Magnificenza

La parola magnificenza deriva dal latino “magnum facere”, che significa fare qualcosa di grande. La parola latina si ispira al greco “megaloprépeia”. Questo nome trasmette il significato di fare qualcosa di grande che è adeguato o apparentemente alla circostanza. La magnificenza è una nozione filosofica, estetica e socio-economica profondamente radicata nella cultura occidentale sin dall’antichità classica. Riguarda la grandezza delle azioni, il coraggio, l’eccellenza, l’onore, la generosità e lo splendore degli stili di vita di scopi nobili.

Magnificenza nell’antichità classica

Platone
Platone ha offerto la prima interpretazione filosofica del concetto di magnificenza. Separò la megalopsichia (magnanimità) dalla megaloprépeia (magnificenza), che era stata sinonimo di greco arcaico.

La magnificenza è la qualità speciale nella concezione di Platone del filosofo-re, come presentato nel quinto e sesto libro della Repubblica. Solo quelli con un temperamento filosofico ed educativo comprendono la differenza tra il bene e il male. Il filosofo è magnifico, gentile, amico di verità, giustizia, coraggio e temperanza, ha una memoria eccellente e impara facilmente (487 a2-8). Quando perfezionato dall’età e dall’istruzione, questo magnifico essere è il tipo di persona a cui lo stato deve essere affidato.

Erodoto e Senofonte
Gli storici Erodoto e Senofonte proposero un’interpretazione sociale ed economica della magnificenza. Hanno usato il termine per descrivere la donazione di denaro privato e proprietà per sostenere le opere pubbliche o le necessità comunali. Nelle società dell’antica Grecia e del Medio Oriente questa era un’usanza diffusa. Ci si aspettava che i cittadini benestanti che ricoprivano posizioni pubbliche usassero i propri soldi per una vasta gamma di attività ritenute importanti dalle loro comunità.

Nelle Storie, Erodoto offre vari esempi di magnificenza, come quella di Policrate (3, 123, 1); la magnifica festa degli sciti della dea Cibele (4, 7, 3); L’invito di Amyntas ai Persiani di banchettare e di essere intrattenuto da lui con grande generosità e dimostrazione di amicizia (5, 18); Il trattamento sontuoso di Clistene per i pretendenti di sua figlia quando cerca un buon matrimonio per lei (6, 128).

Xenophon, nel suo trattato Oeconomicus introduce la magnificenza all’interno del significato di ricchezza e obblighi sociali. In linea con il fenomeno dell’evergetismo (come delineato da Paul Veyne), i cittadini benestanti sono chiamati a offrire molti sacrifici costosi come la costruzione di tutti i tipi di opere pubbliche, come fortificazioni, navi da guerra, templi o anfiteatri; fornire un esercito con tutte le attrezzature e le disposizioni necessarie; offrire spettacoli e spettacoli; ospitando importanti ospiti stranieri e regalandoli con ospitalità sontuosa. Persino i concittadini devono essere soddisfatti da loro con ogni sorta di cose belle. La magnificenza è quindi connessa con la liberalità, gli alti stili di vita e la ricchezza. Critobulus, dice Socrate nel dialogo, è chiamato ad essere magnifico per essere all’altezza della sua reputazione di cittadino benestante. Tutte queste azioni danno onore pubblico ai ricchi cittadini e all’intera città. Xenophon estende la magnificenza alle donne. Ad esempio, Mania, la vedova di Zenis, governatore di Aeolis, non solo convinse il satrapo persiano Pharnabazus a nominarla come nuova governante, ma eccelleva nei suoi doveri militari, politici ed economici, senza mai mancare di magnificenza ogni volta che era necessario ( Hellenica, III, 10-13).

Aristotele
Nella sua Etica Eudemiana e nell’Etica Nicomachea, Aristotele offre un’interpretazione filosofica, etica ed estetica della magnificenza che esercitò una vasta influenza nei secoli successivi.

Nel quarto libro dell’Etica Nicomachea, la magnificenza è descritta come la virtù etica legata al denaro: “è una spesa appropriata che coinvolge la grandezza della scala” (IV, 2, 1122a 23). Tuttavia, Aristotele insiste sul fatto che il tipo di spesa deve essere appropriato alla circostanza. Quindi, non ogni tipo di azione richiede lo stesso grado di spesa. Così, Aristotele, come Platone, consolida la separazione delle virtù della magnificenza e della magnanimità. Attingendo a Senofonte, tuttavia, egli conferisce dignità all’aspetto economico di una grande spesa trasformandola in una virtù etica.

