Il Palazzo Vecchio è il municipio di Firenze, situato in Piazza della Signoria. Palazzo Vecchio è da oltre sette secoli il simbolo del potere civico di Firenze. Il Palazzo Vecchio si affaccia su Piazza della Signoria, che custodisce una copia del David di Michelangelo, e la Galleria delle Statue nell’adiacente Loggia dei Lanzi. Rappresenta la migliore sintesi dell’architettura civile trecentesca della città ed è uno degli edifici civili più famosi al mondo.

Originariamente chiamato Palazzo dei Priori, costruito tra la fine del Duecento e l’inizio del Trecento per ospitare il supremo organo di governo della città, i Priori delle Arti e il Gonfaloniere di Giustizia. fu poi identificato nel XV secolo come Palazzo della Signoria, dal nome del corpo principale della Repubblica di Firenze; nel 1540 divenne “Palazzo Ducale”, quando il duca Cosimo I de’ Medici ne fece la sua residenza; infine il nome Vecchio quando, nel 1565, il Granduca Cosimo I elesse palazzo Pitti come suo palazzo.

Nel tempo ha subito una serie di ampliamenti e trasformazioni. L’edificio si è progressivamente ampliato verso est, occupando un intero isolato ed estendendo l’iniziale parallelepipedo trecentesco fino a quadruplicarne le dimensioni, con una pianta che ricorda un trapezio di cui la facciata è solo il lato più corto. Le pareti di Palazzo Vecchio sono ricche di iscrizioni e targhe, nel cortile sono dipinti i simboli delle Corporazioni di Firenze.

L’aspetto attuale è dovuto principalmente agli splendidi lavori di restauro e decorazione degli interni effettuati a metà del Cinquecento per adeguare l’edificio alla nuova funzione di palazzo ducale voluta da Cosimo I de’ Medici. Dopo il trasferimento della corte medicea a Palazzo Pitti, continuò ad ospitare la Guardaroba (dove erano conservati i costumi cerimoniali e i tesori di famiglia) e vari uffici governativi, fino a diventare nel 1871 sede del Comune di Firenze.

Non ci sono porte o aperture per la sicurezza di coloro che amministravano il potere. Vi si poteva accedere solo dal cortile. Palazzo Vecchio ha diversi ingressi tra cui la Porta della Tramontana (Porta del Vento del Nord), la Porta della Dogana (Porta Doganale) e la Porticciola (Porta Piccola), collegata ad una scalinata segreta e fatta costruire dal Duca di Atene per garantire una via di fuga in gli anni turbolenti del suo governo.

Dal 1865 al 1871 fu sede del Parlamento del Regno d’Italia, mentre oggi ospita il Sindaco di Firenze e vari uffici comunali. C’è anche un museo, che permette di visitare le magnifiche sale dove, tra gli altri, lavorarono Agnolo Bronzino, Ghirlandaio, Giorgio Vasari, e dove sono esposte opere di Michelangelo Buonarroti, Donatello, Verrocchio.

Palazzo Vecchio è anche un museo straordinario, ogni stanza è ricca di storia e segreti. Davanti alla facciata spiccano nella loro bellezza le statue del Marzocco e una copia di Giuditta e Oloferne, copia anche della statua del David di Michelangelo che è la guardia del palazzo dal 1504. L’insieme degli stemmi sulla facciata è una testimonianza unica della Firenze medievale e dei suoi equilibri di potere, tradotta in simboli e riferimenti.

La Cappella della Signoria (Cappella dei Priori) è famosa soprattutto per aver accolto Fra Savonarola in preghiera per un momento prima di essere bruciato vivo in Piazza della Signoria. La Sala delle Udienze e la Sala dei Gigli sono riccamente decorate con opere di Benedetto da Majano, Ghirlandaio e porte in legno con immagini di Dante Alighieri e del Petrarca. Palazzo Vecchio custodisce anche la maschera mortuaria di Dante.

