Architettura neoclassica italiana

L’architettura neoclassica in Italia si sviluppò a partire dalla seconda metà del XVIII secolo, nel contesto di piccoli stati, spesso in conflitto tra loro e dominati da potenze straniere, che precedettero l’istituzione del regno unitario sotto Vittorio Emanuele II.

Per questa ragione il neoclassicismo non si affermò nello stesso modo su tutto il territorio; l’assenza di una cultura unitaria e la grande povertà che attanaglia la penisola italiana nel XVIII secolo non erano circostanze favorevoli per una fiorente produzione architettonica.

All’inizio dello stesso secolo avvenne una breve ma straordinaria stagione tardo-barocca: a Roma furono realizzati monumenti come Piazza di Spagna, Fontana di Trevi e Piazza Sant’Ignazio, mentre in Piemonte erano presenti Filippo Juvarra e Bernardo Antonio Vittone. L’attività si spostò poi nel Regno di Napoli, dove Ferdinando Fuga e Luigi Vanvitelli erano stati chiamati a sollevare rispettivamente il Real Albergo dei Poveri e la Reggia di Caserta; in particolare, il Palazzo, nonostante accenni esterni di un certo contenuto neoclassico, è considerato l’ultimo grande successo e incarnazione della migliore tradizione del barocco italiano. L’affermazione del neoclassicismo era quindi lenta e faticosa, ed era essenzialmente influenzata dai contributi stranieri, in particolare dalla Francia.

A questo quadro generale si aggiunge la mancanza di interesse degli studiosi nell’architettura neoclassica italiana, che per lungo tempo ha limitato un esame accurato e sereno. Nonostante le difficoltà generate dal contesto socio-politico, il neoclassicismo in Italia ha prodotto numerose opere notevoli. Studi più recenti hanno infatti evidenziato i tratti distintivi, le peculiarità e, in qualche modo, le caratteristiche unitarie della produzione italiana, nelle sue variazioni regionali o anche locali, nel contesto di quel policentrismo che ancora caratterizzava la Penisola tra il XVIII secolo e il XIX secolo.

Contesto storico
I complessi eventi che hanno interessato le regioni italiane tra la fine del XVIII secolo e i primi decenni del XIX secolo possono essere sostanzialmente distinti in una fase pre-rivoluzionaria o settecentesca, in una fase rivoluzionaria che coincide con l’occupazione francese, e in una terza fase, quella del Restauro, che ha preceduto l’annessione al Regno d’Italia.

Con la rivoluzione francese i rapporti tra gli Stati pontifici e la Francia si deteriorarono considerevolmente. Durante la campagna italiana del 1796 i territori della Chiesa furono invasi e la città di Roma fu occupata; dichiarata Repubblica Romana, Papa Pio VI fu deportato prima in Toscana e poi in Francia. Il nuovo pontefice, Pio VII, fu in grado di tornare a Roma quando le forze della coalizione prevalse sui francesi. Nello stesso tempo Napoleone Bonaparte sostituì la spinta rivoluzionaria con l’idea di costituire un impero mondiale; al fine di stabilire l’unità religiosa, ha stipulato un concordato con la Chiesa, ma di fronte al rifiuto del papa di opporsi ai nemici della Francia, lo Stato Pontificio è stato nuovamente occupato, fino alla definitiva capitolazione di Bonaparte.

Le prime ostilità tra Francia e Regno di Napoli si verificarono nel 1793; nel 1796 fu stipulato un armistizio, ma nel 1799 Napoli e il suo regno furono invasi dall’esercito francese. Sulla scia della rivoluzione, nel 1799 fu istituita la Repubblica Napoletana, che fu maledettamente repressa nel giro di pochi mesi e fu seguita dal primo restauro dei Borboni. Nel 1801 il regno stipulò un trattato di neutralità con la Francia, ma la violazione del patto provocò la seconda occupazione francese della città e il licenziamento di Ferdinando IV, con l’ascesa al trono di Giuseppe Bonaparte. Bonaparte mantenne lo stato tra il 1806 e il 1808, quando fu sostituito da Gioacchino Murat, che vi rimase fino al 1815, anno del secondo restauro dei Borboni.

