Casetta di caccia di Stupinigi, Piemonte, Italia

La Palazzina di caccia di Stupinigi è una delle residenze della casa reale di Savoia nel nord Italia, parte della lista dei siti patrimonio mondiale dell’UNESCO. Costruito come residenza di caccia reale all’inizio del XVIII secolo, si trova a Stupinigi, un sobborgo della città di Nichelino, 10 km a sud-ovest di Torino

La casa di caccia di Stupinigi si trova nell’unica frazione omonima nel comune di Nichelino, 10 chilometri a sud di Torino, in Italia. Con il termine capanno da caccia, il complesso palatino è correttamente compreso; i domini di Stupinigi, tuttavia, includevano l’attuale Parco naturale di Stupinigi.

Storia
Le origini
Il territorio definito nel Medioevo Suppunicum, aveva già un piccolo castello, ancora visibile ad est dell’edificio (via Vinovo di Stupinigi), che nell’antichità era stato costruito con l’intento di difendere la città di Moncalieri: era un possesso della Savoia-Acaia, un ramo cadetto della dinastia regnante del Piemonte, e passò sotto la proprietà del duca Amedeo VIII di Savoia solo quando morì l’ultimo dell’Acaia, nel 1418. Amedeo VIII decise quindi di lasciare il castello in proprietà nel 1439 a un membro della famiglia con cui era legato, il Marchese Pallavicino di Zibello.

I Savoia, tuttavia, riuscirono a riprenderne possesso quando Emanuele Filiberto rivendicò la sua proprietà nel 1564 espropriandola dai Pallavicinos. Per volontà del duca, il castello e le terre adiacenti furono quindi lasciati all’ordine mauriziano. Poiché il Gran Maestro dell’Ordine era anche il capo della Casa Savoia allo stesso tempo, il forte Stupinigi fu gestito direttamente dai vari sovrani Savoia. Fu durante il periodo di Emanuele Filiberto che le ricche terre adiacenti al castello divennero uno dei luoghi preferiti del re e la sua corte per le battute di caccia, insieme ai boschi di Altessano (dove a metà del XVII secolo il palazzo reale di Venaria ).

Il diciottesimo secolo
Fu Vittorio Amedeo II di Savoia che decise di trasformare il complesso in forme degne del titolo reale a cui era salita Casa Savoia. Nell’aprile del 1729, quando aveva già deciso di rinunciare, affidò il progetto a Filippo Juvarra. Una sorta di eredità per il suo primo architetto civile e per suo figlio Carlo Emanuele III. Formalmente, come ripetuto in numerose località, la casa di caccia fu inaugurata alla festa di Sant’Uberto nel 1731 e da allora vi furono organizzate numerose battute di caccia. Tuttavia, la fabbrica fu terminata (nella sua fase juvarriana) solo con le opere del triennio 1735-37, quando, tra le altre cose, terminarono le decorazioni degli appartamenti del re e della regina. A causa della guerra di successione polacca, la vera inaugurazione del complesso alla vita di corte avvenne, tuttavia, nel maggio 1739,

È importante capire che, nel XVIII secolo, Stupinigi non era una vera residenza, nel senso di un luogo in cui sovrani e tribunali si trasferivano per soggiorni più o meno lunghi. Come mostrano recenti studi, i sovrani Savoia risiedevano a Torino solo per pochi mesi, normalmente da Natale a Pasqua: dopo di che hanno iniziato a spostarsi nel circuito di residenze che circondavano la capitale, alternando tali soggiorni con viaggi fuori dal Piemonte (soprattutto in Savoia e, più raramente, nella zona di Nizza). Le loro residenze principali rimasero la Venaria e Moncalieri fino alla fine del XVIII secolo. Stupinigi era normalmente utilizzato come capanno da caccia, ed era un luogo per brevi soggiorni, normalmente una o due notti al massimo. Questo spiega perché fino alla Restaurazione, Stupinigi non aveva un proprio governatore (come invece avevano Venaria e Moncalieri).

