Rinascimento tardo fiorentino

Il Rinascimento nacque ufficialmente a Firenze, una città che viene spesso definita la sua culla. Questo nuovo linguaggio figurativo, legato anche a un diverso modo di pensare all’uomo e al mondo, è iniziato con la cultura e l’umanesimo locali, che erano già stati portati alla ribalta da persone come Francesco Petrarca o Coluccio Salutati. Le notizie, proposte all’inizio del XV secolo da maestri come Filippo Brunelleschi, Donatello e Masaccio, non furono immediatamente accettate dal committente, anzi rimasero per almeno vent’anni una minoranza e in gran parte frainteso fatto artistico, di fronte all’ormai dominante Gotico internazionale.

Più tardi il Rinascimento divenne il linguaggio figurativo più apprezzato e cominciò a essere trasmesso ad altre corti italiane (prima tra tutte quelle papali di Roma) e poi europee, grazie ai movimenti degli artisti.

Il ciclo del Rinascimento fiorentino, dopo gli inizi dei primi vent’anni del Quattrocento, si diffuse con entusiasmo fino alla metà del secolo, con esperienze basate su un approccio tecnico-pratico; la seconda fase ebbe luogo al tempo di Lorenzo il Magnifico, dal 1450 circa fino alla sua morte nel 1492, e fu caratterizzata da un accordo di conquiste più intellettualistico. Una terza fase è dominata dalla personalità di Girolamo Savonarola, che segna profondamente molti artisti convincendoli a ripensare alle proprie scelte. L’ultima fase, databile tra il 1490 e il 1520, è definita rinascita “matura” e vede la presenza a Firenze di tre geni assoluti dell’arte, che influenzarono le generazioni a venire: Leonardo da Vinci, Michelangelo Buonarroti e Raffaello Sanzio.

Per il prossimo periodo parliamo di Manierismo.

Nella Firenze degli inizi del XVI secolo, tuttavia, molti altri artisti si trasferirono, spesso contribuendo a stili e contenuti alternativi che, nonostante il contenuto di alta qualità, tuttavia, a volte cadde nel vuoto.

Tra questi spicca Piero di Cosimo, l’ultimo grande artista dell’arte fiorentina, da Filippo Lippi a Botticelli e al Ghirlandaio. Piero, che deve il suo soprannome al suo maestro Cosimo Rosselli, era un artista geniale dotato di estrema immaginazione, capace di creare opere singolari e bizzarre. È un famoso esempio della serie di storie di umanità primitiva, nate come spalliere e oggi divise tra i principali musei del mondo.

Nella scultura l’unica alternativa a Michelangelo sembra essere quella di Andrea Sansovino, creatore di forme snelle e vivaci, e poi del suo allievo Jacopo. Altri scultori, sebbene molto attivi e richiesti, non rinnovarono il loro repertorio, riferendosi alla tradizione quattrocentesca, come Benedetto da Rovezzano.

In architettura in edifici sacri dominano gli studi su edifici a pianta centrale, eseguiti da Giuliano e Antonio da Sangallo il Vecchio, mentre nella costruzione privata Baccio d’Agnolo importa modelli classici al romano (Palazzo Bartolini Salimbeni), essendo prima criticato intensamente e solo dopo capito e imitato.

Caratteristiche
Almeno tre erano gli elementi essenziali del nuovo stile:

Formulazione delle regole della prospettiva centrica lineare, che ha organizzato lo spazio insieme;
Attenzione all’uomo come individuo, sia nella fisionomia che nell’anatomia e nella rappresentazione delle emozioni
Rifiuto di elementi decorativi e ritorno all’essenzialità.
Tra queste, la più caratteristica era certamente quella della prospettiva centrica lineare, costruita secondo un metodo matematico-geometrico e misurabile, sviluppato all’inizio del secolo da Filippo Brunelleschi. La facilità di applicazione, che non richiedeva conoscenze geometriche di particolare raffinatezza, era uno dei fattori chiave del successo del metodo, adottato dai negozi con una certa elasticità e con modalità non sempre ortodosse.

