Architettura neoclassica in Toscana

L’architettura neoclassica in Toscana fu istituita tra la seconda metà del Settecento e la prima metà del XIX secolo in un quadro storico-politico sostanzialmente allineato a quello che interesserà il resto della penisola italiana, ma sviluppando caratteristiche originali.

Infatti, a differenza di altre regioni, dove gli architetti esterni venivano spesso reclutati durante gli anni di ristrutturazione, l’Accademia di Belle Arti di Firenze costituiva direttamente i protagonisti di una stagione particolarmente vivace, soprattutto nel contesto del Granducato di Toscana.

Contesto storico
Nella prima metà del XVIII secolo la Toscana era amministrata in gran parte dal Granducato controllato dagli Asburgo-Lorena e aveva la sua capitale, Firenze. Poi c’erano una serie di entità minori: la Repubblica di Lucca, che includeva l’omonima città e i territori circostanti; il Principato di Piombino, che si estendeva oltre la Val di Cornia e parte dell’Isola d’Elba; lo Stato dei Presidi che comprendeva essenzialmente l’area di Orbetello ed era politicamente dipendente dal Regno di Napoli; infine, il Ducato di Massa e Carrara, che governava una piccola area a picco sul mare nella parte settentrionale della regione.

Con l’occupazione francese, il regno dell’Etruria prese il posto del Granducato (1801 – 1807), di cui anche lo Stato del Presidio divenne parte; Piombino e Lucca si unirono in un unico principato, al quale fu assegnato il ducato di Massa e Carrara nel 1806. Nel dicembre del 1807 il regno dell’Etruria fu soppresso e il Granducato, in realtà ancora controllato dall’Impero francese, fu diviso in tre regioni. dipartimenti chiamati “del Mediterraneo”, “dell’Ombrone” e “dell’Arno”, con capitali rispettivamente a Livorno, Siena e Firenze.

Al Congresso di Vienna, con la Restaurazione, il granducato ottenne alcune modifiche del territorio, con l’annessione del Principato di Piombino, dello Stato dei Presidi e di alcuni feudi minori; nel 1847 fu incluso anche il ducato di Lucca. Nel 1860 il Granducato di Toscana venne annessa al Regno di Sardegna, per poi diventare parte del Regno d’Italia.

Personaggi generali
Gli eventi che interessano la Toscana possono essere sostanzialmente distinti in una fase pre-rivoluzionaria o settecentesca, in una fase rivoluzionaria coincidente con l’occupazione francese, e in una terza fase, quella della Restaurazione, che ha preceduto l’annessione al Regno d’Italia.

Da un punto di vista architettonico, la prima fase è stata essenzialmente una reazione al rococò; il clima culturale instaurato dagli Asburgo Lorena favorì la trasposizione dell’illuminismo in architettura, affermando principi più vicini al funzionalismo, con un nuovo ideale estetico basato sull’uso di forme geometriche semplici e il rifiuto dell’eccentrica ostentazione.

Nella seconda fase l’apparato formale fu influenzato dall’influenza napoleonica, con una maggiore derivazione dall’arte greca e romana classica.

Durante il terzo periodo le manifestazioni artistiche furono filtrate attraverso la tradizione locale, in particolare il Rinascimento, allontanandosi così dalle ipotesi storiche che li avevano visti salire; il Neoclassicismo, come simbolo di emancipazione del pensiero e della libertà culturale, si afferma invece come un codice stilistico adattato al ritorno dell’Ancien Régime, in quello che i critici chiamavano “Neoclassicismo romantico”.

Con l’annessione dei territori toscani al Regno d’Italia, nella seconda metà del XIX secolo, il neoclassicismo si aprì a una varietà di ricerche che portarono alla disintegrazione del concetto di stile, aprendo così la strada all’eclettismo.

Il periodo della reggenza (1739-1765)
Nel gennaio 1739 il Granduca Francesco III entrò a Firenze attraverso l’arco trionfale costruito da Jean-Nicolas Jadot fuori Porta San Gallo, prendendo possesso formalmente del Granducato di Toscana dopo la morte di Gian Gastone de ‘Medici e la successiva reggenza di Marc de Beauvau, principe di Craon. Contrariamente alla tradizione del tempo, l’arco non era un’opera effimera in legno, tela e gesso, ma costituiva una struttura in un piano stabile, che richiamava un tema di arte romana di particolare significato simbolico, inaugurando la diffusione di questo tipo in l’era neoclassica. L’arco progettato da Jadot, posto davanti alle antiche mura medievali di Firenze, prefigurava il rinnovamento che, poco dopo, avrebbe interessato l’architettura del Granducato di Toscana.

