Barocco di Milano nel XVIII secolo

Per barocco a Milano intendiamo lo stile artistico dominante tra la diciassettesima e la prima metà del diciottesimo secolo in città. Infatti, grazie al lavoro dei cardinali Borromeo e alla sua importanza in Italia, prima dominazione spagnola e poi austriaca, Milano conobbe una vivace stagione artistica in cui assunse il ruolo di propulsore del barocco lombardo.

Caratteristiche generali
L’esperienza barocca milanese può essere divisa in tre parti: il primo diciassettesimo secolo, il secondo diciassettesimo e diciottesimo secolo. Il primo Seicento inizia con la nomina a vescovo di Milano di Federico Borromeo nel 1595 in continuità con il lavoro del cugino Carlo: in questa prima fase i principali esponenti della pittura milanese sono tre, Giovan Battista Crespi, detto il Cerano, Giulio Cesare Procaccini e Pier Francesco Mazzucchelli, detto il Morazzone. In questa prima fase l’evoluzione del nuovo stile barocco segue con continuità la tarda arte manierista diffusa a Milano ai tempi di Carlo Borromeo; la formazione dei tre pittori avvenne infatti sui modelli del tardo manierismo toscano e romano per Cerano e Morazzone, mentre i Procaccini si formarono su modelli emiliani. Da un punto di vista architettonico, le commissioni religiose dominano la scena, dal momento che la dominazione spagnola si è occupata più delle opere di utilità militare che non civili; molte chiese preesistenti sono state completamente ricostruite e decorate in stile barocco, e come molte costruite da nuove: se lo stile barocco è stato introdotto a Milano da Lorenzo Binago, altri due sono i principali architetti che all’epoca dividevano la scena, cioè Fabio Mangone, dalle linee più classiche e per questo motivo scelto spesso per le commissioni di Federico Borromeo, e Francesco Maria Richini chiamava semplicemente i Richini, dalle linee più ispirate al primo barocco romano. Superato questo dualismo, Richini rappresenta certamente la più grande figura di architetto della Milano seicentesca, e per trovare una figura così prestigiosa nell’architettura milanese bisognerà attendere l’avvento di Giuseppe Piermarini.

La seconda fase del barocco, che inizia approssimativamente dopo i primi anni trenta del Seicento, inizia dopo un breve intermezzo ricco di eventi significativi: prima i principali interpreti del movimento scomparvero tra il 1625 (Giulio Cesare Procaccini) e il 1632 (il Cerano) , a cui si aggiunse la morte del cardinale Federico Borromeo, una delle più grandi figure del XVII secolo longobardo, e in particolare la grande peste manzoniana, che dimezzò la popolazione della città, colpendo il giovane milanese promettendo Daniele Crespi tra le migliaia di vittime , che tra l’altro porterà alla chiusura dell’Accademia Ambrosiana, fondata nel 1621 da Federico Borromeo per formare giovani artisti per la scuola milanese, dove assunse i maggiori interpreti del primo barocco, su tutti i Cerano e Fabio Mangone, come maestri .

Il dipinto del secondo Seicento fu poi completamente rinnovato nei suoi interpreti, vedendo l’opera dei fratelli Giuseppe e Carlo Francesco Nuvolone, Francesco Cairo, Giovan Battista Discepoli e altri; in questo caso ha giocato un ruolo fondamentale l’ormai chiusa Accademia Ambrosiana, che per prima ha dato una certa continuità di stile e poi riaperta da qualche anno, sia il lavoro in alcuni cantieri di artisti del resto d’Italia della scuola emiliana, genovese e Veneto. L’architettura, con la scomparsa di Fabio Magone, vede l’opera di Francesco Richini, rimasto quasi senza rivali nella sua produzione milanese, affiancato da artisti minori come Gerolamo Quadrio e Carlo Buzzi. Grazie a quest’ultimo fatto, i risultati di questo periodo si ruppero completamente con le influenze manieriste, per avvicinarsi a un’esperienza marcatamente barocca, con influenze delle scuole emiliana, genovese e romana. L’ultimo quarto di secolo vide l’apertura della seconda Accademia Ambrosiana riaperta nel 1669 sotto la direzione di Antonio Busca, allievo di Carlo Francesco Nuvolone, e Dionigi Bussola, che insieme alla nuova Accademia milanese di San Luca, legati all’omonimo Accademia romana, ha contribuito al ritorno di un classico corrente legato alla scuola bolognese e romana.

