Architettura di Milano nel XVI secolo

L’architettura della seconda metà del XVI secolo a Milano si sviluppò, qui come altrove, su più linee e stili che possono essere riassunti nel manierismo, nell’arte controriformata e nel classicismo. Queste correnti dividevano la scena artistica urbana, spesso sotto mutua contaminazione.

La scena milanese della seconda metà del XVI secolo deve quindi essere analizzata considerando la particolare posizione della città: se per l’impero spagnolo rappresentava un avamposto militare strategico, dal punto di vista religioso era al centro del conflitto tra la Chiesa cattolica e la Chiesa riformata. Di conseguenza il maggior contributo è stato dato dall’arte religiosa di fronte a una produzione civile artistica e architettonica inferiore.

Se, adottando lo stile manierista, i clienti e gli artisti urbani hanno avuto come riferimento esperienze di derivazione centro-italiana, la posizione della città vicino alla Svizzera protestante ha fatto di Milano uno dei principali centri di fioritura e di elaborazione dell’arte controriformata , grazie all’azione capillare di San Carlo Borromeo.

Architettura religiosa

Le istruzioni di Carlo Borromeo
Con l’avvento del Concilio di Trento e della Chiesa controriformata, le autorità ecclesiastiche sfruttarono l’arte come mezzo per diffondere le nuove dottrine in contrasto con il protestantesimo e altre eresie; l’arte fu quindi sottoposta a rigide regole e controlli, in modo che gli artisti rappresentassero episodi della tradizione biblica più originale. Poiché i requisiti per la sola architettura non erano molto rigorosi, il cardinale Carlo Borromeo, tra i protagonisti del Concilio di Trento, scrisse le Instructiones fabricae et suppellectilis ecclesiasticae, o un compendio architettonico che regola la costruzione di nuove chiese. Queste disposizioni hanno portato allo sviluppo degli edifici religiosi negli anni successivi fino a quando non sono stati applicati anche in America Latina, quindi parte dell’impero spagnolo. Come indicato dai decreti del Concilio, un’arte ricca e monumentale avrebbe dovuto impressionare i fedeli, spingendoli alla contemplazione e all’apprendimento della dottrina religiosa: le rappresentazioni, anche se grandiose e solenni, sarebbero state di semplice comprensione anche da parte della gente ignorante. La cosa era ovviamente contraria alla dottrina protestante, che considerava le decorazioni eccessive e pomposi come una distrazione per i fedeli o addirittura per un’eresia.

Il Borromeo fa il suo debutto nelle Instructiones parlando della posizione della chiesa, che deve possibilmente essere in una posizione elevata e lontano da rumori o luoghi rumorosi, e staccata da altre case eccetto la residenza del sacerdote o del vescovo. Il numero di passaggi per raggiungere questa posizione deve essere dispari. Fornisce anche informazioni sulla dimensione della chiesa, che deve essere abbastanza grande da ospitare i fedeli per le occasioni speciali. Tra i dettagli più importanti c’è la forma della pianta, quindi il Borromeo raccomanda l’uso della croce latina a scapito della pianta centrale: sebbene usato in molti casi illustri, soprattutto nel Rinascimento, il Borromeo considerava la pianta centrale un riferimento ai templi pagani e usato meno nell’architettura cristiana, mentre la croce latina era giustificata dalla supremazia delle prime basiliche che usavano questa forma.

Chiese pre-contro-riforma
Il toscano Domenico Giunti e il Perugino Galeazzo Alessi furono i primi architetti a rompere con la tradizione tardo-rinascimentale lombarda. In un primo momento si hanno le chiese di San Paolo Converso e Sant’Angelo, ambientate secondo lo stesso concetto progettuale con un’unica navata e cappelle laterali con copertura a botte, citazione della “Basilica di Sant’Andrea” di Alberti già rinvenuta nella chiesa di Santa Maria a San Satiro Bramante.