La Repubblica di Venezia cessò di esistere nel 1797. Fu occupata dalle truppe di Napoleone, ma parte dei suoi territori furono ceduti all’impero austriaco in seguito al trattato di Campoformio. Il cambio di regime ha causato una grave crisi economica. Le cose migliorarono con il ritorno dei francesi; Il Veneto fu quindi annessa al Regno d’Italia, tuttavia, con il Congresso di Vienna il territorio unificato di Lombardia-Veneto tornò sotto il controllo austriaco.

Nel 1737 il Granducato di Toscana passò sotto gli Asburgo-Lorena. Con Pietro Leopoldo di Lorena, che fu Granduca tra il 1765 e il 1790, lo stato fu influenzato da importanti riforme del commercio, della pubblica amministrazione e della giustizia. In seguito all’occupazione francese vi fu la formazione del Regno di Etruria (1801-1807) e la successiva annessione della Toscana all’impero francese. Il restauro di Ferdinando III di Lorena nel 1814, l’ascesa al trono di suo figlio Leopoldo II e l’annessione della Repubblica di Lucca nel 1847 completano l’affare politico toscano dell’età neoclassica.

La Lombardia alla fine del XVIII secolo era ancora soggetta all ‘impero austriaco, ma nel 1797, con la nascita di Napoleone, l’ex Ducato di Milano entrò a far parte della Repubblica Cisalpina. Durante l’amministrazione francese, Milano divenne il punto d’incontro di tutti i giacobini e di tutti i progressisti italiani. Per un breve periodo la regione tornò sotto il controllo austriaco, ma il 2 giugno 1800 Napoleone entrò a Milano alla testa del suo esercito. Dopo la battaglia di Marengo nacque la seconda Repubblica Cisalpina, che in un primo momento cambiò il suo nome nella Repubblica Italiana e poi nel Regno d’Italia, fino all’autunno del 1814.

Il Regno di Sardegna, dopo la sconfitta subita dai piemontesi nel 1796 dall’esercito francese nel contesto della prima campagna italiana, diede a Nizza e Savoia la Francia. Nel 1800, durante la seconda campagna italiana, Napoleone ottenne il possesso del Piemonte e della Liguria, che nel frattempo era stata trasformata nella Repubblica Ligure. Tra il 1802 e il 1805 il Piemonte e Genova furono uniti all’impero francese. Dopo il Congresso di Vienna, che ristabilì la Savoia sul trono piemontese, il Regno di Sardegna fu incrementato dalla Liguria.

Varianti regionali

Veneto
Sebbene gran parte dei critici ritengano che il neoclassicismo italiano abbia avuto origine a Roma, è stato tuttavia nel Veneto che un gusto architettonico stava gradualmente prendendo forma nella prima metà del XVIII secolo, più in linea con le tendenze europee. Sebbene sia difficile stabilire la nascita di un preciso orientamento neoclassico, il Museo Maffiano di Verona, completato nel 1745 da Alessandro Pompeii (1705-1782), può essere considerato un’anticipazione del Neoclassicismo.

Allo stesso tempo, Venezia ha avuto un ruolo nell’elaborazione teorica dei principi neoclassici con la presenza di Carlo Lodoli e Francesco Algarotti, sostenitori di idee funzionaliste e antibarbariche, che operavano in un contesto ancora largamente dominato dall’eredità del Palladio, senza quindi essere in grado di esercitare molta influenza sui contemporanei. A Venezia, invece, è possibile identificare una linea architettonica di una certa consistenza, già presente nel portico della chiesa di San Nicola da Tolentino (1706-1714) di Andrea Tirali, cui seguirono le chiese di San Simone Piccolo di Giovanni Antonio Scalfarotto e della Maddalena (1780) di Tommaso Temanza, che già nel 1748 aveva proposto una facciata di sapore razionale alla chiesa di Santa Margherita a Padova. La Chiesa della Maddalena, in particolare, può essere considerata un manifesto dei nuovi orientamenti. Stranamente criticato dai contemporanei per il suo eccesso di “paganità”, è stato concepito come un volume cilindrico compatto, attorno al quale ruotano gli spazi irregolari dell’antico tessuto urbano veneziano.

Nei primi anni del XIX secolo la maggior parte delle commissioni fu affidata a architetti stranieri, come Giuseppe Soli, autore del lato occidentale di Piazza San Marco, e Lorenzo Santi, che rinnovò il palazzo patriarcale.