Il diciottesimo secolo è l’ultima fase barocca; lo stile non ha portato esplicitamente al rococò grazie all’azione normativa del collegio degli ingegneri-architetti milanesi e c’è stato un cambio di tendenza: le commissioni religiose non hanno più svolto il ruolo principale nel panorama artistico milanese, ma hanno lasciato il posto al ville di gioia della campagna milanese e il ritorno dei grandi cantieri privati: la vivacità dei cantieri portò ad un maggior numero di esecutori di spessore, tra cui Giovanni Battista Quadrio, Carlo Federico Pietrasanta, Bartolomeo Bolla, Carlo Giuseppe Merlo e Francesco Croce a cui è stato aggiunto il romano Giovanni Ruggeri, molto attivo in tutta la Lombardia. In pittura stanno le opere di Giambattista Tiepolo per la “pittura della storia” e di Alessandro Magnasco per la pittura di genere, entrambe non lombarde: questa fase segnò un cambiamento nel gusto dei clienti, che preferivano artisti della scuola non lombarda, soprattutto il veneziano, considerato all’epoca più prestigioso. Alla fine del Settecento c’è un periodo in cui le linee del barocco vengono mitigate dall’imminente neoclassicismo, fino a quando la stagione barocca milanese si conclude con il pittore Francesco Londonio, alla cui morte nel 1783 la città di Milano era già al culmine del età dell’illuminazione, nel pieno della stagione neoclassica.

Il diciottesimo secolo
Il diciottesimo secolo segna una svolta nell’arte e nell’architettura milanese: storicamente segna il passaggio del ducato sotto il dominio degli austriaci, sotto il quale le arti passarono dal servizio delle commissioni religiose al patriziato e successivamente allo stato. Vi è quindi un declino nella produzione artistica religiosa a beneficio di quella civile. Questo periodo, pur contenendo le forme più mature ed esuberanti del barocco milanese, rappresenta una sorta di prodromo della stagione neoclassica milanese, in cui l’arte e l’architettura passano definitivamente ai servizi degli affari pubblici e dello Stato.

Palazzo Litta
Palazzo Litta rappresenta, insieme a Palazzo Clerici, il miglior esempio di architettura barocca settecentesca della città. Costruito nel XVII secolo, ancora una volta assegnato al progetto da Richini, fu completato solo nel 1752, a cui l’imponente facciata fu progettata da Bartolomeo Bolli. L’edificio è composto da tre corpi: il corpo principale al centro è impostato su tre piani, contrassegnati da sei pilastri di ordine corinzio, è più decorato e leggermente sporgente dagli altri due corpi laterali simmetrici, solo due piani. Al piano terra, il portale centrale assume forme monumentali, delimitato da cariatidi twogiant che sostengono un balcone convesso: questa forma è ripresa dai balconi laterali del primo piano. Ogni piano ha finestre molto decorate con timpani curvilinei, ogni piano ha diverse decorazioni: al piano principale si possono vedere cornici decorate con doppie pergamene contenenti teste di leone; al piano superiore le finestre al piano superiore hanno ringhiere in ferro battuto. Il corpo centrale è coronato da un grande frontone mixtilineal scolpito all’interno dello stemma della famiglia Litta sostenuto da due mori: la realizzazione di questo fastigio è talvolta attribuita agli operai della Fabbrica del Duomo, all’epoca disoccupati, di Elia Vincenzo Buzzi, Carlo Domenico Pozzo e Giuseppe Perego.

Passando l’ingresso ci si trova nel cortile principale del gusto seicentesco, attribuito ai Richini, ha una pianta quadrata chiusa su tutti e quattro i lati da portici a volta con volte a botte, sostenute da colonne in granito architravate decorate da capitelli con festoni [128] ; proseguendo a sinistra si accede alla monumentale scalinata “a tenaglia”, costruita da Carlo Giuseppe Merlo nel 1750 in granito rosa di Baveno con parapetto in marmo rosso di Arzo e marmo nero di Varenna. Gli interni sono tra i più lussuosi del panorama milanese, con pavimenti intarsiati, decorazioni a stucco e marmo e affreschi. Tra gli ambienti più belli possiamo citare la sala centrale, o Sala degli specchi, adornata con specchi dorati in stile rococò e affrescata con l’Apoteosi di una Litta di Giovanni Antonio Cucchi, il Salotto rosso, arredato con damaschi rosso porpora, affrescato a trompe l’oeil e con pavimenti a mosaico, il salotto giallo che prende il nome dai colori dei tessuti con cui è decorato l’ambiente e la Sala della Duchessastill arredata con mobili barocchi originali; infine, ci sono le Nozze di Plutone e Proserpina create da Martin Knoller in un salone minore.