L’età della reggenza costituiva infatti la preparazione e la piattaforma della successiva azione riformatrice che il Granduca Pietro Leopoldo promosse dopo la morte del padre Francesco, avvenuta nel 1765. Nonostante le numerose limitazioni e non senza difficoltà, il primo periodo del Granducato di Lorena fu caratterizzato dalla realizzazione di un piano globale volto alla conoscenza del territorio e al miglior sfruttamento delle risorse naturali: in questo contesto, per esempio, il motuproprio per la protezione della società botanica (1739), il Fondazione dell’Accademia dei Georgofili (1753), il compito affidato a Odoardo Warrento di disegnare le mappe delle città del granducato, la stesura di una mappa topografica generale della Toscana commissionata a Leonardo Ximenes, la stesura di un rapporto sulla storia naturale di i paesi del granducato pubblicati da Giovanni Targioni Tozzetti tra il 1751 e il 1754, la ristrutturazione delle terme di San Giuliano e le opere di il canale imperiale del lago di Bientina. La Reggenza favorì anche lo sviluppo di servizi culturali, sia nella capitale che nei centri minori del granducato, con l’apertura e il rinnovo di una serie di biblioteche e spazi teatrali, da Pontremoli a Siena, da Prato a Pisa, passando attraverso la ricostruzione in muratura della Sala del Teatro della Pergola a Firenze.

In generale, questo periodo era caratterizzato da un’architettura senza ostentazione. L’installazione delle nuove terme di San Giuliano, il cui progetto è stato sviluppato tra il 1744 e il 1762 dagli architetti Giuseppe Ruggieri, Ignazio Pellegrini e Gaspare Paoletti, è un esempio significativo di questa architettura: tra le semplici fabbriche dei bagni, immagina come il fulcro di sviluppo di un nuovo insediamento abitato, spiccava esclusivamente nell’edificio centrale, che si distingueva per il motivo del balcone-finestra e dell’orologio sovrastante. Da segnalare anche il progetto per il nuovo sobborgo di Livorno: un progetto planimetrico a maglie regolari, in qualche modo simile al design del contemporaneo Borgo Teresiano di Trieste, con abitazioni caratterizzate da sobrie facciate e dalla ricerca della massima semplicità nella distribuzione nel piano. La stessa essenzialità si ritrova nel progetto di una piazza del mercato costruita vicino alla chiesa di San Pierino, a Pisa (1749), nella facciata della chiesa di San Giuseppe (1759) e nella biblioteca della Marucelliana a Firenze.

In altre parole, la stagione lorenese aveva inaugurato un atteggiamento progettuale più misurato rispetto a quello tenuto durante il granducato di Gian Gastone, con alcune apparenti eccezioni, come la chiesa di Santa Felicita (completata nel 1739), il campanile di San Lorenzo con il suo terminale a bulbo appiattito (1740) e la continuazione della sontuosa cappella dei principi; Queste opere costituiscono l’ultima riflessione del periodo mediceo, poiché erano state iniziate prima della reggenza o commissionate direttamente dalla principessa Anna Maria Luisa de ‘Medici.

In questo contesto, i progetti monumentali di Ignazio Pellegrini per la cappella reale e il teatro di Palazzo Pitti, o per il nuovo ingresso alla galleria degli Uffizi, erano considerati irrealistici e non potevano essere attuati; altri architetti, come i fratelli Giuseppe e Ferdinando Ruggieri, si dimostrarono disponibili a moderare le loro ambizioni e trovarono maggiore fortuna nel cliente, anche se non aderirono mai a un linguaggio neoclassico; ad esempio, la facciata di San Filippo Neri e le nervature delle pareti interne di Santa Felicita, progettata da Ferdinando, sembrano essere molto lontane dall’invenzione, autenticamente neoclassica, costituita dalla proposta di Carl Marcus Tuscher per la facciata di San Lorenzo ( 1739).