Dopo l’intervallo napoleonico, Giuseppe Jappelli (1785-1852) si stabilì; studente di Selva, deve la sua fama al Caffè Pedrocchi e al Pedrocchino di Padova, un edificio eclettico in cui si combinano anche forme neogotiche. Ha anche lavorato in numerose ville venete, mostrando uno stile deciso e competente, degno del neoclassicismo internazionale.

Roma
A Roma, dopo la straordinaria stagione barocca e tardobarocca che produsse i suoi frutti fino ai primi decenni del diciottesimo secolo, non vi fu attività particolarmente vivace. In ogni caso, la cultura teorica del Veneto ha trovato un punto di riferimento a Roma: l’ammirazione per il Palladio e lo studio del mondo antico si sono così fusi in un’unica linea culturale. Inoltre, nel 1740, Giovanni Battista Piranesi (1720-1778) arrivò nella capitale dello Stato Pontificio da Venezia; lo studio delle vestigia romane ha fornito uno stimolo eccitante alla sua produzione incisoria, con la stesura di opere che influenzeranno notevolmente la cultura neoclassica. Tuttavia, la sua produzione architettonica era limitata: la chiesa di Santa Maria al Priorato (1764) appare come un edificio molto tradizionale, ricco di decorazioni assolutamente distanti dalla serenità ellenica voluta da Johann Joachim Winckelmann. Un altro veneziano, Giacomo Quarenghi (1744-1817), prima di partire per la Russia, ricostruì la cattedrale di Santa Scolastica a Subiaco, in un palladianesimo semplificato rivisitato attraverso la conoscenza dei monumenti antichi.

La seconda metà del secolo vide l’attivo Marchese Carlo Marchionni (1702-1786), chiamato a costruire la villa del cardinale Albani. Caratterizzato da un neocinquecentismo ridondante, l’abitazione può essere considerata un teatro per i nuovi orientamenti dell’architettura romana; basti pensare che il suo cliente era un grande collezionista di reperti archeologici, promotore di campagne di scavo, ai cui meriti aggiungeva che aveva nominato Winckelmann come bibliotecario. Tuttavia, il nome di Marchionni è legato soprattutto a quello della Sagrestia di San Pietro in Vaticano, un’opera infelice, eccessivamente sontuosa, che subì severe critiche dall’unico studioso italiano di una certa importanza, Francesco Milizia. La Milizia era infatti un’ammiratrice della semplicità dell’arte greca e delle grandiose opere pubbliche romane. Ha sostenuto l’idea dell’architettura come arte razionale al servizio della società civile; un aspetto interessante del suo pensiero, tuttavia, era quello di non escludere, negli interventi di pianificazione urbana, la necessità del diverso, dell’irregolare, per quanto controllato e non spontaneo, per annullare il rischio di monotonia.

Il vero Neoclassicismo giunse a Roma con Giovanni Battista Visconti, commissario di Musei e Soprintendente alle antichità, succedendo a Winckelmann dopo il 1768. Visconti promosse una serie di significative trasformazioni ai Musei Vaticani, che iniziò con l’alterazione del cortile ottagonale di Alessandro Dori, in seguito sostituito da Michelangelo Simonetti. Dopo il 1775, sotto il pontificato di Papa Pio VI, l’opera riprese con maggiore vigore. Sul progetto dello stesso Simonetti e di Pietro Camporese furono aggiunte imponenti sale museali, come la Musa, la sala della croce greca e la scala di accesso. Tra il 1817 e il 1822, Raffaele Stern creò il cosiddetto Braccio Nuovo. Presi insieme, questi ambienti costituiscono una sequenza di spazi diversi, tutti caratterizzati da un’insolita correttezza archeologica, che tuttavia sarà difficile da applicare alle opere minori.

L’occupazione francese di Roma coincise con l’affermazione di uno stile neoclassico che era sicuro e facile da imitare. Giuseppe Valadier (1762-1839), che aveva lavorato a lungo nello stato pontificio e in particolare a Urbino, dove aveva restaurato la cattedrale in stile neopalladiano, divenne la principale figura di riferimento. Per giustificare il successo dell’architetto, ha contribuito, almeno inizialmente, alla duplice condizione di un buon cattolico e di un’origine francese. Valadier fu coinvolto nel restauro del Colosseo, dell’Arco di Tito, del Pantheon e di Ponte Milvio, dedicandosi anche ai progetti di Villa Torlonia, al Caffè del Pincio, alla facciata di San Rocco e alla sistemazione di Piazza del Popolo, quest’ultimo considerato un capolavoro del neoclassicismo italiano da un punto di vista urbano.