Infine, c’è il cortile dell’orologio, che prende il nome dall’orologio caratteristico, e la vecchia cappella privata della Litta al piano terra dell’edificio, poi trasformata in teatro ancora in uso.

Palazzo Clerici
Palazzo Clerici fu una delle residenze più prestigiose e sontuose della Milano settecentesca, tanto che nel 1772 divenne ufficialmente residenza dell’arciduca Ferdinando, figlio di Maria Teresa d’Austria. Progettato da un architetto sconosciuto, la facciata è impostata su tre piani, con la parte centrale che cade dal resto del corpo; il portale centrale è piuttosto sobrio ed è decorato, oltre all’arco, da una maschera con volute, le finestre sono decorate con facciate curvilinee; passando attraverso un cancello in ferro battuto si entra nel cortile con portici di colonne ioniche abbinate a granito rosa.

La critica, tuttavia, sottolinea spesso la discrepanza dell’aspetto esteriore anonimo, che non rivela nulla degli interni lussuosi. Sulla destra del cortile si arriva alla scalinata a tre rampe d’onore, sulla cui balaustra è posta una parata di statue poste sulle rampe, mentre la volta è decorata da un affresco di Mattia Bortoloni. L’interno raggiunge il suo apice nella Galleria degli Arazzi, la cui volta è affrescata da Giambattista Tiepolo con il ciclo di affreschi della Corsa del carro del Sole, le Allegorie dei quattro continenti e le Allegorie delle Arti, considerate tra le più grandi prove del pittore veneziano; le pareti sono decorate con arazzi fiamminghi risalenti al XVII secolo raffiguranti Storie di Mosè e specchi scolpiti in legno da Giuseppe Cavanna, raffiguranti scene della Gerusalemme liberata.

La galleria, che non era molto facile per il pittore, era probabilmente derivata da una struttura preesistente: questa commissione fu probabilmente utilizzata per completare l’ascesa sociale che la famiglia aveva compiuto dal diciassettesimo secolo: nella Corsa del carro del Sole , secondo lo storico dell’arte Michael Levey, celebra “il sole dell’Austria che si alza per illuminare il mondo” o il patronato della famiglia, dato il ruolo di Apollo e Mercurio protettori delle scienze. Nella Sala del Maresciallo ci sono le decorazioni a stucco di Giuseppe Cavanna con le Fatiche di Ercole e le storie mitologiche; sempre nell’ambiente del cosiddetto Boudoir di Maria Teresa sono sempre le decorazioni dell’intagliatore.

Gli affreschi nelle altre sale del palazzo risalgono ad un periodo tra gli anni Trenta e Quaranta del Settecento di Giovanni Angelo Borroni, con una scena olimpica con il topo di Ganimede e l’Apoteosi di Ercole, e Mattia Bortoloni, a cui attribuito il medaglione sulla volta della grande scalinata, gli affreschi dell’Allegoria dei venti e un’altra scena di Apoteosi negli appartamenti privati ​​del cliente, in cui un Giove con le fattezze di Antonio Giorgio Clerici può essere intravisto in una sfilata di divinità olimpiche ; sempre l’affresco di Bortoloni è la Galleria dei dipinti, che vorrebbe ancora celebrare il buon governo austriaco e di Maria Teresa d’Austria.

Altre architetture civili
Oltre a Palazzo Clerici, Tiepolo lavorò in molti altri cantieri milanesi dell’epoca. Un’altra opera significativa dell’artista fu quella a Palazzo Dugnani; l’edificio ha due facciate: quella esterna è più semplice e meno decorata; al contrario, la facciata interna, che si affaccia sui giardini di Porta Venezia, è molto più varia e varia. L’edificio, diviso in tre parti, presenta il corpo centrale arretrato rispetto alle due parti laterali, al cui piano terra si trova un portico e il piano superiore è composto da una loggia, coronata da un cimasa in pietra; questa struttura viene quindi ripetuta nei due corpi laterali. Nella sala d’onore è possibile vedere sulle pareti i cicli di affreschi della Vita di Scipione, mentre sulla volta sono raffigurate le Apoteosi di Scipione, nelle quali è possibile vedere l’intento autocelebrativo di Giuseppe Casati, allora proprietario del palazzo e client [140].

