Barocco di Milano nel 17 ° secolo

Per barocco a Milano intendiamo lo stile artistico dominante tra la diciassettesima e la prima metà del diciottesimo secolo in città. Infatti, grazie al lavoro dei cardinali Borromeo e alla sua importanza in Italia, prima dominazione spagnola e poi austriaca, Milano conobbe una vivace stagione artistica in cui assunse il ruolo di propulsore del barocco lombardo.

Caratteristiche generali
L’esperienza barocca milanese può essere divisa in tre parti: il primo diciassettesimo secolo, il secondo diciassettesimo e diciottesimo secolo. Il primo Seicento inizia con la nomina a vescovo di Milano di Federico Borromeo nel 1595 in continuità con il lavoro del cugino Carlo: in questa prima fase i principali esponenti della pittura milanese sono tre, Giovan Battista Crespi, detto il Cerano, Giulio Cesare Procaccini e Pier Francesco Mazzucchelli, detto il Morazzone. In questa prima fase l’evoluzione del nuovo stile barocco segue con continuità la tarda arte manierista diffusa a Milano ai tempi di Carlo Borromeo; la formazione dei tre pittori avvenne infatti sui modelli del tardo manierismo toscano e romano per Cerano e Morazzone, mentre i Procaccini si formarono su modelli emiliani. Da un punto di vista architettonico, le commissioni religiose dominano la scena, dal momento che la dominazione spagnola si è occupata più delle opere di utilità militare che non civili; molte chiese preesistenti sono state completamente ricostruite e decorate in stile barocco, e come molte costruite da nuove: se lo stile barocco è stato introdotto a Milano da Lorenzo Binago, altri due sono i principali architetti che all’epoca dividevano la scena, cioè Fabio Mangone, dalle linee più classiche e per questo motivo scelto spesso per le commissioni di Federico Borromeo, e Francesco Maria Richini chiamava semplicemente i Richini, dalle linee più ispirate al primo barocco romano. Superato questo dualismo, Richini rappresenta certamente la più grande figura di architetto della Milano seicentesca, e per trovare una figura così prestigiosa nell’architettura milanese bisognerà attendere l’avvento di Giuseppe Piermarini.

La seconda fase del barocco, che inizia approssimativamente dopo i primi anni trenta del Seicento, inizia dopo un breve intermezzo ricco di eventi significativi: prima i principali interpreti del movimento scomparvero tra il 1625 (Giulio Cesare Procaccini) e il 1632 (il Cerano) , a cui si aggiunse la morte del cardinale Federico Borromeo, una delle più grandi figure del XVII secolo longobardo, e in particolare la grande peste manzoniana, che dimezzò la popolazione della città, colpendo il giovane milanese promettendo Daniele Crespi tra le migliaia di vittime , che tra l’altro porterà alla chiusura dell’Accademia Ambrosiana, fondata nel 1621 da Federico Borromeo per formare giovani artisti per la scuola milanese, dove assunse i maggiori interpreti del primo barocco, su tutti i Cerano e Fabio Mangone, come maestri .

Il dipinto del secondo Seicento fu poi completamente rinnovato nei suoi interpreti, vedendo l’opera dei fratelli Giuseppe e Carlo Francesco Nuvolone, Francesco Cairo, Giovan Battista Discepoli e altri; in questo caso ha giocato un ruolo fondamentale l’ormai chiusa Accademia Ambrosiana, che per prima ha dato una certa continuità di stile e poi riaperta da qualche anno, sia il lavoro in alcuni cantieri di artisti del resto d’Italia della scuola emiliana, genovese e Veneto. L’architettura, con la scomparsa di Fabio Magone, vede l’opera di Francesco Richini, rimasto quasi senza rivali nella sua produzione milanese, affiancato da artisti minori come Gerolamo Quadrio e Carlo Buzzi. Grazie a quest’ultimo fatto, i risultati di questo periodo si ruppero completamente con le influenze manieriste, per avvicinarsi a un’esperienza marcatamente barocca, con influenze delle scuole emiliana, genovese e romana. L’ultimo quarto di secolo vide l’apertura della seconda Accademia Ambrosiana riaperta nel 1669 sotto la direzione di Antonio Busca, allievo di Carlo Francesco Nuvolone, e Dionigi Bussola, che insieme alla nuova Accademia milanese di San Luca, legati all’omonimo Accademia romana, ha contribuito al ritorno di un classico corrente legato alla scuola bolognese e romana.

