Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, Roma, Italia

Il Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia è un museo a Roma dedicato alla civiltà etrusca e faliscana, ospitato dall’inizio del XX secolo a Villa Giulia. Il Museo, di proprietà del MiBAC, è entrato a far parte dei 43 musei del Polo Museale laziale nel dicembre 2014 e ha poi riconosciuto la sua autonomia speciale con il decreto ministeriale 44 del 23 gennaio 2016.

Villa Giulia è un edificio a Roma che si trova lungo l’attuale Viale delle Belle Arti, alle pendici dei monti Parioli, non lontano da Via Flaminia, costruito come residenza estiva fuori dalla porta di Papa Giulio III, al quale deve la sua nome, passò allo Stato italiano con la cattura di Roma nel 1870 e in seguito fu utilizzata come sede del Museo Nazionale Etrusco, la sua destinazione attuale.

Storia
La villa fu costruita per papa Giulio III, per il quale fu chiamata. Rimase di proprietà papale fino al 1870, quando, sulla scia del Risorgimento e della fine dello Stato Pontificio, divenne proprietà del Regno d’Italia. Il museo è stato fondato nel 1889 come parte dello stesso movimento nazionalistico, con l’obiettivo di riunire tutte le antichità preromane del Lazio, dell’Etruria meridionale e dell’Umbria appartenenti alle civiltà etrusca e faliscana, ed è stato ospitato nella villa dal inizio del 20 ° secolo.

Come nelle ville dell’antichità, l’edificio residenziale relativamente modesto era inseparabile dal giardino: un giardino architettonicamente costruito con terrazze collegate da gradini scenici, ninfei e fontane adornate con sculture.

I più grandi artisti dell’epoca presero parte al progetto e alla realizzazione della Villa, suddivisa in una serie di tre cortili che si estendono in profondità dietro il “palazzo”: il pittore, architetto e critico d’arte di Arezzo, Giorgio Vasari, l’architetto Jacopo Barozzi da Vignola e lo scultore e architetto fiorentino Bartolomeo Ammannati, la cui firma può essere letta su un pilastro, all’interno della loggia, tra il primo e il secondo cortile.

L’apparato decorativo della villa fu arricchito con affreschi, solo parzialmente conservati, come nel portico di un emiciclo, dovuto a Pietro Venale da Imola, nelle stanze al piano terra e nell’atrio, da Taddeo Zuccari e al primo piano, Venere, dei sette colli, delle arti e delle scienze, a causa di Prospero Fontana.

Dopo lo splendore papale del XVI secolo la Villa conobbe un lungo periodo di declino fino al 1889, all’indomani dell’unità politica italiana, su istigazione di Felice Barnabei, archeologo e politico italiano, fu infine trasformato in un museo basato su un programma ambizioso e futuristico di esplorazioni archeologiche e un progetto museale innovativo. Quest’ultimo mirava a fornire alla città di Roma un “Museo Nazionale che è uno dei principali centri di cultura storica e artistica”, diviso in una sezione destinata alle “antichità urbane” (coincidente oggi con uno degli attuali “Nazionali Romani Museum “, alle Terme di Diocleziano) e uno incentrato sulle” antichità extraurbane “.

Quest’ultimo, situato nella Villa di Papa Giulio III a Flaminia, era destinato ad accogliere tutti gli oggetti scoperti nell’area che gravitava sulla capitale per estendersi ad una parte dei territori un tempo dipendenti dallo stato della Chiesa, da La Lazio per l’Umbria

Il progetto di Barnabei, che si materializzò grazie al regio decreto del 7 febbraio 1889, mirava a recuperare uno dei luoghi più affascinanti del Rinascimento italiano e, allo stesso tempo, a dotare la nazione appena nata di un museo interamente dedicato alla riflessione su le origini più remote dell’identità italiana, grazie a una mostra incentrata sulle antichità pre-romane di popoli come gli Etruschi e gli italici (in particolare Falisci, Umbri, Latini e Sabini).

Nel corso del 1900, dopo una prima autonomia, il Museo divenne la sede centrale della Soprintendenza Archeologica per la protezione del Lazio settentrionale, in coincidenza con l’area occupata da alcune delle più importanti città etrusche: Veio, Cerveteri, Tarquinia e Vulci.