Sebbene le residenze di Venaria e Moncalieri (quest’ultima in particolare dal 1773, con l’ascesa al trono di Vittorio Amedeo III e Maria Antonia Ferdinanda) rimasero le sedi principali delle celebrazioni di corte, dagli anni sessanta del diciottesimo secolo fu usato anche Stupinigi, anche se occasionalmente, per importanti ricevimenti, soprattutto in occasione di visite di ospiti importanti. Di grande importanza fu la festa del 1773 per il matrimonio tra Maria Teresa di Savoia e il conte di Artois (il futuro re di Francia Carlo X). Tra gli ospiti vanno ricordati almeno l’imperatore Giuseppe II, nel 1769, lo Tsarevich Paul Romanov (futuro zar Paolo I) e sua moglie nel 1782, e il re di Napoli Ferdinando I di Borbone, con sua moglie Carolina, nel 1785.

La costruzione fu ampliata durante i regni di Carlo Emanuele III e Vittorio Amedeo III con il contributo di altri architetti, tra cui Prunotto, Bo e Alfieri. Nel 1740 furono aggiunte altre due ali, che ospitavano le stalle e le capannoni agricoli che fiancheggiano il lungo viale alberato che conduce alla tenuta.

Il diciannovesimo secolo
Napoleone Bonaparte rimase a palazzo dal 5 maggio al 16 maggio 1805, prima di recarsi a Milano per cingere la corona di ferro. Qui ha discusso con i principali uffici politici di Torino, accogliendo il sindaco, la magistratura e il clero, guidati dall’arcivescovo Buronzo. Sembra che il cardinale, severamente rimproverato dall’imperatore per le sue presunte corrispondenze con Carlo Emanuele IV di Savoia, sia stato oggetto di una discussione che ha portato alla sua sostituzione con il vescovo di Acqui Terme, mons. Giacinto della Torre.

Nel 1808, sebbene sempre per brevi periodi, rimase nell’edificio Paolina Bonaparte con suo marito, il principe Camillo Borghese, allora governatore generale del Piemonte.

Nel 1832 l’edificio tornò ad essere di proprietà della famiglia reale e il 12 aprile 1842 fu celebrato il matrimonio tra Vittorio Emanuele II, futuro primo re d’Italia, e l’austriaca Maria Adelaide d’Asburgo-Lorena. Il complesso fu poi venduto alla proprietà statale nel 1919 e nel 1925 fu restituito, con le proprietà circostanti, all’ordine mauriziano.

Nel diciannovesimo secolo ospitò per diversi anni un elefante indiano maschio, che era stato donato a Carlo Felice. L’elefante Fritz divenne famoso, ma dopo alcuni anni l’elefante impazzì e cominciò a distruggere ciò che lo circondava (i segni sono ancora visibili sulle parti in legno); fu abbattuto e donato al museo zoologico dell’Università di Torino. Attualmente l’animale di peluche è esposto al Museo Regionale di Scienze Naturali di Torino. Dal 1919 l’edificio Stupinigi ospita il Museo di arte e arredamento, riunendo molti mobili delle residenze sabaude e altri appartenenti alle corti pre-unitarie italiane, come quello dei Borboni di Parma e il loro Palazzo Ducale di Colorno.

Il lungo progetto di restauro, iniziato nel 1988, è stato supervisionato dagli architetti Roberto Gabetti, Maurizio Momo e dallo studio Isolarchitetti (Aimaro Oreglia d’Isola).

L’edificio ospita periodicamente mostre d’arte internazionali.