Il primo diciassettesimo secolo
La prima parte del diciassettesimo secolo rappresenta il periodo di transizione tra il manierismo e le prime fasi del barocco, anche se al momento esistono già esempi maturi di lingua barocca. Per il periodo particolare, in cui l’eredità di Carlo Borromeo era ancora forte e in cui gli interessi del governo spagnolo si concentravano su aspetti più militari e strategici, l’arte religiosa e l’architettura guidano la transizione verso il nuovo gusto barocco.

L’Ambrosiana
Federico Borromeo fu uno dei principali promotori della cultura e dell’arte lombarda negli anni del suo cardinale: molto influenzato in questo senso la formazione romana del cardinale, durante il quale fu in grado di entrare in contatto con i migliori artisti del tempo, diventando grande appassionato di arte e collezionista. Da questo interesse è nata l’idea di creare un centro culturale per la città per la formazione di artisti e scrittori secondo i canoni della Controriforma, a cui sarebbero messi a disposizione immagini e testi, nonché insegnanti, al fine di promuovere l’arte e la cultura all’interno della città.

I lavori per il complesso iniziarono nel 1603: dopo aver acquistato e demolito un condominio nella zona di Piazza San Sepolcro, i progetti del palazzo Ambrosiano furono affidati all’architetto Lelio Buzzi, che iniziò i lavori direttamente nello stesso anno; i lavori, che proseguirono con varie modifiche fino al 1630, passarono di mano in mano a Alessandro Tesauro e infine a Fabio Mangone. La facciata fu completata nel 1609: l’ingresso al centro è costituito da un vestibolo con tre campate di pilastri dorici che termina sulla ricerca, in cui è incisa l’iscrizione BIBLIOTHECA AMBROGIANA; l’emblema del Borromeo è scolpito su un timpano triangolare che corona il vestibolo. Molti dei contemporanei di Borromeo commentarono positivamente la soluzione classica della struttura, che fu addirittura definita “un tempo delle muse” dal teologo Luigi Rossi, elogiato per il “vestibolo romano” e il “peristilio architravato al vecchio” di Ambrogio Mazenta o ancora rispetto alle architetture della Roma imperiale per “solidità e maestà” di Girolamo Borsieri.

La prima struttura era la biblioteca nel 1609; all’epoca dell’apertura conteneva quindicimila manoscritti e trentamila opere stampate, molte delle quali appartenevano in precedenza alla vasta collezione privata del cardinale Borromeo, che comprendeva pezzi provenienti da Europa e Asia: era una delle prime biblioteche pubbliche in Europa e l’attività della biblioteca è stata affiancata da una tipografia e da una scuola per lo studio delle lingue classiche e delle lingue orientali; questo fu il primo passo verso la creazione del vasto complesso culturale e museale dell’Ambrosiana.

La seconda struttura a fare la sua comparsa fu il Museo Ambrosiano, precursore dell’attuale Pinacoteca Ambrosiana, nel 1618, creata dalla collezione privata di dipinti, stampe, sculture e vari disegni del cardinale Borromeo: la collezione iniziale comprendeva 172 opere, di cui quasi la metà ha avuto storie di tradizione cristiana o temi devozionali come soggetto. Questo fatto non dovrebbe stupire come in accordo con la dottrina tridentina del Borromeo, che attribuiva all’arte un ruolo fondamentale nella diffusione della religione cattolica: più curiosa era la passione del cardinale per i dipinti naturali come nature morte e paesaggi, per la maggior parte degli artisti stranieri, nella cui categoria possiamo includere poco meno del 30% delle opere. Attualmente appartenenti alla pinacoteca, dell’epoca trattata, possiamo citare la vasta collezione di pittura lombarda del Seicento, che comprende dipinti di Giulio Cesare Procaccini, Giuseppe Vermiglio, Morazzone e Carlo Francesco Nuvolone, e la sezione di pittura fiamminga con opere di Paul Brill e Jan Brueghel il Vecchio.