Da Pietro Leopoldo a Ferdinando III (1765-1799)
Nel 1765 Pietro Leopoldo divenne Granduca di Toscana, ponendo fine all’epoca della Reggenza. Una governante illuminata, non era una vera protettrice delle arti e mostrava costantemente un atteggiamento di prudenza nei confronti dei costi delle imprese architettoniche. L’attenta amministrazione e il chiaro obiettivo di contenere le spese dello Stato, tuttavia, non limitarono la creazione di opere di pubblica utilità, che incarnavano perfettamente la stagione del cambiamento ideologico voluta da Pietro Leopoldo, come la riorganizzazione degli ospedali del grande ducato, il nuovo lazzaretto di Livorno, il ristabilimento delle terme di Montecatini, la costruzione dei nuovi cimiteri di Livorno e Firenze, la bonifica della Maremma, della Val di Chiana e della Val di Nievole, le gratificazioni distribuite per la fondazione di case coloniche nelle province pisane e senesi, fino alla costruzione di nuove strade e alla ristrutturazione di quelle esistenti.

Nel 1784 fonda l’Accademia di Belle Arti a Firenze, affidandone la direzione a Gaspare Paoletti, che, pur essendo un continuatore della tradizione rinascimentale, può essere considerato l’iniziatore del gusto neoclassico in Toscana. Paoletti, che vantava un’eccellente preparazione sia a livello architettonico che a livello tecnico, trasmise ai suoi allievi questa duplice attitudine, proprio negli anni in cui a Parigi si svolse la scissione tra l’Académie des beaux-arts e l’École polytechnique.

Esperto in idraulica, fu il principale responsabile del ristabilimento delle Terme di Montecatini, con la costruzione del Bagno Regio, delle Terme Leopoldine e del Tettuccio. Il progetto, rimasto su carta, per una pianta circolare, con un sovrasfruttamento interno delimitato da un colonnato anulare, che, se realizzato, avrebbe rappresentato il risultato stilistico più interessante dell’architettura toscana del periodo.

Tra il 1766 e il 1783 Paoletti lavorò nella villa di Poggio Imperiale, a Firenze, espandendo il precedente edificio medicea con la formazione di due cortili laterali caratterizzati da un linguaggio neoclassico misurato; costruì la facciata posteriore, la sala da ballo al piano principale e costruì le stalle.

Negli stessi anni fu impegnato nella costruzione di Palazzo Pitti. Se per la costruzione della nuova facciata della facciata, lato via Guicciardini, si limitò a riproporre la loggia che Giuseppe Ruggieri aveva utilizzato nei rondeaux posti verso la via Romana, all’interno dell’edificio, con il contributo dei fratelli Grato e Giocondo Albertolli, la raffinata “Sala degli stucchi” (1776 -1 783), che, per l’uso del tema corinzio e la decorazione a stucco, può essere messa in relazione con altre soluzioni neoclassiche del periodo, come la già citata sala da ballo della villa di Poggio Imperiale e la sala creata da Zanobi del Rosso per ospitare il gruppo scultoreo Niobe all’interno della galleria degli Uffizi. A partire dal 1781, anche per il complesso del palazzo Pitti, iniziò la costruzione dell’edificio Meridiana, per essere poi sostituito dallo studente Pasquale Poccianti.

Mentre nel resto della Toscana c’è la costruzione di alcune architetture di importanza formale e stilistica (ricorda la nuova ala del conservatorio di San Niccolò, in cui Giuseppe Valentini diluisce il neoclassicismo con evidenti riferimenti al manierismo), un’interessante opportunità per confrontare gli architetti arrivò quando il Granduca richiese il progetto per il nuovo stabilimento della cascina di Firenze. Nel 1785 l’esperto Paoletti e il giovane Giuseppe Manettipresentarono due diverse proposte: la prima, cercando di coniugare l’eleganza con l’economia, preparò il progetto di un edificio usato come stallone e fienile situato al centro di due case coloniche; il secondo, a dimostrazione di una maggiore inventiva e di un chiaro legame con l’estetica architettonica dell’Illuminismo, creò invece un grande emiciclo arcade, con un edificio più alto incernierato tra i due bracci semicircolari, delimitato da due pronai fiancheggiati da due ghiacciaie coniche. Il modesto disegno di Paoletti, giudicato “miserabile nell’idea”, fu scartato, mentre quello di Manetti, considerato troppo costoso, fu approvato solo nel 1787 dopo essere stato ampiamente ridimensionato e semplificato. Malgrado i limiti del cliente, Manetti riuscì a conferire dignità architettonica al progetto dell’edificio centrale attraverso l’inserimento di pilastri forati, il rivestimento in terracotta del portico di base e i motivi dei tondi ornamentali.