Il governatore di Stupinigi
Contrariamente a quanto accaduto negli altri palazzi sabaudi in Piemonte, la posizione di governatore di Stupinigi fu assegnata al comandante di Venaria, cioè al numero due dell’organigramma della Reggia. Il governatore di Venaria, infatti, ricoprì anche il ruolo di grande cacciatore di Savoia e il suo vice fu comandante dell’equipaggio. Poiché Stupinigi era usato quasi esclusivamente come capanno da caccia, in quei casi vi si trasferì l’equipaggio venatorio di Venaria, nulla di più naturale del comando dell’equipaggio di caccia, così come il numero due della Venaria, fu assegnato di diritto dal comando di Stupinigi.

I tre comandanti di Stupinigi, che si succedettero tra il 1751 e il 1836, avevano tutti iniziato la loro carriera alla Reggia di Venaria. Paolo Giuseppe Avogadro di Casanova, comandante dal 1751 al 1769, era stato nominato “gentiluomo di Venaria” nel 1736; Luigi Ciaffaleone di Villabona, comandante dal 1777 al 1791, aveva iniziato la sua carriera a corte come “pagina di Venaria”, diventando “gentiluomo di Venaria” nel 1754; Luigi Umoglio della Vernea, ultimo comandante di Stupinigi, seguì la stessa carriera: “pagina di Venaria” (1770 c.), “Gentleman of Venaria” (1776) e, infine, comandante nel 1791; perse il suo ruolo durante l’occupazione francese del 1796, lo recuperò durante la Restaurazione, mantenendolo fino all’età Charles-Albertine. Il governatore di Stupinigi, quindi, era come comandante dell’equipaggio ed era soggetto a dipendente diretto del governatore di Venaria e del Gran Cacciatore di Savoia.

Struttura
La pianta dell’edificio è definita dalla figura delle quattro braccia incrociate di Sant’Andrea, intervallata dall’asse centrale che coincide con il percorso che conduce da Torino al palazzo attraverso un bellissimo viale alberato che fiancheggia case coloniche e stalle, antiche dipendenze dell’edificio.

Il nucleo centrale è costituito da una grande sala centrale di forma ovale da cui partono quattro bracci inferiori per formare una croce di Sant’Andrea. Tra le braccia si trovano gli appartamenti reali e quelli per gli ospiti. Il cuore dell’edificio è la grande sala ovale a doppia altezza con balconi “concavi-convessi”, sormontata dalla statua del Cervo, di Francesco Ladatte: con la partenza di Juvarra da Torino (destinazione Madrid), il Principe Carlo Emanuele III affidò la direzione di i lavori a Giovanni Tommaso Prunotto, che procedette all’ampliamento dell’edificio partendo dagli schizzi lasciati dall’architetto messinese, cercando così di salvaguardare il complesso gioco di luci e forme caro al suo predecessore. Fu così che un gran numero di artisti furono chiamati in tribunale nella “Real Fabrica” ​​per decorare le nuove stanze. L’interno è in stile rococò italiano, costituito da materiali preziosi come lacche, porcellane, stucchi dorati, specchi e radiche che, oggi, si estendono su una superficie di circa 31.000 metri quadrati, mentre 14.000 sono occupati dagli edifici adiacenti, 150.000 dal parco e 3.800 dalle aiuole esterne; nel complesso, ci sono 137 camere e 17 gallerie.
L’edificio sporge anteriormente racchiudendo un vasto cortile ottagonale, sul quale si affacciano gli edifici di servizio.

Tra i bei mobili realizzati per l’edificio, si segnalano gli intagliatori Giuseppe Maria Bonzanigo, Pietro Piffetti e Luigi Prinotto. L’edificio conserva decorazioni dei pittori veneziani Giuseppe e Domenico Valeriani, di Gaetano Perego e del viennese Christan Wehrlin. Da segnalare anche gli affreschi di Vittorio Amedeo Cignaroli, Gian Battista Crosato e Carlo Andrea Van Loo.