La terza e ultima istituzione a fare la sua comparsa è stata l’Accademia Ambrosiana nel 1620, una scuola di Belle Arti per la formazione di giovani artisti: anche se, per ultimo, erano i tre più importanti, infatti la biblioteca e la galleria erano state fatte per essere utilizzabile in particolare per i suoi studenti. Il ruolo dell’accademia era immediatamente chiaro; così infatti scrisse Federico Borromeo nel suo statuto: “Per nessun’altra ragione fu fondata questa Accademia di Pittura, Scultura e Architettura se non per aiutare gli artisti a creare opere per il culto divino, meglio di quelle che sono attualmente”: il suo obiettivo era la creazione di una scuola di arte sacra, in particolare di pittura, che avrebbe insegnato ai fedeli e promosso le dottrine della Chiesa Cattolica Riformata, in particolare descritta nella De pictura sacra dello stesso Borromeo.

La fondazione tarda dell’Accademia è dovuta al fatto che agli inizi del XVII secolo l’Accademia dell’Aurora del pittore Giovanni Battista Galliani era già attiva a Milano, ma chiusa nel 1611 a causa di uno scandalo a cui il pittore era legato; a cui il cardinale Borromeo, dopo aver acquisito lo spazio necessario per ampliare il palazzo Ambrosiano, iniziò a candidarsi per la creazione della nuova accademia, studiando i regolamenti e i programmi delle migliori scuole d’arte del tempo, tra cui l’Accademia dei Carracci in Bologna, l’Accademia del Disegno di Firenze e l’Accademia romana di San Luca. Dopo la fondazione, il programma abituale degli studenti era di riprodurre, supervisionati dai maestri, parti di opere di vari soggetti a partire da dipinti, disegni e sculture originali con diversi tipi di tecniche e materiali: i lavori finiti sarebbero quindi discussi collettivamente, e la migliore ricompensa. Se questo metodo era diffuso nella maggior parte delle accademie, l’importanza data allo studio delle opere originali della Galleria dell’Accademia rese disponibili agli studenti in un numero molto maggiore, e spesso di migliore qualità, rispetto alle scuole contemporanee, dove era usare copie, stampe o opere create dagli stessi studenti. Tra i maestri delle tre discipline, Cerano spicca per la pittura, Gian Andrea Biffi per la scultura e Fabio Mangone per l’architettura, mentre collaborano con Camillo Procaccini e con Morazzone; invece, tra gli studenti ricordiamo Melchiorre Gherardini, Francesco Morone, Ercole Procaccini il Giovane e Daniele Crespi, probabilmente il più dotato tra gli studenti dell’accademia.

La vita dell’accademia fu breve, e all’inizio degli anni trenta del diciassettesimo secolo si poteva concludere l’esperienza, a causa della pestilenza, che portò alla scomparsa di molti alunni e insegnanti, e specialmente per la morte del cardinale Borromeo , anche se l’accademia non si è ufficialmente chiusa. I risultati dell’accademia sono controversi: se è indubbio che ha contribuito alla formazione di molti giovani artisti, alcuni di grande spessore come i Crespi, e soprattutto a diffondere i canoni dell’arte controriformata; molti credono che l’orientamento dichiaratamente religioso dell’accademia ne rappresentasse il principale limite. L’attività dell’accademia vide una breve fase nella seconda metà del diciassettesimo secolo, 1776.

Architetture religiose

Chiesa di San Giuseppe
La chiesa di San Giuseppe è considerata uno degli edifici più rappresentativi del primo barocco longobardo, così come uno dei capolavori di Richini: la chiesa rappresenta il punto di partenza con l’architettura manierista, ed è stata anche utilizzata come prototipo per le chiese barocche in l’uso della pianta longitudinale, specialmente nell’Italia settentrionale e talvolta nell’Europa centrale. Il progetto fu affidato dopo diversi passaggi a Richini nel 1607, che per la prima volta si presentò come unico progettista di un importante edificio: il motivo dell’innovazione del progetto è l’uso degli spazi, cioè un’evoluzione della soluzione utilizzata nel chiesa di Sant’Alessandro in Zebedia di Lorenzo Binago, il suo maestro. La pianta longitudinale è formata dalla fusione di due spazi con una pianta centrale: la prima di forma ottagonale, ricavata come un quadrato a cui gli angoli sono arrotondati, su questi angoli vi sono due colonne di ordine gigante che sostengono piccoli balconi; il secondo spazio, che ospita il presbiterio, è leggermente più piccolo ed è di forma quadrata, con due cappelle laterali; i due spazi sono uniti da un arco che spazialmente appartiene ad entrambi gli ambienti, creando una sorta di unione tra i due. Per la soluzione delle colonne giganti agli angoli, il Richini si ispirò alla chiesa di San Fedele di Pellegrino Tibaldi: l’evoluzione consiste nell’uso di una cupola invece di una copertura velica che si allinea alle nuove tendenze del barocco romano, sebbene muovendosi in continuità con la tradizione lombarda, per la quale l’architetto ha scelto una lanterna ottagonale.

