Itinerario storico a tema nella città di Torino, Italia

Torino è un comune italiano, quarto comune italiano per popolazione e città capite della regione Piemonte. Città dalla storia duemila anni, fu probabilmente fondata nei pressi della sua attuale posizione, intorno al III secolo a.C., dai Taurini, poi trasformata in colonia romana da Augusto con il nome di Iulia Augusta Taurinorum nel I secolo a.C. . Dopo il dominio ostrogoto, fu capitale di un importante ducato longobardo, per poi passare, dopo essere diventata capitale del marchio carolingio, sotto la signoria nominale dei Savoia nell’XI secolo. Città dell’omonimo ducato, nel 1563 ne divenne la capitale. Dal 1720 fu capitale del Regno di Sardegna (anche se solo de facto fino alla perfetta fusione del 1847, anno in cui divenne anche una sola formalmente),

La storia di Torino si estende per più di duemila anni e alcuni dei suoi resti sono ancora visibili nei principali monumenti, strade e piazze. In particolare, la città divenne famosa come centro del potere di Casa Savoia, capitale del Ducato Sabaudo dal XV secolo, poi del Regno di Sardegna, fulcro politico del Risorgimento e prima capitale del Regno d’Italia dal Dal 1861 al 1865. Nel XX secolo, tuttavia, divenne un importante polo dell’industria automobilistica a livello mondiale.

Panoramica
Torino ha una storia antichissima. Si hanno notizie di insediamenti di popolazioni celto-liguri risalenti al III millennio a.C., ma in generale la nascita della città viene fatta coincidere con la fondazione di un castrum romano durante le campagne in Gallia guidate da Giulio Cesare. Il primo insediamento romano nel 28 aC divenne una vera e propria colonia denominata Augusta Taurinorum (ovvero “Augusta dei Taurini”, una delle popolazioni celto-liguri preesistenti), da cui deriva l’attuale toponimo di Torino.

Dopo la caduta dell’Impero Romano, Torino fu successivamente governata dagli Ostrogoti, dai Longobardi e dai Franchi di Carlo Magno. Nell’anno 940 fu fondata la Marca di Torino e la città passò sotto il dominio della casa reale dei Savoia, divenendo capitale del ducato nel 1576. Nel secolo successivo la città si espanse, uscendo dalle mura romane e conquistando l’area di Monferrato e la città di Asti, oltre che uno sbocco al mare.

Dall’inizio del Settecento, dopo aver respinto un lungo assedio da parte di Francesi e Spagnoli, la città divenne finalmente capitale del Regno di Sardegna governato dai Savoia.

Agli inizi dell’Ottocento e dopo il Congresso di Vienna, a Torino fu assegnato anche il regno di Genova e Liguria, che pose le basi per l’Unità d’Italia che sarebbe avvenuta nei successivi 50 anni. Torino divenne così la prima capitale del regno italiano dal 1861 al 1865, anno in cui il rango di capitale fu assegnato a Firenze e, dal 1870, a Roma. Da allora Torino privata del lustro di capitale, si attua una politica di agevolazioni fiscali che favoriscono la nascita di nuovi stabilimenti e fiere internazionali, che ne fanno ben presto una delle maggiori città industriali d’Italia.

Il periodo della seconda guerra mondiale fu molto duro per la città, che fu ripetutamente bombardata. A questo si devono aggiungere le lotte tra fascisti e antifascisti, oltre a numerosi atti di violenza perpetrati dai nazisti, fu liberato dalle brigate partigiane.

La fine della guerra vide poi Torino diventare, grazie alla FIAT, il principale polo industriale del Paese, segnando la via del boom economico e attirando migliaia di emigranti dal sud Italia. A Torino sono nate anche Rai e Sip, le prime società di telecomunicazioni in Italia.

Negli ultimi anni, soprattutto a partire dalle Olimpiadi invernali del 2006, Torino ha attraversato un’importante fase di trasformazione con l’ammodernamento e la riqualificazione di numerose aree periferiche, che l’hanno riportata allo splendore dei suoi tempi migliori. Torino è anche città della cultura, qui si tiene ogni anno il Salone Internazionale del Libro, uno degli eventi più importanti del settore, ed è anche una delle sedi principali del movimento Slow Food, che organizza Terra Madre e il Salone del Gusto. Ospita il Museo Egizio che è il secondo al mondo per importanza delle collezioni raccolte.

Il percorso storico
Si tratta di una mostra ideata da un comitato scientifico ed elaborata dal MuseoTorino. I contenuti possono essere esplorati attraverso più percorsi. La mostra si articola in cinque tempi, la visita della mostra storica permanente propone un viaggio nel tempo in cui da prima della città si passa alla città antica, medievale, moderna, fino a quella contemporanea.

Antica Torino

2000-218 a.C.
Dai primi piemontesi ai Taurini
Nell’età del bronzo (2200-900 a.C.) la documentazione archeologica evidenzia un progressivo e continuo incremento demografico in Piemonte, con l’inizio della formazione di gruppi etnici e linguistici che verranno poi citati dalle fonti classiche. In questo periodo, grazie ad una sempre maggiore articolazione delle attività economiche e all’introduzione di nuove specializzazioni, emerge all’interno delle comunità una classe di artigiani e commercianti altamente dinamica e mobile. Progressivamente si definirono élite dominanti e si ampliò e si consolidò il controllo di rotte commerciali e porzioni di territorio sempre più ampie, seppur in una struttura sociale ancora basata sul villaggio. Si afferma il ruolo della navigazione fluviale, divenendo elemento fondamentale per l’organizzazione della geografia delle popolazioni di pianura,

Nell’età del ferro (900-200 a.C.) il territorio torinese appare strettamente legato alle culture del mondo alpino e transalpino ‘Hallstatt’ ed inserito, come il Piemonte, nelle rotte commerciali attivate lungo le principali valli fluviali dai mercanti etruschi e centri italici, interessati ai giacimenti minerari (rame, argento piombo, ferro) delle Alpi occidentali e agli scambi con le popolazioni celtiche dell’Europa centrale. Nell’ambito di questi traffici è frequentemente attestata la presenza di manufatti importati, anche di particolare pregio, probabilmente destinati a dirigenti locali, in accordo con i quali era gestita la rete commerciale.

Nel IV secolo aC l’impatto delle invasioni galliche portò a sconvolgimenti sociali e politici e al crollo del sistema commerciale legato al mondo etrusco; scompaiono gli empori fluviali, l’artigianato specializzato subisce una temporanea recessione e all’interno delle comunità si formano sottogruppi dediti esclusivamente all’attività bellica. In questo quadro rientrano la presenza della “città dei Taurini” e il passaggio di Annibale nel 218 aC.