La chiesa di San Paolo Converso, un’attribuzione a volte contestata, fu iniziata nel 1549 per essere in uno stato avanzato due anni dopo; la facciata risale agli inizi del XVII secolo, ma è fortemente influenzata dalle opere milanesi di Tibaldi ed è stata progettata tenendo conto della decorazione e della monumentalità secondo le istruzioni del Borromeo. L’interno è stato decorato in gran parte dai fratelli Campi ed è tra i più rappresentativi della seconda metà del XVI secolo milanese: più delle decorazioni delle sei cappelle lungo la navata e del divisorio tra la sala e l’ambiente per le monache di clausura, Notevole il grande affresco sulla volta di Vincenzo Campi dell’Ascensione di Cristo, grande prova dell’illusionismo tardorinascimentale sulle orme del più famoso coro falso del Bramante a Santa Maria presso San Satiro. Complessivamente, nella decorazione pittorica emerge una certa influenza con il Centro manieristico – esperienza italiana, soprattutto Giulio Romano, mentre ci sono alcune ispirazioni agli affreschi della Cupola della Cattedrale di Parma di Correggio nella prospettiva della volta affrescata; infine, i risultati della Decollazione di San Giovanni Battista e il Martirio di San Lorenzo di Antonio Campiin nella prima e nella terza cappella a destra sono talvolta elencati nella corrente del “precaravagismo”.

La chiesa di Sant’Angelo risale al 1552, quando fu completamente ricostruita dopo aver demolito i resti dell’antica chiesa danneggiata dalle guerre che si verificarono in quella città in quel periodo. Il progetto comprendeva i tre chiostri della chiesa, demoliti nel XX secolo, che portarono alla facciata risalente al XVII secolo: in origine i Giunti avevano una facciata dalle proporzioni rigide, sobria e praticamente priva di decorazioni, ma mai realizzata. La struttura della chiesa fu progettata a croce latina con un’unica navata con volta a botte e un totale di sedici cappelle laterali. Nella cappella dedicata a Santa Caterina d’Alessandria si possono ammirare i dipinti delle Storie di Santa Caterina su entrambi i lati (1564) di Antonio Campi, che ambienta la storia in un ambiente notturno spesso visto negli ambienti di Caravaggio, in cui il pittore cremonese anticipa il luminismo usato da Merisi; nella cappella di San Gerolamo e nella cappella dedicata alla Vergine Maria sono dipinti di stile manierista di Ottavio Semino con influenze fiamminghe, mitigati però dai primi insegnamenti post-tridentini, per i quali il pittore ha scelto scene di vita quotidiana. Troviamo sempre Ottavio Semino ad affrescare la testa del transetto, mentre la sagrestia è adornata con olio su tela del mistico Matrimonio di Santa Caterina (1579) di Peterzano; infine è attribuito ad Annibale Fontanathe la tomba del vescovo Pietro Giacomo Malombra.

La prima opera a Milano di Vincenzo Seregni, escludendo l’apprendistato nella Fabbrica del Duomo, è stata la ricostruzione della chiesa di San Vittore al Corpo in collaborazione con Alessi: i due architetti hanno anticipato nella struttura interna i canoni architettonici controformati grazie alla pianta longitudinale con sbocco naturale verso lo spazio della cupola: la struttura interna fu paragonata da James Ackerman alla Basilica di San Giorgio Maggiore del Palladio, in cui l’architetto veneziano combinava la pianta centrale con la croce latina. Per continuare con le somiglianze tra le due chiese, il progetto originale prevedeva un pronao monumentale sormontato da un timpano che riprendeva le pareti divisorie della facciata di San Giorgio. Costruita a partire dal 1559 sui resti dell’antica basilica paleocristiana di San Vittore, la nuova chiesa fu disposta in senso invertito rispetto alla precedente, e fu necessario demolire il mausoleo imperiale di Massimiano per terminare i lavori; i lavori durarono fino a seicento anni e la facciata non fu mai completata secondo il piano originale. L’interno è diviso in tre navate, la più grande ha una volta a botte mentre le due volte a crociera laterali decorate con stucchi e affreschi: se la struttura conserva l’aspetto cinquecentesco, le decorazioni sono per la maggior parte del XVII secolo. Degno di nota è il coro ligneo tardo cinquecentesco con le Storie di San Benedetto basato sulle cinquanta incisioni di Aliprando Caprioli sulla vita e sui miracoli del santo.