Altre architetture religiose
Una delle prime chiese milanesi in stile barocco fu la chiesa di Sant’Alessandro in Zebedia, i cui progetti di Lorenzo Binago furono approvati nel 1601: i cantieri si conclusero definitivamente nel 1710 con la costruzione del campanile di sinistra. Nonostante la lunga costruzione delle opere, si ritiene che nel 1611 le opere dovrebbero essere in una fase avanzata, infatti in quell’anno la festa di San Carlo fu celebrata nell’edificio: uno dei motivi dei ritardi la costruzione fu segno di cedimento della cupola al lavoro completato nel 1627, che fu poi demolito e ricostruito. La chiesa ha un piano combinato centrale e longitudinale, cioè il corpo principale assume una forma rettangolare, mentre l’interno ha una struttura a croce greca, con gli spazi rimanenti organizzati in quattro cappelle sormontate da altrettante cupole e la cupola principale sopra il centro del piano a croce greco; la regolarità del piano rettangolare è rotta dall’abside sul fondo della chiesa.

La facciata fu costruita in due diversi periodi: l’ordine inferiore concluso nel 1623 organizzato in tre portali intervallati da pilastri, di cui il più grande al centro, introdotto da due colonne corinzie che reggono un finto arco, nel quale si trova il rilievo di Sant ‘ Alessandro che indica il disegno della chiesa di Stefano Sampietri; sempre nell’ordine inferiore ci sono le nicchie contenenti le statue di San Pietro e San Paolo sempre del Sampietri. L’ordine superiore fu concluso nel XVIII secolo su progetto di Marcello Zucca, ed è composto da una croce mistica, su cui sono disposte statue di putti.

L’interno della chiesa, definito come “museo delle arti figurative del Seicento seicentesco”, presenta una navata completamente affrescata da vari artisti secondo il tema di alcuni episodi biblici; L’affresco nella cupola rappresenta la Gloria di Ognissanti (1696) ed è stato creato da Filippo Abbiati e Federico Bianchi, così come l’abside e il coro, episodi di San Alessandro della vita a tema pittorico. Tutte e quattro le cappelle sono fittamente dipinte e decorate, tra cui i dipinti dell ‘”Assunzione di Maria e pala Navita di Camillo Procaccini” e gli affreschi degli Angeli di Fiammenghini, l’Adorazione dei Magi di Moncalvo e infine la Decollazione del Battista in poi tela di Daniele Crespi. Per quanto riguarda le arti applicate, annota i confessionali e il pulpito in legno o marmo intarsiato.

Sempre nel centro storico, sebbene la chiesa di Sant’Antonio Abate abbia subito la completa ricostruzione della facciata in epoca neoclassica, gli interni sono comunque tra i migliori esempi decorativi del barocco lombardo. La costruzione della chiesa fu decisa nel 1582 e affidata a Dionigi Campazzo, la pianta è a croce latina, la navata e la controfacciata sono affrescate con il ciclo di Storie della Vera Croce di Giovanni Carlone, poi concluso dal fratello Giovanni Battista a morte dalla peste di Giovanni. Ai lati della navata si trovano le cappelle: la cappella di Sant’Andrea Avellino ospita la corona della Surrenza del Beato Andrea Avellino di Francesco Cairo e affrescata da Ercole Procaccini il Giovane e Filippo Abbiati; sempre sulla destra, la cappella della Vergine del Suffragio creata da Carlo Buzzi ospita il gruppo scultoreo del Cristo Morto di Giuseppe Rusnati. Sul transetto si possono vedere i dipinti di Morazzone, Annibale e Ludovico Carracci, mentre la volta è affrescata da Tanzio da Varallo. Sul lato sinistro, la terza cappella è adornata con tre dipinti di Giulio Cesare Procaccini, mentre la seconda, su progetto di Gerolamo Quadrio, contiene un altro ciclo scultoreo di Rusnati, e l’Estasi di San Gaetano su tela di Cerano.