Con Aristotele, la magnificenza acquisisce anche una dimensione estetica. Diventa un’arte in sé, richiedendo che si comprenda quale tipo di spesa è necessaria e lo fa con gusto. Un uomo magnifico sa che la spesa dovrebbe essere grande, ma appropriata per chi sta effettivamente spendendo, la circostanza e l’oggetto della spesa. Lo studioso di Aristotele W. D. Ross ha suggerito che in questa concezione la magnificenza risulta essere principalmente una questione di buon gusto estetico. Il ruolo estetico che la magnificenza acquisita con Aristotele esercitò una profonda influenza sulla retorica, l’arte, l’architettura e la critica d’arte.

Cicerone e Roma
Cicerone introdusse l’etica della magnificenza nell’antica civiltà romana e italiana. Nel suo lavoro giovanile sulla retorica, De inventione, scrive che la magnificenza è “la considerazione e la gestione di questioni importanti e sublimi con una certa visione ampia e splendida determinazione della mente” (II, Liv, 163). Così Cicerone fonde le tradizioni greca e romana, trasformando la visione greca della magnificenza in un concetto romano. La parola latina magnificaia deriva dall’espressione magnum facere, che letteralmente significa “fare qualcosa di grande”. Nella formulazione di Cicerone, si riferisce alla grandezza del compito, all’intenzione di realizzarlo e alla determinazione a portarlo avanti. L’interpretazione seminale della magnificenza di Cicerone influenzò Tommaso d’Aquino nella sua Summa Theologiæ più di mille anni dopo.

Magnificenza nell’antica Roma
La magnificenza ha assunto caratteristiche molto romane. Nell’antica Roma, è un fenomeno pubblico collegato alle istituzioni, al potere politico e allo stato romano. La magnificenza di edifici, strade, edifici pubblici e festival era sotto il controllo degli edifici. Inoltre, la magnificenza non ha nulla a che fare con il lusso. Invece, riflette un sistema di valori e virtù repubblicani abbracciati dall’oligarchia romana tradizionalista. Quando Cicerone afferma che “il popolo romano detesta il lusso privato (luxuriam) ma ama la magnificenza pubblica (magnificenza)” (Pro Murena, 76), fa esplicito riferimento a un sistema politico che è stato minato da una nuova generazione di politici . Mentre il lusso rappresentava l’uso della ricchezza per soddisfare la soddisfazione personale, la magnificenza era basata su valori repubblicani tradizionali basati sul rispetto di una relazione appropriata tra vita privata e pubblica., //.,

Retorica e Demetrio
Nella retorica classica, la magnificenza è uno dei modelli dello stile grandioso o elevato. Tuttavia il lavoro più importante sulla magnificenza nel mondo classico è On Style (Perì hermēnēías) scritto da Demetrio di Phalerum probabilmente nel I secolo a.C. Demetrius fornisce una descrizione tecnica delle caratteristiche tipiche dello stile elevato. Lo storico Tucidide e il poeta Saffo sono presentati come i principali esponenti di questo stile. Il trattato di Demetrio non ottenne lo stesso successo di Longinus’s On the Sublime. Sebbene la magnificenza e il sublime appartengano entrambi allo stile grandioso, ci sono differenze significative tra loro. La magnificenza insiste più sulla correttezza formale e sulla solennità stilistica. Mentre il sublime ispira timore, venerazione, perdita di razionalità, estasi e pathos, i magnifici scopi di impressionare senza causare paura o indignazione.

Il magnifico stile della magnificenza entrò anche nel discorso terminologico della critica dell’arte greca antica. In effetti, i greci attingevano alla terminologia retorica per descrivere e valutare scultura, pittura e architettura. La magnificenza si applica alle opere d’arte che esprimono grandiosità e altre alte caratteristiche.

La megaloprépeia è anche collegata alla retorica. Nella retorica classica, la magnificenza è, come il sublime, uno dei modelli di stile grandioso o elevato. Nel trattato On the style (Perì hermēnēías), Demetrius ha formulato una delle più complete teorie del magnifico stile. Questo riguarda argomenti e azioni grandiosi. A differenza del sublime che preferisce il poeta ispirato, il pathos e il potere espressivo, la magnificenza propone la preparazione stilistica e la corretta composizione formale. Mentre il sublime tende ad ispirare terrore e confusione nell’auditor, la magnificenza vuole trasmettere elevazione e solennità. Secondo Demetrio, i paladini del magnifico stile sono lo storico Tucidide e il poeta Saffo.

Magnificenza e critica d’arte
Nell’antichità, la magnificenza divenne un termine specifico di critica d’arte, che era applicata alla musica e alla pittura, così come alla poesia, al teatro, alla scultura e all’architettura. La megaloprépeia è una qualità presente nelle opere di Fidia, famoso scultore greco del V secolo aC (Dionisio di Alicarnasso, De composition verborum, 11, 22). Anche secondo Plinio il Vecchio, Fidia usò la magnificenza nella statua di Zeus, così come il pittore Zeuxis nella sua rappresentazione di Giove in trono.

