Qui, ora, Festival all’aperto di Roma 2015

Arte e creatività sono celebrate a Roma con Outdoor 2015, il festival a cura di NUfactory alla sua sesta edizione. “Here, Now”, il titolo di questa sesta edizione mira a focalizzare il tempo di riflessione e le dimensioni dello spazio come l’ultimo su cui strutturare la nostra esperienza.

Qui e ora, un luogo e un limite di tempo. Un unico, non replicabile, che incarna i diversi piani del tempo: il passato della caserma, il presente della creazione artistica e la futura rigenerazione dello spazio; e un luogo che non è un semplice contenitore ma un vero contenuto.

Le ex caserme SMMEP (Stabilimento di apparecchi elettronici militari di precisione) di Via Guido Reni, abbandonate nei primi anni novanta, diventano lo strumento attraverso il quale il festival mette in moto vari processi esperienziali: l’atto di trasformazione dello spazio, la percezione di un ‘azione transitoria , interazione con le opere stesse, godimento collettivo di un luogo rigenerato, partecipazione attiva di artisti e classi durante i seminari di Outdoor Camp.

Sii presente in ogni dato momento ed esperienza dello spazio e del tempo nella scatola che si crea tra le nude strutture architettoniche e le opere d’arte in esse contenute, diventi consapevole di se stesso che interagisce con lo spazio e il tempo attraverso la … trasformazione …

L’outdoor stessa è in costante movimento. Negli ultimi anni è diventato un mezzo di espressione e forme di comunicazione in cui ha trasferito diverse esperienze artistiche, nuovi linguaggi e stili creativi che hanno attirato sempre più interesse pubblico a diventare un punto di riferimento a livello nazionale per l’arte di strada, l’arte urbana e nuove espressioni artistiche.

La scelta degli artisti per questa edizione ha come base il desiderio di disegnare una mappa dell’arte il più grande possibile, a partire dall’arte di strada, sempre essenza del festival, per raggiungere altre espressioni artistiche. Durante il festival le numerose sale della caserma vengono convertite in padiglioni per nazione in cui si articola la mostra.

L’edizione 2015 focalizzerà l’attenzione su concetti come spazio e tempo, elementi stabiliti per un’esperienza unica in quel contesto specifico: Here, Now. Lo staff e gli artisti si incontreranno per discutere del processo creativo in atto presso l’ex caserma Guido Reni, il luogo che dal 2 al 31 ottobre 2015 ospiterà la sesta edizione di OUTDOOR, il festival internazionale dedicato alla creatività urbana.

Con un ricco programma che ruota attorno all’arte e alla musica, ai discorsi e al cinema, il festival sarà un grande contenitore culturale strettamente legato al luogo in cui è ambientato, un luogo che per un mese può essere visitato solo dagli spettatori. Qui, ora, è una riflessione sull’atto della creazione artistica e sul suo godimento.

Esposizione:
Una montagna di giornali, mobili, soprammobili, strane macchine e pneumatici. Calendari, floppy disk, rotelle e vecchi computer; e poi, appoggiato a terra e coperto di polvere, la cassetta di Whitney Houston, giovane e irriconoscibile. Di tutte le cose che hanno catturato la mia immaginazione durante la prima visita alla caserma Guido Reni, aree abbandonate disseminate di rottami come se un uragano attraversato e circondato dalla natura che stava lentamente riprendendo lo spazio, il mio ricordo più vivido è, stranamente, quel nastro a cassetta. Sapevo di possederlo da bambino, ma l’avevo rimosso completamente dalla mia memoria. Quella sera quando sono tornato a casa l’ho cercato e l’ho trovato ben tenuto e organizzato con le altre cassette. Mi ha fatto riflettere su come un oggetto e un luogo possano essere un potente strumento per innescare reazioni diverse nel corso del tempo. Quel nastro dimenticato era un oggetto che mi ha riportato indietro nel tempo, ma, allo stesso tempo, in quel preciso momento, incarnava quello che sarebbe arrivato: tutto il lavoro da completare nelle caserme nei prossimi mesi.

Memoria, amnesia, attesa e creazione sono tutti modi in cui ci relazioniamo al passato e al futuro attraverso i trigger nel presente. Qui, ora, il titolo della sesta edizione del festival, le riflessioni sul tempo e sullo spazio, usando queste misure come un modo per strutturare la nostra esperienza. Qui e ora, un luogo specifico e un tempo specifico, un momento unico da non replicare che racchiude di per sé diverse epoche: il passato della caserma, le attuali creazioni artistiche e la futura rigenerazione dello spazio. In questo modo lo spazio non è solo una nave ma un oggetto reale.

Padiglione italiano

Lucamaleonte
Lucamaleonte è nato nel 1983 a Roma, dove tuttora lavora e vive. Ha iniziato a utilizzare poster e stencil, quindi ha dedicato la sua ricerca anche alla pittura su tela. È uno dei pochi artisti al mondo che può usare maschere e colori per la realizzazione di stencil multi-livello molto elaborati e caratterizzati da sovrapposizioni di colori.