Alessi ha proseguito il suo programma di controriforma con la costruzione della nuova chiesa di San Barnaba per i padri Barnabiti, un ordine recentemente creato per promuovere la diffusione della dottrina tridentina: il sistema interno a una sola navata può essere considerato uno dei primi tentativi di “basilica della Riforma”. Da una facciata decorata, pur senza il tipico plasticismo del tardo XVI secolo, è inserita al suo interno suddivisa in tre sale per consentire la vita monastica dell’ordine e la preghiera dei fedeli: la prima sala è composta da un’unica navata con volta a botte , così desiderato per migliorare l’acustica negli incontri oratori dei frati con i fedeli, e nel coro a base quadrata con volta a crociera. Tra le opere interne troviamo la Pietà di Aurelio Luini nella seconda cappella di destra, San Gerolamo di Carlo Urbino nel coro, e le prime opere di Peterzano a Milano con la Vocazione dei santi Paolo e Barnaba e i santi Paolo e Barbaba in Listri, dove emerge ancora, fu chiamato l’influenza della sua formazione veneziana, in particolare Tiziano e Tintoretto; Infine, va notato che alcune opere dei fratelli Campi e Lomazzo, una volta presenti nella chiesa, sono ora esposte nella Pinacoteca di Brera.

Il prototipo della chiesa della Controriforma: la chiesa di San Fedele
Nel programma della controriforma del cardinale Carlo Borromeo nella città di Milano, c’era anche l’intenzione di portare in città la compagnia dei gesuiti che aveva conosciuto nelle sue residenze romane: il cardinale collocò il loro quartier generale nella vecchia città chiesa di San Fedele, dimostrata inadeguata alla propaganda borromiana, per la quale a Pellegrino Tibaldi fu commissionato la costruzione di un nuovo edificio. La costruzione durò per molti anni, e tra i vari interventi ci fu anche la demolizione di alcuni blocchi per fare spazio alla piazza antistante: sulla struttura della chiesa sono stati fatti molti confronti con la Basilica di Santa Maria degli Angeli e il Martiri e la Chiesa romana del Gesù del Vignola, insieme ai quali è considerato il modello della “chiesa della Controriforma”.

Sebbene i due architetti non fossero mai entrati in contatto, il sovrintendente degli edifici gesuiti Giovanni Tristano fu in grado di assistere il Tibaldi nel cantiere milanese: entrambe le chiese hanno una pianta a navata unica con il naturale punto di fuga verso l’altare dominato dallo spazio più luminoso rispetto alla cupola, creando così una direzionalità verticale e anticipando i temi del “dinamismo statico” barocco. Le analogie continuano nella decorazione della facciata su cui si concentra la decorazione a discapito dei lati.

La facciata dell’edificio è stata progettata tenendo conto della successiva apertura di una piazza, che sarebbe stata tuttavia limitata, in modo che le dimensioni e le proporzioni della chiesa fossero dimensionate per dare al piccolo spazio un aspetto il più monumentale possibile. Lo schema compositivo del fronte è impostato su due ordini orizzontali e suddiviso in cinque partiture verticali: nella parte centrale si trova il portale con timpano curvilineo sostenuto da colonne dell’ordine corinzio; le partizioni laterali mostrano una certa simmetria con bassorilievi e nicchie, il tutto sormontato da un timpano triangolare. La facciata così ottenuta rappresenta un punto d’incontro tra il plasticismo tipicamente manierista ei canoni dell’architettura controriformata.

La stessa divisione in due ordini del fronte è anche presa dalla facciata laterale, il cui ordine superiore si basa direttamente sull’ordine inferiore, piuttosto che essere arretrato come al solito per creare lo spazio per le cappelle laterali: questa soluzione era senza precedenti nel 16 ° secolo architettura sia milanese che romana e come tale fu anche una delle prime chiese a presentare i due ordini della facciata principale di uguale misura. Se ci sono esempi di facciate con ordini sovrapposti di uguale larghezza, la facciata copre ancora i lati. Per lo schema della facciata principale e per il timpano decorato, finito secondo il progetto originale solo nel XIX secolo, Tibaldi si ispirò alla partitura in cinque campi verticali del progetto della chiesa di Santa Maria vicino a San Celso. Per quanto riguarda il portale, Pellegrino Tibaldi ha aderito al modello della Chiesa di Gesù nonostante i numerosi debiti stilistici nei confronti di Michelangelo nelle finestre laterali, le cui cornici seguono quelle del Palazzo dei Conservatori, o nelle nicchie simili a quelle della Basilica di San pietro.