La prospettiva centrica lineare è solo un modo di rappresentare la realtà, ma il suo carattere è particolarmente in sintonia con la mentalità dell’uomo del Rinascimento, poiché ha dato origine a un ordine razionale dello spazio, secondo criteri stabiliti dagli stessi artisti. Se da un lato la presenza di regole matematiche rendeva la prospettiva una questione oggettiva, dall’altro le scelte che determinavano queste regole erano di natura perfettamente soggettiva, come la posizione del punto di fuga, la distanza dallo spettatore, l’altezza dell’orizzonte. In definitiva, la prospettiva del Rinascimento non è altro che una convenzione rappresentativa, che oggi è così profondamente radicata da apparire naturale, anche se alcuni movimenti del XIX secolo come il cubismo, hanno mostrato come sia solo un’illusione.

Contesto sociale e culturale
Il rinnovamento culturale e scientifico iniziò negli ultimi decenni del Trecento e all’inizio del Quattrocento a Firenze e fu radicato nella riscoperta dei classici, iniziata già nel Trecento da Francesco Petrarca e da altri studiosi. Nelle loro opere l’uomo ha cominciato a essere l’argomento centrale piuttosto che Dio (il Canzoniere di Petrarca e il Decameron di Boccaccio ne sono un chiaro esempio).

All’inizio del secolo gli artisti della città erano in bilico su due scelte principali: l’adesione allo stile gotico internazionale o un recupero più rigoroso dei modi classici, per altri sempre riecheggiati nell’arte fiorentina dal XII secolo. Ogni artista si è dedicato, più o meno consapevolmente, a una delle due strade, anche se quella che prevaleva era la seconda. È sbagliato, tuttavia, immaginare un linguaggio rinascimentale trionfante avanzato che procede contro una cultura sclerotica e morente, come stabilito da una storiografia ormai superata: il tardo gotico era un linguaggio vivace come mai prima, che in alcuni paesi era apprezzato ben oltre il XV secolo, e la nuova proposta fiorentina era inizialmente solo un’alternativa di una chiara minoranza, inascoltata e fraintesa per gli ultimi vent’anni a Firenze stessa, come dimostra ad esempio il successo in quegli anni di artisti come Gentile da Fabriano o Lorenzo Ghiberti .

La “rinascita” è riuscita ad avere una diffusione e una continuità straordinariamente ampia, da cui è emersa una nuova percezione dell’uomo e del mondo, in cui l’individuo è in grado di autodeterminarsi e coltivare le proprie capacità, con le quali può vincere la fortuna ( in senso latino, “destino”) e dominano la natura modificandola. Altrettanto importante è la vita associata, che acquista un valore particolarmente positivo legato alla dialettica, allo scambio di opinioni e informazioni, al confronto.

Questo nuovo concetto si diffuse con entusiasmo, ma, basandosi sulla forza degli individui, non era privo di lati duri e angoscianti, sconosciuti nel rassicurante sistema medievale. Alle certezze del mondo tolemaico, le incertezze dell’ignoto furono sostituite, la volubile fortuna si alternò con la fede nella Provvidenza, e la responsabilità dell’autodeterminazione comportò l’angoscia del dubbio, dell’errore, del fallimento. Questo lato negativo, più sofferente e spaventoso, è tornato ogni volta che il fragile equilibrio economico, sociale e politico è fallito, portando via il sostegno agli ideali.

I nuovi temi erano in ogni caso l’eredità di una piccola élite, che godeva di un’educazione progettata per un futuro negli uffici pubblici. Gli ideali degli umanisti, tuttavia, erano condivisi dalla maggior parte della società borghese mercantile e artigianale, soprattutto perché si riflettevano efficacemente nella vita di tutti i giorni, all’insegna del pragmatismo, dell’individualismo, della competitività, della legittimità della ricchezza e dell’esaltazione. di vita attiva. Gli artisti erano anche partecipanti a questi valori, anche se non avevano un’educazione che potesse competere con quella dei letterati; tuttavia, grazie anche alle opportune collaborazioni e alle grandi capacità tecniche apprese sul campo, le loro opere hanno suscitato un ampio interesse a tutti i livelli, eliminando le differenze elitarie perché sono più facili da usare rispetto alla letteratura, rigorosamente ancora scritta in latino.