Prima dell’intervento di Valadier, Piazza del Popolo si presentava come uno spazio caotico, ma fortemente caratterizzato, tra la Porta del Popolo e le chiese barocche di Carlo Rainaldi. Nel 1793, tenendo conto delle indicazioni di un concorso tenutosi vent’anni prima, l’architetto presentò una prima proposta per la sistemazione della piazza, caratterizzata da uno spazio architettonico a forma di trapezio, con grandi edifici destinati a caserme, schermati da due ordini di colonne. Questo progetto è stato seguito da un secondo progetto, in cui è stato mantenuto il piano trapezoidale, ma, al posto dei lunghi edifici previsti nella soluzione iniziale, sono stati inseriti due cancelli, oltre i quali sono stati progettati grandi giardini. Il progetto definitivo, influenzato da alcune modifiche introdotte da Louis-Martin Berthault, fu approvato nel 1813. Valadier prese il quadrato in una forma ellittica, con l’inserimento di due pareti monumentali simmetriche ai lati delle chiese gemelle Rainaldi; inoltre collegava i due emicicli con la Via del Babuino e la Ripetta grazie alla presenza di nuovi edifici, e simmetria simile conferiva il lato rivolto verso la Basilica di Santa Maria del Popolo. Come notato dalla critica, in Piazza del Popolo il neoclassicismo non è diventato l’elemento dominante, ma ha contribuito alla perfetta convivenza tra le diverse emergenze architettoniche.

Napoli
La colonia agricola di San Leucio appartiene alla fase settecentesca del neoclassicismo napoletano, costruita a partire dal 1773 per volere di Ferdinando IV a pochi chilometri dalla capitale del regno. La colonia può essere considerata un anello nella catena delle utopie del diciottesimo e diciannovesimo secolo. Il suo sistema era basato su un codice che sanciva il diritto e il dovere di lavorare, oltre alla parità di tutti i coloni; la remunerazione è stata effettuata con un canone crescente basato sulla capacità. Inoltre, le capacità matrimoniali sono state abolite e c’era un sistema di assistenza reciproca per i malati e per gli anziani. Il governo fu affidato a rappresentanti del popolo, ma la presenza costante del re a San Leucio evidenziava tuttavia tutto l’assolutismo del sovrano. La composizione urbana della colonia è stata curata da Francesco Collecini (1723-1804), che si basava su un preciso ordine simmetrico. Dal punto di vista architettonico, le case hanno espresso un carattere rustico, non privo di una certa solidità. L’edificio principale, costituito dal Belvedere, conteneva la scuola, la chiesa, la residenza reale, la residenza dei principali cittadini, i depositi e le attrezzature dell’opificio. Il fronte meridionale, caratterizzato da ampie aperture vetrate, pilastri giganti e un alto timpano, testimonia un gusto classicistico derivato dall’opera di Luigi Vanvitelli.

Una rottura più marcata con la tradizione barocca si trova nella produzione architettonica realizzata durante il decennio francese (1806-1815). Questo periodo comprende una serie di importanti assi stradali, il cimitero di Poggioreale, la facciata del Teatro San Carlo e l’inizio dei lavori per il Palazzo di Piazza (poi Piazza del Plebiscito). Il completamento del Palazzo di Palazzo, con la Basilica di San Francesco di Paola, la ricostruzione del Teatro San Carlo dopo l’incendio che nel 1816 aveva distrutto le strutture settecentesche, il completamento del giardino botanico dell’Osservatorio Astronomico di Capodimonte ( quest’ultimo di Stefano Gasse), nonché i lavori per la Sala del Trono della Reggia di Caserta e per la riorganizzazione del Palazzo Reale diretta da Gaetano Genovese.