Secondo Plinio il Vecchio, il grande stile della magnificenza può essere apprezzato in opere come la statua di Zeus di Fidia e la pittura di Zeus in trono di Zeuse.

Vitruvio e la magnificenza dell’architettura romana
Nel suo monumentale De architectura, Vitruvio analizzò sia gli aspetti estetico-artistico che filosofico-etico del concetto e sancì la magnificenza nell’architettura classica. Nel sesto libro, Vitruvio sostiene che il cliente (pubblico o privato) è magnifico, perché la bellezza di un edificio dipende dal suo costo (6, 8, 9). I materiali impiegati dovrebbero essere della migliore qualità e la più bella, il che significa che sono solitamente i più costosi. Così, per Vitruvio la magnificenza non è solo una caratteristica artistica ed estetica tipica dell’architettura, ma è anche legata al prestigio sociale e politico del cliente. L’architettura diventa il mezzo con cui uno sponsor pubblico o privato di un edificio può mostrare il suo onore.

Non sorprende che gli antichi romani abbiano attribuito tanta importanza all’architettura pubblica: persino gli storici e geografi antichi hanno celebrato la capacità dei romani di creare edifici non solo utili, ma anche belli e magnifici. Dionigi di Alicarnasso afferma che i tre più grandi esempi di magnifica architettura romana erano gli acquedotti, le strade e il sistema fognario (Antichità Romane 3, 67, 5). Strabone (Geographica, V, 3, 8) e Livio (History of Rome, 1, 38, 5-6; 39; 44) celebrano le funzioni igieniche degli acquedotti e delle cloacae. Plinio il Vecchio fornisce una descrizione commovente delle abilità ingegneristiche utilizzate per ricostruire il grande sistema fognario di Roma, la Cloaca Maxima, che è ancora in uso oggi (Storia Naturale, 36, 104-105).

Magnificenza nel Medioevo

Tommaso d’Aquino
Tommaso d’Aquino lasciò una delle più significative interpretazioni medievali del concetto di magnificenza, attingendo alla tradizione greco-romana e fondendola con i precetti cristiani. Egli riunisce l’idea pagana della magnificenza umana con la mentalità ebraico-cristiana, secondo la quale l’umanità dovrebbe sempre essere riverente verso Dio. Nella Summa theologiae la magnificenza è una virtù che appartiene a Dio, che può anche essere condivisa dagli uomini (Summa, IIa IIae q.134 art.1). Tommaso d’Aquino adotta la definizione di magnificenza di Cicerone, evidenziando come consiste nel fare grandi cose. La magnificenza appartiene alla virtù della fortezza, o coraggio, perché considera l’impresa di grandi cose e azioni, e perseverante anche quando le circostanze possono rendere ardua la loro realizzazione (Summa, IIa IIae q.134 art.1-4).

Dante Alighieri
Dante, attingendo all’Aquinate, considera la magnificenza come una virtù divina connessa alla grandezza e alla perfezione di Dio. Quindi, seguendo le tradizioni di Aristotele e d’Aquino, Dante classifica la magnificenza come la quarta virtù “che regola grandi spese, nel somministrarle e porre limiti alla loro dimensione” (Convivio IV, XVII, 5).

Magnificenza nell’Italia rinascimentale
Con l’avvento del Rinascimento in Italia, la magnificenza subì una profonda trasformazione, attingendo a questo movimento culturale che sostenne la rinascita della cultura classica e dei centri urbani. L’idea della magnificenza e della sua rappresentazione ha avuto profonde implicazioni per la società rinascimentale in Italia.

La magnificenza come virtù civica
La magnificenza acquisisce nuova vitalità nel processo di rinnovamento delle città italiane come centri culturali e politici. La magnificenza riflette così la trasformazione delle strutture politiche tradizionali e sintetizza il fiorire di un nuovo tipo di cultura civica basata su virtù che divergevano dai precedenti valori feudali. Emerse una nuova idea dell’eccellenza umana che era vista come distinta dai privilegi aristocratici medievali legati alla nascita e al rango. Marsilio Ficino nella sua opera De virtutibus morabilus (1457) afferma che la magnificenza è la virtù per eccellenza, perché esprime la grandezza di Dio. Cristoforo Landino in De vera nobilitate (1487) descrive la magnificenza come un aspetto della fortezza. La nuova idea di nobiltà enfatizza i fatti e le opere realizzate da uomini il cui comportamento è principalmente governato dalla coltivazione di tali virtù, piuttosto che semplicemente dal sangue nobile e dagli ideali aristocratici.