La crisi del terzo decennio del 16 ° secolo
Le nuove generazioni di pittori non possono ignorare il confronto con il grande e le loro opere lasciate in città: Leonardo, Michelangelo e Raffaello fanno necessariamente scuola, ma ci sono anche tendenze a superare il loro esempio, ponendo l’accento su altre caratteristiche, fino quasi a esasperarli È l’alba del Manierismo.

Fra Bartolomeo
Dopo una pausa di quattro anni, causata dall’assunzione di voti per sconvolgimenti personali legati agli eventi di Savonarola, Fra Bartolomeo riprese la pittura nel 1504. Inizialmente influenzato da Cosimo Rosselli, il suo maestro, e dalla cerchia del Ghirlandaio, si orientò verso una concezione severa ed essenziale delle immagini sacre, aprendosi alle suggestioni dei “grandi”, in particolare di Raffaello con cui ha avuto un’amicizia personale negli anni della sua permanenza fiorentina.

Un viaggio a Venezia arricchì la sua tavolozza, come si può vedere da opere come la pala d’altare dell’Eterna in gloria tra i santi Maddalena e Caterina da Siena (1508), di austera e composta eloquenza. Nel Matrimonio mistico di Santa Caterina da Siena (1511), riprende lo schema della Madonna del Baldacchino di Raffaello, aumentando la monumentalità delle figure e variando maggiormente l’atteggiamento dei personaggi.

L’occasione di un viaggio a Roma gli permise di vedere le opere di Michelangelo e Raffaello in Vaticano, che, secondo Vasari, lo lasciarono turbato: da allora il suo stile si è ripiegato su se stesso, diminuendo il vigore e l’entusiasmo innovativo.

Andrea del Sarto
Anche per Andrea del Sarto il punto di partenza sono state le opere dei tre “geni” a Firenze, nonostante la formazione nel laboratorio di Piero di Cosimo. Sperimentatore di nuove iconografie e tecniche diverse, ha dato la sua prima prova di valore nel Chiostrino dei voti della Santissima Annunziata e nel chiostro di Scalzo a Firenze, quest’ultimo ha portato alla monocromia. La modernità del suo linguaggio divenne presto un punto di riferimento per un gruppo di artisti, pari o più giovani, come Franciabigio, Pontormo e Rosso Fiorentino, che negli anni dieci formarono una vera scuola chiamata “dell’Annunziata”, in contrapposizione al scuola “di San Marco” di Fra Bartolomeo e Mariotto Albertinelli, con gli accenti stilistici più solenni e in pausa.

La sua eccellente capacità di disegno gli ha permesso di conciliare anche spunti apparentemente lontani, come la sfumatura di Leonardo, la prominenza plastica di Michelangelo e il classicismo di Raffaello, in nome di un’esecuzione impeccabile e allo stesso tempo molto libera e libera nella modellazione, che vale la pena il soprannome del pittore “senza errori”.

Attorno al 1515 prese parte alla decorazione della Camera Nuziale Borgherini, con vivaci schemi narrativi, seguiti nel 1517 dal suo capolavoro, la Madonna delle Arpie, con colori diafani e monumentalità sapientemente dosata, senza ricorrere alla forzatura anatomica dei suoi colleghi più giovani. .

Tra il 1518 e il 1519 si trasferì alla corte di Francesco I di Francia, dove perse la grande opportunità di “nostalgia e abbandono”, come fece notare Luciano Berti. Tornato a Firenze ha approfondito il dialogo con Pontormo e Rosso, affinando le sottigliezze esecutive e il trattamento del colore, che ora diventa luccicante e trasparente, con accostamenti audaci e dissonanti. Con la Madonna in gloria con quattro santi per Poppi, del 1530, chiuse la sua carriera, anticipando i motivi devozionali della seconda metà del secolo.