La chiesa di San Francesco di Paola è invece uno degli edifici sacri più importanti del periodo, tanto da essere considerata dalla critica “la più ricca e accurata delle nuove chiese italiane”. La sua costruzione, legata alle complesse vicende politiche del Regno di Napoli, fu intrapresa come coronamento del Palazzo di Largo. La prima idea di ordinare la piazza che si apriva davanti al Palazzo Reale era di Giuseppe Bonaparte, ma l’inizio dei lavori è dovuto a Gioacchino Murat, che nel 1809 annunciò un concorso per il relativo progetto. La competizione vide prevalere il disegno di Leopoldo Laperuta, che creò un colonnato ellittico di fronte al Palazzo Reale. Con la Restaurazione dei Borboni di Napoli, il re Ferdinando volle sottolineare il tempio che doveva trovarsi al centro del colonnato. È stato lanciato un secondo concorso che, dopo varie polemiche, ha visto emergere il progetto dell’architetto luganese Pietro Bianchi (1787-1849). Bianchi creò una chiesa fortemente ispirata al Pantheon di Roma, differenziandola solo nelle sue proporzioni e in presenza di due cupole più piccole ai lati del cappello principale. L’effetto complessivo è riuscito a classificare il passaggio tra l’ordine monumentale della piazza e gli edifici confusi situati sulla collina posteriore di Pizzofalcone. L’interno della chiesa, tuttavia, è meno felice dell’esterno, trasudando un freddo cimitero nella ricca decorazione di marmi, stucchi e ghirlande. Questa evidente lacuna insinuava il dubbio che il neoclassicismo fosse più adatto all’architettura delle ville, dei palazzi, dei teatri e dei palazzi piuttosto che a quello delle chiese; per questo motivo, poco dopo, l’architettura ecclesiastica si volse verso il neogotico.

Sicilia
Legato all’attività di Napoli, ma distinto da esso, è quello siciliano. In entrambe le aree geografiche, nonostante le scoperte archeologiche e il dibattito che ne è seguito, il neoclassicismo non è riuscito a imporsi su larga scala. Nei grandi centri urbani, grazie alle alte commissioni, ci sono episodi di grande portata innovativa, mentre nelle città più piccole la realtà rimarrà legata ai tipi consolidati di isole.

A Palermo, già nel 1750, fu completato Palazzo Isnello, la cui facciata principale, opera di un architetto sconosciuto, presenta elementi stilistici che precedono il neoclassicismo nella regione. In ogni caso, si ritiene che il superamento del sontuoso barocco locale coincida con la presenza sull’isola del francese Léon Dufourny, studioso degli antichi templi dell’isola, e che, a partire dal 1789, progettò l’edificio principale di il nuovo giardino botanico di Palermo, con un pronao in stile dorico.

Molto più tardi è attribuibile piuttosto all’eclettismo ottocentesco, invece è la costruzione, progettata da Giovan Battista Filippo Basile e suo figlio Ernesto, del Teatro Massimo di Palermo (1875-1897), un edificio faraonico impreziosito da un imponente apparato decorativo e una copertura di ferro.

Toscana
Nella seconda metà del Settecento Pietro Leopoldo divenne Granduca di Toscana; un sovrano illuminato, ha concentrato la sua attenzione sulla riforma dello stato, dimostrando un costante atteggiamento di prudenza nei confronti dei costi delle imprese architettoniche. Nel 1784 fonda l’Accademia di Belle Arti a Firenze, affidandone la direzione a Gaspare Paoletti, che, pur essendo un continuatore della tradizione rinascimentale, può essere considerato l’iniziatore del gusto neoclassico in Toscana. Paoletti, che vantava una preparazione eccellente sia a livello architettonico che a livello tecnico, trasmise ai suoi allievi questa duplice attitudine, proprio negli anni in cui a Parigi si svolse la scissione tra l’Académie des beaux-arts e l’École polytechnique. . A differenza di altre regioni, dove negli anni di rinnovamento arrivavano spesso architetti esterni, l’Accademia di Firenze costituiva direttamente i protagonisti di una stagione particolarmente densa e interessante per il Granducato di Toscana: Giuseppe Cacialli (1770-1828), Pasquale Poccianti (1774 -1858), Luigi de Cambray Digny (1779-1843), Cosimo Rossi Melocchi (1758-1820), Giuseppe Valentini (1752-1833), Alessandro Manetti (1787-1865) e Carlo Reishammer (1806-1883).

Negli anni della dominazione francese, Giuseppe Cacialli riscosse un notevole successo: lavorò alla Villa di Poggio Imperiale, a Palazzo Pitti, nel quartiere napoleonico di Palazzo Medici Riccardi. Spesso si è trovato a lavorare con Poccianti, anche se i rispettivi contributi sono sempre distinguibili. Così, mentre ai Poccianti dobbiamo la parte centrale della facciata della Villa di Poggio Imperiale, a Cacialli va il merito del resto dell’opera. Per quanto riguarda il cantiere di Palazzo Pitti, a Cacialli dobbiamo la Sala dell’Iliade, di Ercole, il bagno di Maria Teresa; a Poccianti il ​​completamento della Palazzina della Meridiana (iniziata da Paoletti), la sistemazione dei giri di testa sui lati della facciata e la scalinata monumentale.