218 a.C.
Taurasia
Prima della romanizzazione, le fonti antiche tramandano l’esistenza di un centro abitato denominato Taurasia, probabile capitale dei Taurini, nome del popolo che probabilmente indicava non un solo gruppo etnico ma un insieme di tribù stanziate nei territori vicini all’ingresso di le strade conducevano ai più facili passi delle Alpi Cozie e Pennine. È forse proprio a causa di questa posizione che i Taurini si opposero alla discesa di Annibale in Italia (218 a.C.), che però li sconfisse con relativa facilità e ne distrusse l’insediamento. Questo episodio è il motivo per cui l’esistenza di una “città dei Taurini” trova la sua menzione nelle fonti romane. Finora le ricerche archeologiche non hanno consentito in alcun modo di localizzare questo primo insediamento: mentre è documentata l’esistenza di insediamenti preromani sulle colline oltre il Po, si può solo supporre la presenza di insediamenti in pianura in prossimità degli approdi fluviali. Molti studiosi tendono a risolvere il problema dell’incerta ubicazione del capoluogo Taurini ipotizzando che sia sorto in prossimità della confluenza tra Dora e Po, sito particolarmente favorevole dal punto di vista commerciale e strategico.

25/15 a.C.
Augusta Taurinorum
L’attenzione di Roma al quadrante nord-ovest dell’Italia settentrionale, a nord del Po, è tardiva e si risveglia solo quando il sito diventa strategicamente importante per gli eserciti diretti a ovest, verso il passo del Monginevro, ea nord, verso il Piccolo e il Gran San Bernardo colline. Nonostante l’intensificarsi della presenza romana in tutta la Pianura Padana nel II secolo a.C., la fondazione della colonia di Augusta Taurinorum risale solo alla fine del I secolo a.C., in età augustea – in ogni caso dopo il 27 a.C.

Con il drastico ridimensionamento del progetto di Augusto di portare i confini centroeuropei dell’impero lungo il corso del fiume Elba, a seguito della sconfitta romana nella foresta di Teutoburgo (9 d.C.), anche l’importanza di Augusta Taurinorum nella prospettiva della politica imperiale diminuisce notevolmente. Di conseguenza, la città lascia effettivamente la storia ufficiale. Tuttavia, archeologia e iscrizioni ci permettono di confermare l’esistenza nei primi secoli dell’impero di un centro urbano con una buona vitalità locale: nel I e ​​II secolo d.C., artigiani dediti alla lavorazione del vetro e dei metalli e alla produzione dei mattoni e vino, oltre a numerosi soldati, sparsi in tutto l’impero, originari di Augusta Taurinorum. Mentre, non pochi abitanti della colonia testimoniano una condizione di progressivo miglioramento del proprio status sociale e si hanno notizie di personalità che svolgono una carriera politica non solo a livello locale, ma anche imperiale. La popolazione della città non supera le poche migliaia di unità.

Per quanto riguarda il dato urbanistico, la sopravvivenza dei due angoli opposti delle mura perimetrali – in corrispondenza dell’attuale Museo Egizio e della Chiesa della Consolata – della città romana ci permette di definire le dimensioni di Augusta Taurinorum: era un rettangolo di m 670×760. Nella città odierna è possibile riconoscere il perimetro delle mura romane in corrispondenza di via della Consolata per il lato ovest e via Maria Vittoria / via Santa Teresa per il lato sud. Il lato nord e il lato est non corrispondono ad alcuna via moderna, ma possono essere facilmente individuati immaginando il proseguimento rispettivamente delle Porte Palatine e di Palazzo Madama.

398
Sinodo di Torino
Negli ultimi secoli dell’impero la città cambiò aspetto: dal IV al V secolo le antiche domus aristocratiche caddero in rovina e furono riparate o ristrutturate con materiali poveri, come legno e argilla. Anche gli edifici pubblici subirono radicali trasformazioni: le sorti del teatro ne furono testimoniate, chiuse agli spettacoli e diventò cava di materiali per la costruzione della prima cattedrale che gli sorge accanto. Il cristianesimo è proprio il fermento di un profondo processo di rinnovamento non solo civile e religioso, ma anche urbanistico, che a partire dalla creazione della sede episcopale polarizzerà lo sviluppo della città nei secoli a venire. All’arrivo del primo vescovo Massimo, consacrato tra il 371 e il 397,

Massimo, vescovo dalla forte personalità e vigorosa azione pastorale, dotò la diocesi delle prime strutture e fondò la cattedrale, dove nel 398 si riunì un importante sinodo dei vescovi della Gallia. Questa prima chiesa è identificabile nella basilica del Salvatore, scoperta e reinterrata nel 1909, ma riportata alla luce dagli scavi archeologici condotti tra il 1996 e il 2008 nell’area del Duomo. Tracce importanti sono emerse anche per la ricostruzione delle complesse vicende delle altre due chiese di San Giovanni e Santa Maria, che costituivano il gruppo delle tre basiliche gemelle demolite alla fine del Quattrocento per la costruzione dell’attuale Duomo.

La città medievale

591
Capitale del Ducato Longobardo
Nel 591 un duca di Torino, Agilulfo, viene eletto re dei Longobardi, ed è definito ‘di Torino’ ma anche ‘duca dei Turingi’: i Turingi si erano probabilmente alleati con i Longobardi dopo che il loro regno indipendente era stato abbattuto dai Franchi nel 531. Dopo essere entrati in Italia nel 568, nel 570 si era stabilita nell’area torinese una forza di occupazione che comprendeva Longobardi, Eruli e Turingi. La leadership lombarda complessiva era fuori discussione, ma le famiglie della Turingia occupavano una posizione di primo piano nel Ducato di Torino che condivideva il governo della pianura piemontese con gli altri Ducati d’Asti, Ivrea e San Giulio d’Orta. Questi centri furono fondamentali nel definire il controllo dei territori in cui i Ducati erano infatti non vere e proprie province ma generiche aree di insediamento militare: cioè,

Alla base dell’arco alpino occidentale passa il delicato confine tra le dominazioni franca e lombarda: i punti di confine più importanti, lungo i grandi assi di comunicazione, si trovano nelle valli di Aosta e di Susa, nei siti fortificati di Bard e Chiusa . Dopo il 575, quando i Longobardi cedettero le valli d’Aosta e di Susa al re merovingio Gontrano, Torino era più legata alla pianura padana che alle regioni transalpine, come avvenne, prima del loro arrivo, con la dominazione del Sìsige, un gotico capo riconosciuto da Bisanzio. Da qualche anno gli stessi vescovi torinesi avevano dovuto rinunciare al governo ecclesiastico di alcune zone oltre il valico del Moncenisio. L’importanza strategica del Ducato di Torino spiega perché, oltre ad Agilulfo, altri due duchi torinesi, Arioaldo e Ragimperto,

880
Capitale della Marca carolingia
Nell’880 un conte delegato dai carolingi, Suppone, presiedeva una seduta di tribunale a Torino, fornendo prova di una nuova funzione della città nell’ordine dell’impero costruito dai Franchi. Dal 773 (dopo che il re franco Carlo Magno aveva sconfitto il re longobardo Desiderio) fino all’888 (quando fu deposto l’imperatore Carlo il Grosso) Torino divenne la capitale di una provincia carolingia (il Comitato). Dall’888 al 950, quando i re carolingi non erano più presenti, il Comitato faceva parte di una più ampia articolazione, la Marca con la sua capitale Ivrea, estendendo il governo dei marchesi su Torino (Anscario I e II, Adalberto, Berengario II) che risiedono più stabilmente fuori città, precisamente ad Ivrea.