Un elemento caratteristico della Villa è il ninfeo, originariamente ricco di decorazioni, alimentato da una canalizzazione dell’acquedotto vergine che scorre in profondità e si manifesta nella fontana inferiore, il primo “teatro acquatico” a Roma.

Nel 1912, come parte di una nuova sistemazione urbana dell’area circostante, fu aggiunta la costruzione, da tempo iniziata, di una nuova ala lunga fiancheggiata dall’edificio storico, a cui fu aggiunta una seconda disposizione simmetrica per racchiudere il cortile rinascimentale, completata nel 1923.

Villa Giulia è oggi il museo più rappresentativo della civiltà etrusca e accoglie non solo alcune delle creazioni più importanti di questa civiltà, ma anche i prodotti greci di altissimo livello, fusi in un’area che fu tra l’VIII e il V secolo a.C. uno straordinario punto d’incontro di persone diverse.

Per questi motivi Villa Giulia, nel frattempo arricchita anche dalla vicina Villa Poniatowski (residenza ottocentesca dell’ultimo discendente dei Re di Polonia, è diventata il museo etrusco più importante del mondo, potendo vantarsi nelle sue collezioni alcuni dei capolavori più famosi di questa civiltà, per un totale di oltre 6000 oggetti distribuiti in 50 sale, su un’area espositiva di oltre 3000 metri quadrati.

Per la sua straordinaria storia e importanza culturale, nel 2016 [Decreto Ministeriale n. 44 del 23 gennaio 2016], il Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia è stato inserito tra i 32 istituti di “significativo interesse nazionale” con autonomia scientifica e amministrativa, iniziando una nuova pagina nella sua storia secolare.

Il Museo
Dall’inizio del 20 ° secolo ha ospitato il Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, fondato nel 1889 con l’obiettivo di riunire tutte le antichità preromane del Lazio, dell’Etruria meridionale e dell’Umbria appartenenti agli Etruschi, Faliscan e capisci. Il ritrovamento più famoso è il monumento funerario in terracotta, il sarcofago degli sposi che rappresenta una coppia di sposi quasi a grandezza naturale che si adagiano felicemente come se fossero a pranzo.

spazi
Il Museo Nazionale Etrusco ETRU è ospitato in due spettacolari ville rinascimentali, immerse nel verde e piene di spazi aperti: templi della cultura, ma anche luoghi di pace dove è possibile respirare la magnificenza di uno dei periodi più felici della storia e dell’architettura italiana.

Villa Giulia
Costruita da Papa Giulio III, Giovanni Maria Ciocchi del Monte, tra il 1550 e il 1555, Villa Giulia è uno splendido esempio di villa rinascimentale, dotata di un giardino architettonico con terrazze collegate da scale panoramiche, ninfei e fontane.

I più grandi artisti dell’epoca, Jacopo Barozzi da Vignola (“architetto di S. Santità”) e Bartolomeo Ammannati, partecipano al progetto della Villa, con il contributo di Michelangelo Buonarroti e Giorgio Vasari, mentre l’apparato decorativo fu affidato a Prospero Fontana supportata da un team di artisti, tra cui Pietro Venale da Imola e il giovane Taddeo Zuccari.

L’emiciclo è decorato con delicati interventi pittorici ispirati alle grottesche della Domus Aurea. Le sale al piano principale accolgono uno straordinario ciclo di affreschi, tra cui le rappresentazioni dei Sette Colli di Roma.
Nel 1889, la Villa divenne sede del Museo Nazionale Etrusco.

Tempio di Alatri
È la riproduzione a grandezza naturale di un tempio etrusco-italico risalente al III e II secolo a.C., costruito tra il 1889 e il 1890 nei giardini di Villa Giulia per l’inaugurazione del Museo.

Nata con scopi didattici e scientifici, realizzata con eccezionale lungimiranza museologica, la ricostruzione si basava sui dati di uno scavo condotto alcuni anni prima ad Alatri da Felice Barnabei.

ETRU realizza la sua missione anche attraverso il completo recupero del tempio di Alatri e la creazione al suo interno di un percorso multimediale coinvolgente ed emozionante, con proiezioni video ad alta risoluzione e dispositivi multisensoriali (vista, udito, olfatto, tocco).

collezioni
Il singolo tesoro più famoso del museo è il monumento funerario in terracotta, il Bride and Groom quasi a grandezza naturale (il cosiddetto Sarcofago degli Sposi, o Sarcofago degli Sposi), adagiato come se fossero a una cena.