La Sala delle Carte Geografiche o Wardrob era il luogo in cui i Medici custodivano i loro beni più preziosi, e oggi conserva meravigliose carte geografiche e un famoso mappamondo. La Vecchia Cancelleria è nota per aver ospitato Niccolò Machiavelli quando era Segretario della Repubblica Fiorentina.

Le altre splendide sale del museo sono intitolate ai gentiluomini e alle nobildonne che nei secoli resero grande la Casa dei Medici: papa Leone X, Cosimo il Vecchio, Lorenzo il Magnifico, Cosimo I, Giovanni dalle Bande Nere, gli unici condottieri mercenari della famiglia Medici, e papa Clemente VII.

Sulla facciata principale bugnata, la Torre di Arnolfo è uno degli emblemi della città. La torre risale al 1310. Una delle tre campane della torre, affettuosamente chiamata Martinella, è molto cara ai fiorentini, perché ha sempre avuto la funzione di chiamare la cittadinanza nell’assemblea.

Esterno
La facciata principale dà l’impressione di solidità anche grazie alla finitura esterna in bugnato rustico in pietraforte. È suddiviso in tre piani principali da marcapiani, che sottolineano due ordini di bifore neogotiche marmoree con archi trilobati, aggiunte nel Settecento in sostituzione di quelle originarie.

La parte antica è coronata da un ballatoio aggettante sorretto da mensoloni su archi a tutto sesto e caratterizzato da una merlatura di tipo guelfo (con sommità squadrata), mentre la torre ha una merlatura ghibellina (“a coda di rondine”). Ogni mensola era decorata con una testa scolpita, umana o animale, di cui sono ancora visibili alcuni esemplari in bronzo. Alcuni di questi archi sono dotati di caditoie che potrebbero essere utilizzate, a scopo difensivo, per lanciare olio bollente o pietre su eventuali invasori.

Ai quattro angoli della galleria vi erano quattro nicchie con marzocchi in pietra. La porta-finestra e il terrazzino sono aggiunte tardive.

La piattaforma sopraelevata antistante l’edificio è il cosiddetto arengario oa spina di pesce, zona che prende il nome dalla “ringhiera” che un tempo la racchiudeva e che fu eliminata durante i restauri ottocenteschi di Giuseppe Del Rosso. Anche la scala stessa girava sul lato sinistro, ma fu tagliata con gli interventi rinascimentali.

Il David di Michelangelo ne segnò l’ingresso dal 1504, anno del suo completamento, fino al 1873 quando fu trasferito all’Accademia. Una copia è al suo posto dal 1910, affiancata da Ercole e Caco di Baccio Bandinelli, scultore molto criticato per la sua “audacia” nell’accostare una sua opera al capolavoro di Michelangelo. Davanti agli stipiti delle porte si trovano i due Termini marmorei, quello maschile di Vincenzo de’ Rossi e quello femminile di Baccio Bandinelli, che rispecchiano una tipologia della statuaria classica: anticamente sostenevano una catena che serviva a sbarrare l’ingresso .

Sopra il portale principale si erge un frontespizio decorativo marmoreo datato 1528, con il monogramma radiato di Cristo Re. Al centro, affiancato da due leoni, vi è il trigramma di Cristo, circondato dalla scritta Rex Regum et Dominus Dominantium (Gesù Cristo, Re dei Re e Signore dei Signori). Un’altra targa bronzea ricorda il plebiscito del 15 marzo 1860 che permise l’unione della Toscana al Regno d’Italia.

Sotto gli archi della galleria nel 1353 furono dipinti una serie di stemmi che simboleggiano alcuni aspetti particolari della Repubblica Fiorentina. La serie dei nove stemmi si ripete due volte sulla facciata e due stemmi si trovano anche sul lato sinistro.