Entrata
Partendo dall’ingresso al complesso, si accede alla vasta area della Galleria dei Ritratti, che faceva parte delle scuderie laterali progettate e costruite da Filippo Juvarra dopo il completamento del complesso centrale dell’edificio. Questo spazio è stato quindi utilizzato per lo stoccaggio di carrozze e il riparo dei cavalli durante le battute di caccia. Qui oggi si trova la statua originale del cervo Stupinigi realizzata da Francesco Ladatte nel 1766 che si affacciava sulla cupola della sala centrale e che era stata riparata nella sala nel 1992 e sostituita con una moderna copia in bronzo per motivi di conservazione. La scultura è circondata da ritratti scolpiti in bassorilievo in legno su commissione di Vittorio Emanuele II e originariamente destinati al Castello di Moncalieri. Nella prima biblioteca e poi nella biblioteca, puoi trovare il cambiamento nel gusto della metà del XVIII secolo,

Appartamento The Duke of Chablais
Chiamato anche “Appartamento di Levante” (in contrapposizione all’Appartamento speculare di Ponente), l’insieme delle sale fu ampliato sotto la direzione di Benedetto Alfieri nel 18 ° secolo per ospitare le stanze di Benedetto di Savoia, duca di Chiablese e figlio del re Carlo Emanuele III. L’Appartamento del Levante è stato oggetto di lavori di restauro finanziati anche grazie ai fondi del Gioco del Lotto, secondo quanto regolato dalla legge 662/96.

Sala giochi
La stanza di maggiore coerenza per dimensioni e stile negli appartamenti del Duca di Chiablese è senza dubbio la sala giochi, un ampio spazio destinato alla ricreazione del cortile inserito in una stanza rettangolare con angoli arrotondati e due ampie nicchie ai lati più corte . Il soffitto, decorato da Giovanni Pietro Pozzo nel 1765, riprende gli stessi motivi esotici e orientali delle pareti che svolgono il ruolo di elegante cornice per i mobili da gioco all’interno della stanza: un salotto della metà del 18 ° secolo, un tavolo da gioco a Louis Stile XV con una preziosa scacchiera, intarsiata in ebano e avorio, nonché una scrivania con raffinate figure intarsiate in avorio degli inizi del XVIII secolo. Interessanti anche la cineseria e la porcellana in questo ambiente che ben si adattano alla decorazione esotica del complesso.

Sala degli specchi e gabinetto di Paolina Bonaparte
Queste due sale comunicanti rappresentano un unicum all’interno del palazzo. Il primo, decorato con un gusto rococò molto particolare, è decorato con stucchi e specchi dalle pareti al soffitto, sempre sull’idea di Giovanni Pietro Pozzo nel 1766 con l’aiuto di Michele Antonio Rapous nella realizzazione della boiserie. Il lampadario è più vecchio, risalente al 1840 e decorato con sculture di uccelli in ferro battuto.

Il gabinetto di Paolina Bonaparte deve la sua fama al fatto che fu fatto equipaggiare nelle sue attuali forme da Paolina Bonaparte, sorella di Napoleone, durante il suo periodo nel palazzo quando fu nominata governatrice del Piemonte con suo marito. La sala, di piccole dimensioni, ospita una splendida vasca da bagno in marmo, decorata con bassorilievi che rappresentano le insegne imperiali con l’aquila napoleonica.

Sala Bonzanigo
Diventato famoso per il gabinetto (che fungeva da biblioteca e scrivania) realizzato da Bonzanigo, al quale la stanza è ora collegata, questo ambiente è stato anche teatro del lavoro di altri artisti, tra cui Giovanni Battista Alberoni, che ha creato l’affresco del soffitto ( 1753), e Pietro Domenico Olivero, che si occupò della porta sovrastante tra il 1749 e il 1753. A staccare dalle decorazioni barocche si trovano i mobili, in stile classicista, tra i quali spicca lo specchio di Bonzanigo che racchiude un ritratto ovale è anche dell’artista astigiano) che raffigura Giuseppe Benedetto di Savoia, conte di Moriana.