Altri oggetti contenuti sono:

Le compresse etrusche-fenicie di Pyrgi
L’Apollo di Veii
La Cista Ficoroni
Un fregio ricostruito che mostra Tydeus che mangia il cervello del suo nemico Melanippus
Il vaso Tita Vendia
Il cratere Sarpedone (o, il “cratere Eufronio”) – questo è ora al Museo Archeologico di Cerveteri, è stato a Villa Giulia dal 2008-2014
Il centauro di Vulci

Punti salienti delle opere

Kylix attribuita al pittore Euaion
La kylix (coppa del vino) proviene da una tomba scoperta a Vulci nel 1931 dall’archeologo Raniero Mengarelli ed è una delle tante navi di produzione attica trovate in Etruria.

Sul fondo interno c’è un uomo barbuto disteso su una kline (letto da banchetto) che ascolta una giovane donna che suona il doppio flauto. All’esterno, su ciascuno dei lati principali, sono raffigurati due klinai, che ospitano coppie di commensali, ognuna formata da un giovane e un uomo più maturo e barbuto. Alcuni ascoltano la performance di un elegante flautista mentre altri conversano, serviti da un giovane maggiordomo.

La decorazione è attribuita al pittore Euaion, allievo del famoso Duride e artista specializzato nella produzione di tazze.

La kylix illustra un simposio o un ricevimento in cui gli ospiti hanno bevuto vino diluito con acqua e si sono intrattenuti con conversazioni piacevoli e spiritose, musica, poesia, balli, spettacoli e giochi.

Gli Etruschi adottarono banchetti e simposi “in stile greco” e li aprirono alle donne, mentre in Grecia questi eventi erano, e rimasero a lungo, riservati agli uomini. La diffusione di questo tipo di ricevimenti ha favorito il commercio di stoviglie e raffinate varietà di vino e la circolazione di “beni immateriali”, come reperti musicali e letterari, giochi e, in generale, pratiche legate in particolare all’intrattenimento degli ospiti.

Kyathos a figure nere
La tazza a figure nere con il manico rialzato (kyathos) è una forma nata nell’officina attica di Nikosthenes dalla rielaborazione dei modelli etruschi ed era destinata all’esportazione.

Sul serbatoio di questo esemplare compaiono dodici divinità, disposte a coppie: da sinistra a destra riconosciamo Zeus ed Ebe (o Iris), Efesto e Afrodite, Ercole e Atena, Dioniso ed Ermes, Nettuno e Anfitrite (o Demetra), Ares e Era (o Estia). Dioniso, circondato da rami di piante, è al centro della composizione e contiene un grande bocciolo di loto; le dee, tranne Atena, offrono un fiore ai loro compagni. Margherita Guarducci ha riconosciuto sulla scena un riferimento ai festival delle Antesterie ad Atene, dedicati a Dioniso.

Sul bordo del kyathos è tracciata l’iscrizione: “Ludos egraphsen doulos …” (lo schiavo Lydos ha dipinto …). Il significato delle seguenti parole non è molto chiaro. Lydos (omonimo del famoso ceramografo Lydos attivo tra il 560 e il 540 a.C.) fu forse uno schiavo di “Mydea” o “originario di Myrina”, in ogni caso l’iscrizione intendeva celebrare la sua abilità.

Lo stile del kyathos è vicino, per alcuni aspetti, al pittore etrusco di Micali e al pittore di Monaco 892. Un’ipotesi suggestiva, che richiederebbe un’ulteriore conferma, identifica Lydos con un artigiano etrusco emigrato ad Atene, una circostanza che spiegherebbe entrambe le caratteristiche stilistiche del vaso sono il nome del pittore Lido, in omaggio alla tradizione, già viva ad Atene, che voleva i discendenti etruschi dei Lidi.