I cortili

Primo cortile
Al centro, in sostituzione dell’antico pozzo, fu eretta una fontana in porfido da Battista del Tadda e Raffaello di Domenico di Polo, su disegno del Vasari e con la probabile collaborazione di Bartolomeo Ammannati. Poggiata su un’ampia base ottagonale, con gli ultimi due gradini tondi, presenta una colonna in porfido che sorregge una vasca in marmo. Sulla fontana fu collocata nel 1557 la più antica statua bronzea del Putto con delfino di Andrea del Verrocchio (1470 circa), spostata dal 1959 al secondo piano del palazzo e sostituita nel cortile da una copia.

Questa piccola scultura, che poggia su una balaustra centrale a forma di anfora con zampillanti teste leonine, era inizialmente collocata nel giardino della villa medicea di Careggi, nella fontana dell’Amore, ai margini della quale poteva incontrarsi l’Accademia neoplatonica nei mesi estivi. L’acqua che ancora oggi lo alimenta, sgorgando dalle narici del delfino, arriva dal colle di Boboli grazie ad un antico sistema idrico di tubazioni.

Nella nicchia antistante la fontana, accanto al portale in porfido di fronte all’ingresso, Sansone e il Filisteo di Pierino da Vinci, scolpito per il sovrintendente di corte Luca Martini e qui collocato nel 1592. Le colonne sono riccamente decorate, con scanalature alternate a parti lavorate a stucco dorato, opera di Santi Buglioni e Lorenzo Marignolli.

Gli affreschi alle pareti sono vedute delle città della monarchia asburgica austriaca, dipinte nel 1565 da Giorgio Vasari per la celebrazione del matrimonio di Francesco I de’ Medici, primogenito di Cosimo I de’ Medici, con l’arciduchessa Giovanna d’Austria, sorella dell’imperatore Massimiliano II. Tra le città rappresentate vi sono Graz, Innsbruck, Linz, Vienna, Bratislava (Pozsony), Praga, Hall in Tirol, Friburgo in Brisgovia e Costanza. Alcuni sono stati danneggiati nel corso del tempo.

Le colonne armoniosamente proporzionate, un tempo lisce e intatte, erano nello stesso tempo riccamente decorate con stucchi dorati. Le volte a botte sono arredate con decorazioni a grottesche. Nelle lunette, alte intorno al cortile, sono gli stemmi della chiesa e delle corporazioni cittadine. Al centro, la fontana in porfido è di Battista del Tadda. Il Putto con delfino sopra la vasca è una copia dell’originale di Andrea del Verrocchio (1476), oggi esposto al secondo piano del palazzo. Questa piccola statua era originariamente collocata nel giardino di Villa Medici a Careggi. L’acqua, che scorre attraverso il muso del delfino, viene qui portata dalle condutture del Giardino di Boboli.

Dal lato sinistro del cortile una porta conduce all’antica Camera delle Armi, un tempo adibita a magazzino di armi e munizioni e oggi adibita a mostre temporanee ed eventi speciali. Costruita nel 1312, è l’unico vano dell’edificio che conserva la struttura primitiva, con tetto a nervature in laterizio e pilastri in pietraforte. Durante il restauro del 1910 furono demoliti gli intonaci originari e fu riaperta la porta della piazza (di Tramontana), chiusa nel 1380.

Secondo cortile
Il secondo cortile, noto anche come cortile della dogana, ha massicci pilastri costruiti nel 1494 dal Cronaca per sostenere il “Salone dei Cinquecento” al secondo piano. Prende il nome dagli uffici doganali che qui si trovavano fin dai tempi di Leopoldo II di Toscana, quando furono istituiti. La Dogana fiorentina riceveva la merce proveniente dall’esterno del Granducato e la portava in deposito, in attesa che il destinatario la prendesse in consegna (“sdoganasse”) pagando la relativa tassa. Dopo l’alluvione dell’Arno del 3 novembre 1844, la merce fu gravemente allagata, per cui tale ufficio fu trasferito al Casinò di San Marco in via Cavour, prima che vi fossero collocati gli uffici giudiziari della Corte d’Appello.