Pontormo
A differenza di Andrea del Sarto, il suo allievo Pontormo iniziò un sistematico lavoro di rinnovamento dei tradizionali schemi compositivi, quasi spregiudicato, come si vede nelle sue tabelle per la Camera nuziale Borgherini: molto più complesso che nei suoi colleghi è infatti l’organizzazione spaziale e la narrativa di gli episodi, come Giuseppe in Egitto. Ancora più innovativo è il Pala Pucci (1518), dove la struttura tipica della conversazione sacra è sconvolta, con la disposizione delle figure lungo linee diagonali, con espressioni caricate che continuano la ricerca di “affetti” iniziate da Leonardo.

Nel 1521 creò una scena bucolica dalla classica idealizzazione nella lunetta di Vertumno e Pomona nella villa medicea di Poggio a Caiano e dal 1522 al 1525 visse alla Certosa, dove fu autore di una serie di lunette ispirate al incisioni di Albrecht Dürer. La scelta del modello nordico, sebbene oggi molto popolare in tutto il nord Italia, assunse in questo caso anche un significato di controversa rottura verso la tradizione rinascimentale fiorentina, così come un velato apprezzamento per le nuove idee di riforma che venivano dalla Germania, come era Non manca di criticare la “Controriforma” Giorgio Vasari.

Una frattura inconciliabile con il passato è registrata nella decorazione della Cappella Capponi di Santa Felicita a Firenze, in particolare nella pala d’altare con il Trasporto di Cristo alla tomba (1526-1528): privo di riferimenti ambientali, mostra, con una tavolozza di sfumature diafane e smaltate, undici personaggi in uno spazio ambiguo, dove l’effetto fluttuante e senza peso di molte figure è combinato con gesti enfatici e espressioni tese. Il risultato è un intellettualismo finissimo, enigmatico e sottilmente ricercato. Effetti simili sono confermati nella Visitazione di Carmignano, un po ‘più tardi (1528-1529).

La sua complessa personalità, soprattutto durante l’impresa degli affreschi perduti nell’abside di San Lorenzo, in cui il confronto con Michelangelo e il desiderio di superarlo divenne quasi un’ossessione, divenne sempre più introversa e tormentata, facendone il prototipo malinconico e solitario artista.

Rosso Fiorentino
Anche allievo di Andrea del Sarto, Rosso Fiorentino condivide il percorso formativo artistico con il Pontormo quasi contemporaneo, finché nel 1523 lascia Firenze per Roma. Coinvolto in tutte le innovazioni di quegli anni, ha anche intrapreso un profondo rinnovamento della tradizione, affrontando un originale recupero della deformazione espressiva, quasi caricaturale, richiamando accenni che si possono trovare nelle opere di Filippino Lippi e Piero di Cosimo. Il suo capolavoro è la Deposizione dalla croce nella civica Pinacoteca di Volterra (1521), dove in un sistema compositivo giocato su un intreccio di linee quasi paradossali (come la doppia direzione delle scale appoggiate sulla croce), numerosi personaggi con espressioni forzate eseguire gesti convulsi e agitati.

Michelangelo a San Lorenzo
Nel 1515 la solenne visita di Papa Leone X (Giovanni de ‘Medici, figlio di Lorenzo il Magnifico) nella sua città natale segnò la restaurazione del pieno dominio dei Medici dopo la parentesi repubblicana, la penultima. La creazione di grandi apparati effimeri vide la partecipazione dei migliori artisti attivi della città, tra cui Jacopo Sansovino e Andrea del Sarto, che furono responsabili della costruzione di una facciata effimera per la cattedrale incompiuta. L’impresa colpì il pontefice che, poco dopo, bandì un concorso per realizzare un’altra facciata incompleta, quella della chiesa patreonata dei Medici, San Lorenzo. Raccolto alcuni progetti (tra gli altri da Giuliano da Sangallo, Raffaello, Jacopo e Andrea Sansovino), il papa scelse infine quello di Michelangelo, caratterizzato da una elevazione rettangolare non legata alla forma saliente della navata della chiesa, che era più simile al profano modelli finora costruiti piuttosto che le chiese. Il progetto, che comprendeva anche un vasto apparato scultoreo sia in marmo che in bronzo, fu commissionato alla fine del 1517, ma una serie di scelte ed eventi (principalmente legati a problemi con le cave scelte per la fornitura di pietre) rallentò il lavoro e allo stesso tempo ha fatto lievitare i costi.