Statua Votiva Di Una Ragazza Con Una Colomba
La statua raffigura una ragazza nuda seduta a gambe incrociate, grassoccia e sorridente, mentre con la mano sinistra offre un melograno a una colomba domestica. La ragazza indossa una collana, che originariamente sosteneva una bolla, o un ciondolo porta amuleto. I bambini etruschi e romani indossavano comunemente una bolla dalla nascita all’età adulta: gli amuleti contenuti all’interno – ancora sconosciuti a noi – dovevano difenderli dai pericoli e dalle malattie dell’infanzia.

La statua è una delle tante offerte votive scoperte alla porta nord di Vulci ed è stata quasi certamente donata dalla famiglia della ragazza, forse per invocare la protezione divina o per celebrare un anniversario, come il felice superamento della prima infanzia, o anche a grazie a una stretta fuga. Ma l’insolita pettinatura della bambina potrebbe aver avuto un significato preciso.

I capelli sono portati avanti e raccolti in un nodo sulla fronte, in una forma che non ha rivali nell’arte etrusca ma che ricorda molto l’acconciatura del “Fanciulla di Anzio” (III secolo a.C.) ora nel Museo Nazionale Romano. La statua, in marmo greco, raffigura una sacerdotessa che porta un vassoio con oggetti sacri. Da questa analogia è nata l’ipotesi che l’acconciatura abbia uno specifico carattere rituale e che quindi la statua votiva celebri una bambina destinata a diventare sacerdotessa.

Anfora panatenaica
L’anfora proviene dalla tomba del guerriero di Vulci, che apparteneva a un personaggio di alto rango, che visse nella seconda metà del VI secolo a.C. e fu sepolto con un ricco set che includeva armi offensive e di difesa, un carro e un prezioso stoviglie in bronzo e ceramica ..

Da un lato dell’anfora, tra due colonne che sostengono i cazzi, la dea Atena avanza a sinistra brandendo una lancia. La parte opposta mostra due pugili in combattimento, in presenza di un compagno e l’arbitro, che è ammantato e tiene un’asta. Gli atleti hanno la barba folta, sembrano aver passato la prima giovinezza e indossano protezioni sulle mani.

Il vaso, attribuito al pittore di Antimenes, è chiaramente ispirato alle anfore panatenaiche ma ha una forma leggermente diversa (il collo è più largo e il piede meno affusolato), dimensioni più piccole ed è privo dell’iscrizione “ton Athenethen Athlon” ([ premio] delle gare di Atene). Le anfore panatenaiche costituivano il premio ufficiale per le competizioni artistiche e sportive delle Grandi Panatene di Atene (organizzate ogni quattro anni a luglio, durante il festival dedicato ad Atena, patrono della città) e contenevano olio ottenuto da olivi sacri.

I proprietari delle anfore “di tipo” panatenaico videro nei loro vasi un riferimento diretto ai prestigiosi trofei ateniesi e li considerarono un simbolo di rango e distinzione sociale.

Sarcofago Degli Sposi
Ricostruito da circa quattrocento frammenti, il Sarcofago degli sposi è in realtà un’urna destinata a ricevere i resti materiali del defunto.

A forma di tondo, l’opera rappresenta una coppia di sposi sdraiata su un letto (kline) con il busto sollevato frontalmente nella tipica posizione da banchetto. L’uomo circonda le spalle della donna con il braccio destro, in modo che i loro volti con il tipico “sorriso arcaico” siano molto vicini; la disposizione delle mani e delle dita suggerisce la presenza originale di oggetti ormai persi, come una tazza per bere vino o un piccolo vaso da cui versare prezioso profumo.

Gli Etruschi riprendono l’ideologia del banchetto dai Greci come segno di distinzione economica e sociale e ricordano l’adesione a questa pratica anche nella sfera funeraria, come testimoniano le frequenti scene di banchetti dipinte nelle tombe etrusche e il gran numero di oggetti legati al consumo del vino e delle carni presenti in essi.

È certamente una novità rispetto al costume greco la presenza della donna accanto all’uomo in una posizione completamente uguale, anzi con l’eleganza dei suoi vestiti e l’imperizia dei suoi gesti la figura femminile sembra dominare la scena catturando tutta la nostra attenzione .

Testa di leucotea
La testa femminile doveva far parte dell’alto rilievo che nel santuario di Pyrgi (Santa Severa), l’antico porto di Caere (Cerveteri), copriva la testa anteriore della trave del tetto del tempio A nella sua ricostruzione intorno al 350 AVANTI CRISTO. C.