Camera pre-armadio
Chiamata anche “Sala delle Cacce”, questa stanza è decorata con un panno verde damascato alle pareti e con scene di caccia dipinte nel 1753 dal pittore piemontese Giovanni Battista Alberoni. La fama e il nome della stanza stessa, tuttavia, si riferiscono a un “pregadio”, che è un inginocchiatoio finemente intarsiato dal falegname Pietro Piffetti nel 1758, realizzato in radica di noce con inclusioni in bronzo dorato e caratterizzato da una sontuosa cappetta.

Camera da letto
La camera da letto del duca è caratterizzata da un originale tessuto di carta da parati rosso violaceo, con una porta decorata nel 1763 da Michele Antonio Rapous con motivi floreali e di frutta. Qui sono raccolti alcuni dei più importanti e preziosi mobili in stile piemontese nella capanna di caccia, tra cui una cassettiera, una scrivania e un inginocchiato realizzati dal falegname Pietro Piffetti con intarsi di vari legni, avorio, ottone, tartaruga e madre di la perla si distingue. Nella stanza c’è un letto a baldacchino con drappi rossi in stile Luigi XV.

Appartamento Queen
L’appartamento della regina fu costruito negli anni trenta del diciottesimo secolo per Polissena d’Assia-Rheinfels-Rotenburg, moglie di Carlo Emanuele III di Savoia, per ospitarla durante i soggiorni della corte a palazzo per le battute di caccia stagionali.

Ante-Room e la regina
Affresco tra il 1733 e il 1734 dal pittore Giovanni Battista Crosato (precedentemente operante presso la villa La Tesoriera) con il dipinto sul soffitto raffigurante il sacrificio di Ifigenia, circondato da vedute settecentesche, l’anticamera della regina è una delle quattro sale che si affacciano sul sala centrale dell’edificio. Tra il 1738 e il 1739 gli affreschi furono affiancati dalla nuova produzione del pittore Francesco Casoli, a cui si unirono parzialmente l’opera di Giuseppe Maria Bonzanigo che rimodellò la stanza dal 1786, riproponendola in stile Luigi XVI. In questa anticamera ci sono quattro dipinti ovali raffiguranti le principesse della casa Savoia, di un artista sconosciuto, tra cui Maria Giovanna Battista di Savoia-Nemours e Maria Cristina di Borbone-Francia. Interessanti sono le decorazioni della cornice alle pareti, realizzate in vetro blu e metallo dorato,

Nella vicina camera da letto della regina, tuttavia, il soffitto è affrescato da Charles-André van Loo con un Resto di Diana tra le ninfe associate a boiserie d’epoca e decorazioni a rocaille. Attaccato alla camera da letto si trova il bagno della toletta della regina, decorato con figure cinesi e putti policromi.

Appartamento del re
Anche questo appartamento, come quello gemello degli appartamenti della regina, aveva un’anticamera, una camera da letto e un bagno riservati al sovrano. Gli spazi furono costruiti per Carlo Emanuele III di Savoia nei primi anni del 1830 e poi modernizzati per volere di Vittorio Amedeo III nella seconda metà dello stesso secolo.

Sala degli Scudieri
Analogamente alle precedenti anticamere descritte, collegate alla sala principale dell’edificio, la Sala degli Scudieri, fu una delle prime sale della struttura ad essere affrescata, nel 1733, da Giovanni Battista Crosato e Gerolamo Mengozzi Colonna con scene mitologiche. Al contrario, la creazione di porte e soffitti dipinti risale solo al 1778, quando Vittorio Amedeo Cignaroli ritrasse scene di caccia al cervo nelle residenze sabaude, dipinti forse ispirati al ciclo di cacce ideali create dal fiammingo Jean Miel per il Palazzo Reale di Venaria Reale.