Pittura
I protagonisti della prima pittura barocca milanese sono, come già specificato, il Cerano, Giulio Cesare Procaccini e il Morazzone. Questi tre personaggi furono i principali autori dei cicli dei Quadroni di San Carlo, annoverati tra i principali cicli pittorici del barocco milanese.

I Quadroni di san Carlo sono formati da due cicli pittorici che raccontano episodi della vita di San Carlo Borromeo, uno dei personaggi principali del Concilio di Trento e della Controriforma: questi cicli sono stati commissionati in stretta relazione con la proposta di canonizzazione del cardinale Borromeo: dovevano mostrare la vita esemplare di Carlo Borromeo attraverso un viaggio iconografico. Il primo ciclo, realizzato tra il 1602 e il 1604, comprendeva venti tele cerate, a cui alcune furono successivamente aggiunte, che vanno dalla descrizione dell’attività pubblica del cardinale, come la diffusione delle dottrine della Controriforma e le visite alle vittime della peste , alla vita privata, come episodi di carità e penitenza; i dipinti vedono l’opera del già citato Cerano e Morazzone, a cui si aggiungono Paolo Camillo Landriani, detto il Duchino, Giovanni Battista della Rovere, detto Fiammenghino, e altri come Carlo Antonio Procaccini, cugino del più famoso Giulio Cesare, e Domenico Pellegrini. Il secondo ciclo dei quadroni risale al 1610, alla canonizzazione avvenuta e ha come tema i miracoli del santo: è composto da ventiquattro dipinti a tempera; il Cerano, Giulio Cesare Procaccini e il duchino ne realizzarono sei ciascuno, mentre gli altri furono realizzati da maestri minori, come Giorgio Noyes e Carlo Buzzi: alcuni dipinti aggiuntivi saranno commissionati verso la fine del XVII secolo.

Se i Quadroni di San Carlo nel complesso sono uno dei cicli pittorici più rappresentativi della prima arte barocca milanese, i critici spesso condividono l’uniformità della qualità delle opere: se le opere di Cerano sono elogiate dalla critica per il loro eccellente risultato , Duchino e Fiammenghino non possono ottenere lo stesso consenso, e poi passare al lavoro di Carlo Antonio Procaccini e Domenico Pellegrini, le cui prove sono raramente considerate la stessa qualità degli artisti precedenti.

Il capolavoro della pittura lombarda del XVII secolo è il Martirio dei santi Rufina e Seconda, meglio noto come Quadro delle tre mani, realizzato in collaborazione tra il Cerano, Giulio Cesare Procaccini e Morazzone, o l’epoca dei grandi pittori. Il dipinto rappresenta il martirio di due giovani sorelle nell’età della Roma imperiale e può essere idealmente diviso nelle tre parti in cui i pittori lavoravano: al centro c’è il boia del Morazzone con una spada in mano, i suoi assistenti e il piccolo Angelo con la palma del martirio, Procaccini si prese cura di Santa Rufina sulla destra e dell’angelo che porta il suo conforto, al Cerano si deve il lato sinistro con il cavaliere, il secondo santo decapitato e l’angelo che tiene un cane, intento gettandosi sulla testa del santo. Analizzando le carriere e lo stile dei singoli artisti, si può affermare come il cliente, Scipione Toso, abbia affidato ciascuna delle parti del dipinto secondo i temi e gli stili più congeniali ai pittori: se il Cerano fosse particolarmente abile nel creare un tono drammatico Al lavoro, il Procaccini è stato in grado di rappresentare adeguatamente la speranza cristiana, mentre Morazzone si è distinto per un carattere più energico e dinamico della sua rappresentazione.

Infine, gli artisti di cui sopra hanno preso parte alla ristretta corrente del ritratto: la collezione più famosa dell’epoca è quella dei benefattori del grande ospedale, in cui spiccano Daniele Crespi e Tanzio da Varallo con i ritratti di Pozzobonelli e Francesco Pagano.