Dedicata a Thesan, la dea etrusca di Aurora, tempio A in fonti greche, che ricorda il terribile saccheggio di Dionigi di Siracusa (384 a.C.), è attribuita a Leucotea (letteralmente la “dea bianca”), dai romani assimilati a Mater Matuta , dea profondamente legata ai riti di passaggio e transizione, come la nascita e, quindi, anche l’alba.

La testa sembra riferirsi a questa divinità, che ci dà una forte immagine in movimento con i capelli ricci mossi dal vento e l’espressione “patetica” data dalla bocca divisa.

Quasi cento anni dopo il sollievo con Tideo e Capaneo, la nuova decorazione del tempio presenta un altro mito della saga tebana in cui Ino / Leucotea e suo figlio Palemone, come dice Ovidio, perseguitato da Era e in fuga da Tebe, sono accolti da Eracle , a cui appartiene il busto con una testa coronata di pioppo esposta nella stessa vetrina.

Lamine d’oro da Pyrgi
Trovati tre sepolti nell’area del santuario extraurbano di Pyrgi (Santa Severa), l’antico porto di Caere (Cerveteri), le tre tavole d’oro furono originariamente apposte sullo stipite della porta del tempio B risalente al 510 a.C.; le tavole hanno restituito altrettante iscrizioni, due in etrusca e la terza che costituisce la loro sintesi in lingua fenicia.

Il testo ricorda la dedica del tempio B alla dea etrusca Uni, Astarte nell’iscrizione fenicia, di Thefarie Velianas “re su Caere”, o tiranno della città.

Le informazioni fornite sono confermate nei reperti archeologici parzialmente esposti nelle sale del Museo e aprono una sezione trasversale sui rapporti tra Etruschi e Cartaginesi, precisamente di origine fenicia, nella lotta comune contro i Greci per il dominio dei Mediterraneo, basti pensare alla famosa battaglia del mare sardo (545-540 a.C. circa) descritta da Erodoto in cui, di fronte alla città di Alalia in Corsica, gli Etruschi (in particolare Ceriti) e gli alleati cartaginesi si erano opposti ai Focidi, che fuggì in seguito alla conquista persiana della città di Focea in Ionia, l’attuale Turchia.

Apollo di Veii
Trovato in frammenti nel 1916, la scultura in terracotta policroma rappresenta il dio Apollo, vestito con un chitone e un mantello, mentre cammina a piedi nudi con il braccio sinistro allungato in avanti e l’altro abbassato, forse tenendo l’arco.

Insieme ad altre statue, questo doveva anche decorare la sommità del tetto del tempio di Portonaccio a Veio, dedicato alla dea etrusca Menerva (Atena) e datato alla fine del VI secolo a.C. C.

L’atteggiamento minaccioso di Apollo è, quindi, legato alla statua di Eracle esposta nella stanza di fronte a lui e appartenente allo stesso contesto: il dio è pronto a combattere con l’eroe che ha appena catturato la daina con le corna d’oro , sacro a sua sorella Artemide.

Le statue di Portonaccio sono state attribuite al “Maestro dell’Apollo” appartenente all’ultima generazione di scultori di argilla (coroplasti) della bottega di Vulca, autore della famosa statua di Giove nel tempio Capitolino (ca 580 a.C.) commissionata da il primo re etrusco, Tarquinio Prisco; per lo stesso tempio alla fine del VI secolo, il re Tarquinio il Superbo avrebbe forse chiesto al “Maestro dell’Apollo” ben due quadrighe di un ornamento sul tetto.

Altorilievo di Pyrgi
Una scena densamente popolata di figure caratterizza l’alto rilievo che ricopriva la testa posteriore della trave del tetto del tempio A; quest’ultimo costruito intorno al 470 a.C. C. nel santuario extraurbano di Pyrgi (Santa Severa), porto di Caere (Cerveteri), fu dedicato a Thesan, la dea etrusca dell’alba.

L’artista con uno sforzo di estrema sintesi e originalità riesce a raccontare le storie di due personaggi del mito, Tideo e Capaneo, il cui background dovrebbe essere conosciuto.