Un ricordo personale che l’artista ha deciso di rendere pubblico, Lucamaleonte presenta un’opera rara che esplora il suo passato. Un passato che si sovrappone all’edificio che lo ospita, il suo intervento artistico confonde il confine tra pubblico e privato. La caserma è uno spazio che conosce bene, un luogo dai suoi ricordi, un luogo in cui suo nonno è stato, per molti anni, il regista. Per questo motivo l’artista romano ha deciso di evocare l’inaugurazione e il ritiro dall’ufficio di suo nonno attraverso i suoi discorsi di benvenuto e di addio, qui recitati da suo padre. La fotografia che domina la stanza ci trasporta fino a quel giorno e dimostra la visione di suo nonno dal palco, con i suoi colleghi e subordinati nel pubblico.

Nella stanza adiacente un trittico rivela suo nonno vestito con l’uniforme di un generale, il volto nascosto da un esaedro, una delle firme dell’artista. La prima figura viene semplicemente abbozzata, come se fosse un fantasma, mentre l’ultima è completamente definita. L’emergere di suo nonno dalle mura della caserma rappresenta il tempo che è passato, così come la sua memoria personale di suo nonno, un ricordo che lo lega a questo luogo.

Nessuna idea
No Idea è un laboratorio formato da Mauro Pace e Saverio Virillo entrambi italiani e nati nel 1983. Si definiscono artigiani digitali e creativi. No Idea è focalizzata sul design dell’interazione, sulla creazione di installazioni interattive, sulla progettazione e realizzazione di esposizioni emozionali, interattive e multimediali per musei ed eventi. È il risultato di un sogno realizzato dai due artisti che vogliono rivoluzionare gli spazi culturali, trasformando le loro sperimentazioni artistiche in luoghi insoliti.

L’installazione di No Idea vuole essere una rappresentazione visiva delle crisi postmoderne del mondo occidentale. Tra questi la distruzione delle certezze, lo sgretolamento dei valori universali che per secoli hanno guidato le nostre rappresentazioni della logica e ciò che è stato messo in discussione a causa di fenomeni sociali e culturali e di eventi contemporanei. Un mare galleggiante, simbolo della coscienza dell’uomo, crea lo sfondo per questa installazione collettiva. A prima vista rassicurante, si rivela presto una scena tragica. Una luce volumetrica tradisce improvvisamente la presenza di sagome, simboli di un evento drammatico che ci porta a sperimentare la morte in tutta la sua irremovibile angoscia. Un evento autentico e imprevedibile, un trauma che ha riconfigurato le basi su cui poggia il mondo.

Rub Kandy
Mimmo Rubino, noto come Rub Kandy, è un artista italiano e sperimenta la sua ricerca artistica su più di un supporto. Le sue opere sono nitide e precise: è un grande osservatore del contesto urbano ed è in grado di decostruirlo con immagini e messaggi sociali profondi.

ROOM1 – descrizione dell’opera di Antonella Di Lullo –
Per il Festival all’aperto Rub Kandy ha deciso di invadere lo spazio di tre sale adiacenti nella galleria centrale. Tecnica e mezzo contraddistinguono le opere, ma esiste un filo conduttore che le unisce: lo spazio, le modifiche dell’artista e l’inaccessibilità delle aree. Le tre opere site specific provengono da una profonda ricerca sull’edificio e sui suoi elementi architettonici. Sala 1 – Una stanza buia e stretta piena d’acqua e, sullo sfondo, un grande cerchio di luce. Lo spazio chiuso dà un senso di difficoltà amplificato dalla presenza di un muro, costruito per necessità quando l’impianto era attivo. La grande luce e i suoi successivi riverberi sono elementi che guidano lo spettatore e offrono il recupero dalla sensazione travolgente che la stanza porta sui loro occhi.

SALA 2
Il grande magazzino che ospita la seconda installazione di Rub Kandy è stato sezionato in due parti distinte: la prima è stata lasciata intatta per dimostrare il suo stato deteriorato. Sullo sfondo la superficie bianca dipinta segna una chiara rottura, trasformando lo spazio in una scena asettica. Attraverso il loro candore gli spazi modificano e migliorano il flusso del tempo attraverso la caserma e la sua architettura.

SALA 3
Numerosi specchi scavati durante la realizzazione del festival sono stati appoggiati su lesene e rivolti allo spettatore. Attraverso un gioco che moltiplica il riflesso della luce negli specchi, i raggi di luce attraversano lo spazio e cambiano la nostra percezione visiva della stanza.

Ciao ciao
Halo Halo, è un artista italiano ed è nato nel 1984. Usa un linguaggio bidimensionale, creando un labirinto di segni progettato per riprodursi all’infinito. Le sue opere sono caratterizzate da una struttura morbida, composizioni complesse che tracciano un’orbita fatta di pensieri che si perdono in tutte le direzioni possibili.