Architetture civili
All’inizio del diciassettesimo secolo, le commissioni religiose superarono di gran lunga quelle civili: in un numero decisamente inferiore di edifici religiosi e di arte sacra, furono costruiti anche edifici civili, spesso ancora legati a commissioni religiose.

Il principale esempio di architettura civile dell’epoca è il Palazzo del Senato, commissionato nel 1608 da Federico Borromeo per ospitare il Collegio Elvetico: il progetto fu originariamente assegnato a Fabio Mangone, ripreso vent’anni dopo da Richini. Particolarità dell’edificio è la parte centrale della facciata concava, progettata da Richini, che si stacca dal più sobrio stile milanese, avvicinandosi a un barocco romano più decorato, al suo interno ci sono due cortili con le forme più classiche di Mangone, definite da un doppio ordine delle logge di architrave.

Il secondo diciassettesimo secolo

Architettura religiosa
Rispetto agli inizi del Seicento, i cantieri religiosi non avevano più la stessa vivacità del periodo di Federico Borromeo, anche se rappresentavano ancora le principali commissioni del periodo; tuttavia, la decorazione degli interni delle chiese esistenti era più privilegiata piuttosto che la costruzione di nuovi edifici.

La costruzione della chiesa di Santa Maria della Passione fu iniziata nel XVI secolo, diminuendo negli anni di intensità, per riprendere vivacità nel XVII secolo, la chiesa è quindi un misto tra arte barocca e arte rinascimentale lombarda. La facciata della chiesa, che risale al 1692 su progetto di Giuseppe Rusnati, è scandita da quattro pilastri: sui lati opposti si trovano due nicchie tipicamente barocche, mentre gli altri tre spazi contrassegnati dai pilastri sono decorati con rilievi raffiguranti il Flagellazione, coronamento delle spine e deposizione; si noti la somiglianza con la chiesa di Sant’Alessandro in Zebedia nei putti ai lati della facciata. Le decorazioni interne risalgono agli inizi del XVII secolo.

Nella navata centrale alla base della cupola il ciclo delle Storie della Passione di Daniele Crespi; nella navata destra la terza cappella ospita il dipinto di Giulio Cesare Procaccini raffigurante Cristo alla colonna, mentre la quinta cappella presenta i dipinti di Ester e Assuero e della Madonna del Rosario tra San Domenico e Santa Caterina da Siena di Giuseppe Nuvolone. Nella navata sinistra sono custodite le tele di Camillo Procaccini, datate 1610, con San Francesco che riceve le stimmate e Cristo nel giardino degli ulivi, oltre all’opera sempre su tela di Giuseppe Vermiglio Funerale di Thomas Beckett (1625); nella quarta cappella ci sono la Madonna e i santi di Duchino, e la Flagellazione e Cristo dell’Olio degli Ulivi questa volta di Enea Salmeggia detto il Talpino; infine nella prima cappella si trova il famoso dipinto del Digiuno di San Carlo Daniele Crespi che, rispettando scrupolosamente i dettami artistici indicati dallo stesso Carlo Borromeo, vuole rappresentare nella sua essenzialità l’altezza morale e religiosa del santo.

L’altro importante risultato dell’epoca fu la chiesa di Santa Maria alla Porta, completamente ricostruita sull’antica chiesa risalente al XII secolo: il progetto fu inizialmente redatto da Francesco Maria Richini a partire dal 1652, per poi passare alla morte dell’architetto nel 1658 a Francesco Borromini che concluse il progetto, a cui dobbiamo in particolare il grande portale. La facciata, piuttosto slanciata, è divisa in due ordini, rispettivamente ionici e corinzi, uniti da pergamene e terminanti con un timpano sul quale sono poste le statue della Vergine e di due angeli; ai lati vi sono nicchie, mentre la parte centrale è più decorata, con il portale principale architravato sormontato da un rilievo di Carlo Simonetta dell’Incoronazione della Vergine del 1670; l’ordine superiore è quindi decorato con una finestra tardo-barocca. L’interno è costituito da un’unica navata con cappelle laterali introdotte da serliane, che termina con il presbiterio che custodisce una cupola con lanterna attribuita a Gerolamo Quadrio; sul tamburo ci sono nicchie con sculture di Angelsby Giuseppe Vismara e Carlo Simonetta risalenti al 1662. Tra le quattro cappelle si nota il primo a destra, disegnato da Giuseppe Quadrio, con le opere Gloria e Angeli sempre di Simonetta: è uno dei migliori esempi di scultura del secondo Seicento lombardo.