Nel cortile oggi si trovano la biglietteria del museo e la biblioteca. Sulla parete sinistra sono ancora presenti tre stemmi in pietra risalenti ai secoli XIV e XV e relativi ai Capitani del Popolo. Qui è esposta la banderuola originale della torre: è la sagoma di un marzocco con il giglio di ferro di Firenze. Posta in cima alla torre nel 1493, fu sostituita nel 1981 da una copia in fibra di vetro. Tra il primo e il secondo cortile si trova l’imponente e monumentale scalinata del Vasari che conduce al Salone dei Cinquecento.

Terzo cortile
Il terzo cortile, detto cortile nuovo, già progettato dal Vasari, fu realizzato da Bartolomeo Ammannati e Bernardo Buontalenti al termine del prolungamento verso via dei Gondi e via dei Leoni. È aperto, senza archi e vi si affacciano principalmente uffici comunali. La scala che parte da qui conduce all’ufficio del Sindaco e al Consiglio. Anticamente era decorato con una loggia e balconi esterni andati perduti nel tempo.

Il Museo

Primo piano

Salone dei Cinquecento
Il Salone dei Cinquecento è uno dei saloni più grandi e preziosi d’Italia. Il Salone dei Cinquecento (“Sala dei Cinquecento”) è la camera più imponente, con una lunghezza di 52 m (170 piedi) e una larghezza di 23 m (75 piedi). Fu edificato nel 1494 da Simone del Pollaiolo, su commissione del Savonarola che, sostituendo i Medici dopo il loro esilio come condottieri spirituali della Repubblica, lo volle come sede del Gran Consiglio (Consiglio Maggiore) composto da 500 membri.

Successivamente la sala fu ampliata da Giorgio Vasari affinché il Granduca Cosimo I potesse tenere la sua corte in questa camera. Durante questa trasformazione andarono perdute opere famose (ma incompiute), tra cui la Battaglia di Cascina di Michelangelo e la Battaglia di Anghiari di Leonardo da Vinci. All’epoca in cui Firenze era capitale del Regno d’Italia, vi si riunivano i parlamentari (1865 – 1871).

Il soffitto è costituito da 39 pannelli costruiti e dipinti dal Vasari e dalla sua bottega, rappresentanti “Episodio importante della vita di Cosimo I”, i rioni della città e la città stessa, con al centro l’apoteosi rappresentante: “Scena di glorificazione come granduca di Firenze e di Toscana”.

Sul lato nord della sala, illuminato da grandi finestre, si trova il piano rialzato detto L’udienza, fatto costruire da Baccio Bandinelli per Cosimo I per ricevere cittadini e ambasciatori. In alto vi sono affreschi di vicende storiche tra cui quello in cui papa Bonifacio VIII ricevette gli ambasciatori e rendendosi conto che erano tutti fiorentini pronunciò la famosa frase “Voi fiorentini siete la quintessenza”.

Alle pareti sono inoltre esposti alcuni sontuosi arazzi medicei tra cui Storie della vita di Giovanni Battista, tratte da un affresco di Andrea del Sarto. Le sei statue lungo le pareti che rappresentano le Fatiche di Ercole sono opera di Vincenzo de’ Rossi.

Nelle nicchie si trovano sculture del Bandinelli: al centro la statua di Leone X (realizzata con l’aiuto dell’assistente Vincenzo de’ Rossi) e a destra la statua di Carlo V coronato da Clemente VII. Nella nicchia centrale (parte meridionale della sala) si trova il famoso gruppo marmoreo di Michelangelo Il genio della Vittoria (1533 – 1534), originariamente allestito per la tomba di papa Giulio II.

Studiolo di Francesco I
In fondo al corridoio c’è una piccola stanza laterale senza finestre. Lo studiolo era un piccolo studiolo segreto disegnato dal Vasari in stile manieristico (1570–1575). Le pareti e la volta a botte sono piene di dipinti, stucchi e sculture. La maggior parte dei dipinti sono della Scuola del Vasari e rappresentano i quattro elementi: fuoco, acqua, terra e aria. Il ritratto di Cosimo I e della moglie Eleonora di Toledo fu dipinto dal Bronzino. Le delicate sculture in bronzo furono realizzate da Giambologna e Bartolomeo Ammanati. Da uno spioncino Francesco spiava i suoi ministri e ufficiali durante le riunioni del Salone dei Cinquecento. Smontato dopo decenni dalla sua costruzione, è stato rimontato nel XX secolo.