Un groviglio caotico e confuso di forme pop art forma una libera rappresentazione delle immagini mentre appaiono nella mente prima di essere sopraffatti dalla logica. Queste sono le caratteristiche che definiscono continuamente il lavoro di Halo Halo. La stanza è stata completata, con coordinate spaziali ed elementi architettonici che hanno perso il loro significato. Piuttosto, sono sostituiti dai capricci del flusso di coscienza dell’artista torinese. In questo lavoro troviamo gli ingranaggi meccanici che rimandano alla precedente funzione dello spazio, un piccolo autoritratto dell’artista, elementi architettonici classici e dettagli delle cicale che, con il loro cinguettio, continuavano ad accompagnare l’artista durante il suo periodo al ex Caserma Guido Reni. Con queste immagini, l’artista ricorda il contesto in cui ha lavorato e ci invita a immergerci completamente nel suo evocativo,

108
Guido Bisagni, ben noto come 108, è un artista e scrittore di arte di strada italiano, nato nel 1978. Il suo lavoro è astratto, surreale e minimale il più delle volte. Trova ispirazione nei graffiti neolitici europei, nelle avanguardie del XX secolo e in artisti contemporanei come Stak e Richard Long.

Con la sua ricerca 108 prende le distanze dall’etichetta di street art e nel corso degli anni si è fortemente concentrato sulla forma e sul colore come elementi fondamentali del linguaggio pittorico, creando grandi figure astratte. “Per questo pezzo ho voluto creare una sintesi della mia ricerca artistica, concentrandomi sulla forma, o meglio, sulla struttura metafisica di questi spazi architettonici. Una sorta di rispetto verso la bellezza degli spazi abbandonati, consumata nel tempo. L’uso del colore brillante avrebbe stato irrispettoso, fuori posto e inelegante. ”

Le sue enormi macchie nere generano una sensazione di conflitto interiore. Contengono un vuoto che emana la sua presenza invadente ovunque si guardi. Sono un ossimoro concettuale dato che le forme irrazionali e senza forma hanno, allo stesso tempo, una somiglianza sia con i segni primordiali che con le forme contemporanee. Le sue figure astratte contengono anche imperfezioni, piccoli gocciolamenti irregolari che creano elementi collaterali di disturbo. Ciò che ci disturba è ciò che è sconosciuto e incomprensibile, ciò che alla fine ci porta verso la riflessione e la contemplazione, che si verifica pienamente con queste opere.

Filippo Minelli
È un artista italiano ed è nato nel 1983. Analizza e ricerca molti temi come architettura, politica, comunicazione e geografia utilizzandoli come base per le sue creazioni, installazioni e performance, documentando tutto con immagini e video. È sempre stato interessato ai paesaggi e agli spazi pubblici, ed è diventato un pioniere della Street Art in Italia grazie ai suoi interventi istintivi e non autorizzati.

Tutto quello che ho fatto mentre non prestavo servizio nell’esercito è un’installazione che dal suo stesso titolo manda un chiaro messaggio di intenti: per ip il concetto alla testa del festival e portarci in un altro posto fatto di allusioni e temi provocatori. Un’inversione che, a prima vista, sembra fuori posto, invece desidera riflettere sui temi del festival attraverso la sua assenza, creando un contrappunto dissidente che mostra immagini avverse legate a questo luogo. In una spiaggia con confini chiaramente definiti, con ironia pungente l’artista espone, usando fotografie tratte dai suoi archivi, dettagli di luoghi lontani, momenti di vita e scorci di esperienze personali che si contrappongono al passato della caserma, alla sua funzione, e cosa rappresentava. Parole apparentemente disconnesse e opache, viste su poster appesi nella stanza,

Tommaso Garavini
Tommaso Garavini è nato a Roma nel 1972. Si è laureato all’Accademia di Belle Arti di Roma. Dal 1998 ha lavorato come scenografo per film e teatro. La sua arte va dalla pittura, dal design alla grafica, sculture e varie installazioni. Nel 2003 ha scritto un pezzo teatrale “Operamara” che è stato messo in scena da Debora Pappalardo, Anastasia Sciuto e Igor Bacovich. Nel 2006 ha fondato ROTA-LAB, un laboratorio di design e arte dove tuttora lavora.

Scenografia, interior design e arte si fondono in questo mondo creato da Tommaso Garavini. Combinando le sue abilità, ci porta subito nell’intimo ambiente di una stanza che funziona per la contemplazione tra il celeste, il terrestre e l’abisso. Scienza e natura si uniscono per questa “Ultima Cena” di Garavini, mentre ci spostiamo dal tronco bruciato e scultoreo, che rappresenta le nostre peggiori abitudini terrene verso le nuvole divine di elementi naturali e ferro. È in questo regno divino che vediamo l’unione di forme naturali a cascata con gli spigoli vivi di un uomo “nuvola”.