Le chiese delle istruzioni
La chiesa di Santa Maria nei pressi di San Celso fu iniziata nel XV secolo, ma gran parte del suo aspetto è dovuto a progetti realizzati dal 1570. La facciata fu progettata da Alessi, originariamente basata su disegni di Michelangelo per la Basilica fiorentina di San Lorenzo. Il progetto fu poi modificato e completato da Martino Bassi: si riconoscono ancora gli elementi tipici dell’architetto perugino già a Palazzo Marino, che si traducono in una ricca decorazione plastica, in contrasto però con il quadrilatero del tardo rinascimentale esistente a Solari. La facciata è in marmo, suddivisa in quattro ordini orizzontali e cinque verticali, ed è centrata sul ricco portale con un timpano spezzato sostenuto da quattro colonne: la parte centrale è la più decorata, con statue che sormontano il portale, ricchi bassorilievi, e la grande finestra contenuta nello spazio di un doppio ordine di pilastri che reggevano il timpano con storie intagliate della Bibbia. La ricca decorazione del fronte è estesa su tutto lo spazio disponibile da statue e bassorilievi realizzati principalmente da Annibale Fontana e Stoldo Lorenzi, il cui tema principale è l’Annunciazione e l’Assunzione della Vergine Maria.

La chiesa ha all’interno un apparato scultoreo ricco come l’esterno: in particolare, la statua della Vergine (1586) nell’altare della Vergine dei Miracoli progettata da Martino Bassi e San Giovanni Evangelista nella tribuna di Fontana, e il David e Mosè accanto al contromone, e San Giovanni Battista con Abramo (1578) nella tribuna di Stoldo Lorenzi. Il coro è infatti un’opera di scultura dovuta alla complessità delle sue forme ed è stato realizzato da Paolo Bazza dal 1570 per essere completato molti anni dopo con molte modifiche al progetto originale. L’altare maggiore, progettato da Martino Bassi nel 1584, è in linea con le ricche decorazioni della chiesa e ben rappresenta le arti decorative milanesi che all’epoca raggiunsero il loro massimo splendore: il coro ligneo fu progettato da Galeazzo Alessi. Infine vale la pena menzionare la pala d’altare della Resurrezione di Antonio Campi, in cui il pittore mette in mostra le sue capacità nella pittura illusionistica.

Tra le varie ristrutturazioni di antiche chiese, vi era quella della Certosa di Garegnano, con l’aggiunta del portico e la progettazione di una nuova facciata a partire dal 1573 sotto la direzione di Vincenzo Seregni: l’attuale facciata divisa in tre ordini La decrescita non seguire perfettamente il progetto originale, quindi si pensa che abbia subito alcuni cambiamenti all’inizio del diciassettesimo secolo, dato i suoi riferimenti al primo stile barocco. Sebbene la decorazione interna sia per la maggior parte del XVII secolo, sono presenti affreschi della Crocifissione, l’Adorazione dei Magi e dei Pastori e la pala d’altare raffigurante la Madonna col Bambino e i Santi Simone Pietrozano, in cui mostra un pittorico mitigato del controriformista norme imposte dai frati certosini della chiesa.

Tra le opere più importanti di Martino Bassi possiamo annoverare anche la ricostruzione in forme classiche della cupola della Basilica di San Lorenzo, crollata nel 1573: le nuove forme della cupola probabilmente ispirarono il Borromini per la cupola di Sant’Ivo Sapienza. La ricostruzione doveva effettivamente coinvolgere la struttura nella sua interezza, ma grazie allo stretto controllo dell’arcivescovo le opere includevano solo la cupola e la riorganizzazione di altre parti minori della chiesa, lasciando intatto, per ordine espresso di Borromeo, la pianta con l’anello del percorso.