Si differenzia dallo stile tipico delle case milanesi di Palazzo Cusani: la ragione si identifica nella bozza di Giovanni Ruggeri, architetto di Roma che ha importato il più vivace barocco romano nella sua opera, già riconoscibile nell’incavo finto ruvido al piano terra. L’edificio è disposto su tre piani, contrassegnati da pilastri corinzi, e presenta curiosamente due portali di ingresso identici; le finestre al piano terra e al piano nobile sono riccamente decorate con timpani e timpani curvilinei, triangolari e misti, e sono spesso ulteriormente decorate con conchiglie ed elementi vegetali, le finestre francesi recano lo stemma della famiglia Cusani. All’ultimo piano le finestre sono ridimensionate e hanno linee miste; tutto finisce su una ricca balaustra.

Risalente al XVII secolo ma pesantemente rimaneggiato nella prima metà del Settecento è Palazzo Sormani, sede della biblioteca comunale centrale di Milano. L’edificio ha due diverse facciate decorate; la facciata verso Corso di Porta Vittoria è dovuta a Francesco Croce: la facciata presenta un portale ad arco al centro sormontato da un balcone mistilenico, le finestre al piano terra sono coronate da finestre ovali e sul piano principale da fastigi alternativamente triangolari motivi e curvilinei. Il piano principale ospita anche due terrazze laterali ed è sormontato da un timpano curvilineo; la facciata verso il giardino è posteriore e ha un aspetto più sobrio, precursore del neoclassicismo. L’interno conserva ancora la scalinata monumentale in pietra e ospita la serie di dipinti raffiguranti Orfeo che incanta gli animali della collezione della famiglia Verri, tradizionalmente attribuita a Giovanni Benedetto Castiglione, detto il Grechetto.

Palazzo Visconti di Modrone fu commissionato nel 1715 dal conte spagnolo Giuseppe Bolagnos, la facciata ha tre piani ed è scandito verticalmente da quattro pilastri, è centrato sul portale rettangolare limitato da due colonne di granito che sostengono un balcone in pietra. Come tipico di altre architetture dell’epoca, i vari piani hanno diverse decorazioni per finestre su ogni piano, in particolare quelli sul pavimento principale con doppie pergamene Alcune finestre hanno balconi al piano superiore. Il cortile interno, oltre alla classica soluzione a corte rettangolare con porticati a doppia colonna, ha un balcone che corre lungo tutto il primo piano: una soluzione estremamente rara negli edifici lombardi dell’epoca. La sala da ballo con affreschi trompe l’oeil raffiguranti scene mitologiche di Nicola Bertuzzi è ancora oggi conservata.

Altri edifici barocchi dell’epoca, anche se meno eclatanti di quelli precedentemente citati, sono Palazzo Trivulzio, che si distingue per l’area vicina al portale d’ingresso in contrasto con la sobrietà del resto dell’edificio e di Palazzo Olivazzi, il cui portale d’ingresso consiste in una sorta di nicchia gigante, costruita per facilitare l’ingresso delle carrozze e per il trompe l’oeil nel cortile.

Architettura religiosa
Nonostante il recupero e il dominio delle residenze private cittadine, l’arte sacra dei primi anni del XVIII secolo non è da trascurare.

La chiesa di San Francesco di Paola risale al 1728 e, anche se la facciata fu completata solo un secolo dopo, fu costruita rispettando lo stile barocco originale. La facciata è curva, ed è divisa in due ordini divisi da una cornice piuttosto aggettante; il primo piano ha tre portali sormontati da fastigi o finestre ellittiche, ed è scandito da otto pilastri corinzi. Ai lati, l’ordine superiore ha due terrazze con balaustre che sostengono due statue della Fede e della Speranza; al centro c’è una grande vetrata decorata, sormontata da uno stemma che reca il motto “CHARITAS” del santo responsabile della chiesa.