Dal 950 al 1091 Torino fu capitale, oltre che del Comitato, di una vasta Marca che comprendeva anche Asti, Alba, alcuni Comitati senza centri urbani (Auriate e Bredulo) e il Ponente Ligure (Albenga e Ventimiglia). Questa è la fase del Medioevo in cui la ‘centralità’ di Torino si applica alla regione più ampia, e in cui i marchesi torinesi esercitano un controllo incontrastato sulle strade – in particolare la Via Francigena della Valle di Susa diretta verso il Moncenisio passaggio.

I marchesi di Torino amministrano il loro vasto potere da un palazzo situato vicino alla “Porta di Susa” della città. Questi influenti governatori (Arduino III, Manfredo, Olderico Manfredi) appartengono ad una dinastia, gli Arduinici – non parenti del famoso re Arduino d’Ivrea – che dopo la morte del marchese Olderico Manfredi (1035) è tenuto insieme da una donna, la contessa Adelaide, che ne evita la dispersione, governa ‘de facto’ per i suoi tre mariti (sempre prematuramente morti) un figlio e un marito di sua figlia. La Marca crollò nel 1091 alla morte di Adelaide. Da quell’anno il vuoto di potere creato a Torino permise ai vescovi di sviluppare sulla città un’influenza non solo ecclesiastica ma anche civile, mentre il territorio torinese divenne campo di competizione tra diverse forze nobiliari – prima dell’arrivo dei Savoia,

1091
Tra Comune e vescovo
Nel 1091 muore la contessa di Torino Adelaide e viene meno la capacità di coesione e di governo della dinastia arduinica che aveva fatto della città di Torino il centro politico di gran parte del Piemonte centro-meridionale e della Liguria. La Marca arduinica di Torino cade a pezzi. Anche il potere civile su Torino e dintorni resta al vescovo, che lo mantiene fino alla definitiva affermazione dei Savoia nel 1280. Il territorio torinese soggetto al governo dei vescovi è poco esteso, e il confine rispetto ai Savoia L’anticipo è di circa due secoli a Rivoli, castello vescovile affidato a una famiglia di funzionari (avvocati) della collina torinese: i signori di Moncucco. Un altro importantissimo castello vescovile – utilizzato in alcune occasioni come residenza vescovile – è quello di Testona,

Intorno alla città sono radicate le potenze nobiliari locali – la Baratonia, i Rivalta, i Piossasco e numerosi altri – che dominano in piena autonomia, mentre tutto il Piemonte meridionale ha smesso di orbitare attorno a Torino, divenendo teatro di altre affermazioni, i marchesi di Monferrato e Saluzzo . Si affermano anche i nobili poteri dei monasteri, come San Giusto di Susa e San Michele della Chiusa in Val di Susa. A Torino il monastero di San Solutore ha grande sviluppo: dal centro di Torino l’abbazia fa ricchi acquisti di beni – in particolare a Sangano e Carpice, nel territorio di Moncalieri – dove è assicurato anche l’esercizio dei poteri signorili.

Nei primi decenni del XII secolo al vescovo si aggiunse il Comune, composto da famiglie che si erano arricchite principalmente con il prestito di denaro e che si rafforzavano in buona sintonia con il vescovo, al quale davano obbedienza vassallo. Questo rapporto fa sì che i primi consoli e le famiglie della prima classe dirigente comunale siano in sintonia con il vescovo: l’alleanza tra il vescovo e il Comune è consolidata dalla resistenza all’avanzata dei Savoia, il cui potere fino a gran parte del Il XIII secolo arriva fino ad Avigliana.

Il Comune di Torino innesca concorsi e alleanze temporanee con Comuni limitrofi come Chieri e Testona. Le sue famiglie dominanti hanno caratteristiche sociali ambigue, in parte borghesi e in parte aristocratiche, collocano i propri membri nel collegio canonico della cattedrale e tutelano quegli enti religiosi che, non limitandosi ad essere comunità di preghiera, forniscono alla società torinese servizi ospedalieri e di accoglienza dei viandanti. Un ricco torinese, Pietro Podisio, proprio perseguendo questi scopi di utilità sociale, fondò nel 1146 l’abbazia-ospedale di San Giacomo di Stura, oggi abbazia di Stura.

1320
La città dell’Acaia
Nel 1280 il marchese Guglielmo VII di Monferrato cedette Torino a Tomaso III di Savoia, ma la successione passò al fratello Amedeo V che nel 1294 lasciò i domini del Piemonte e della città al nipote Filippo d’Acaia, figlio di Tomaso. Con il passaggio sotto i Savoia, l’autonomia politica del Comune di Torino viene meno, anche se sopravvive l’organo esecutivo comunale, controllato dal patriziato urbano. Un estremo tentativo di rivolta anti-Savoia si ripete nel 1334, soffocato dalle dure repressioni del principe che, nel contempo, favorisce l’istituzione della Società Popolare di San Giovanni per bilanciare il potere del magnate, espandendosi alle nuove classi produttive .

All’inizio del XIV secolo Filippo – il cui titolo di Principe d’Acaia derivava dal matrimonio con Isabella, figlia del Principe d’Acaia Guglielmo II di Villehardouin – governava anche l’area meridionale dell’attuale provincia di Torino e quella intorno a Pinerolo, dove Filippo preferibilmente risiede: tra il 1317 e il 1320 il principe fece però restaurare il preesistente castello di Porta Fibellona (oggi Palazzo Madama). A metà del Trecento Giacomo d’Acaia, con ambizioni di indipendenza, provoca la reazione di Amedeo VI (il Conte Verde) che lo dichiara decaduto, rivendicando per sé il principato: Torino accoglie il Conte Verde, perché nel 1360 restituisce il libertà legislativa e approva la raccolta di nuovi statuti (Libro della Catena). Anche sotto i Savoia,

Sotto l’Acaia la sede del governo cittadino è situata nell’attuale Piazza Palazzo di Città, detta platea Taurini o platea civitatis, allora direttamente collegata con la piazza della chiesa di San Gregorio (oggi San Rocco) davanti alla Torre Civica, all’incrocio tra l’attuale via Garibaldi e San Francesco. Nelle vicinanze si trova il mercato del pesce, mentre il mercato del grano si svolge davanti alla chiesa di San Silvestro (oggi del Corpus Domini). Tra le mura della platea civitatis si trovano le botteghe dei calzolai e i banchi dei macellai, circondati da botteghe artigiane. In questa fase l’oscillazione demografica è forte a causa delle ricorrenti epidemie dal 1348 alla prima metà del XV secolo: la popolazione si aggira probabilmente intorno alle 3-4000 unità.