Ante-Room e il re
Non finito fino al 1737 per la partenza di Filippo Juvarra per la corte spagnola, l’anticamera del re fu affidata, come altre ali dell’edificio, alla supervisione di Giovanni Tommaso Prunotto, che succedette a Messina nella fabbrica di Stupinigi. Gli affreschi furono affidati a Michele Antonio Milocco con scene sempre tratte dal mito di Diana, dipinte sotto il diretto controllo di Claudio Francesco Beaumont. I mobili presenti sono in stile Luigi XV e Luigi XVI; le porte sovrastanti e le decorazioni su di esse sono di particolare valore, con dipinti di Pietro Domenico Olivero. Alle pareti ci sono ritratti firmati da Jean-Étienne Liotard.

La camera da letto del re, adiacente all’anticamera, porta sulle pareti una carta da parati non originale, ricostruita dopo la seconda guerra mondiale a causa dei gravi danni subiti nel tempo. Oltre ai dipinti di Jean-Étienne Liotard, le pareti hanno anche porte-porte con grottesche dipinte da Giovanni Francesco Fariano. Interessanti in questa sala sono un pregadio e una collezione di medaglie di Pietro Piffetti della prima metà del XVIII secolo. Nel gabinetto del sovrano, adiacente alla camera da letto, si trova anche uno splendido ritratto della regina Polissena Cristina d’Assia-Rotenburg con i suoi figli, dipinto dal pittore Martin van Meytens.

Cappella di Sant’Uberto
Fino al 1767 chiamata “Sala delli Buffetti” per via dei banchetti che si tenevano qui, fu ribattezzata “cappella di Saint Hubert” quando fu precisamente utilizzata come cappella dedicata a Saint Hubert o, più precisamente, un’antica cappella, in relazione a la verità e il proprio spazio religioso costruito dietro il muro principale, normalmente coperto da due grandi antoni in legno dipinto. La trasformazione della Sala Buffetti fu fatta da Ignazio Birago, Giacomo Borri, Ignazio Nipote e Gaetano Perego, che decorarono il soffitto e si occuparono degli stucchi.

La sala centrale
La sala centrale, il vero cuore dell’edificio, fu la prima idea di Juvarra da completare e il fulcro attorno al quale si sviluppò il suo intero progetto per il complesso. La stanza sembra una grande stanza di forma ovale che culmina in una cupola chiusa da un soffitto a volta, senza lanterna e senza aperture superiori. Già nel 1730 si poteva dire che la struttura muraria della stessa sala fosse completata e il 10 febbraio 1731 il re commissionò ai fratelli bolognesi Giuseppe e Domenico Valeriani di dipingere un grande affresco sulla volta, raffigurante il Trionfo di Diana., la classica dea della caccia che appare nella rappresentazione tra le nuvole, sopra un carro celeste sopra foreste e boschi. Ci sono anche putti con selvaggina o ghirlande di fiori, affiancati da ninfe e geni silvani.

All’apice dei quattro pilastri che sostengono la cupola della sala, proprio sotto il grande affresco, ci sono quattro medaglioni monocromatici che rappresentano altri episodi relativi alla stessa divinità. I lavori per la realizzazione di questi affreschi iniziarono già l’8 marzo, terminando nel 1733. Sembra che Juvarra abbia imposto lo schema di quadratura ai due fratelli per non rovinare il suo complesso disegno complessivo: questa ipotesi sembra essere supportata dalla falsa architettura della volta, in stile juvarriano.

Juvarra scomparve, l’idea dell’artista messinese di collocare grandi gruppi scultorei di cani e cervi sulle grandi finestre della sala non fu più completata per non limitare eccessivamente la splendida vista prospettica che si può ancora godere guardando all’esterno. D’altra parte, il progetto è stato completato, affidato a Giuseppe Marocco, di trentasei ventagli di legno (appliques) con teste di cervo che si esibiscono sulle pareti della stanza. Dello stesso periodo sono gli intarsi in legno dorato della balaustra dei cantanti nella parte superiore della sala e le protezioni del camino, dipinte dal longobardo Giovanni Crivelli (1733).