Le altre stanze del primo piano sono i Quartieri monumentali. Questi locali, Residenza dei Priori e Quartieri di Leone X, sono utilizzati dal sindaco come uffici e sale di ricevimento. Non sono accessibili al pubblico. Dal piccolo studio, due scale conducono allo studio più antico di Cosimo I o Tesoretto.

Quartieri Monumentali
Le altre stanze del primo piano sono i “Quartieri Monumentali”. Queste stanze sono riccamente decorate secondo un programma volto alla celebrazione della famiglia Medici. Sono state a lungo utilizzate come sale del consiglio dal Sindaco; tuttavia, recentemente sono state parzialmente rese aperte ai turisti (stanza di Leone X e stanza di Clemente VII), compreso l’ex sindaco.

Nel quartiere di Leone X sono presenti affreschi che celebrano la genealogia della famiglia Medici, e prendono il nome da una delle stanze più famose, quella dedicata al primo papa dei Medici. I dipinti sono opera di Giorgio Vasari, Giovanni Stradano e Marco da Faenza.

Sala di Leone X
La Sala di Leone X è dedicata al papa figlio di Lorenzo il Magnifico che iniziò le fortune della famiglia nel Cinquecento, portandola a consolidarne potere e importanza.

Sul soffitto sono dipinte le truppe alleate di Leone X riconquistano Milano dai francesi, mentre i pannelli rettangolari e ottagonali raffigurano vari episodi della vita di Leone X. Altri episodi sono raffigurati negli affreschi monocromi, collocati nelle zone laterali delle pareti.

Grandi scene sono dipinte al centro delle pareti. Nella scena dell’ingresso trionfale di Leone X a Firenze, vediamo l’apparizione di piazza della Signoria prima della costruzione degli Uffizi, con la chiesa di San Pier Scheraggio ancora e con la Loggia dei Lanzi senza le sculture.

Interessante anche l’affresco della battaglia di San Leo, vinto da Lorenzo Duca d’Urbino per lo stesso papa. Sullo sfondo si vede chiaramente la rocca di San Leo, famosa per essere stata il luogo di prigionia di Cagliostro. Una curiosità del dipinto è rappresentata dalla personificazione di un fiume (un vecchio) in primo piano con in mano una grande giara: nella giara sgorga acqua proveniente dalla roccia, che a ben guardare ha le sembianze di un uomo in piedi che urina (?), allegoria della sorgente del fiume Marecchia.

La scena della terza parete è Leone X che elegge il suo collegio cardinalizio. La parete con le finestre è invece decorata con alcuni ritratti dei Medici.

Agli angoli si aprono quattro nicchie con quattro busti marmorei: da sinistra Giuliano, duca di Nemours di Alfonso Lombardi, Lorenzo duca di Urbino di Gino Lorenzi, Clemente VII sempre del Lombardi e Leone X del Lorenzi.

Il maestoso camino in marmo è disegnato da Bartolomeo Ammannati; il pavimento è opera di Santi Buglioni ed è in terracotta bianca e rossa; al centro gli anelli medicei intrecciati e il tramezzo riecheggia quello del soffitto.

Sala di Cosimo il Vecchio
La Sala di Cosimo il Vecchio presenta al centro del soffitto il ritorno dall’esilio di Cosimo con i figli Piero e Giovanni (interessante è una veduta nel dipinto di Porta San Gallo con il monastero distrutto di San Gallo). Le edicole laterali, realizzate su disegno dell’Ammannati, sono decorate con episodi della vita di Cosimo e allegorie.