Nel 1790 Pietro Leopoldo lasciò il governo della Toscana per prendere in consegna l’investitura imperiale e suo figlio Ferdinando divenne Granduca in un periodo caratterizzato da forti disordini. L’unico cantiere importante che riuscì a iniziare fu quello dell’acquedotto di Livorno, le cui opere, comunicate nel 1793 da Giuseppe Salvetti, subirono diverse interruzioni e attraversarono molte difficoltà. Anche la sistemazione del Parco delle Cascine, progettato da Giuseppe Manetti, con la costruzione dei ghiacci piramidali delle edicole rotonde del “Pavoniere”, è da considerare più come il completamento delle opere iniziate nel periodo Leopoldina, che le vere iniziative del Granduca Ferdinando.

Nella politica interna, il nuovo Granduca non rifiutò le riforme paterne che avevano portato la Toscana all’avanguardia in Europa, precedendo in alcuni campi anche la Rivoluzione francese in corso, ma tentò di limitare alcuni eccessi, specialmente in campo religioso, con il ripristino delle pratiche di culto esterne. Con il ritorno alla devozione dei santi, l’architetto Giuseppe Del Rosso, prima di dedicarsi alla costruzione della cappella neogotica della Madonna del Conforto nella cattedrale di Arezzo, fu incaricato dalla famiglia Delle Pozze di progettare l’oratorio di Sant’Onofrio, a Dicomano (1792); nonostante le sue dimensioni modeste, l’oratorio è un vero manifesto dell’architettura illuministica per la Toscana e si distingue per i suoi volumi rigorosi, preceduti da un pronao ionico tetrastilo e timpano sulla facciata.

Il periodo napoleonico (1799-1814)
Nel 1799 Ferdinando III fu costretto all’esilio a Vienna a causa del precipitare della situazione politica della penisola e l’ascesa al potere di Napoleone Bonaparte. La stagione bonapartista ha condizionato gli eventi della regione per circa quindici anni. La Toscana, incluso il Principato di Lucca, ha vissuto una radicale trasformazione delle istituzioni; i pochi anni dell’impero furono sufficienti per redigere e avviare progetti ambiziosi, che furono completati dopo il restauro della Lorena e, in alcuni casi, con l’unità d’Italia.

Anche l’Accademia di Belle Arti di Firenze fu riformata e affiancata da un conservatorio di arti e mestieri. Nel 1813, insieme ai più famosi istituti dell’impero, fu invitato a presentare un progetto per un monumento da erigere sul Mont-Cenis; tra le opere ammesse al concorso ricordiamo il Colosso dell’Aquila di Giuseppe Manetti e l’arco trionfale progettato dal gruppo formato da Giuseppe Del Rosso, Giuseppe Cacialli e Luigi de Cambray Digny.

Tra questi, Giuseppe Cacialli fu l’architetto di maggior successo negli anni della dominazione napoleonica. Superando il rivale Pasquale Poccianti, che nel 1809 fu inviato a Livorno come architetto della comunità mentre vantava una maggiore anzianità di servizio, Cacialli ottenne la nomina di architetto dei palazzi reali e dei possedimenti, un’istituzione che era responsabile della manutenzione dei beni passato dalla Lorena a Elisa Bonaparte Baciocchi. All’inizio della sua carriera si trovò a collaborare con lo stesso Poccianti nell’espansione della villa medicea di Poggio Imperiale iniziata da Gaspare Paoletti, ma i rispettivi contributi sono ancora distinguibili: così, mentre la parte centrale della facciata è dovuta al Poccianti, il merito della maggior parte del lavoro va ai Cacialli. Autore di accademie e di eleganti composizioni decorative, Cacialli si distinse anche per la ristrutturazione di Palazzo Pitti (Sala Iliade, Sala di Ercole e Bagno di Maria Teresa) e per il quartiere napoleonico di Palazzo Medici Riccardi.