Il Comune di Torino non aveva costruito un vasto comprensorio territoriale ma – ereditando in parte le 10 miglia di circoscrizione concesse da Federico Barbarossa al vescovo nel 1159 – controlla un territorio circostante di circa 15 chilometri di raggio. Il territorio periferico del comune è delimitato a nord dalle frazioni di Leinì, Caselle, Borgaro e Settimo, a ovest da Collegno, Grugliasco e Rivalta, a sud dal torrente Chisola e ad est dal crinale collinare tra Moncalieri e Gassino. Non ci sono borghi con comunità organizzate proprie, tranne Grugliasco – tuttavia nel XIII secolo fu ceduta ai signori di Piossasco – e Beinasco, due dipendenze (“titoli”) che Torino mantenne per tutto l’antico regime.

Sulla destra del Po sorge la chiesa di San Vito «de Montepharato» con un piccolo borgo: a valle si può attraversare il fiume per raggiungere la chiesa di San Salvario. Un vero e proprio centro abitato, chiamato Malavasio, doveva sorgere in Val San Martino, e nei Sassi c’erano insediamenti sparsi. Sulla sponda sinistra tutta la zona pianeggiante è definita ‘campagna’ (Campanea) di Torino, come attesta ancora il nome di Madonna di Campagna, mentre ad ovest, sui vari sbocchi della Via Francigena, il borgo di San Donato è già sviluppato e di Colleasca e le fondazioni ospedaliere di Pozzo Strada.

La città moderna

1404
Fondazione dell’università
Un primo segno di rinnovamento urbano è dato nel 1404 dalla concessione da parte del papa avignonese di Benedetto XIII di istituire uno Studium Generale a Torino, confermata nel 1412 dall’imperatore Sigismondo. All’inizio, però, l’Università lavora in modo discontinuo, perché i docenti preferiscono risiedere e insegnare a Chieri e Savigliano, considerate più sane durante le ricorrenti epidemie; solo nel 1436 l’ostinazione del Comune di Torino ottenne le licenze ducali che stabilirono la sede definitiva dello Studium in città. L’edificio, non più esistente, che lo ospitava sorgeva allora in via San Francesco, di fronte alla chiesa di San Rocco e adiacente alla Torre Civica.

Nel corso del XV secolo Torino iniziò a diventare uno dei centri burocratici più importanti del territorio sabaudo, da quando la città era passata, con l’estinzione nel 1418 del ramo di Acaia – che aveva preferito Pinerolo – direttamente dipendente dal duca Amedeo VIII di Savoia, a cui si deve la riorganizzazione dello Stato. Da questo momento, grazie anche al prestigio della sua sede episcopale, la città servì saltuariamente come sede del principe e della sua corte; in particolare, il Consilium cum domino residens, organismo itinerante al seguito del signore con funzioni politico-amministrative e giudiziarie in tutti i domini, si riunisce con una certa frequenza, anche se vi sono occasioni in cui le sue sessioni si tengono ancora nei castelli adiacenti.

Successivamente un nuovo ente amministrativo con competenze specifiche per l’area al di qua delle Alpi, denominato Comune di Cismontano, ha deciso di insediare la propria sede a Torino in considerazione della migliore viabilità della città verso la pianura lombarda; infine, dal 1459, vi si stabilì definitivamente, riunendosi nel castello di Porta Fibellona, ​​anche per la partecipazione di personale burocratico uscito dallo studio torinese.

Un altro segno del rinnovamento urbano è dato dall’acquisto da parte del Comune di Torino del primo nucleo dell’attuale Palazzo Civico nel 1472, mentre in precedenza il consiglio si riuniva in case private o nella Torre. L’attrazione esercitata dalla città a partire dalla seconda metà del Quattrocento favorisce un’inversione del flusso demografico negativo: il nuovo periodo di crescita è certamente connesso allo sviluppo della nuova centralità politica della città; grazie all’immigrazione, all’inizio del secolo successivo la popolazione raggiunse le 5-6000 unità, raddoppiando rispetto a cento anni prima, e si espanse nelle periferie cresciute fuori Porta Segusina e Porta Doranea e costruite nei pressi del ponte sul Po.

Il secolo si chiude con la significativa trasformazione dell’antico complesso del Duomo: un primo intervento è avvenuto negli anni ’60 con l’erezione del nuovo grande campanile (1469), ma è avvenuto un radicale rinnovamento architettonico con il vescovo Domenico della Rovere, prelato di la curia romana con il titolo di cardinale di San Clemente, che lascia il suo ricordo di patrono in forme fino ad allora sconosciute in Piemonte, facendo costruire il nuovo Duomo secondo i dettami rinascimentali su progetto di Bartolomeo di Francesco di Settignano, detto Meo del Caprina : i lavori iniziarono nel 1491 e durarono fino al 1505, quando la chiesa fu solennemente consacrata.

1536
Porta d’Italia
Negli anni delle “guerre d’Italia” tra Francesi e Imperiali si susseguirono i passaggi degli eserciti dei re di Francia, ospitati nel castello di Torino (Luigi XII nel 1507, Francesco I nel 1515). Per contrastare le mire francesi che avevano ottenuto la separazione dalla diocesi di Torino da Saluzzo, eretta a sede vescovile nel 1511, il duca Carlo II e il vescovo Giovanni Francesco della Rovere nel 1513 riuscirono a far promuovere Torino alla sede del papa dal papa arcivescovo. Da un punto di vista militare, il duca fece costruire quattro bastioni agli angoli delle mura e un baluardo davanti al castello. Tuttavia i francesi nel 1536 occuparono Torino con una certa disinvoltura, ben accolti dagli abitanti, mentre il duca e la corte si ritirarono a Vercelli. Tuttavia, i francesi in seguito provvidero al rafforzamento della piazza, radendo al suolo i villaggi fuori dalle mura che impediscono il fuoco dell’artiglieria. Scompaiono così i borghi di Porta Segusina, Porta Dora e Po e le chiese suburbane, tra cui l’antica abbazia di San Solutore.

Nel 1538 il Piemonte sabaudo fu annesso al Regno di Francia e nel 1539 Francesco I istituì a Torino un Parlamento e la Corte dei Conti, sul modello dei capoluoghi di provincia francesi, ma l’università fu temporaneamente soppressa.