Architetture civili
Sebbene la seconda metà del Seicento Milano veda un crescente interesse per l’architettura civile rispetto alla prima metà del secolo, la predominanza dell’arte religiosa non è venuta meno, soprattutto considerando che molti edifici avevano ancora una commissione religiosa.

Una commissione religiosa si trova nel Seminario arcivescovile, in particolare l’ingresso, perfetto esempio di portale barocco, è stato progettato da Richini nel 1652: costituito da un bugnato liscio e coronato da un architrave trapezoidale sui lati presenta due cariatidi che rappresentano la speranza e Carità. Ai fini delle scuole fu invece costruito il Collegio di Sant’Alessandro, costruito su disegno di Lorenzo Binago tra il 1663 e il 1684; la facciata tardo barocca, a volte attribuita a Borromini, è divisa in due ordini: al piano terra vi è un impatto immediato il portale con architrave curvilineo decorato con due cartigli arricciati sui lati, mentre al piano superiore le finestre mostrano i frontoni mixtilinear medaglioni raffiguranti allegorie legate alla cultura. Modifiche minori furono apportate al palazzo arcivescovile da Andrea Biffi, che nel 1680 terminò le sue modifiche nel cortile interno.

A pochi minuti a piedi da Palazzo Arcivescovile sorge Palazzo Durini: commissionato nel 1645 dal mercante banchiere Giovan Battista Durini, il progetto fu assegnato a Richini; il palazzo è uno dei più grandi esempi di edifici seicenteschi della città. La facciata, come era tradizione fondata nella città, è piuttosto sobria e lineare rispetto agli stili barocchi delle altre città d’Italia, è centrata su un portale monumentale in bugnato che sostiene un balcone altrettanto monumentale. del piano nobile, dove le grandi finestre decorate con timpani triangolari e alternati curvilinei sono decorate con supporti alla base a forma di maschera, questa decorazione è presa nella cornice. Gli interni sono sicuramente degni di nota: salendo dal grande scalone decorato in marmo rosso al piano nobile, si entra nel trompe-l’œil decorato antirico, mentre si passa attraverso una serie di stanze di passaggio decorate con medaglioni dipinti si arriva al sala d’onore affrescata dal Trionfo dell’Eros di scuola lombarda; sempre al piano nobile si possono ammirare i soffitti in legno intagliato provenienti dal demolito Palazzo Arnaboldi.

Completato nel quarto decennio del XVII secolo, Palazzo Annoni fu nuovamente costruito su progetto di Filippo Maria Richini; la facciata, adornata al piano terra con una base a sbalzo, è centrata sulla porta d’ingresso inserita tra due colonne ioniche sporgenti che sostengono il balcone del piano principale; al piano superiore le finestre con frontoni triangolari o sinuosi alternati presentano balaustre [109], la facciata è infine delimitata da pilastri bugnati. Nel cortile interno, costruito ripetendo la decorazione esterna, si arriva passando per il cancello in ferro battuto originale dell’epoca. Il palazzo nel XVIII secolo ospitò una ricca biblioteca e la galleria d’arte privata degli Annoni, che comprendeva tra gli altri dipinti di Rubens, Gaudenzio Ferrari e Antoon van Dyck, confiscati dagli austriaci nel 1848.

Di fronte a Palazzo Annoni si trova Palazzo Acerbi, risalente agli inizi del XVII secolo, ma pesantemente ristrutturato durante gli anni della grande peste: la facciata, piuttosto sottile rispetto al fronte, fu arricchita nel XVIII secolo da balconate curvilinee e maschere ornamentali con figure di leone vicino al portale d’ingresso, mentre all’interno, dopo il primo sobrio cortile paesaggistico, possiamo citare il secondo cortile rococò. Curiosamente grazie alla posizione di fronte ai due edifici, verso la seconda metà del XVII secolo ci fu una battaglia con colpi di “grandeur” tra la famiglia Annoni e Acerbi: il primo colpito dalla ricchezza della ristrutturazione Acerbi, non volle essere meno; fu così che un lungo duello di ristrutturazioni e opere dei palazzi cominciò a definire quale delle due famiglie fosse più ricca e più potente.