Attraverso il tentativo di imitare il caos della natura, Garavini si è lasciato andare al ritmo del mezzo stesso in una sfida alla riproduzione del caos “perfetto” che troviamo nell’ambiente naturale. Chi siede a questo tavolo con piatti simbolici messi a nudo? Anche i numeri svolgono un ruolo importante nell’installazione. Tredici, un numero che rappresenta l’amore eterno e la pulizia spirituale o la sfortuna, a seconda della prospettiva, la figura si lega proporzionalmente al rapporto tra nuvola, tavolo e scultura in legno. Con la nuvola e la scultura entrambe in una relazione 1; 1,3 con la tabella, i significati opposti di questo numero si legano alla spinta opposta tra inferno e sublime. Scalando su e giù abbiamo il diritto di spostarci tra questi livelli, muovendoci per raggiungere un’armonia che si trova solo nel mondo naturale.

Uno
Uno è un artista italiano e lavora e vive a Roma dal 2005. Le tecniche che utilizza per le sue produzioni sono quelle classiche di street art, anche se quando ha iniziato ha preferito i poster o la ripetizione di elementi iconici e collage. Si ispira alle lezioni di Warhol, Debord e Rotella, quindi gioca con le tecniche pubblicitarie usando spray e pittura per creare infinite ripetizioni di immagini.

Il mondo di UNO è una danza delicata di colori, proporzioni e motivi spinti quasi al limite dell’eccesso. Il principale punto di impatto è il muro direttamente di fronte a noi, un tour de force di design, modello e colore che ha segnato gli ultimi anni della produzione artistica di UNO. Attingendo a una vasta gamma di tecniche, dallo stencil e collage ai poster e alla vernice spray a mano libera, UNO abbraccia pienamente l’ambiente presentato.

A prima vista caotico, ma sottilmente bilanciato per l’armonia, lo spazio attira l’attenzione dal rombo, il fulcro geometrico della stanza. All’interno di queste forme i motivi principalmente in bianco e nero si spostano da sottili raffigurazioni della faccia di Kinder a gocce di pioggia che ricordano la funzione di questa stanza, con il suo lavandino nascosto nell’angolo. Dando vita alla colonna sonora dello spazio, il concetto di acqua è onnipresente, con il lavandino stesso trasformato in una vetrina tridimensionale. L’effetto calmante dell’acqua in uno spazio così dinamico è riecheggiato dalla scelta (e non scelta) del colore. Brillanti sfumature fluorescenti spuntano intorno agli elementi in bianco e nero, riflettendo sottilmente le strisce d’oro, che sono il tocco finale di quello che è uno sguardo a 360 gradi nella pratica artistica dell’ONU.

Alice Pasquini
Alice Pasquini è un’artista romana che lavora come illustratrice, scenografa e pittrice. Le sue “tele” preferite sono le pareti. Ha viaggiato molto producendo molte opere d’arte, ad esempio: Sidney, New York, Barcellona, ​​Oslo, Mosca, Parigi, Copenaghen, Marrakech, Saigon, Londra e Roma. È nata nel 1980 e si è diplomata all’Accademia di Belle Arti di Roma. Successivamente ha vissuto e lavorato in Inghilterra, Francia e Spagna. Quando era a Madrid, ha frequentato un corso di animazione davvero prestigioso presso la famosa scuola di animazione Ars. Nel 2004 ha conseguito un Master in Art Critic presso la Computense University. Con la sua arte, Alice vuole esporre il momento più intimo del suo soggetto, che sono le persone normali e le sottili connessioni tra loro.

Che ci crediate o no ”- con queste parole, Alice Pasquini porta lo spettatore in un viaggio attraverso uno spazio che raffigura un lato inaspettato e di impatto della sua opera. Uno spazio guidato dall’illusione su molti livelli, dai colori tenui che emergono dalla combinazione di colori apparentemente in bianco e nero alla stratificazione di figure e frasi.

Crediamo o non crediamo? In questa stanza ci viene chiesto di deludere le nostre guardie e di immergerci in questo oscuro mondo di Alice. Solo in questo spazio interiore l’artista può divulgare un nuovo aspetto del suo lavoro, che è costruito su costrutti di mistero e apparizioni che sembrano riversarsi da ogni superficie dello spazio. Liberata dalla considerazione dell’arte pubblica, la dualità dell’artista è in mostra. Allontanandosi dai colori vibranti che definiscono il suo lavoro pubblico, questa ambientazione interna permette l’apparizione di personaggi marginali bagnati di nero, chiedendo il ritorno in un’altra epoca, quando la fantasia e l’illusione ci hanno fatto credere che tutto fosse possibile.