Notevoli anche i quattro busti in marmo realizzati nel 1773 da Giovanni Battista Bernero, che dominano altrettanti ingressi alla sala e che rappresentano divinità minori legate alla caccia e ai campi: Cerere, Pomona, Naiade e Napea.

La sala, impregnata della sua struttura e delle decorazioni di tutta quella teatralità dell’architettura del XVIII secolo, attirò anche l’attenzione di numerosi contemporanei che furono in grado di vederlo personalmente come l’incisore francese Charles Nicolas Cochin, custode del Gabinetto dei Disegni di il re di Francia a Versailles, che tuttavia ha criticato la sua sovrabbondanza di decorazioni ed eccessiva eccentricità. Joseph Jerome Lalande rimase lo stesso, anche se ammirato, che riferì che Juvarra si era quasi completamente concentrato sul salone, lasciando tutto il resto sullo sfondo e rivelando come si predisponesse come il “sogno di un architetto”, troppo rischioso per un palazzo di città e fattibile solo per una sontuosa residenza di campagna.

Appartamento Il Duca di Savoia
Conosciuto anche come Appartamento Ponente (in contrapposizione all’appartamento Levante speculare), l’insieme di stanze fu ampliato sotto la direzione di Benedetto Alfieri nel 18 ° secolo per ospitare le stanze di Vittorio Emanuele, duca di Aosta e figlio del re Vittorio Amedeo III .

L’appartamento si apre all’ingresso con un atrio caratterizzato da due statue che rappresentano rispettivamente Meleagro e Atalanta. Le successive due anticamere sono caratterizzate da una decorazione della seconda metà del XVIII secolo attribuibile alla scuola di Cignaroli con scene di caccia e vita rurale, arazzi e mobili in stile Luigi XIV e Luigi XV.

Le due camere da letto del duca e della duchessa di Aosta contengono mobili in stile Luigi XV e Luigi XVI e altri mobili piemontesi del XVIII secolo.

Il giardino del palazzo e la casa di caccia
A Stupinigi si distinguono chiaramente il giardino della casa di caccia e la casa di caccia circostante: il complesso, infatti, è inserito in un vasto giardino geometrico, caratterizzato da un continuo susseguirsi di aiuole, parterre e viali, che possono essere sotto tutti gli aspetti considerato il vero giardino del palazzo. Questo parco, delimitato da un muro di cinta e intersecato da lunghi viali, fu progettato dal giardiniere francese Michael Benard nel 1740.

Il parco di caccia, o proprietà, era invece costituito dalla vasta area di quasi 1.700 ettari che si estendeva al di fuori del parco recintato e che era stata espropriata dal duca Emanuele Filiberto di Savoia nel 1563 ai Pallavicini. Quest’area comprendeva terreni e boschi inclusi oggi nei comuni di Nichelino, Orbassano e Candiolo.

Il territorio, che nel corso dei secoli è rimasto con il resto dell’edificio a disposizione delle cacce ai Savoia, nel 1992 è stato posto sotto protezione con l’istituzione del parco naturale Stupinigi per la protezione della discreta varietà faunistica che lo popola.

Lo zoo di Stupinigi
A Stupinigi fu costruito il primo ménagerie o giardino zoologico all’interno del palazzo nell’anno 1814, subito dopo la Restaurazione. Gli animali a disposizione della gioia della corte, infatti, erano stati inizialmente accolti nella località di Vicomanino, in una serie di dipendenze adattate allo scopo.

Gli animali furono trasferiti dal 18 marzo 1826, su richiesta del conte Giovan Battista Camillo Richelmy di Bovile, grande cacciatore di Sua Maestà, che chiese che gli animali presenti nel complesso potessero essere trasferiti nel padiglione di sinistra (attuale edificio di San Carlo), in in particolare per salvaguardare animali esotici da climi molto diversi da quello piemontese.