Se Giuseppe Del Rosso, nominato architetto comunale a Firenze, si rivelò un modesto progettista e accantonato dal restauro degli antichi monumenti alla progettazione della Pia Casa di Lavoro di Montedomini, nel “Dipartimento dell’Ombrone” i pochi importanti neoclassici l’epoca delle architetture è dovuta alla figura di Agostino Fantastici: ricordiamo, a Siena, il progetto per la trasformazione del convento di Sant’Agostino al liceo (che poi si realizzerà solo il grandioso portico esterno) e, a Montalcino, la cattedrale di Santissimo Salvatore, progettata a partire dal 1813 e realizzata solo durante la Restaurazione.

A Pistoia, dove le forme del classicismo illuminista erano state introdotte dal Palazzo Vescovile Nuovo eretto da Stefano Ciardi a partire dal 1787, va notato il contributo di un allievo del Paoletti, Cosimo Rossi Melocchi; il suo Pantheon di uomini illustri, progettato nel 1811 e concluso solo nel 1827 in forme molto ridotte rispetto al programma originale, mostra un’adesione ai temi dell’architettura rivoluzionaria nella ruvida prospettiva interrotta da un portico con colonne massicce dell’ordine dorico.

Un clima culturale molto vivace è registrato a Lucca; la città, soggetta alla Francia ma non ai vecchi territori del Granducato di Toscana, divenne quasi un modello e un termine di paragone con l’urbanistica dell’età napoleonica della regione. Nel 1805 Elisa Baciocchi ottenne il controllo del Principato di Lucca e Piombino, a cui furono successivamente annessi i territori di Massa e Carrara. Durante la gestione della futura Granduchessa di Toscana, le città di Carrara, Viareggio e Bagni di Lucca furono ampliate, mentre sotto la guida dell’architetto Giovanni Lazzarini, spesso assistito da Théodhore Bienaimé, furono avviati una serie di importanti cantieri: il la costruzione di piazza Napoleone, ottenuta sventrando una parte consistente del centro storico di Lucca; l’apertura di una porta nella forma di un arco di trionfo e una strada di collegamento dedicata a Elisa; la ristrutturazione neoclassica della residenza estiva di Marlia; l’estensione del cimitero fuori dalla porta di San Donato; la trasformazione di alcuni complessi religiosi in altri usi; il progetto del teatro Giglio, i cui lavori iniziarono nel 1817, comunque.

Insieme a Lazzarini, una serie di altri architetti gravitava intorno a Lucca. Nel 1812 anche Pasquale Poccianti, che in quegli stessi anni era impegnato a completare l’acquedotto di Livorno, fu chiamato alla corte di Elisa Baciocchi, ma il suo contributo fu limitato ad alcuni progetti di strutture urbane monumentali di stile neoclassico, che, tuttavia, fece non trovare l’implementazione.

Dalla restaurazione all’Unificazione (1814-1860)
Con la Restaurazione, quella generazione di architetti di talento formatasi all’Accademia di Belle Arti di Firenze sotto Gaspare Paoletti è diventata la protagonista di una stagione particolarmente densa e interessante per il Granducato di Toscana.

Al suo ritorno in Toscana nel settembre del 1814, il Granduca Ferdinando III sviluppò un importante programma per la costruzione di opere di pubblica utilità: ad esempio, nuove strade furono costruite nel territorio di Arezzo, il nuovo acquedotto divenne operativo a Livorno (1816), il la viabilità in Maremma fu rafforzata, mentre sulla strada di Bologna la vasta e funzionale Dogana di Filigare fu costruita su progetto di Luigi de Cambray Digny (1818).

In diverse città sono stati demoliti vecchi blocchi per aprire nuove piazze. A Firenze, nel 1824 Gaetano Baccani preparò il piano per l’ampliamento di Piazza del Duomo, con la creazione di un vago portico di gusto neoclassico sul lato sud; Nella loggia centrale del nuovo palazzo Canonici, sul lato meridionale della cattedrale, sono state inserite le statue di Arnolfo di Cambio e Filippo Brunelleschi per celebrare i valori e i protagonisti della cultura indigena. Accanto a questo progetto e alle iniziative per la prosecuzione di Via Cavour, c’è anche quello per l’espansione della “via dei Calzaiuoli”, che fu approvato, con varie modifiche, solo nel 1842. Con lo stesso criterio, a Pisa, il vecchio monastero di San Lorenzo fu demolita per creare la Piazza Santa Caterina (completata nel 1827 da Alessandro Gherardesca), fu riorganizzato l’antico monumentale Camposanto e si procedette al sistema di un tratto del Lungarno. Ad Arezzo, con i lavori della strada per Ancona, si pensò di regolarizzare e collegare i due livelli di Piazza Sant’Agostino e di posizionare una statua, poi effettivamente eretta in Piazza Grande.