Il progetto per la conclusione del cantiere di Santa Maria della Passione risale al 1576, quando Martino Bassi trasformò l’edificio con una pianta a croce greca, una struttura invisibile alle autorità post governative, a favore di una struttura a croce latina che estendeva navata. risultato finale di una chiesa a tre navate, con i due esterni affiancati da cappelle semicircolari semicircolari: il vescovo di Famagosta Gerolamo Ragazzoni in una visita ai lavori finiti ha elogiato il lavoro per l’adesione ai nuovi standard architettonici. La scelta di cappelle visibili all’esterno come semicilindri è stata una delle soluzioni più particolari dell’opera e traccia il progetto incompleto del Brunelleschi per la Basilica di Santo Spirito a Firenze. Tra le opere relative alla seconda metà del XVI secolo all’interno della chiesa troviamo le porte degli organi di Carlo Urbino, il transetto destro affrescato dal pittore cremasco e la pala d’altare della Crocifissione (1560) di Giulio Campi. Le imponenti dimensioni che risultavano dalla modifica della chiesa portarono alla ricostruzione della strada che conduceva alla facciata della chiesa: da un vicolo tortuoso e stretto passammo ad una strada più larga e rettilinea che faceva meglio osservare la chiesa.

Al contrario, vi sono due chiese costruite su un piano centrale, nonostante il favore del piano a croce latina Borromeo, entrambe del Tibaldi: la chiesa di San Carlo al Lazzaretto e la chiesa di San Sebastiano, anch’esse unite dalla comune circostanza costruttiva , o in funzione della pestilenza che in quegli anni attanagliava la città.

La chiesa di San Carlo al Lazzaretto fu commissionata da Carlo Borromeo nel 1580 a Pellegrino Tibaldi, anche se in realtà le opere furono seguite da Giuseppe Meda. La struttura era composta da una centrale pianta ottagonale con altrettante aperture; l’edificio originariamente serviva da tempio aperto per l’altare già presente nel centro del Lazzaretto. La scelta del piano centrale obbediva ai precisi criteri funzionali indicati nelle Instructiones, infatti, il piano aperto centrale avrebbe permesso a tutti i presenti in ospedale di partecipare alla messa senza doversi muovere, un criterio non trascurabile se si pensa alla peste condizioni: la soluzione è stata presa anni dopo per la costruzione della cappella del Lazzaretto di Verona.

Il lavoro della cattedrale
Infine, non si può omettere un discorso del cardinale Borromeo per adattare la cattedrale della città alle nuove norme tridentine, dando così un colpo alle opere della fabbrica che procedevano lentamente dalla caduta del ducato.

Gli interventi principali per valore artistico e numero sono stati il ​​lavoro di Pellegrino Tibaldi, “favorito” del cardinale: uno dei principali dibattiti dell’epoca è stato per il progetto di facciata. Il Tibaldi propose una soluzione in linea con lo stile dell’epoca che separava il resto della cattedrale gotica e che poteva essere incluso tra i più importanti progetti irrealizzati dell’epoca.

Il progetto prevedeva una facciata su due ordini: quella inferiore segnata da colonne giganti corinzie che sostenevano la trabeazione, corrispondenti alle navate laterali, e un ordine superiore corrispondente alla navata centrale fiancheggiata da obelischi monumentali. Solo i cinque portali inferiori e le finestre sopra i quattro portali laterali sono stati realizzati in realtà nel progetto, ma non sotto la supervisione di Tibaldi, ma del suo grande allievo Francesco Maria Richini.

All’interno, a causa di Tibaldi sono i tre altari monumentali della navata destra vicino al transetto, che condividono la struttura in marmo policromo con il frontone sostenuto da colonne di ordine corinzio, adornata con varie statue. Il suo maggior contributo alla decorazione d’interni è invece avvenuto nella zona del presbiterio: i suoi sono i disegni del tempio con una pianta quadrata con colonne corinzie sopra il battistero, e la maggior parte della disposizione dell’altare maggiore, su tutto il bronzo ciborio in forma di un tempio circolare con otto colonne che sorreggono una cupola ornata di statue, un capolavoro dell’arte fuseria cinquecentesca. Sotto l’altare si trova la cripta di San Carlo Borromeo, organizzata su due percorsi anulari, rispettivamente circolari e ottagonali, sui quali però scoppiò una furiosa polemica con Vincenzo Seregni su presunti problemi strutturali della struttura. Infine, al Pellegrini si trova la pavimentazione in marmo della cattedrale e i disegni per il coro ligneo scolpito con le Storie di Sant’Ambrogio e la Storia degli arcivescovi milanesi. Di questo periodo sono infine l’organo nord e sud, commissionato rispettivamente a Giovanni Giacomo Antegnaniand a Cristoforo Valvassori, e le relative ali di Giuseppe Meda e Ambrogio Figino.