2501
2501 è un artista italiano. È apparso per la prima volta nella scena dell’arte di strada a 14 anni, su treni e mura a Milano. Integra graffiti, pittura su tela, sculture e video nella sua ricerca artistica. A 20 anni si trasferisce a San Paolo in Brasile come graphic designer, avviando alcune collaborazioni con ONG e insegnando ai bambini nelle favelas.

Recipient.cc è un collettivo artistico di Milano. È composto da professionisti di diverse aree, come comunicazione multimediale, produzioni video / audio, installazioni interattive, design e arte, con molti aspetti tecnici e anche commerciali

Blind Eye Factory è uno studio indipendente di artisti, specializzato nella produzione e realizzazione di contenuti video e fotografici. Il gruppo è stato fondato nel 2013 dall’unione di Giorgio Filippini e Lorenzo Gallito. Fin dall’inizio lo studio ha concentrato la sua attività nel campo dell’arte e del design, in particolare nel “nuovo muralismo” e nelle correnti dell’arte di strada.

La grande parete dipinta del 2501 incontra la tecnologia sperimentale del Destinatario e le immagini in movimento della Blind Eye Factory. Durante l’installazione il padiglione è stato trasformato in un vero e proprio studio d’arte. In questo progetto di gruppo, anche il pubblico è invitato a impegnarsi con l’opera e diventare una parte essenziale del pezzo, che raggiungerà la sua realizzazione con gli stessi strumenti utilizzati da l’artista. I pennelli utilizzati nella realizzazione del muro sono messi a disposizione del pubblico, che può utilizzarli sulla carta in movimento trovata su Macchina 03, creata dal collettivo dei Destinatari. Ogni giorno i fogli di carta finiti verranno appesi lungo le pareti del padiglione e solo alla fine del festival l’installazione potrà essere completata. L’intera installazione fa parte del progetto di esperimento Nomadic, che è una riflessione sulla condizione mutevole e frammentata che caratterizza la società contemporanea. Attraverso i suoi continui viaggi 2501 sperimenta e documenta questa condizione. Una parte del video documentario del progetto, di Blind Eye Factory, sarà presente nel padiglione.

Padiglione spagnolo
Penique Productions
Penique Productions è un collettivo artistico fondato a Barcellona nel 2007 da artisti di diverse discipline uniti nella realizzazione di un progetto comune basato sulla realizzazione di opere d’arte effimere. Le opere di Penique Productions sono palloncini colorati che invadono intere superfici. In questo modo danno nuove identità agli spazi.

Per Penique Productions la stanza è un pretest con cui possiamo pensare al modo in cui interagiamo con lo spazio. I due artisti spagnoli usano l’involucro di plastica per coprire le superfici degli spazi interni, grazie all’aria mossa da un ventilatore. In questo modo cambiano la percezione che abbiamo con lo spazio. Con questo processo la stanza è diventata inutilizzabile e lo spettatore si sente perso in esso. Per la prima volta e in particolare per il Festival all’aperto hanno creato due diversi ambienti di plastica che interagiscono tra loro. L’involucro giallo si attacca alle pareti della stanza, facendo risaltare le forme architettoniche. All’angolo della stanza, hanno creato un enorme cubo rosso, che è il focus principale dell’opera d’arte. Apparentemente è come un oggetto indipendente e indipendente,

Padiglione britannico
Insa
Insa è nato in Inghilterra e ha iniziato a dipingere a 12 anni. Oggi è uno degli scrittori più innovativi e rispettati nel Regno Unito. Le sue opere sono un mix di elementi diversi e colorati, in una costante ricerca creativa e sperimentazione.

Il caleidoscopio di immagini che scorre nelle animazioni GIF di Insa ha un potere ipnotico sullo spettatore. I loro movimenti ciclici, la profondità e i colori brillanti ci fanno indugiare, immobilizzandoci come sotto l’influenza di un potente antidolorifico. La vista dall’alto offre una prospettiva accentuata dell’opera, costringendoci ad osservare il vortice che domina la stanza, un vortice che, con il suo movimento, sprofonda nel nulla. Sopra di esso si trova un teschio in rotazione senza fine, irriverente e sardonico. Entrambe le figure sono state create attraverso 8 strati dipinti per formare la GIF, il segno distintivo del lavoro di Insa. L’artista inglese riflette sul concetto di immortalità nelle tendenze trovate online rispetto alla vita reale. I due oggetti rappresentati nell’opera hanno entrambi un doppio significato simbolico. Il teschio rotante è allo stesso tempo un’allegoria della morte e,

Il vortice, nell’antica tradizione simbolo di vita ed evoluzione, allo stesso tempo, attraverso il suo movimento, ci mette in guardia sulla transitorietà della vita. L’intera opera è una rivisitazione moderna e derisiva della vanitas umana. Rappresentazione farsesca e giocosa della natura effimera della nostra esistenza, il lavoro ci ricorda che spesso dimentichiamo queste condizioni mentre affondiamo nel mondo illusorio creato online.