Sempre a Firenze, nel 1817 fu inaugurato il teatro Goldoni e pochi anni dopo Giuseppe Martelli fu coinvolto nella trasformazione di un ex convento della Santissima Concezione in una donna istruita, in cui è importante segnalare la raffinata scala a chiocciola in serena pietra sormontata da una cariatide in piombo, che lo scultore Luigi Pampaloni colloca in cima alla colonna centrale per dare stabilità alla struttura. Inoltre, su progetto di Luigi de Cambray Digny, fu costruita la Real Lodge (1821), mentre Pasquale Poccianti, promosso primo architetto degli edifici reali da Ferdinando III e destinato a stabilirsi come l’architetto principale del Granducato di Toscana si interessò alla costruzione della nuova scala e del vestibolo di Palazzo Pitti, il corridoio che collega le stanze della Specola. completò la costruzione del Meridian con il progetto della facciata sud e costruì la sala Elci per l’ampliamento della Biblioteca Medicea Laurenziana. Se nel codice neoclassico del vestibolo a tre navate e della scala caratterizzata da colonne sovrapposte dei Poccianti, si fondono memorie rinascimentali, per l’aggiunta della biblioteca Michelangelo ha lavorato sull’inserimento di una raffinata rotonda neoclassica, senza tuttavia cercare alcun collegamento con il organismo preesistente.

Iniziative private includono Palazzo Ghibellina (1821), commissionato dal principe Gaetano Borghese a Gaetano Baccani, dove spicca l’imponente facciata rustica sormontata da un sottile colonnato ionico. Il Pantheon, costruito all’interno della villa Puccini di Scornio di Pistoia, risale all’incirca allo stesso periodo, probabilmente l’opera in cui il linguaggio dell’eclettico Alessandro Gherardesca raggiunse la più pura qualità neoclassica per la leggerezza e l’armonia di tutto [35] e la grandiosa Villa San Donato a Novoli, progettata da Giovan Battista Silvestri per la famiglia Demidoff,

Interessante è anche la figura di Rodolfo Castinelli, che, dopo aver disegnato la sala da ballo del teatro Goldoni con gusto neoclassico, costruì il tempio di Minerva Medica di Montefoscoli in memoria del padre di Andrea Vaccà Berlinghieri, attingendo facilmente ai ricordi archeologici romani e Etruschi.

Questa vivacità revival, che guardava a reperti iconografici distanti della tradizione locale, emerge anche nei due monumenti gemelli di Volterra disegnati da Giuseppe Del Rosso nel 1830 (con delfini e ere di Giano) e nella sedia in legno, in stile Impero e con neo inserti di gusto pubico Piranesiano, ideato da Agostino Fantastici per l’Università di Siena.

In ogni caso, va notato che la maggior parte di questi architetti non aderisce esclusivamente al codice neoclassico, ma, allo stesso tempo, si dedica alla progettazione di opere neogotiche, con una rivalutazione, tipica del Romanticismo, del repertorio anticlassico: da un lato l’architettura neoclassica corrispondeva alle ambizioni delle monarchie restaurate, mentre dall’altro il neomedievalismo lasciava presagire un’evoluzione nel concetto di redenzione dell’autonomia nazionale.

Nel frattempo, anche a Lucca e nei suoi territori, uniti in uno stato indipendente dal resto del Granducato di Toscana fino all’annessione del 1847, assistiamo alla realizzazione di una serie di opere pubbliche. Nel 1818 Lorenzo Nottolini, che era stato allievo di Giovanni Lazzarini, assunse la nomina di architetto reale; era anche attivo come restauratore, urbanista e ingegnere idraulico, ricevendo anche incarichi privati. I suoi contributi includono: l’acquedotto (1822 – 1833), la cappella Orsetti nel cimitero suburbano (1824), il monastero dell’Angelo, la villa Borbone a Viareggio e il Ponte delle Catene a Bagni di Lucca.