Magnificenza e mecenatismo nell’Italia rinascimentale
Entro la prima metà del XV secolo, la magnificenza era già diventata una virtù ben nota e molto praticata nell’Italia del Rinascimento. Riguardava l’usanza di cittadini facoltosi che spendono ingenti somme di denaro per costruire progetti e per patrocinare l’architettura e le arti. A Firenze, Cosimo de ‘Medici (il fondatore della dinastia dei Medici) fu attivamente coinvolto nella pratica della virtù della magnificenza dal 1430 in poi e molte altre famiglie dominanti e illustri cittadini seguirono l’esempio in tutta Italia. Lorenzo de ‘Medici ottenne il titolo di “magnifico” grazie al suo sostegno a studiosi e artisti umanisti, stabilendo una delle corti più sofisticate d’Italia. La magnificenza riacquista il suo antico splendore anche come aspetto di opere di architettura e arte. La riscoperta dell’antica retorica e la preminenza data a Vitruvio in tutto il Rinascimento influenzarono non solo i gusti dei mecenati, ma anche quelli degli architetti e degli artisti che furono incaricati di creare magnifici capolavori che avrebbero dato fama a se stessi e all’intera città . Nel De re aedificatoria, Leon Battista Alberti si basa su entrambi i concetti filosofici ed estetici della magnificenza. Molti architetti e artisti del Rinascimento italiano hanno applicato la magnificenza sia nelle loro opere che nei loro scritti. Antonio Averlino, noto come Filarete, Giorgio Vasari e Andrea Palladio esaltava gli aspetti filosofici ed estetici della magnificenza. La magnificenza, tuttavia, non è solo una pratica praticata da illustri cittadini, principi, papi, architetti e artisti, ma viene anche analizzata da studiosi umanisti. A Napoli, l’umanista e poeta Giovanni Pontano scrisse un trattato filosofico ed etico De magnolia (1498). La magnificenza era legata all’occupazione della ricchezza per conto dei re e dell’aristocrazia napoletana e del loro stile di vita. La De magnificaia di Pontano e gli altri suoi trattati filosofici sull’uso della ricchezza e il ruolo del principe probabilmente anticipavano l’etica cortigiana e la dottrina di come comportarsi in modo appropriato, che troverebbe l’espressione più matura nella letteratura italiana del XVI secolo grazie a Baldassare Castiglione Libro del Cortigiano (1528) e Il Galateo di Giovanni Della Casa (1558).

Magnificenza nel diciottesimo secolo
La magnificenza del patrimonio culturale e artistico italiano ha trasformato la penisola in una delle destinazioni privilegiate del Grand Tour internazionale. Nel vivace contesto romano, un contributo significativo alla magnificenza è offerto da Giovanni Battista Piranesi. Il noto architetto, incisore, scenografo, incisore e archeologo fu anche un teorico pienamente coinvolto nel dibattito internazionale sull’architettura, che caratterizzò il periodo dell’Illuminismo e del Neoclassico. Piranesi prese parte alla disputa sulla superiorità artistica e architettonica dei Greci o dei Romani, schierandosi a favore del carattere indigeno della cultura italiana, fondata dagli Etruschi e portata alla perfezione dai Romani. Nel suo trattato della Magnificenza e dell’Architettura dei Romani (1761), Piranesi è legato alla storia millenaria della nozione di magnificenza nei suoi significati filosofici, etici, economici e artistici. Estende la virtù della magnificenza all’intero popolo romano, democratizzando una qualità aristocratica ed elitaria. Difende anche la superiorità dell’architettura degli antichi romani, che con le loro conoscenze teoriche e pratiche riuscirono a superare i greci.

Giovanni Battista Piranesi
Durante il XVIII secolo l’Italia era diventata una delle principali destinazioni dei visitatori del Grand Tour, venuti dal Nord Europa per studiare e ammirare l’arte e l’architettura italiane, e anche per assorbire la cultura classica. Con Giovanni Battista Piranesi (1720-1778), la magnificenza ricevette una delle sue interpretazioni finali nel contesto culturale italiano. Universalmente noto come l’incisore delle prigioni e le vedute dei monumenti romani, Piranesi era una personalità eclettica, che perseguiva una vasta gamma di interessi. Giovanni Battista Piranesi ebbe un ruolo di primo piano nel dibattito greco-romano. In questa controversia Piranesi sostenne la superiorità degli architetti e dei progettisti dell’impero romano e dimostrò le radici indigene della cultura romana, sostenendo che i Romani erano stati influenzati più dagli Etruschi che dai Greci. Nel suo polemico trattato Della Magnificenza ed Architettura de ‘Romani (1761) Piranesi attinge l’intero patrimonio degli aspetti filosofici, etici, economici e artistici della nozione. Egli concepisce controvoglia la magnificenza come una virtù condivisa dall’intera popolazione romana. Inoltre, sostiene che i romani usavano le abilità tecniche e idrauliche più avanzate e i migliori materiali disponibili. Eccellevano negli edifici pubblici e dimostravano che erano migliori di loro rispetto ai greci.