Padiglione francese
Inclinare
Tilt è un artista di graffiti famoso in tutto il mondo. Viene da Tolosa, nel sud della Francia. Si definisce un “feticista dei graffiti” e il suo primo tag è stato realizzato su una rampa di skateboard nel 1988. La sua carriera è stata influenzata da lunghi viaggi in cui Tilt ha lasciato il segno, ad esempio negli Stati Uniti, Hong Kong, Giappone, Messico, Thailandia, Australia, Nuova Zelanda, Laos, Taiwan, Cina, Canada, Filippine, Indonesia e altri 12 paesi in Europa. Si dedica sempre alla vecchia scuola e allo stile selvaggio con cui crea forme e colori che attirano lo spettatore.

Esistono diversi livelli di significato con cui è possibile interpretare il lavoro di Tilt. Senza ombra di dubbio la natura primordiale dei graffiti è essenziale per il lavoro dell’artista francese. La sua ricerca artistica si è sempre concentrata su questo tema: lasciare un segno, il proprio nome, in una vasta parte del mondo e su una grande varietà di superfici. Il vomito, spesso visto come un semplice atto di vandalismo, attraverso Tilt diventa provocatoriamente decontestualizzato. Estratto e inserito in contesti inaspettati, acquisisce una nuova bellezza che è inquietante e disorientante. In questo modo i tag vengono legittimati, sia concettualmente che esteticamente, creando un corto circuito nel pregiudizio negativo nei loro confronti.

All’interno dell’ex caserma ha spinto i limiti della sua ricerca; non solo un atto di semplice decontestualizzazione, ha rimodellato le superfici destinate a questi interventi. Pertanto, le grandi finestre diventano le superfici su cui lavora l’artista. I numerosi colorati vomiti evocano le grandi vetrate delle chiese gotiche e ci conducono nel regno sacro. Il riflesso della luce sui pavimenti e sui muri, così come il muro focale con la sagoma negativa delle finestre ci attira per rispetto e contemplazione. Le grandi pareti dipinte sono in contrasto con una mostra di foto scattate alle finestre della metropolitana di Roma, così come altre città internazionali e la firma dell’artista. Lo spettatore è costretto a camminare attraverso il padiglione per indagare su tutto lo spazio.

Padiglione olandese
Chirurgia grafica
Graphic Surgery è una coppia artistica olandese. I loro nomi sono Erris Huigens (1978) e Gysbert Zijlstra (1978). Hanno esplorato i confini di diverse tecniche e generi, mantenendo sempre il loro stile personale. Di solito realizzano dipinti, graffiti, video e installazioni utilizzando un sistema di linee e geometrie in bianco e nero.

L’installazione del duo olandese è la quarta di una serie di lavori incentrati su strutture complesse che penetrano nello spazio architettonico. Il loro lavoro è fortemente influenzato dalle forme geometriche minime che modellano l’ambiente industriale, come le travi che si trovano nei magazzini e nelle gru. Quest’ultimo, in particolare, è qualcosa a cui sono particolarmente legati, un mezzo funzionale che è onnipresente nel paesaggio urbano, ma che spesso viene ignorato o crea fastidio. Per la Chirurgia Grafica la gru meccanica è un simbolo della città che cambia, uno strumento per il rinnovo o la distruzione di un ambiente in continua evoluzione. Il loro lavoro per Outdoor si concentra sulla riconfigurazione dell’ambiente della caserma, impiantando un traliccio nero trasversalmente su tre sale . Ogni pezzo è indipendente, ma allo stesso tempo parte integrante della struttura generale. Questa struttura in legno ricorda le travi a vista nei magazzini dell’edificio, da cui gli artisti hanno tratto ispirazione. Proprio come un cristallo puramente formato incastonato in un pezzo di pietra, la loro installazione trasforma le stanze e crea nuove prospettive spaziali.

Padiglione greco
Alexandros Vasmolulakis
Alexandros Vasmoulakis è nato nel 1980 ad Atene. Vive tra Atene e Londra, dove lavora come libero professionista. Ha iniziato la sua ricerca artistica nel campo dell’arte di strada e poi l’ha ampliata, soprattutto negli ultimi anni, a grandi installazioni realizzate con materiali riciclati.

RELICS – descrizione dell’opera di Antonella Di Lullo –
Gli oggetti che sono stati trovati in questo spazio abbandonato hanno riacquistato nuova vita grazie all’arte di Alexandros Vasmoulakis. Il suo lavoro per il festival all’aperto consiste in una serie di installazioni, create con oggetti e materiali che l’artista ha trovato durante le ispezioni dei siti. L’artista ha associato la sua scoperta all’affermazione del festival, che è “Here, now”. Possiamo trovare una colonna fatta da sedie, o un’altra fatta da cassetti, entrambi che rappresentano una sorta di presenza statica, in contrasto con la leggerezza del pannello ondulato che l’artista ha coperto di glitter verde e che fluttua nell’aria grazie a una ventola azione. Nelle opere di Vasmoulakis entrambe le sculture, i materiali e il tempo hanno un’importanza artistica.