Siamo sotto le mura della città di Tebe, dove Eteocle e Polinice, i due maledetti figli di Edipo, combattono per il potere: Eteocle, re legittimo, è barricato con i Tebani in città, mentre fuori dai guerrieri di Argo, alleati di l’usurpatore Polynice, tentano l’assalto. Come sempre gli dei sono testimoni dello scontro e intervengono.

E infatti, al centro della scena, Zeus arrabbiato lancia il suo fulmine a Capaneo che ha maledetto gli dei, mentre a sinistra alla vista di Tideo, che sebbene ferito a morte morde il cranio di Melanippo, la dea Atena se ne va disgustata da la pozione che avrebbe dato l’immortalità al suo protetto.

La nudità di Tydeus e Capaneus sottolinea la bestialità dei loro atti e la loro punizione è la punizione di qualsiasi comportamento contrassegnato dal disprezzo degli dei e dalle leggi degli uomini (ibridi), in termini politici è una condanna della tirannia di cui Polinice è un simbolo.

Anfora attica a figure nere
Nell’anfora attica a figure nere attribuita al pittore del Michigan c’è una rappresentazione di una delle dodici fatiche inflitte da Euristeo su Eracle: l’uccisione dell’idra di Lerna, uno dei più antichi soggetti mitologici rappresentati nell’arte greca. l’Idra, un mostro acquatico a più teste (da cinque a cento, secondo fonti antiche), figlio di Echidna e Tifone, era stato allevato da Hera nelle paludi di Lerna, in Argolide, sotto un platano, vicino alla sorgente dell’Amimone , solo per servire come prova per Eracle. L’eroe riuscì a sconfiggere il mostro, le cui teste furono tagliate con la spada rigenerata, grazie a un’astuzia ispirata ad Atena e che chiamò suo nipote Iolao in soccorso: mentre l’eroe teneva fermo il mostro, Iolao cauterizzò ogni ferita con le braci prodotte dal fuoco situato nella foresta vicina, e questo è precisamente il momento dell’impresa riprodotta nell’anfora. Si diceva che la testa di mezzo fosse immortale: Eracle la tagliò, la seppellì e vi posò un enorme masso, quindi immerse le sue frecce nel sangue dell’Idra, rendendole velenose al minimo graffio.

Spilla In Micromosaico Con Ritratto Di Dante
Spilla rotonda con montatura in oro con più giri di corde e trecce; al centro, su fondo oro, ritratto di Dante in micromosaico eseguito da Luigi Podio (1826-1888), cugino di Augusto e direttore del laboratorio di micromosaico al servizio del laboratorio Castellani. Il disegno dell’opera, di cui sono note varianti, tra cui uno su un braccialetto del “periodo medievale” venduto a Ginevra nel 1972 dalla casa d’aste Christie’s, risale all’anno 1865, in cui compie il sesto centenario della sua nascita si è verificato. del Divino Poeta, adottato come simbolo patriottico e la cui commemorazione è entrata nel programma delle celebrazioni per l’Unità d’Italia.

L’ispirazione è probabilmente dovuta a Michelangelo Caetani, consigliere e collaboratore della famiglia Castellani e stimato Dantist. Il ritratto di Dante realizzato da Luigi Podio per questa preziosa spilla riprende ciò che è apparso nel ciclo degli affreschi di Giotto (1334-1337) scoperto a Firenze nel 1840 da Antonio Marini nella Cappella della Maddalena del Palazzo del Podestà, oggi sede del Bargello Museo Nazionale. La faccia lunga, il naso aquilino, le mascelle grandi, il labbro inferiore che sporge da quello superiore, gli occhi grandi e lo sguardo malinconico e pensoso corrispondono alla descrizione delle caratteristiche del poeta che Giovanni Boccaccio traccerà nel suo Trattato in lode di Dante (1362).

Testa d’Acheloo Antefix
La testa di Acheloo, una divinità fluviale caratterizzata da un corpo rialzista e una faccia maschile con corna e orecchie bovine a fianco di quelle umane, non è insolita come motivo decorativo in antefissi architettoniche, ma questo tipo in particolare non trova risultati precisi, costituendo un unicum interessante.

L’anti-fix modellato è caratterizzato da un ricco policromia: il colore rosso-marrone per la carnagione; nero per capelli, barba, baffi e altri dettagli del viso (sopracciglia, contorno occhi, pupilla, linea tra le labbra, padiglione auricolare umano); marrone per il corno; il bianco crema per l’interno degli occhi e l’ingubbiatura della piastrella dietro.