L’interno è a navata unica: di particolare interesse sono l’organo d’epoca barocca sulla controfacciata, gli affreschi sulla volta di Carlo Maria Giudici raffiguranti la Gloria di San Francesco di Paola e gli ovali marmorei di Giuseppe Perego. L’altare maggiore con forme monumentali dell’architetto Giuseppe Buzzi di Viggiù risale al 1753, fatto di marmi policromi.

Famosa più per la sua particolarità che per il valore artistico, la chiesa di San Bernardino alle Ossa vide il suo completamento nel 1750 su progetto dell’architetto Carlo Giuseppe Merlo, che pensò a una struttura a pianta centrale coronata da una cupola ottagonale: la chiesa ha a navata unica e con due cappelle dedicate a Santa Maria Maddalena e Santa Rosalia, entrambe decorate con altari marmorei. La facciata è ciò che resta della vecchia chiesa che fu distrutta in un incendio, opera di Carlo Buzzi, e assomiglia più a un palazzo che a una chiesa: divisa in tre ordini, la prima al piano terra ha portali e finestre adornati di punta elementi di fissaggio, mentre gli ordini superiori hanno lingue a forma di timpano.

All’interno della chiesa, sulla destra, è la parte più peculiare del complesso, o l’ossario: oltre al magnifico altare in marmo di Gerolamo Cattaneo e gli affreschi sulla volta di Sebastiano Ricci del Trionfo delle anime tra angeli (1695 ), si possono osservare le pareti quasi completamente coperte di teschi e ossa umane, a volte creando veri motivi e decorazioni.

Rimasta incompiuta, la chiesa di Santa Maria della Sanità fu iniziata alla fine del XVII secolo, ma fu ridisegnata e completata da Carlo Federico Pietrasanta agli inizi del XVIII secolo: l’incompletezza è immediatamente visibile dalla facciata in mattoni e senza decorazioni. ma ben riconoscibile dall’alternanza di concavità e convessità e per la particolare forma chiamata “a violoncello” e per il frontone a “feluca di mars”. L’interno ha un’unica navata ellittica, con cinque cappelle, tra cui la cappella dedicata a San Camillo de Lellis con l’altare in marmo con inserti in bronzo e la tela dell’Assunzione del coro e l’affresco dell’Assunta della Vergine (1717) sulla volta di Pietro Maggi.

Su un antico monastero del XIV secolo fu eretta la chiesa di San Pietro Celestino, progettata da Mario Bianchi nel 1735. La facciata è curva, con un’installazione simile a quella di San Francesco di Paola; costruito in pietra arenaria, all’inizio del XX secolo è stato necessario un restauro che ha comportato la ricostruzione della facciata decorativa in cemento. La facciata si differenzia dalla chiesa di San Francesco di Paola per le colonne decorate del portale, sormontate da una scultura del santo titolare della chiesa, e dal lampadario riccamente decorato con volute. L’interno è costituito da un’unica navata punteggiata da lesene, con cinque cappelle laterali; sopra l ‘altare settecentesco si trova un complesso di sculture di Angeli in marmo di Carrara e un dipinto tardo cinquecentesco di Giovanni Battista Trotti raffigurante Gesù Cristo e Maria Maddalena.

Per l’uso dell’ospedale maggiore, fu eretta la chiesa di San Michele ai Nuovi Sepolcri insieme al complesso della Rotonda della Besana, che per circa ottant’anni fungeva da luogo di sepoltura del complesso ospedaliero milanese. Fuori le mura con mattoni a vista seguono una curiosa forma a quattro lobi, da cui il nome rotondo, al cui centro si trova la chiesa cimiteriale a croce greca, con una cupola nascosta dalla lanterna ottagonale, progettata da Francesco Croce: la chiesa fu costruita a partire dal 1696, il perimetro dal 1713.

Pittura
La pittura milanese settecentesca dell’inizio del secolo mostra forti segni di continuità con l’esperienza artistica della fine del Seicento, i protagonisti dei primi anni infatti compirono i primi passi alla fine del XVII secolo per concludere la loro attività il primo decennio del diciottesimo secolo.