Opera di Leone Leoni è il monumento funebre di Gian Giacomo Medici nella croce del sud, commissionato dallo scultore aretino su progetto di Michelangelo, commissionato da suo fratello fratello Pio IV su richiesta di Michelangelo. L’opera è sostenuta da sei colonne di marmo inviate direttamente da Roma dal pontefice, nel mezzo del quale il defunto è raffigurato come un soldato romano, fiancheggiato da statue della Milizia e della Pace, con due statue minori sopra le colonne esterne che raffigurano la Prudenza e fama. In origine il sarcofago era presente anche in bronzo incastonato, poi rimosso dal cardinale Borromeo insieme alle varie casse di duchi e civili nel tentativo di contrastare il fenomeno della secolarizzazione della cattedrale. Tuttavia, la più famosa opera scultorea della chiesa è la San Bartolomeo dalla pelle di Marco d’Agrate, famosa sia per il virtuosismo della rappresentazione del santo della pelle che tiene la sua pelle, sia per la firma ambiziosa e chiaramente visibile dell’opera.

Architettura civile

Palazzo Marino
Il cantiere di Palazzo Marino introdusse Galeazzo Alessi a Milano: è certamente l’opera urbana più famosa dell’architetto e il palazzo è considerato l’architettura civile manierista milanese più rappresentativa; dopo questo lavoro le commissioni di Aixi aumentarono costantemente fino all’arrivo del Tibaldi. Dopo questa prima commissione, tuttavia, l’architetto perugino mancò della necessaria ricerca ed evoluzione del suo stile, che lo portò a lavori, anche se dignitosi, lontani dai risultati di Palazzo Marino e della Basilica di Carignano, considerando le sue opere migliori. Il palazzo fu contratto da Tommaso Marino, uomo d’affari genovese arricchito a Milano sotto il governo spagnolo, che voleva mostrare la nuova potenza acquisita. L’opera, oltre all’edificio, prevedeva l’apertura di una strada che collegava l’edificio con Piazza Duomo nelle immediate vicinanze di Piazza Mercanti. Il progetto originale con l’apertura della nuova strada trova famosi precedenti con Villa Farnese di Caprarola e soprattutto con Strada Nuova di Genova, con cui avrebbe condiviso la larghezza del nuovo quartiere e l’intento celebrativo della nuova classe dominante.

Un primo progetto prevedeva il piano terra in bugnato con colonne di ordine toscano, mentre il piano superiore dei pilastri riprendeva le forme toscane delle colonne inferiori, circondato da decorazioni in pietra Strain Adda, pietra di Saltrio e marmo di Carrara.

L’edificio fu completato molti anni dopo, con una struttura urbana completamente nuova che sconvolse la visione del progetto originale: Piazza della Scala nel XVI secolo non esisteva ancora, quindi il fronte principale era situato in Piazza San Fedele; mentre l’attuale entrata principale in Piazza della Scala fu realizzata solo nel XIX secolo come copia perfetta dell’altra facciata.

Il progetto finale ha concepito un edificio disposto su tre ordini sovrapposti dei due fronti principali: al piano terra è scandito da lesene doriche che contengono finestre con spalle bugnate e architrave con serraglie, con piccole finestre sul cornicione; il portale d’ingresso è racchiuso da due colonne che sostengono il balcone. Il piano superiore ha pilastri ionici scanalati che contengono finestre con parapetti a balaustra e un timpano curvilineo spezzato, anche in questo caso sormontato da piccole finestre. Il secondo piano presenta finestre con timpani triangolari sormontati da un fregio e teste di donna che reggono la cornice della balaustra. All’interno, degno di menzione è il cortile d’onore, famoso per le sue ricche decorazioni, allestito come una doppia loggia sostenuta da due colonne ioniche: questa composizione si distacca dai tipici progetti dell’Alessi, che devono essere tratti dalla tradizione locale: tradizione osservata e ripresa prima da Richini nel cortile del palazzo di Brera e più tardi da Borromini nel chiostro trinitario vicino alla chiesa di San Carlo alle Quattro Fontane.