I capelli cadono in due fasce leggermente ondulate sotto le orecchie, mentre sulla fronte formano piccole lumache a rilievo, che ricordano il vello del toro. Gli occhi a mandorla, il tipico “sorriso” arcaico e il mento triangolare, un po ‘prominente, hanno permesso di avvicinare stilisticamente l’antefisso alla testa maschile del Sarcofago degli Sposi e di proporre una datazione simile, confermata dal suo trovando in un riempimento sotto il pavimento battuto di una casa, in cui erano stati trovati frammenti di ceramica degli ultimi vent’anni del VI secolo.

Dinos Attici Con Figure Nere Di Exekias
Questo grande vaso, utilizzato durante il simposio per mescolare il vino con l’acqua, sette frammenti della spalla e parte del bordo sono conservati, ricomposti e integrati nel 1999. Già nell’antichità aveva subito un restauro, come indicato dalla presenza di un foro per l’inserimento di una grappa di bronzo sotto la spalla. Il profilo del corpo, sferico, senza piedi e quasi interamente coperto di vernice nera, è stato ipotizzato sulla base di esemplari intatti. La decorazione esterna della spalla ha due fasce nere separate da un filo salvante e, sotto la seconda e più stretta, un’altra fascia risparmiata e distinta nella parte inferiore da un filo rosso; in esso, all’interno di conchiglie, si alternano lingue nere e rosse accuratamente delineate. La vernice esterna nera è compatta,

Perfettamente centrati sulla spalla, ai lati opposti dei dinos, sono due iscrizioni, incise dopo la creazione del vaso (o secondo alcuni dopo la cottura) all’interno della fascia di vernice nera tra il filetto di risparmio e il fregio con linguette, forse su richiesta dell’acquirente specifica. La prima iscrizione, in alfabeto attico, porta la firma del grande ceramista (Exekìas m’epòiese) ed è l’unico caso certo di una firma Exekias fatta da incisioni e non dipinte. Il secondo, in alfabeto siciliano, informa invece che il vaso è stato donato da Epainetos a Charop (o) s (Epàinetos m’èdoken Charopoi), anche se non mancano quelli che hanno suggerito di riconoscere in Charops / Charopos non il nome del destinatario ,

Libreria
La libreria ETRU ha gli stessi orari e giorni di apertura del museo.

Qui puoi acquistare i biglietti e noleggiare audioguide. Ci sono diverse brevi guide multilingue in vendita. La selezione di pubblicazioni è suddivisa in temi relativi all’Etruria, alla Grecia e all’antica Roma, a cui si aggiungono aree dedicate all’arte e ai bambini.

L’assortimento comprende anche riproduzioni di manufatti etruschi (ceramiche, bronzi, gioielli) e una vasta selezione di cartoline, calendari, articoli di cartoleria, poster, oggetti in ceramica ispirati alle collezioni del museo. La libreria è gestita da Opera Laboratori Fiorentini – Gruppo Civita.

educativo
Padiglione Il nuovo padiglione dedicato alle attività didattico-educative è una grande struttura situata all’interno di uno dei giardini di Villa Giulia. È attrezzato per ospitare workshop, seminari e conferenze.

Ristorante
Il ristorante è immerso nel verde, in una splendida struttura vetrata. Il museo sta preparando un rinnovamento che porterà alla sua riapertura futura.

Villa Poniatowski
La Villa, inaugurata nel 2012, è la seconda sede di ETRU. Le sue sale ospitano i reperti del Lazio Vetus e dell’Umbria. È in corso il restauro di una vasta area destinata a mostre temporanee.

Giuseppe Valadier lo trasformò in una villa all’inizio del XIX secolo per conto di Stanislao Poniatowski, nipote dell’ultimo re di Polonia. Con la vista principale su Via Flaminia, è abbellito da piscine e fontane, mentre l’ampio giardino formato da terrazze a terrazze è decorato con antiche sculture.

I lavori di restauro nel 1997 hanno portato a numerose scoperte: in quell’occasione venne alla luce la prima pianta cinquecentesca della Villa, con i resti di due fontane, arredi per piscine e fontane, cicli pittorici e decorativi.