Nel 1548, il re Enrico II entrò trionfante nella città, ora governata da un viceré. Solo nel dicembre del 1562 i francesi lasciarono la città: nel febbraio 1563 entrò il duca Emanuele Filiberto, stabilendosi nel palazzo arcivescovile. Sotto i francesi la città conobbe comunque un ulteriore impulso economico e demografico – anche se le 10-12000 unità furono superate solo con il ritorno dei Savoia e la successiva organizzazione della corte – mantenendo il primato politico e amministrativo in Piemonte, favorito dal posizione strada che contribuisce allo sviluppo delle sue strutture ricettive: in questo periodo si contano oltre cinquanta alberghi e trattorie e alcuni albergatori raggiungono un rango elevato, come i proprietari dell’hotel Cappel Rosso, posto all’incrocio centrale di via Garibaldi con via Porta Palatina e dotato di 14 posti letto e cantina di cinque botti. Alla prima metà del Cinquecento è riconducibile anche la sistemazione dell’albergo Corona Grossa (l’edificio esiste ancora in via IV Marzo), attestato nel 1523 come Hospicium Corone.

1580
Una città fortezza
Cultura militare e urbanistica sono i cardini dell’iniziativa del principe per la nuova capitale dello stato, trasferita da Chambery a Torino nel 1563. Il progetto è stato concretamente messo in atto dai duchi Emanuele Filiberto (1563-1580) e Carlo Emanuele I (1580) – 1630) e trova la sua prima fase di attuazione nell’ampliamento della nuova città portato a termine da Vittorio Amedeo I (1630-1637).

Fortificare e controllare la città esistente sono gli obiettivi della politica urbanistica di Emanuele Filiberto, che si riflette nella scelta strategica di collocare la nuova Cittadella e l’insediamento della residenza ducale ai due vertici opposti dell’antico castrum romano: l’imponente fortezza progettata da Francesco Paciotto e la sede ducale che si trova nella zona verde del Bastione, rispondono alle esigenze di difesa durante l’assedio della città di Torino. Analoga posizione ambivalente è assunta dal Duca nei confronti della Chiesa: con l’espropriazione del Palazzo Vescovile per farne la sua residenza, va contro i forti poteri radicati nella città, ma allo stesso tempo favorisce gli ordini religiosi promuovendo l’alleanza con il Gesuiti con la costruzione della chiesa dei Santi Martiri, progettata da Pellegrino Tibaldi.

Carlo Emanuele I può così dedicarsi al progetto della nuova città civile, che ingloba la vecchia città romana e medievale all’interno di un circuito murario a mandorla, quasi triplicandone le dimensioni. Alla prefigurazione dello sviluppo urbano come specchio del buon governo del sovrano, Carlo Emanuele I abbina altre operazioni di immagine, come la costruzione del santuario per l’esposizione della Sindone volta a rafforzare il suo ruolo di difensore dell’ortodossia cattolica. L’intervento più significativo per le residenze di corte è la decorazione della Gran Galleria (1608), che vede un significativo spostamento nel progetto: dalla celebrazione genealogica della dinastia sabauda a biblioteca, museo, camera delle meraviglie e collezione di antiquariato .

1680
Una città in espansione
Con il 1673 la fedeltà al progetto dinastico e l’immagine del buon governo della città trovano piena conferma nella perfetta adesione tra il programma e la realizzazione del secondo ampliamento di Torino, avviato sull’asse della strada militare del Po.

Con la morte di Carlo Emanuele II (1675) e la reggenza di Maria Giovanna Battista di Savoia Nemours (1675-1684) si apre un periodo di debolezza dinastica e la lotta per il potere rischia di spezzare la continuità del progetto di città regolare, messo in pericolo da architetture dall’aspetto grandioso, volutamente pensate per dominare gli edifici uniformi e segnalare le sedi dell’aspirante governo del paese: il progetto per il Collegio dei Nobili immaginato dal gesuita Carlo Maurizio Vota per celebrare la Madama Reale (dal 1678); il palazzo del principe di Carignano, progettato dal Guarini (dal 1679) guardando al modello del Bernini per il Louvre di Luigi XIV, come prototipo di palazzo reale per un monarca dello stato assoluto.

L’immagine della dinastia trova il modo di rafforzarsi anche attraverso un altro lato dell’affermazione pubblica quando viene associata alla rappresentazione del divino, dove la regola dell’uniformità lascia il posto all’eccezione dello straordinario e del bizzarro. Con le cupole delle cappelle palatine della Sindone e di San Lorenzo, che come meravigliosi reliquiari emergono al di sopra della cortina continua della città, Guarino Guarini disegna il volto “meraviglioso” della presenza dei Savoia a Torino.

Le diverse scelte fatte in città negli ultimi anni trovano una traduzione estetica nella variegata sensibilità al colore, portata a segnalare continuità e fratture: bianco e grigio per le residenze ducali; cotto a vista per gli edifici dell’Amministrazione statale; nero e grigio per la continuità dinastica nella Cappella della Sindone; i marmi colorati del Guarini per l’interno del San Lorenzo.

La città contemporanea

1735
Capitale del Regno di Sardegna
In seguito al Trattato di Utrecht (1713) Torino divenne anche capitale del Regno di Sicilia (mutato nel 1718 con quello di Sardegna) ed i duchi di Savoia detengono oggi il titolo reale, riconoscimento ufficiale tra le potenze europee. Il periodo fu segnato dal governo di Vittorio Amedeo II, che da subito avviò un processo di riforme istituzionali all’interno dello Stato e allo stesso tempo decise di rinnovare l’immagine architettonica della capitale, adattandola ai grandi modelli internazionali. Recatosi in Sicilia nel 1714, conosce e chiama a Torino l’architetto messinese Filippo Juvarra, famoso e attivo a Roma, e gli affida il compito di disegnare la nuova scenografia urbana, configurandone l’immagine moderna e adeguata al rango di settecentesco capitale del secolo.

In una visione aperta all’Europa, Juvarra, nominato primo architetto reale (1714), traccia per il sovrano il profilo teorico del rinnovamento urbano della città-capitale secondo il principio di ‘centralità diffusa’ fondato sul rapporto inscindibile che stabilisce tra il governo istituzionale e l’intero territorio. Attraverso il puro linguaggio dell’architettura, inteso come segno ed espressione di monumentalità nell’attenzione ai canoni dei trattati, Juvarra impone una propria inedita interpretazione della gerarchia dello spazio urbano e dello spazio esterno, superando – senza mai negare formalmente – le caratteristiche del città del XVII secolo.

con la rettifica e l’ampliamento del quartiere di Porta Palazzo (l’attuale Via Milano) e realizza i due blocchi di testata verso la porta nord della città, con la vicina piazza romboidale. Nel 1735 l’architetto si trasferì a Madrid, chiamato da Filippo V di Borbone.

1780
Una capitale europea
La continuità programmatica con l’opera riformista di Vittorio Amedeo II caratterizza il lungo regno di Carlo Emanuele III (1730-1773) e quindi di Vittorio Amedeo III (1773-1796). Nel corso del Settecento maturano piani e progetti per il capoluogo sabaudo a diverse scale: dal territorio alla città, ai complessi monumentali e al tessuto edilizio. Se si escludono i due momenti di stasi edificatoria a seguito delle guerre di successione polacca (1733-1735) e austriaca (1742-1748), il periodo è segnato dal consolidamento delle linee già tracciate, con un’apertura alle riflessioni suggerite dal spirito di razionalità di stampo illuminato da Benedetto Alfieri, primo architetto reale dal 1739 al 1767.