Tuttavia, fu Livorno, il porto franco del Granducato di Toscana animato da intensi scambi culturali con l’estero, la città dove il Neoclassicismo della Restaurazione ottenne i migliori risultati; dichiarazione che coincise con l’ascesa al governo di Leopoldo II (1824-1859) e l’istituzione della locale “Scuola di architettura, rilievo e ornato” (1825).

Le ambizioni di una città in crescita si riflettevano nella progettazione e nella costruzione di importanti opere di pubblica utilità. Per il nuovo distretto di Casone, a sud della città, Cambray Digny ipotizzò l’apertura di una porta sul bastione meridionale del muro mediceo, guardando fuori, all’esterno, un sistema stradale regolare; secondo le indicazioni contenute nel piano, ai margini del nuovo insediamento fu costruita la chiesa dei Santi Pietro e Paolo (1829), in cui i temi neoclassici della facciata sono diluiti nel portico con archi a tutto sesto derivati ​​dall’architettura toscana del XV secolo. Poco dopo, le trasformazioni si estesero alla rettifica del fossato circostante e alla demolizione delle antiche mura medicee, con l’allargamento dell’area del porto franco. Sulla mozione di espansione della città, esemplificata dall’ampia piazza dei Granduchi costruita da Luigi Bettarini per collegare il centro città alla periferia della Lorena, si oppone ancora al limite fissato dalle nuove mura di cinta progettate da Alessandro Manetti (1835 -1842); le composizioni originali dei passaggi doganali sono comunque rivolte a Carlo Reishammer, che ha preso alcuni stili dell’architettura di Ledoux, combinando baldacchini, scale, pilastri e altri elementi ornamentali in ghisa.

Nello stesso tempo Poccianti si dedicò ai lavori necessari per il potenziamento dell’acquedotto completato qualche anno prima; l’attenzione dell’architetto si concentrò principalmente sulla progettazione di alcuni serbatoi per l’accumulo e il filtraggio dell’acqua: il Purgatorio Pian di Rota (1845 – 1852), caratterizzato da una pianta fortemente dilatata contrassegnata da due esedre semicircolari alle estremità e da un severo toscano pronao sulla facciata; il suo capolavoro, il Cisternone (1829-1842), con il portico sormontato da una semi-cupola “rivoluzionaria” decorata con pannelli a cassettoni, che traduce in realtà le audaci invenzioni di Étienne-Louis Boullée e Claude-Nicolas Ledoux; il Cisternino di città (completato intorno al 1848), con pianta basilicale e con la sottile loggia rialzata sopra il massiccio basamento. Nel complesso, si compone di tre edifici derivanti dall’unione di volumi geometrici elementari, in cui le influenze francesi si combinano con l’evidente conoscenza delle terme romane e della tradizione architettonica toscana. Inoltre, nelle intenzioni dell’architetto (quindi ridimensionato nella fase esecutiva), il lavoro dell’acquedotto doveva essere praticabile dalla città alle sorgenti, in una sorta di percorso didattico attraverso gallerie, archi e ispezioni fatte nelle forme di templi neoclassici.

Altri architetti che hanno lavorato a Livorno, come Gaetano Gherardi, Giuseppe Puini, Giuseppe Cappellini e Angiolo della Valle, hanno sentito l’influenza di Poccianti. Al Gherardi, docente presso la locale “Scuola di architettura, Ornato e Agrimensura”, deve la grande chiesa del Soccorso (1836) con i riferimenti di Brunelleschi, la scarsa chiesa di Sant’Andrea e il vicino Seminario Girolamo Gavi; al Puini la chiesa di San Giuseppe (1839), con lacunari strombati in facciata che ricorda quello del Cisternone; a Cappellini, iCasini d’Ardenza, composizione originale costruita negli anni quaranta nel rinnovamento del lungomare di Livorno, e il Teatro Goldoni (1843 -1847), caratterizzato da una copertura in vetro per spettacoli diurni e l’unico nei teatri toscani a presentarsi con un importante indumento formale esterno conferito dal maestoso porticato di carrozza; a Della Valle la chiesa di San Giorgio e il nuovo cimitero degli inglesi (1839). In questo contesto, meritano menzione anche i vasti progetti, ancora su carta, preparati da Cambray Digny e Giuseppe Martelli per il nuovo ospedale (1832) e per il mercato coperto di Livorno (1849); il gigantismo fuori scala avvenne invece nella Pia Casa di Lavoro, iniziata da Alessandro Gherardesca nel 1845 e successivamente completata da Angiolo della Valle.