L’Alessi con questo progetto rompe chiaramente con la tradizione costruttiva lombarda: la costruzione interamente in pietra è distaccata dalle tecniche costruttive convenzionali lombarde, voleva nella struttura in mattoni cotta come coperta con intonaco, mentre il tetto, non più con il tetto sul terra, era costituito da terrazze della tradizione genovese.

Degli interni, un tempo famosi per il loro splendore, rimane molto poco a causa dei bombardamenti alleati che hanno colpito pesantemente l’edificio. Tra questi si segnalano la Sala dell’Alessi, decorata con stucchi, lesene e medaglioni, e gli affreschi dei fratelli Andrea e Ottavio Semino di Psiche e Amore in presenza degli dei e le dodici figure allegoriche sulle pareti, ricostruite dopo il guerra.

Altre architetture civili
Un altro famoso edificio del secondo cinquecento milanese è la ristrutturazione di Villa Simonetta: fu acquistato nel 1547 dal governatore di Milano, Ferrante Gonzaga, che affidò i restauri a vari personaggi, tra cui Domenico Giunti, a cui dobbiamo l’aggiunta più scenografica, o la doppia loggia di ispirazione palladiana che anticipa le forme di Palazzo Chiericati. Il classicismo della loggia servirà anche come riferimento per le forme del cortile del palazzo del Senato di Fabio Mangone. L’aggiunta delle due ali laterali del palazzo per formare un cortile che si affaccia sul giardino privato della villa deve poi essere aggiunto al progetto cinquecentesco; all’interno vi sono frammenti di affreschi di artisti fiamminghi che hanno lavorato al cantiere. L’elemento caratterizzante della facciata è, come già accennato, il porticato classico dominato dalla doppia loggia: il portico è composto da nove nove pilastri con lesene di ordine toscano, un ordine occupato dalle colonne del piano superiore della loggia che riprendono il progresso dei pilastri inferiori, mentre al piano superiore le colonne sono decorate con capitelli corinzi. Nel progetto c’erano riferimenti a famosi esempi di ville suburbane dell’epoca: all’ingresso del giardino c’erano due peschiere sul modello di Palazzo Te di Giulio Romano, mentre al primo piano c’erano colonne di trompe l’oeil disposte come proiezioni quelle della loggia con finte finestre e affreschi che sono ormai scomparsi del tutto, la cui pianta complessiva è stata ispirata dalla Loggia degli eroi di Perin del Vaga nella villa genovese del Principe.

Nel 1560 Papa Pio IV commissionò alla sua città natale il palazzo dei Giureconsulti nello spazio di Piazza dei Mercanti a Vincenzo Seregni; per il progetto, l’architetto non ha nascosto le analogie con le nuove forme del Palazzo Marino dell’Alessi, anche se è stato aggiunto il riferimento quattrocentesco con la facciata del portico aperto.

A causa di Leone Leoni, uno scultore che era un architetto improvvisato, è la casa degli Omenoni, costruita dall’artista per affermare il suo prestigio a partire dal 1565, con la sfilata degli otto telamoni che non mancò di attirare l’attenzione di molti, compreso quello di Vasari, che ha scritto nella sua vita:

«Di bella architettura che non è forse un altro simile in tutto Milano»

L’edificio è emblematico del periodo e della situazione politica milanese: nonostante le rigide disposizioni del Borromeo e i numerosi tentativi di controllare la morale pubblica da parte della Chiesa, sulla porta d’ingresso si mostrava un fregio raffigurante una faura emascolata da un leone, chiaro segnale intimidatorio ai malintenzionati o ai nemici dello scultore. La facciata è anche un buon esempio di classicismo con l’aggiunta di elementi manieristi. Il primo ordine della facciata è quindi scandito da otto cariatidi, a cui corrispondono nell’ordine superiore otto colonne dell’ordine ionico, che una volta terminavano sulla cornice. La casa, tuttavia, ospitò fino agli inizi del Seicento un piccolo museo privato di Leoni, che conteneva tra i vari dipinti di Tiziano, Correggio e Leonardo, un calco in gesso della statua equestre di Marco Aurelio e il Codice Atlantico di Leonardo Da Vinci.