Padiglione brasiliano
Tinho
La sofferenza e la solitudine sono le due emozioni che lo spettatore prova inevitabilmente quando vede le opere di Tinho. Il suo vero nome è Walter Nomura ed è nato nel 1973 in Brasile. È un artista di graffiti e con il suo lavoro vuole presentare qual è la sua immagine del mondo e della moderna società brasiliana.

Il lavoro di Walter Nomura, alias Tinho, tenta di creare un dialogo personale con lo spettatore, riportandolo a un momento intimo, quello della loro infanzia. Attraverso i suoi dipinti evocativi e le enormi bambole, trasmette l’ansia della vita contemporanea, la profonda alienazione e l’individualismo che distinguono la vita in spazi urbani nascosti dal ritmo frenetico della vita quotidiana. Le sue bambole, simboli di innocenza e leggerezza persi, ci guidano verso questa implicita lamentela e fanno riflettere sui risultati finali delle nostre azioni. Soprattutto, il suo lavoro è il frutto di una scelta morale ed etica: in un’era in cui l’economia crea fenomeni che distruggono il nostro pianeta, come lo spreco di risorse e la generazione di enormi quantità di immondizia, crea i suoi burattini usando scarti di tessuto e indumenti usati.

Padiglione norvegese
Martin Whatson
Martin Whatson è nato nel 1984 in Norvegia e vive ancora lì. Mostra una continua urgenza nella ricerca sulla bellezza in ciò che di solito è considerato brutto, fuori moda o semplicemente non interessante. Trova la sua ispirazione in persone, scene urbane, vecchi edifici e muri graffiati.

Stencil e spray. Questi sono i due metodi utilizzati dall’artista norvegese per il suo lavoro qui a Outdoor: un metodo preciso e tecnico, l’altro impulsivo e caotico. La stanza, su scala minore rispetto ad altre, consente allo spettatore una rapida visione panoramica, innescando il ritmo dinamico dell’opera. Le due figure sono impegnate in un inseguimento senza fine: una intenta a dipingere, l’altra a coprire le sue tracce di vernice bianca. È un mistero chi ha iniziato l’inseguimento e chi lo finirà. Questi due gesti opposti esemplificano la natura effimera dell’arte urbana e le dinamiche che si verificano mentre si lavora in un contesto urbano. L’artista riserva il proprio giudizio in questa lotta tra forze opposte, limitando il suo coinvolgimento all’espressione di questo gioco necessario tra forze opposte.

Progetto speciale

Marine Leriche
Marine Leriche è una graphic designer, tessile e scenografa. Ha studiato per la prima volta comunicazione visiva e multimedia presso la Scuola nazionale di arti applicate e artigianato di Parigi. Successivamente è entrata nel dipartimento di progettazione tessile dell’ENSCI-Les Ateliers (scuola nazionale di studi avanzati di design). Allo stesso tempo ha sempre imparato molto lavorando e collaborando con stilisti, artisti e agenzie. È un dato di fatto che ora ha un profilo multidisciplinare. La creazione è un’esigenza che soddisfa soddisfacendo e collezionando oggetti, immagini e contenuti nella sua vita quotidiana. Ama imparare lavorando su nuovi mezzi, su nuovi progetti, con nuovi partner. Secondo lei, è importante stimolare sempre l’immaginazione creando incontri e dialoghi tra diversi campi creativi.

Quando siamo entrati in questo luogo, abbiamo immediatamente sentito il bisogno di condividere le grandi emozioni che stavamo vivendo in questa ex fabbrica militare. Objets trouvés è un catalogo di sentimenti che celebra un luogo produttivo e vivace che è rimasto attivo per oltre un secolo. Per tre mesi, i sette ettari su cui si sviluppa l’ex caserma SMMEP furono una terra di scoperta. Ogni angolo di questo immenso luogo è stato oggetto di una ricerca insaziabile che lungo la strada diventa una vera dipendenza e che ci ha portato a raccogliere i frammenti di una vita non nostra.

Con la curiosità e l’eccitazione dei bambini che fanno scoperte avventurose in una soffitta polverosa e ammuffita, per noi ogni oggetto simboleggia un risultato e ogni risultato è diventato una storia. La storia che desideriamo raccontare è quella dell’immaginazione. Gli oggetti esposti sono apparentemente senza valore, ma ricchi con l’energia degli uomini che li hanno usati. La loro collocazione ha un’organizzazione estetica ed emotiva fatta deliberatamente per non ridurli a un catalogo scientifico della vita vissuta all’interno di queste caserme. Pertanto, ti invitiamo in una storia che è più simile a un libro illustrato che a un libro di storia come mezzo per fornire un’esperienza personale, intima e riflessiva.