Con il restauro di Pasquale Poccianti si affermò come l’architetto principale del Granducato di Toscana. La sua aggiunta alla Biblioteca Medicea Laurenziana (1816-1841), è uno degli esempi più rilevanti del Neoclassic a Firenze, anche se ha danneggiato la visione generale della fabbrica Michelangelesca. In ogni caso, la sua fama è essenzialmente legata al completamento dell’Acquedotto Leopoldino di Livorno, iniziato nel 1793 da Giuseppe Salvetti. Qui creò opere straordinariamente vicine a quelle dell’architettura di Claude-Nicolas Ledoux, come la Cisternone (1829-1842), il serbatoio alla fine del percorso del gasdotto e caratterizzato da una semi-cupola “rivoluzionaria” decorata con pannelli a cassettoni. Per l’acquedotto progettò anche altre due cisterne, il bacino del Pian di Rota e il cosiddetto Cisternino di città. Nel complesso, si tratta di edifici con volumi chiari e contrastanti, in cui le influenze francesi si combinano con l’evidente conoscenza dell’architettura termale romana e della tradizione toscana del XIV secolo (quest’ultima può essere vista nelle strette finestre a fessura aperte lungo i massicci corpi di la fabbrica di carri armati).

Il senese Agostino Fantastici (1782-1845), che probabilmente frequentò l’Accademia di San Luca e studiò sotto Raffaele Stern, era invece di formazione romana. Ritornato in patria, fu autore di numerosi interventi di architettura civile e religiosa. È stato profondamente influenzato da Piranesi, da cui trarrà un campione decorativo che può essere trovato in molte delle sue opere, sia nel campo dell’architettura che nella progettazione di mobili.

Nel ducato di Lucca lavorò Lorenzo Nottolini (1787-1851), che, negli stessi anni in cui Poccianti portò a termine l’acquedotto di Livorno, fu impegnato nell’imponente sistema di approvvigionamento lucchese, realizzando un condotto rialzato, perfettamente rettilineo, a tre chilometri lungo e supportato da oltre 400 archi.

Trieste
La città di Trieste è stata interessata da episodi secondari nella storia del neoclassicismo italiano. Porto libero dell’impero austriaco, nel 1729 aveva quattromila abitanti; all’inizio del diciannovesimo secolo c’erano circa trentamila. La città settecentesca fu tracciata da Francesco Saverio Bonomo, che progettò un sistema stradale a scacchi sul sito delle saline abbandonate. La nuova città coincide con lo sviluppo di un gusto neoclassico che risponde ai bisogni della borghesia urbana.

Villa Necker, Villa Murat e Palazzo Pitteri (1780) sono le opere che anticipano il neoclassicismo di Trieste. In ogni caso, la prima fabbrica aderente ad un vero codice neoclassico fu il Teatro Verdi, costruito a partire dal 1798 da Giannantonio Selva e completato nella sua maggioranza da Matteo Pertsch (1769-1834). La rassomiglianza del teatro al Teatro alla Scala di Milano testimonia la formazione dell’architetto, che era stato allievo dell’Accademia di Brera e di Giuseppe Piermarini.

Sempre a Pertsch si trova Palazzo Carciotti (1806), protetto da un portico esastilo leggermente sporgente che contiene una monumentale balaustra dietro la quale si apre una cupola semisferica. L’opera, un misto di classicismo nordico e reminiscenze palladiane, ha influenzato a lungo l’architettura civile triestina. Tra le sue altre conquiste spicca la Rotonda Panzera del 1818, originariamente destinata a ospitare una loggia massonica. La conformazione irregolare del lotto determinò la formazione di una prospettiva curvilinea, con una base su cui sorge un ordine gigante di colonne ioniche. Nella competizione per la Borsa mercantile, il disegno del Pertsch è stato preferito invece a quello di Antonio Mollari, che progettò un prezioso edificio protetto da un pronao tetrastilo.