Tra gli interventi più importanti voluti direttamente da Carlo Borromeo troviamo il Palazzo Arcivescovile, commissionato da Tibaldi a partire dal 1569. Nonostante le ricostruzioni neoclassiche del Piermarini, si può ancora osservare il cortile racchiuso da una galleria a doppia arcata di archi a tutto sesto con pilastri bugnati e il portale manierista.

Un altro palazzo civico dell’epoca è Palazzo Erba Odescalchi, attribuito a Tibaldi e ai suoi collaboratori e costruito intorno al 1570: l’unico elemento a Milano è la cupola ellissoidale che traccia l’andamento dell’ingresso e delle scale, anch’esse ellittiche, che creano un singolare illusione di altezza, infatti, anche se le scale servono solo un piano per l’utente, lo spazio sembra dilatato grazie allo schiacciamento prospettico degli ellissi; questa soluzione verrà riutilizzata negli anni fino all’architettura barocca. Un’altra anticipazione del tema barocco è data dall’elaborato portale con timpano spezzato sostenuto da colonne dell’ordine corinzio con ripiani a doppia curvatura.

L’unica grande opera pubblica concepita dagli spagnoli fu il rifacimento del Palazzo Reale, affidato a Tibaldi, iniziato nel 1574, opere che furono quasi completamente cancellate dalle ricostruzioni neoclassiche ottocentesche. Le opere erano molto complesse e riguardavano gran parte dell’edificio: il Tibaldi si distinse anche come artista e pittore di stucchi, e il suo lavoro gli valse il compito della corte più centrale e prestigiosa di Madrid.

La fine del XIX secolo è anche palazzo Aliverti, in gran parte rimaneggiato nel corso dei secoli: dal periodo originario rimane il cortile porticato con colonne ioniche e doriche, con soffitti a cassettoni e affreschi interni attribuiti ai fratelli Campi.

Architettura militare
Nonostante una florida economia e una certa vivacità artistica, la Lombardia era considerata un avamposto militare strategico, e come tale la maggior parte dei fondi stanziati per la città furono spesi per l’erezione di un secondo muro. The walls were begun in 1548 on a project by the engineer Giovanni Maria Olgiati: at its conclusion ten years later the walls wound in a pentagonal path for eleven kilometers, which made it the largest wall of European walls of the time. The city wall was organized into ten curtainsthat assumed approximately the shape of a heart, from which derives the Milanese anecdote that the new boundary wall was a romantic wedding present to Queen Margherita of Austria, with reinforced walls at the corners of Porta Comasina and Vercellina gate.

The building of the outer walls converging towards the castle brought a series of consequences for the city’s urban planning: the custom of the time was to grant free land outside the city to religious orders to build its headquarters; with the incorporation of a large slice of land within the city these privileges decayed and the State was able to reappropriate vast land and end the validity of favors. Secondly, the construction of the fortified ramparts, the spaces next to the perimeter wall, should have been uncluttered to allow the cannons to be fired and provide the necessary visibility; which prevented the building near the new walls. In addition to the reorganization of the lands incorporated with the new city walls, a large reorganization of the channels passing through the land that was once outside the city was necessary: this is to supply the water for the moat of the new walls, and for not upset the numerous channels and waterways necessary for the Milanese economy.

After the construction of the walls, in 1560 it was decided to reinforce the Sforzesco castle by building a sort of citadel on the ancient Renaissance court. The project was entrusted to Giacomo Paleari and included a project divided into three walls, which would take the form of a six-pointed star. The castle project was completed not without some changes only in 1612 under the supervision of Gabrio Busca.

Together with the walls, a monumental entrance to the city was built to celebrate the passage to Milan of Margaret of Austria, the future bride of Philip III, who was erected near the Bastions of Porta Romana. The Roman gate arch, sometimes erroneously attributed to Martino Bassi, was designed by Aurelio Trezzi: the appearance is taken from the Roman arches of the second and third centuries, with a main opening and two on the smaller sides, and from the Venetian military architecture of the Sanmicheli. On the front towards the countryside the main opening is bounded by two flat drafts ending on the trabeation with carved metopes; on the sides there are two bas-reliefs with shells with pearls, allusion to the name Margherita from the Latin margarita which indicated the pearl. The door remained for the entire next century a model for the construction of ephemeral apparatuses in the duchy.