E ‘quindi la magistratura centralizzata e le strutture burocratiche, supportate da talentuosi architetti, a pianificare e gestire il progetto di trasformazione della città dell’assolutismo fino agli anni della dominazione francese. La volontà del sovrano risponde all’adesione ad un unico progetto per la città fortificata a pianta ellittica, organizzata all’interno secondo una rigida struttura stradale centripeta, sorretta da assi rettorali che collegano le quattro porte urbane a Piazza Castello e Palazzo Reale.

Verso la metà del Settecento con unità di intenti, Carlo Emanuele III e Benedetto Alfieri tracciano il nuovo profilo del capoluogo che sostituisce l’idea scenografica juvarriana con il rigore della dimensione urbana, intesa come attività di controllo esercitata attraverso gli strumenti legislativi l’intero processo di trasformazione della città per promuovere l’architettura pubblica e privata con un’immagine architettonica uniforme e attenta agli aspetti funzionali.

L’obiettivo è multiplo: definire attraverso nuovi edifici l’articolazione delle attività di governo – Stato e Comune – che richiedono la moltiplicazione degli uffici. Allo stesso tempo si vuole coinvolgere la nuova nobiltà imprenditoriale accolta a corte, per lavorare attivamente all’edilizia attraverso progetti legati al reddito urbano, nel quadro delle ‘ristrutturazioni’ avviate nel centro più antico e degradato della città. Le classi emergenti guardano ad un modello sociale che prevede il possesso di un edificio urbano, di un ‘vigneto’ collinare e di una colonica agricola produttiva in pianura. Il programma è ampio e guarda alla città e al territorio, anche nella presenza capillare di cantieri aperti nelle residenze suburbane sabaude nel corso del Settecento,

1808
Tra restauro e sviluppo
Con la definitiva annessione del Piemonte alla Francia nel 1802, Torino, non più capitale, divenne centro di servizi e snodo commerciale tra Italia e Francia. La città assume una forma diversa: mentre inizia lo smantellamento dei bastioni, attorno ai cardini degli antichi annessi stradali vengono costruite alcune grandi piazze, collegate tra loro da un sistema di passeggiate alberate esterne. Per la prima volta i torinesi sono soggetti al pagamento della tassa fondiaria e, conseguentemente, iniziano i lavori del catasto urbano.

La città è divisa in quattro quartieri – corrispondenti alle direzioni dei flussi commerciali – e si applica il sistema introdotto per la prima volta a Parigi, che, assegnando un nome fisso a tutte le vie e piazze di Torino, seguito dall’indicazione di un numero civico permette di identificare con certezza il domicilio di ogni abitante. Vittorio Emanuele I, di ritorno dall’esilio nel maggio 1814, attraversa il solido ponte napoleonico sul Po e si ritrova davanti a una città irriconoscibile: al posto dei bastioni, in via di smantellamento, una grande spianata alberata, piena di spazi da realizzare.

Torino, che torna ad essere capitale di un regno, eredita le scelte urbane francesi. Furono realizzati la piazza d’armi della Cittadella (in un’area poi completamente edificata) e il livellamento del terreno di Porta Susa. La vendita dei terreni delle fortificazioni demolite procede nell’area di Piazza Emanuele Filiberto (ora Repubblica) e di Porta Nuova (oggi Piazza Carlo Felice). Il miglioramento della situazione economica e la ripresa demografica determinano un’intensa edificazione di queste aree, insieme a quella del Borgo Nuovo tra Porta Nuova e il Po. Secondo le direttive del tribunale, a metà degli anni 1920 la costruzione di Piazza di Po (oggi Vittorio Veneto), mentre il municipio interviene nella costruzione della piazza e del tempio della Gran Madre di Dio sulla sponda opposta del il fiume.

1852
La capitale morale d’Italia
Nel 1848 il Comune riacquistò il suo ruolo centrale nelle decisioni relative a ampliamenti e lavori pubblici, anche grazie all’acquisizione di una maggiore autonomia finanziaria, secondo la quale, nel 1853, fu stabilito il tracciato della nuova cintura doganale, segno evidente sia nella struttura della città che nella forma edilizia. L’anno precedente era stato approvato il piano di ampliamento che condizionava lo sviluppo di Torino nella seconda metà dell’Ottocento. Sempre nel 1852 fu approvata la demolizione della Cittadella, mettendo a disposizione un’enorme estensione di terreno, su cui sorge la nuova zona residenziale di Piazza Statuto e Porta Susa e dove si trova la stazione ferroviaria di Novara.

Il collegamento con la zona di Porta Nuova, dove già si trovava la Stazione Ferroviaria di Genova, avviene attraverso nuovi percorsi (attuale Corso Vinzaglio e proseguimento di Viale del Re) tracciati su un reticolo ortogonale di viali alberati che, a differenza dei grandi viali napoleonici, non sono più tangenziali del costruito, ma assi rettori del costruito e orti urbani inediti.

La felice integrazione tra la nuova area e la città preesistente è assicurata anche dall’utilizzo del portico come elemento caratterizzante. Emigrazione politica e robusti investimenti finanziari si concentrano su Torino, capitale dell’unico Stato italiano che aveva mantenuto le libertà introdotte nel 1848, determinando un’accelerata crescita demografica, bruscamente interrotta nel 1864 a causa della perdita del ruolo di capitale del nuovo Regno d’Italia. Segue un massiccio esodo della popolazione e la ristrutturazione del sistema economico, fino ad ora fortemente caratterizzato dai servizi alla corte e dalla presenza dell’apparato di governo. Torino si riprese lentamente dalla crisi degli anni Settanta

1899
Torino che lavora e pensa
Mentre sulle piazze e sui viali del centro si trovano monumenti a ricordo dei personaggi risorgimentali ormai scomparsi, con gli anni Ottanta inizia una nuova fase, caratterizzata da più lavorazioni simultanee.