Tra i nomi più importanti alla svolta del secolo, Andrea Lanzani, attualmente molto attivo in tutta la Lombardia occidentale e a Vienna, può essere citato come il più illustre protagonista del movimento classicista milanese e lombardo insieme a Legnanino, ma sarà più influenzato da la scuola barocca genovese, mentre si contrappongono a un’esperienza più marcatamente tardobarocca, Filippo Abbiati e Paolo Pagani con un dipinto influenzato dalle scuole veneziane e lombarde. L’esperienza milanese di Sebastiano Ricci deve essere considerata a sé stante, dove potrebbe incontrarsi e confrontarsi con Alessandro Magnasco: Ricci ricorda in particolare il Gloria delle anime purganti di San Bernardino alle Ossa dove si osserva l’influenza del corrgismo del Baciccio. Una summa dei maggiori interpreti del periodo appena citato potrebbe essere Palazzo Pagani, distrutto, in cui numerosi affreschi furono aggiunti dagli affreschi di Legnanino nella Sala Grande. Di influenze più marcatamente longobarde fu invece Carlo Donelli, detto il Vimercati, allievo di Ercole Procaccini il Giovane che sentì particolarmente lo stile di Daniele Crespi e Morazzone.

Successivamente, dopo il periodo di fine secolo, possiamo citare nella pittura figure mitologiche e allegoriche di Giovanni Battista Sassi, Pietro Antonio Magatti e Giovanni Angelo Borroni, quest’ultimo ricorda l’affresco della scena olimpica con ratto di Ganimede a Palazzo Clerici .

A partire dal terzo decennio del XVIII secolo si assiste a un cambiamento nel gusto della clientela milanese, che fino ad allora aveva preferito gli artisti lombardi, a favore della scuola veneziana, su cui spiccano Giambattista Pittoni e Tiepolo; del primo, molto attivo anche fuori città, ricordiamo il lavoro del Gloria di San Francesco di Sales nel monastero, mentre per il Tiepolo c’erano molti soggiorni e la prerogativa delle residenze nobiliari della città. La sua prima commissione milanese fu a Palazzo Archinto, dove in cinque sale dipinse un ciclo per celebrare il matrimonio del cliente, esplicitamente rappresentato nell’affresco del Trionfo delle arti e delle scienze, che fu distrutto dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale. Il pittore fu qualche anno dopo richiamato a Palazzo Dugnani dove affrescò i cicli delle Storie di Scipione e Apoteosi di Scipione, passando anche per una breve commissione religiosa della Gloria di San Bernardo in una cappella della chiesa di Sant’Ambrogio, per concludere la sua esperienza milanese con il capolavoro di Palazzo Clerici dell’affresco mitologico della Corsa del Carro del Sole, a cui poi trarrà ispirazione per la commissione del salone imperiale nella Residenza di Würzburg, annoverata anche tra i capolavori dell’arte popolare. La presenza del Tiepolo fu così significativa da definire una “corrente tepeliana”, di cui il più grande esponente è Biagio Bellotti, con i suoi cicli pittorici a Palazzo Perego e Palazzo Sormani.

Come una pittura mitologica e allegorica della storia, una corrente di pittura di genere si afferma così a Milano come in Lombardia. Tra i maggiori esponenti troviamo Alessandro Magnasco, nato a Genova ma formatosi a Milano, si è specializzato in alcune figure caratteristiche, come lavandaie, frati, mendicanti e soldati, usando uno stile definito come “touch painting”: è stato anche accolto nel Accademia milanese di San Luca. Un altro grande esponente della corrente è Vittore Ghislandi, noto come Fra ‘Galgario, la cui formazione si svolge tra l’ambiente veneto e quello milanese, grazie al quale arriva a una pittura più naturalistica e distante dalla pittura celebrativa: i suoi soggiorni milanesi comprendono il Ritratto di un Giovane e un Gentiluomo con un Tricorno, quest’ultimo considerato un capolavoro nonostante sia stato dipinto in tarda età “con una mano piuttosto tremante”, entrambi tenuti a Poldi Pezzoli. Per completare il panorama della pittura di genere è Giacomo Ceruti, detto il Pitocchetto, che si dedicò principalmente a scene povere, ispirato alla pittura tipica francese del XVII secolo tipica per esempio di Georges de La Tour. Dall’esperienza di Ceruti, Francesco Londonio da insegnare, che può essere definito l’ultimo grande pittore dell’esperienza del tardo barocco milanese.

Infine, è importante ricordare la tradizione della galleria benefattore del grande ospedale milanese, che, dopo aver accompagnato l’intero barocco milanese, ne ha anche accompagnato la conclusione, raggiungendo probabilmente il suo apice nei primi vent’anni del Settecento con prove di Filippo Abbiati e Andrea Porta.