Dagli anni ’40 in poi, a Firenze c’era anche un certo fermento: l’inizio dei lavori per ampliare la Via dei Calzaiuoli, l’approvazione del progetto per il nuovo quartiere di Barbano (1842), il riarrangiamento dei Lungarni, l’apertura del La Stazione Leopolda e quella di Maria Antonia, fino alla costruzione del pesante edificio della Borsa, progettato da Michelangelo Maiorfi e Emilio De Fabris lungo il corso del fiume Arno. L’inaugurazione della Tribuna di Galileo, una sala situata all’interno del museo Specola (1841), fa parte di questo contesto); progettato da Giuseppe Martelli e caratterizzato da un’intensa policromia e una sovrabbondanza di elementi ornamentali, è lo specchio di un gusto neoclassico ora orientato all’eclettismo, soprattutto se paragonato all’austera aggiunta di Poccianti per la biblioteca Laurenziana, inaugurata nello stesso anno .

Anche nelle altre città del Granducato c’è un edificio intenso e un fervore urbano. Ricordiamo la chiesa di Santa Maria Assunta di Montecatini (1833) e la propositura dei santi Giusti e Clemente (1842-1845), progettati rispettivamente da Luigi De Cambray Digny e Agostino Fantastici utilizzando tetrastili di ordine ionico; la facciata dell’oratorio di San Francesco a Bibbiena (1829), di Nicolò Matas, e la facciata della chiesa di San Giovanni Evangelista a Ponsacco (1832-1836), di Alessandro Gherardesca; la chiesa di San Pier Forelli (1838) a Prato, di Torello Niccolai e Angelo Pacchiani; il teatro Petrarca di Arezzo (inaugurato nel 1833), di Vittorio Bellini; il Teatro Metastasio di Prato (completato nel 1830), ancora disegnato da Cambray Digny; il Palazzo del Tribunale, a Pontremoli (1840), di Angiolo Cianferoni; il teatro degli Animosi, realizzato a Carrara su progetto di Giuseppe Pardini (1840); the Napoleonic Museum at the villa of San Martino at the Island of Elba (1851), designed by Matas for Anatolius Demidoff.

With the development of industrial activities, it is worth mentioning the growing use of metallurgical products, which were mainly used in the construction of bridges, such as the suspended one of Poggio a Caiano (1833) by Alessandro Manetti and those of San Ferdinando and San Leopoldo in Florence, by the Séguin brothers. Alongside these works of engineering is the church of San Leopoldo di Follonica, the Reishammer’s work characterized by numerous cast iron elements, such as the pronaos, the rosette of the façade, the apse, the tip of the bell tower and some interior furnishings (1838).), which together with the Porta San Marcoof Livorno, also of the Reishammer, foretells new and evocative scenarios in the field of architecture.

After the unification of Italy
The election of Florence in the capital of the Kingdom of Italy marks the watershed, in Tuscany, between Neoclassicism and the ‘ eclectic array neo-Renaissance.

The task of updating the image of the new capital, with a series of urban and architectural interventions in order to adapt the city to its function, was entrusted to Giuseppe Poggi, who had been a pupil of Pasquale Poccianti. Poggi took care of every detail, from the detailed plans to the architectural scale, giving it an imprint that took place between an adhesion to Neoclassicism and a natural reference to Renaissance models. The most significant part of his entire work is the hilly expansion of the city, with Viale dei Colli and Piazzale Michelangelo, conceived as a belvedere on the city. Here he built a loggia according to neoclassical and neocinquecentesque canons, which was to be part of a museum of Michelangelo.

Between 1885 and 1895 there was also the rehabilitation of the historic center; an operation that goes beyond the Poggi plan and led to the demolition of the area around the old market, with the construction of new blocks, quite anonymous and undifferentiated, in neoclassical and neo-renaissance style. After all, after the unification of Italy, Tuscan architecture and, more generally, the Italian onethey turned towards a line that emphasized what was considered the national style par excellence, namely the Renaissance; a predominantly secular architecture, embodied by the typology of the sixteenth century palace, which was perfectly adapted to the rapid expansion of the cities.