Al di fuori dell’area doganale, lungo le direttrici radiali di collegamento con il territorio, sorgono diversi insediamenti in prossimità delle porte di accesso alla città, secondo il modello delle “barriere” operaie. I comuni Campidoglio, Regio Parco, Monte Bianco, Monte Rosa, via Giachino, Vittoria, di Nizza, frutto di lottizzazioni di piccole e medie proprietà private, crescono grazie all’assenza di tassazione sui materiali da costruzione e fuori dal controllo comunale normativa fino al 1887. All’interno della cintura doganale, nell’ampia cerchia di terreno compresa tra la città propria e la linea spezzata che definisce l’obbligo edilizio ai sensi del Regolamento Ornato, si formarono altre due aree di insediamento operaio, quella di Borgo San Paolo e quella di quella di Oltre Dora,

Parallelamente avviene la prima urbanizzazione dell’area pedemontana a destra del Po, con la nascita di nuclei abitativi borghesi attestati oltre i nuovi ponti gettati sul Po, che in parte si affacciavano sul primo grande parco urbano, quello del Valentino. Sempre negli anni Ottanta dibattiti ispirati a finalità di risanamento igienico, ma anche a forti interessi fondiari, che portarono alla realizzazione della rete fognaria e ai “tagli” diagonali di via Pietro Micca e via IV Marzo, con la scomparsa di quasi tutte le celle edilizie medievali, molto degradate, e riconversione del precedente ruolo di residenziale povero in zona residenziale qualificata e sede di banche, assicurazioni, società commerciali. Questa fase può considerarsi conclusa nel 1908,

1922
Tra le due guerre
La fase che si apre dopo la prima guerra mondiale coincide innanzitutto con un processo di riorganizzazione delle strutture produttive sorto durante la prima fase di industrializzazione di fine Ottocento e inizio Novecento. Simboli di questa riorganizzazione, in un’ottica di concentrazione “fordista” e “taylorista” dei siti produttivi, sono gli stabilimenti Fiat Lingotto e Mirafiori.

Il lotto che in qualche modo sostiene e orienta l’espansione dell’area urbanizzata verso gli ampi spazi aperti della pianura torinese è sempre quello del Piano Regolatore del 1906, insieme ai percorsi dei grandi assi storici e dei fiumi.

Tuttavia, la novità profonda sta nel fatto che si tratta di una trasformazione di grandi “pezzi” – quelli dell’industria, dei quartieri di edilizia popolare pianificati, dei grandi servizi collettivi, del tempo libero – che operano simultaneamente sovrapponendosi agli orari pre- storia rurale esistente e per accostamento con gli edifici ai margini delle barriere operaie

Oltre a questi elementi, ci sono anche le linee delle nuove infrastrutture stradali, che impongono una riflessione inedita tra mobilità e struttura della città.

È un modo di costruire la città – per concentrazione di funzioni e allo stesso tempo, però, per dispersione nello spazio – che comincia a dissolvere la logica della crescita torinese attraverso estensioni contigue e regole morfologiche tradizionali – la tessitura di strade e isolati chiusi – e che anticipa quella “Nuova dimensione” della città che prenderà forma in modo più radicale nel secondo dopoguerra.

Il lavoro di riorganizzazione si riflette anche all’interno della città storica nel progetto di via Roma nuova, in cui sembrano poter coincidere la retorica della dittatura e l’intenzionalità razionalizzante della città “fordista”. In realtà, le discontinuità della morfologia della città di nuova costruzione sono il prodotto di un mercato che continua ad essere imperfetto e attorno al quale si scontrano attori nuovi e antichi.

1961
Da città a metropoli
Torino, che dalla seconda guerra mondiale ha attraversato il boom economico fino alla fine degli anni ’70, può essere paragonata – utilizzando un’immagine efficace di Giorgio Rigotti per il Master Plan del 1956 – a una sorta di “grande mano”, metafora spaziale di crescita a macchia d’olio degli edifici che gradualmente invadono l’intera pianura torinese. Un’immagine forte e condivisa, come condivisa è l’idea che la città cresca con e grazie alla fabbrica, secondo un processo che la assimila a un organismo biologico.

In questa “gigantesca infrastruttura al servizio della produzione”, scriveva un urbanista torinese, tutto è ricondotto all’idea di città fabbrica: “Strade diritte, così lunghe che si vede l’orizzonte, nelle belle giornate. Partono dal centro città e andare a Nizza, Milano e la Francia o Leningrado. Le vite di Torino corrono parallele alle linee di Mirafiori e Lingotto e di Rivalta, e parallele a quelle linee ».

Per molti anni la circolarità e la sovrapposizione tra spazi lavorativi e abitativi – industrie e distretti operai – sono apparse totali e assolute, senza soluzioni di continuità. Una città dove anche il centro storico si trasforma in un sobborgo: l’alta borghesia ora abita in collina. In questo contesto, le celebrazioni per il centenario dell’Unità d’Italia diventano occasione per la costruzione di un momento “altro” rispetto all’immagine totalizzante della città-fabbrica. Monumento e mito condiviso della modernizzazione e della nuova Torino della grande immigrazione dal sud che la porta a superare il milione di abitanti, Italia ’61 racconta le speranze legate al boom e al nuovo governo di centrosinistra. L’unico episodio urbanistico pianificato di matrice pubblica non riconducibile alle sole ragioni di produzione e crescita.

La crisi sistemica della seconda metà degli anni ’70 fa implodere il gigantismo industriale dei decenni precedenti. Svuotando la consolidata parte industriale, la crisi rende fragile per la prima volta la linea di costruzione che avanza nelle campagne.

2011
Tra presente e futuro
La crisi sistemica della fine degli anni Settanta viene colta come occasione per ripensare radicalmente l’assetto produttivo e morfologico di Torino e della sua area metropolitana. Diversificare e articolare la matrice economica e sociale, riscrivere e riconfigurare la struttura fisica sono le parole d’ordine che – nel prendere coscienza della trasformazione in atto – guidano il cambiamento. Al centro del cambiamento c’è il nuovo piano regolatore della città, che, fungendo da scenario di riferimento, collega i molteplici progetti di trasformazione. È una mutazione che pone l’accento sul quadro del trasporto pubblico (il Passante e il servizio ferroviario metropolitano, le linee metropolitane), sulla riscrittura dei tessuti industriali (il riuso del Lingotto, della Spina, delle zone di trasformazione urbana),

Centrale in questa fase è il ruolo guida e di supporto svolto dal settore pubblico, con i grandi eventi – dai Giochi Olimpici Invernali al 150 ° anniversario dell’Unità d’Italia – che diventano occasione per sostenere questo piano di cambiamento. Centrale è anche il parallelismo storico operato tra la fine dell’Ottocento e il presente: così come la città aveva dovuto reinventarsi come capitale industriale dopo la perdita del suo ruolo di capitale politica, così oggi Torino deve reinventarsi nuovamente per superare la crisi della monocultura manifatturiera sfidando il suo passato, sebbene la città rimanga sempre un importante centro industriale e produttivo innovativo. La metamorfosi fisica, tuttavia, non è solo di riscrittura interna. Mentre cambia la società torinese, con un forte aumento della componente estera,

La città futura
Le trasformazioni iniziate nell’ultimo decennio del Novecento mettono in gioco una dimensione pienamente metropolitana del territorio torinese, che deve essere insieme morfologica e politica. All’interno di questo ineludibile processo di “metropolizzazione”, che dovrebbe portare a una riscrittura dell’ambiente costruito evitando nuovi consumi di suolo verso l’esterno, alcuni progetti di grandi dimensioni possono arrivare ad assumere il ruolo di cornice entro cui collocare le singole trasformazioni.