Mobili, vernici, legno, ferro, oggetti arrugginiti, sedie, poltrone, caschi, bottiglie, lampadine, poster, cartoline, lettere, disegni, registrazioni, ordini e comandi, occhiali da sole, attrezzatura da sci, penne, strumenti, bottoni, giacche, camicie , striscioni e bandiere, cose incomprensibili, vecchi computer, progetti, diagrammi, fili elettrici, calendari erotici, radio, grafica, volantini e oggetti sconosciuti apprezzati per la loro bellezza o per il semplice fascino dell’ignoto.

Questo tesoro raccolto in tre mesi è organizzato per trasmettere un senso di confusione, la stessa confusione vissuta da noi all’inizio della ricerca. Invece, la mostra adotta un metodo di esposizione rassicurante e sistemico: per colore, forma, materiale, trama e tema. Questo mette in evidenza l’estetica degli oggetti, regolarizza lo spazio e facilita il divertimento. Portiamo il pubblico in questo affascinante viaggio tra oggetti di uso quotidiano e sconosciuti giustapposti in un modo che dà valore alla loro normalità – un invito a un nuovo sguardo sublime alla vita quotidiana .

Festival all’aperto di Roma
OUTDOOR è stato creato nel 2010 con l’intento di rafforzare il rapporto tra cittadino e città attraverso interventi artistici nel tessuto urbano. Dopo aver contribuito alla caratterizzazione dell’ex area industriale di Ostiense attraverso installazioni permanenti di arte pubblica, il festival si concentra sul tema dell’uso dell’arte nei processi di rigenerazione urbana come chiave che consente al pubblico l’accesso alle dinamiche di trasformazione che interessano il territorio e come mezzo di comunicazione per la città a livello internazionale.

Il Festival all’aperto continua la sua riflessione sulla conversione degli spazi pubblici attraverso l’arte e la musica che trasformi in strumento per la riattivazione di luoghi abbandonati favorendo spesso una rinnovata esperienza.

Oltre 70.000 metri quadrati che emergeranno come sede del distretto della Città della Scienza e del progetto di riqualificazione urbana. L’ex caserma è stata riattivata attraverso un vasto programma culturale e interventi site specific di 17 artisti locali, nazionali e internazionali che si animano temporaneamente prima della sua rigenerazione finale.

Dopo cinque edizioni, oltre 70 artisti coinvolti, 16.000 presenze l’anno scorso nelle antiche usanze di San Lorenzo, il festival quest’anno suggerisce un concetto semplice e forte allo stesso tempo.

In collaborazione con Ambasciate e Istituti Culturali all’estero, Outdoor Festival ospita 17 artisti di 8 paesi che occupano con le loro opere 10 padiglioni all’interno degli spazi abbandonati dell’ex caserma Guido Reni.

Opere che vanno dall’astratto al 108 eclettico mix di graffiti, sculture e video nel 2501 realizzate in collaborazione con il Destinatario e The Blind Eye Factory. Dalle grandi installazioni di opere greche Vasmoulakis di Minelli, politiche sì, ma allo stesso tempo introspettive.

L’installazione di un essenziale duo geometrico bianco e nero olandese Graphic Surgery, Halo Halo, con i suoi labirinti bidimensionali e il fascino dell’opera del norvegese Martin in cui il drammatico grigio è rotto da macchie di colore, in contrappunto a le colorate bambole strofinano il brasiliano Tinho in modo che conduca i suoi messaggi sociali. La rivoluzione spaziale della Penique Productions spagnola, che ha richiesto una nuova concezione del luogo attraverso la distorsione dello stesso e il graffito francese Tilt ci ricordano che l’inizio della scrittura. La decostruzione dell’urban costruito da Rub Kandy, Insa e le sue “giffiti”, immagini multistrato animate stop-motion, la ricerca dell’artista di strada Lucamaleonte che in questa occasione si concentrerà sulla memoria e sul design dell’interazione di No Idea. E infine, il Padiglione Roma,

Un vasto programma di eventi porta lo spettatore a scoprire le culture dei paesi ospitanti tra cui talk, cinema, cibo e una vasta selezione di musica internazionale.

I piani outdoor per questa edizione sono una specifica di estensione: insieme alle arti visive, la musica è quest’anno co-protagonista del festival. Ogni lavoro dei 17 artisti coinvolti è combinato con l’intervento di un musicista chiamato a realizzare un’installazione sonora originale.

Outdoor ha anche tre caratteristiche speciali: il convegno creativo Italianism, di Renato Fountain che sottolinea l’enfasi sulla creatività “Made by Italians”, un modo per fare il punto sullo stato della nuova scena visiva insieme all’italiano oltre un centinaio di professionisti e artisti residenti in Italia e all’estero, dal mondo dell’architettura, della direzione artistica, della comunicazione, del design, della fotografia, del fumetto, della grafica, dell’illustrazione, del murale e del video.