Il palazzo delle Scuole Palatine, costruito sul sito di un palazzo bruciato, era di uso pubblico: i lavori iniziarono nel 1644 su progetto di Carlo Buzzi, che riprese la struttura del palazzo dei Giureconsulti]. Dell’edificio originario rimane solo la facciata, su più ordini: al piano terra c’è una loggia scandita da colonne gemelle, mentre al piano superiore ci sono finestre decorate con una nicchia al centro contenente la statua di Sant’Agostino di Giovan Pietro Lasagna, mentre più a destra, sul frontone che conduce ad un passaggio coperto, c’è sempre la statua di Ausonio sempre dello stesso autore.

Pittura
Il secondo Seicento, scomparsi i principali interpreti dei “pestanti” pittori del primo Seicento longobardo, raccoglie l’eredità di quest’ultimo, superando definitivamente i legami con il manierismo che si potevano riscontrare in alcune delle opere degli artisti federiciani: gran parte degli artisti di questo periodo erano infatti allievi dell’Accademia Ambrosiana o venivano formati nelle botteghe dei maestri del primo Seicento lombardo.

A segnare il punto di rottura è Carlo Francesco Nuvolone, il maggiore dei due fratelli e allievo di Cerano, che mostra nel suo stile il dinamismo tipico dell’arte barocca, di cui ricordiamo gli affreschi nella chiesa di Sant’Angelo di Milano; mentre Francesco Cairo mostra una costante evoluzione di stile, influenzata dai suoi numerosi viaggi tra Torino e Roma, dove ha l’opportunità di confrontarsi con esponenti delle scuole emiliane e genovesi. These two painters, together with Giuseppe Nuvolone were in constant confrontation, arising from numerous collaborations in various construction sites, on all those of the Sacred Mountainslombardi, which will lead to an evolution of the sacred painting of the early seventeenth century, abandoning its exclusively dramatic language in favor of a greater narrative variety. To complete the evolution of Milanese painting is Giovan Battista Discepoli, trained at Camillo Procaccini, his painting is more influenced by the influence of Morazzone: he too shows a strong evolution of style; among his works are the paintings in the church of San Vittore al Corpo and the Adoration of the Magi once located in the demolished church of San Marcellino.

Deaths Carlo Francesco Nuvolone or Cairo, and thanks to the influence of the newly elected Pope Clement IX and his relations with the archbishop Alfonso Litta, Lombard art sees an approach with the Roman towards a more markedly baroque taste, this helps to bring Milan, Roman artists such as Salvator Rosa and Pier Francesco Mola, while the journeys of young artists to Rome are again favored, including those of Giovanni Ghisolfi and Antonio Busca, from which a new update of the Milanese artistic environment arises; it was not by chance that the professorship of the Ambrosian Academy was subsequently assigned to Antonio Busca. With this last two currents destined to survive also in the eighteenth century, a more classicist stream of the Busca, contrasted with a more exuberant and imaginative style of the maturation of Giuseppe Nuvolone, transporting in the Ambrosian city that same controversy between the two styles of Roman environment.

Many years after the pounding painters there is a small revival of the pictorial tradition of the Borromeo; in particular, the work of Giorgio Bonola and Andrea Lanzani, who prefer a more classicist orientation, and Filippo Abbiati, with a declared Baroque style, are added to the already vast work of the Quadroni di San Carlo, to which the works of Giacomo Parravicini are added later: Abbiati and Lanzani will continue this duality between classicism and baroque even in the early eighteenth century. It is noteworthy that many of the artists just mentioned were already in contact for the commission of the life cycle of San Rocco for theChurch of San Rocco in Miasino, where they worked Bonola, Abbiati, Lanzani and Giuseppe Nuvolone. In the last few years of the seventeenth century we observe the first work of Stefano Legnani, called the Legnanino and Sebastiano Ricci: the work of these is however made to coincide and put in continuity with the eighteenth century Lombard.

As in the first part of the century, the gallery of the benefactors of the major hospital collects the best testimonies of the Milanese portraiture of the second part of the seventeenth century; thanks to the picture we can see the evolution towards a more mature Baroque style: the best evidence is attributed to Giuseppe Nuvolone.