caratteristiche esistenti, con il minor impatto visivo possibile. Quindi le strutture sono state installate in aree meno importanti, è stato utilizzato il riscaldamento a pavimento, mentre le tubazioni e le linee di cablaggio sono state collocate nei condotti esistenti. Grande attenzione è stata rivolta a tutti i sistemi di costruzione. Sono stati installati un sistema di illuminazione completamente nuovo, nonché sistemi di illuminazione di emergenza, rilevazione incendi e protezione antincendio, protezione dalle intrusioni, un sistema audio per evacuazione di emergenza, videosorveglianza, climatizzazione, impianto idraulico e servizi igienico-sanitari.

Nella corte interna è stato creato un nuovissimo padiglione vetrato, contenente due giardini asciutti e umidi di ispirazione giapponese. Inoltre, l’assemblaggio delle collezioni MAO ha richiesto una costante manutenzione conservativa e, se necessario, il ripristino delle opere alle condizioni originali. Di conseguenza, è stata avviata una significativa campagna di restauro per garantire la conservazione delle opere e condizioni ottimali di conservazione a fini espositivi. I lavori di restauro sono iniziati nel 2005. Fu parzialmente completato all’interno dell’edificio durante i mesi precedenti la sua apertura al pubblico nel 2008.