Se la chiesa di Sant’Antonio fu definita come l’opera più interessante del suo tempo dal punto di vista spaziale, la Casa Costanzi, costruita da Nobile intorno al 1840, è presentata in uno stile chiaro e senza ornamenti, ormai fuori moda nel resto d’Europa.

lombardia
Negli ultimi decenni del Settecento, la Lombardia era ancora soggetta all’impero austriaco. Il clima riformista avviato da Maria Teresa pose le basi per un forte impulso nel campo dell’architettura; sono stati richiamati numerosi artisti, sono state costituite scuole e studi professionali. A Milano la scena è inizialmente dominata da Giuseppe Piermarini (1734-1808), il cui linguaggio, tuttavia, non può ancora essere considerato completamente neoclassico. Formatosi a Roma, fu allievo di Vanvitelli, di cui era stato collaboratore nella costruzione della Reggia di Caserta; tra le sue opere più significative il Palazzo Belgioioso (1772-1781), destinato a diventare un paradigma per i palazzi milanesi, la Villa Reale di Monza (del 1776), in cui rifiuta la ricerca di fluenze spaziali e compenetrazione dei diversi volumi e il Teatro alla Scala (1776-1778), che diventerà il modello per i teatri europei neoclassici. In generale, il vocabolario di Piermarini ha un sapore internazionale, che lo avvicina ad Ange-Jacques Gabriel, alla scuola austriaca, ma soprattutto a Vanvitelli; somiglianze che si possono vedere ad esempio nella facciata di Palazzo Belgioioso, il cui timpano centrale e l’uso del bugnato si riferiscono alla Reggia di Caserta.

Simone Simoni era un contemporaneo di Piermarini (1739-1818), che aveva lavorato anche per Vanvitelli e si era formato all’Accademia di Parma, con Ennemond Alexandre Petitot, ea Genova con Emanuele Andrea Tagliafichi. Rispetto a Piermarini, Cantoni era l’architetto di un’architettura più austera, capace di suscitare grandi valori emotivi. A Milano si è dedicato al design di Palazzo Serbelloni, che ha un corpo centrale con colonne che reggono un timpano; a Como costruì la Villa Olmo, con una facciata con nobile eloquenza.

Allo stesso tempo, a Mantova, la fondazione dell’Accademia locale, nel 1752, sancì una certa autonomia culturale da Milano. Una figura chiave dell’Accademia fu l’architetto veronese Paolo Pozzo, il cui neocinquecentismo ebbe origine da una profonda riflessione sull’opera di Giulio Romano. Sotto gli insegnamenti di Pozzo si formarono Leandro Marconi, attivo a Cesena con significative opere nel campo della decorazione murale, e Antonio Colonna, autore del Palazzo d’Arco a Mantova.

Per Leopoldo Pollack (1751-1806) e Luigi Canonica (1764-1844), allievi del Piermarini, va il merito di aver affermato le nuove tendenze architettoniche, conferendo loro un tono più unitario e coerente. Il pollack, di origine e formazione viennese, ha lavorato soprattutto per la nobiltà milanese. La sua fama è legata alla Villa Reale di Milano (1790-1796), che nonostante si riferisca a modelli francesi e palladiani, presenta il carattere compatto della facciata di Palazzo Belgioioso. Tra le altre opere di Pollack citiamo Villa Casati a Muggiò e la Rotonda di via Borgovico, a Como, dove l’elemento dominante è la sala centrale ovale. Tuttavia, come quelli del Piermarini e della Canonica, le piante di Pollock non sono particolarmente interessanti.
Durante l’occupazione francese, Piermarini tornò alla natia Foligno e la Canonica ticinese fu nominata “Architetto di Stato” e posta a capo della commissione ornata. La Commissione, istituita nel 1807, è responsabile della stesura del piano regolatore di Milano, uno strumento volto a regolamentare l’edilizia privata e l’esproprio dei terreni per la costruzione di nuove strade. In questo contesto, Canonica è stata in grado di seguire vari interventi urbani e costruire molti edifici pubblici: in particolare, è l’ampliamento del Collegio elvetico per il Senato. Esperto di architettura teatrale, ha seguito l’espansione della Scala e ne ha creati altri in diverse città del nord Italia. Il suo è il progetto per l’Arena, frutto di un disegno più ampio, promosso anche da Giovanni Antonio Antolini, per la sistemazione delle aree attorno al Castello Sforzesco.