Primo fra tutti il ​​Servizio Ferroviario Metropolitano, che, grazie al Passante, sfruttando i binari radiocentrici sul ferro innervato a Torino, può rappresentare una straordinaria opportunità non solo per riconfigurare in modo più sostenibile la mobilità dell’area metropolitana torinese, ma anche per un profondo ripensamento delle gerarchie e delle strutture del territorio torinese.

Un secondo progetto-cornice è quello di Corona Verde, che, muovendosi dai fuochi delle Residenze Sabaude della Corona delle Delizie, punta a costruire un anello ambientale capace di riqualificare e dare senso ai margini e alle periferie dell’area metropolitana. Un progetto che si affianca a quello di Torino Città d’Acque, che utilizza i quattro fiumi come corridoi ambientali capaci di aumentare la qualità del sistema urbano. Su questi telai e armature si inseriscono i singoli progetti: quello fondamentale della Linea 2 della Metropolitana, con la riqualificazione dei quartieri dell’area nord; il riutilizzo delle immense lastre industriali dismesse poste a sud e nord della città; i progetti attorno a Corso Marche; alta capacità ferroviaria ecc.

In pratica, la visione delle tre centralità lineari nord-sud su cui è stato costruito il masterplan del 1995 – la Spina centrale allungata al Lingotto, Corso Marche, Progetto Po – non sembra più sufficiente. La visione si attua espandendosi all’intera area metropolitana, e la dimensione dei progetti sembra mettere in gioco uno spazio geografico complessivo in cui cadono fiumi, pianure, colline e Alpi.

Tema della liberazione dell’Italia

Il Risorgimento è qui.
Si tratta di una mostra articolata in 5 percorsi, alla scoperta di Torino nei 50 anni decisivi per la storia del nostro Paese: dal 1814, con il ritorno di Vittorio Emanuele I sul trono del regno sabaudo, fino al 1861 con la proclamazione del Regno d’Italia, e il trasferimento della capitale da Torino a Firenze nel 1864. Luoghi, eventi e personaggi sono illustrati con immagini sia d’epoca che attuali, per ricostruire il tessuto storico e gli episodi salienti che hanno interessato i centri del potere politico e religioso in la città.

I palazzi storici raccontano la propria storia e le vicende di cui sono stati teatro; i monumenti e le targhe commemorative rendono noti i protagonisti del restauro, delle società segrete, dei moti del 1821, delle rivoluzioni del ’48 e delle innovazioni tecnologiche che portarono alla creazione di un moderno Stato unitario.

I posti di comando
Nella zona centrale della città – piazza Castello e piazza Carignano – il cuore storico di Torino, sono racchiusi i palazzi del governo (Palazzo Reale, Palazzo Madama con la Sala del Senato e Palazzo Carignano con il Parlamento, sede delle segreterie reali dei ministeri e del governo uffici), i monumenti raffiguranti lo Stendardo dell’Esercito Sardo e il Cavaliere d’Italia, le lapidi che rievocano momenti cruciali della storia del nostro Paese, come la Prima Guerra d’Indipendenza o personaggi emblematici come Federico Sclopis, Luigi Des Ambrois e Antonio Benedetto Carpano. Si tratta di un itinerario di suggestioni breve ma molto intenso, che immerge il visitatore negli ambienti della corte sabauda e nei ricordi che contiene.

Rivolte e cospirazioni
I portici dell’antica via Po conservano ancora i luoghi delle congiure e delle rivolte rivoluzionarie del Risorgimento: i moti del 1821 nel cortile del rettorato dell’Università, i complotti nelle stanze ovattate del caffè Fiorio, detto anche “dei codini” , come molti nobili conservatori che indossavano la tipica parrucca con la “coda”. Il percorso raggiunge anche la targa che ricorda il luogo in cui Goffredo Mameli suonò per primo l’inno degli Italiani o il simbolo di Torino: la Mole Antonelliana, concepita come sinagoga e utilizzata invece come prima sede del Museo del Risorgimento, raggiungendo – dopo aver attraversato piazza Vittorio e il ponte di pietra – alla Gran Madre di Dio e alla Villa della Regina, allora sede dell’Istituto Nazionale delle Figlie dei Militari Italiani.

Modernizzazione
Lo spirito di ammodernamento dello Stato unitario è individuabile nell’itinerario che collega i monumenti dei personaggi del Risorgimento italiano, come Giuseppe Garibaldi e Massimo d’Azeglio, all’obelisco in ricordo della spedizione del 1855 in Crimea – un episodio strategico della politica estera di Cavour – ai luoghi simbolo dell’emancipazione religiosa carmelitana del 1848, come il Tempio valdese, alla stazione di Porta Nuova – antico approdo di Genova – che fece del Piemonte il regno preunitario con i maggiori ampliamento ferroviario. Il ricordo donato dal Parco d’Italia ’61 nel centenario dell’Unità d’Italia e la colonna che ne ricorda l’anniversario, simboleggiano un passaggio fondamentale nella storia della prima capitale del Regno d’Italia.

I Padri della Patria
Un percorso nella zona centrale della città – costruito sui resti delle antiche mura e bastioni distrutti da Napoleone all’inizio dell’Ottocento e oggi piacevoli giardini e piazze alberate – che tocca i palazzi ei monumenti dei grandi statisti , Padri della Patria, come Gioberti, Cavour, Mazzini e Manin, insieme a lapidi commemorative di eroi e intellettuali come Pietro Fortunato Calvi e Lajos Kossuth, Giuditta Sidoli e Roberto d’Azeglio, ed eventi come le rivolte in piazza San Carlo per il trasferimento della capitale da Torino a Firenze nel 1864. La città ottocentesca può essere letta in un susseguirsi di innumerevoli tappe, che si alternano a palazzi nobiliari austeri – Collegio dei Nobili, Palazzo Cavour, Palazzo d’Azeglio,e l’Accademia di Belle Arti – con monumenti e lapidi in ricordo di chi ha dedicato la vita alla realizzazione dell’Unità d’Italia.

Vittorio Emanuele II
Dal cuore storico di Torino, sede del comando del regno sabaudo, poi d’Italia, si può “visitare” la targa che ricorda dove Michele Novaro musicò la canzone composta da Goffredo Mameli e divenuta nel 1946 inno nazionale, il Palazzo di Città sede del municipio, la piazza che richiama il nome dello Statuto del 1848 concesso da Carlo Alberto insieme al monumento che celebra il tunnel ferroviario del Frejus inaugurato nel 1871 e l’attigua stazione di Porta Susa, capolinea della ferrovia da Novara. L’antico Torrione della Cittadella, che ricorda i Carbonari Moti del 1821, si affaccia sul viale che conduce al monumento più alto della città, quello dedicato al primo Re d’Italia. Posta su quattro imponenti colonne doriche,