Questa ménagerie si occupò non solo di nutrire e allevare animali per il piacere della corte e del giardino zoologico dei sovrani sabaudi, ma anche di fornire il gioco necessario per le cacce che erano ancora regolarmente tenute nella tenuta. C’erano circa 2000 daini nella loggia di caccia.

Fu di nuovo il conte Richelmy, sempre nel 1826, a interessarsi a organizzare lo spazio necessario per ospitare un grande elefante africano che il governatore dell’Egitto ottomano, Mehmet Ali, aveva dato a Carlo Felice di Savoia. L’anno seguente, il 4 giugno, l’animale (chiamato Fritz) fece il suo ingresso solenne nella tenuta di Stupinigi, affidato alle cure del suo tutore personale, Stefano Novarino. L’enorme animale rimase sul posto fino al 3 novembre 1847, quando uccise il nuovo guardiano di 29 anni a cui gli fu affidato un colpo di proboscide. L’incidente, insieme ai costi eccessivi per il suo mantenimento (circa 17.000 lire all’anno), alla fine portò alla soppressione dell’animale, avvenuta la sera dell’8 novembre 1852 per asfissia, con fumi di acido carbonico che durarono sei ore consecutive. L’elefante aveva 53 anni alla sua morte. La carne dell’animale veniva venduta a caro prezzo, mentre la pelle veniva collocata nell’attuale Museo Regionale di Scienze Naturali di Torino.

Lo stesso Richelmy ha messo in evidenza nel suo rapporto come, tra le specie appartenenti alla maenagerie reale di Stupinigi, vi fosse “un giaguaro maschio dall’America, due orsi femmine di Savoia, due sciacalli maschi dall’Africa, un casuario, canguri, un lupo. cinghiali, molti uccelli tra cui un’aquila e alcuni avvoltoi “.

Sempre nel 1852, Vittorio Emanuele II, che fu anche uno dei sostenitori del recupero di Stupinigi come residenza di caccia, decretò il trasferimento degli animali rimanenti nel giardino del Palazzo Reale di Torino, compresi i cavalli usati per le battute.

Nella cultura di massa
La loggia di caccia di Stupinigi, in particolare nell’appartamento di Carlo Felice, dal 22 maggio al 15 giugno 1987 ha ospitato la mostra di pittura della pittrice cecoslovacca Jindra Husàrikovà
Gli esterni della casa di caccia di Stupinigi hanno ospitato tutti gli episodi della 27a edizione dei Giochi senza frontiere (1996).
Nel febbraio 2004, 27 oggetti sono stati rubati dal museo (inclusi alcuni capolavori di Piffetti, Bonzanigo e Prinotto) e quattro dipinti, per un valore di 40 milioni di euro. Fortunatamente, tutti i pezzi sono stati trovati in buone condizioni il 26 novembre 2005, in un campo vicino a Villastellone.
L’edificio ha ospitato le riprese di alcune scene della fiction di Mediaset Elisa di Rivombrosa.
La fase di qualificazione ed eliminazione dei campionati mondiali di tiro con l’arco del 2011 ha avuto luogo all’interno del parco dell’edificio.
L’edificio ha ospitato le riprese del film War and Peace, The Bankers of God e il film Take my soul.
Nel giugno 2012 è stata il set per la versione televisiva della Cenerentola di Rossini diretta da Carlo Verdone.
Nel luglio 2016, è stato il set del film Ulysses – A dark odissey.
Nel 2018 la residenza Savoia apre le sue porte alla musica rock e diventa la location esclusiva del Stupinigi Sonic Park (25 giugno / 11 luglio), un festival creato per ospitare eventi musicali eccellenti e rafforzare la presenza in Italia di importanti location in cui proporre artisti internazionali. Attrazione principale della prima edizione i Deep Purple.
Nel 2019, nella seconda edizione dello stesso festival, si sono esibiti il ​​re Crimson di Robert Fripp, in Italia per il tour che celebrava i 50 anni della loro carriera.