L’edificio che chiude il neoclassicismo milanese è la chiesa di San Carlo al Corso, opera di Carlo Amati, completata nel 1847, in cui si innestano accenti palladiani e bramanteschi, ritenuti comunque troppo imponenti nelle sue dimensioni.

Piemonte
In Piemonte, la fase di transizione al neoclassicismo ha visto personalità attive spesso in stretta relazione con le società degli studiosi subalpini impegnati nel confronto con la nuova circolazione della cultura, in senso romano e parigino; ricordiamo Giuseppe Battista Piacenza, Carlo Randoni e alcuni primi lavori di Filippo Castelli.

In ogni caso, qui il neoclassico aveva un forte valore urbano, piuttosto che architettonico. La città di Torino, tra il 1810 e il 1816, passò da 66.000 a 88.000 abitanti; le antiche fortificazioni furono demolite, con la costruzione di nuove strade e quartieri. Il cuore delle nuove espansioni fu la chiesa della Grande Madre di Dio (1814-1831), un edificio circolare, preceduto da un pronao sul modello del Pantheon a Roma, che fu eretto da Ferdinando Bonsignore (1767-1843) su a margine della contemporanea piazza Vittorio Veneto.

Insegnando a Bonsignore, Università e Accademia a Torino ha creato diverse generazioni di abili architetti, che si sono diffusi in tutto il Piemonte e anche nell’area genovese e nizzardo i risultati di una scuola di grande validità e spessore culturale. Tra gli altri, troviamo l’educato Giuseppe Maria Talucchi, il braccio destro di Bonsignore all’università e l’autore dell’imponente chiesa di Santa Maria del Borgo a Vigone (1835 sgg.), Benedetto Brunati, Luigi Canina, Ernesto Melano, quest’ultimo attivo anche nei cortili di corte carloalbertini, lo svizzero Giuseppe Leoni, Giuseppe Formento, l’eporediese Giovanni Pessatti, Michelangelo Bossi, ecc. Nel cortile, a partire dagli anni di Carlo Alberto di Savoia-Carignano, al Palazzo Reale di Torino , in the Pollenzo estate , at the Racconigi castle , he worked as artistic director Pelagio Palagi , assisted for the architecture, even with autonomous realizations, from Carlo Sada .

In the second half of the nineteenth century Alessandro Antonelli , a pupil of Bonsignore and Talucchi, author of the Novara Cathedral , covered the enormous buildings of the Mole Antonelliana of Turin and the dome of San Gaudenzio in Novara itself, forcing the canonical proportions towards a new idea of architecture, strongly marked by structural experiments.

Genoa
In Genoa , the precursor of Neoclassicism was Emanuele Andrea Tagliafichi (1729-1811); formed in Rome, he was the first urban planner of the Ligurian city, he taught in the local Accademia Ligustica and, from 1806, he was a member of the Istitut de France . Among his works, in which there are strong references to Palladio , are the works at Palazzo Durazzo-Pallavicini (about 1780). In 1777 he took part in the competition for the reconstruction of the Palazzo Ducale , which however saw the prevailing project of the Ticino Simone Cantoni .

A pupil of the Tagliafichi was Carlo Barabino (1768-1835), the most important Genoese architect of the nineteenth century. He started with the construction of a public wash-house in via dei Servi: a structure characterized by five arches topped by a highly expressive tympanum. The work of the Barabino established itself during the years of the Restoration, when Liguria became part of the Kingdom of Sardinia . In the twenties he created the first public garden of the city and took care of the reorganization of the center with the opening of Via Carlo Felice and the Piazza di San Domenico , with the theater (a masterpiece of Italian Neoclassicism, severely damaged during theWorld War II ) and the headquarters of the Academy.

Strong is the urban value of his works. In particular, the squared meeting between the Palazzo dell’Accademia and the Teatro Carlo Felice determines the creation of a widening in plan that, in elevation, has nothing static and monotonous. The façade of the theater, on Via Carlo Felice, sees fullness prevail over the empty spaces, while the side of Piazza San Domenico stands out for the high pronaos exastyle surmounted by a massive attic that continues along the perimeter of the factory, thus merging with the Palazzo Academy.

Other Barabino creations include the monumental Cemetery of Staglieno , completed by the pupil Giovanni Battista Resasco , where many elements of the classical tradition are inserted, such as a copy of the Pantheon , placed in an elevated position with respect to the base of the cemetery.