Nel 1519 Lorenzo, duca di Urbino, nipote del Papa, scomparve tragicamente, sulle cui spalle pesavano le speranze del successo dinastico dei Medici nell’Italia centrale, soprattutto dopo la scomparsa dell’altro rampollo Giuliano, duca di Nemour. Questi eventi portarono il papa piuttosto a promuovere un’altra attività nel complesso Laurentia, o la creazione di una cappella funeraria, conosciuta come la Sagrestia Nuova, che fu sempre incaricata di Michelangelo. Già nel 1520, una lettera dell’artista, insieme al rimpianto per il licenziamento della grande impresa della facciata, ricorda come gli studi per la cappella funeraria fossero già stati avviati. Di forma analoga e simmetrica alla Sacrestia corrispondente del Brunelleschi, realizzata un secolo prima ancora per i Medici, la nuova cappella fu progettata per ospitare sia le tombe dei due duchi, che dei due “magnifici” Lorenzo e Giuliano, rispettivamente padre e zio del Papa. Inizialmente, Michelangelo presentò un progetto con un piano centrale, che rielaborò il profilo della prima idea per la tomba di Giulio II; una certa ristrettezza dello spazio fatta poi si protende verso una soluzione con i monumenti funerari appoggiati alle pareti. Architettonicamente, lo schema delle pareti devia dal modello di Brunelleschi per l’inserimento delle finestre in uno spazio intermedio tra la parete inferiore e le lancette sotto la cupola, e con un ricordo di elementi più densi e articolati con maggiore libertà, sotto lo stendardo di un vibrante momento verticale, che termina nella cupola a cassettoni in stile classico, al posto della volta a ombrello. Le tombe, più che appoggiate l’una all’altra, si rapportano dinamicamente alle pareti, con le statue ospitate da nicchie che riprendono la forma delle nicchie sopra le porte e le finestre.

Una prima sospensione del lavoro avvenne alla morte del Papa (1521), e ancora, nonostante il recupero con l’elezione di Clemente VII, al secolo Giulio de ‘Medici, un secondo arresto con il sacco di Roma (1527) e l’ultimo insediamento repubblicano a Firenze, che ha visto l’artista stesso profondamente coinvolto. Con l’assedio di Firenze nella ripresa della città da parte dei Medici (1530), Michelangelo fu costretto a riprendere il progetto per i clienti contestati, e si dedicò ad esso con un impeto quasi frenetico fino alla sua ultima partenza per Roma, nel 1534. Così creò le statue dei due duchi, di proposito classico e ideale, senza interesse per la ritrattistica, e quattro Allegorie del Tempo, figure espansive della Notte, del Giorno, del Crepuscolo e dell’Aurora, complemantari per tema e posa, oltre alla Madonna medicea. Il tema generale è quello della sopravvivenza della dinastia dei Medici per il passare del tempo e il conforto offerto dalla religione (la Madonna) a cui gli occhi dei due duchi sono indirizzati per sempre. Le statue fluviali di corredo, i rilievi in ​​bronzo e gli affreschi che probabilmente dovevano documentare le lunette non furono mai realizzati.

Dal 1524 i lavori sulla sagrestia si intrecciarono con quelli di un altro grande progetto in San Lorenzo, quello della biblioteca Medicea Laurenziana, commissionato da Clemente VII. La sala di lettura, riprendendo quella di Michelozzo a San Marco, ha uno sviluppo longitudinale e finestre ben visibili su entrambi i lati, senza tuttavia ricorrere alla divisione in corsie. anche qui le pareti e il soffitto speculare e il design del pavimento creano una scansione geometrica ritmata dello spazio. Questo contrasta con i violenti contrasti di plastica e il forte slancio verticale del vestibolo.

Le architetture di Michelangelo a San Lorenzo esercitarono un’enorme influenza sulla cultura artistica dell’epoca perché, come ricordava anche Vasari, introdussero il tema delle “licenze” nel linguaggio architettonico classico.