Sala di Lorenzo il Magnifico
Il ciclo di affreschi celebrativi della famiglia Medici prosegue nella sala di Lorenzo il Magnifico. Nel soffitto, al centro, è dipinto Lorenzo il Magnifico che riceve l’omaggio degli ambasciatori. Seguito ai lati da Lorenzo alla dieta di Cremona, Ritratto di Giuliano di Lorenzo de’ Medici, Lorenzo va a Napoli da Ferdinando d’Aragona, Ritratto di Piero il Fatuo, Lorenzo tra filosofi e letterati, Ritratto di Giuliano de’ Medici , La presa di Sarzana e Ritratto di Giovanni de’ Medici.

Sala di Cosimo I
Al centro del soffitto è il Trionfo di Cosimo I a Montemurlo. Le altre scene rappresentate sono: Cosimo tra gli artisti della sua corte, Ritratto di Francesco I de’ Medici, Cosimo ordina di aiutare Serravalle, Ritratto di don Pietro de’ Medici, Cosimo visita le fortificazioni dell’Elba, Ritratto di Eleonora di Toledo, Elezione di Cosimo I Duca di Firenze e Doppio Ritratto di Giovanni e Garzia de’ Medici.

Sulle pareti sono raffigurate varie scene della vita di Cosimo.

John della stanza delle bande nere
La sala successiva è dedicata a Giovanni delle Bande Nere, padre di Cosimo I e unico capo della famiglia Medici. Al centro del soffitto è dipinto Giovanni che nuota il Po e l’Adda con l’esercito.

Alle pareti affreschi di vari episodi bellici legati a Giovanni dalle Bande Nere e i ritratti di Caterina Sforza (sua madre) e Pierfrancesco de’ Medici (suo nonno).

Scrivania
La scrivania è una stanzetta attigua alla camera di Cosimo I, un tempo dotata di armadi e scrivanie; la vetrata doveva illuminare la stanza.

Il soffitto è decorato con Cesare che scrive i Commentarii. Il pavimento intarsiato è originale.

Cappella dei Santi Cosma e Damiano
La cappella è dedicata ai protettori della famiglia Medici, i Santi Cosma e Damiano. Il soffitto è decorato con un affresco dell’Eterno in gloria, mentre alle pareti sono presenti tre affreschi monocromi.

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L’altare era originariamente decorato con la bella Madonna dell’Imputaggio di Raffaello, ora nella Galleria Palatina di Palazzo Pitti e sostituita da una copia. Ai lati San Damiano nei tratti di Cosimo I e San Cosma nei tratti di Cosimo il Vecchio. Anche qui il pavimento è originale del Cinquecento.

Sala di Clemente VII
La sala di Clemente VII è dedicata all’altro papa Medici; al centro del soffitto Clemente VII incorona Carlo V. Negli ovali e nei rettangoli intorno vi sono varie scene della vita del papa e di personaggi del suo tempo.

Sulle pareti sono raffigurati vari episodi di guerra, come il famoso Assedio di Firenze del 1530, dove fu raffigurata un’ampia veduta della nota città.

Il Ricetto
Sul lato opposto del primo piano, solitamente visitabile al termine del percorso museale, si trova il Ricetto, ambiente caratterizzato dalla volta affrescata da Lorenzo Sabatini nel 1565 con figure allegoriche, imprese e stemmi medicei e imperiali.

La Sala dei Dugento
La Sala dei Dugento, affacciata sul rifugio, è il luogo in cui si riunisce il consiglio comunale, quindi spesso non è visitabile. Originariamente era adibito a sala del Consiglio e fa parte della parte più antica dell’edificio, quella trecentesca. È decorato con un soffitto a cassettoni scolpiti con lo stemma di Firenze, opera di Giuliano e di Benedetto da Maiano con l’aiuto (1462). Inoltre i due portali marmorei sono opera di Baccio d’Agnolo. Gli arazzi realizzati per queste pareti sono le Storie dell’ebreo Giuseppe disegnati da importanti artisti rinascimentali (Pontormo, Bronzino…).

Sala degli Otto
L’attigua Sala degli Otto è un piccolo ambiente adibito ad ufficio, che presenta un soffitto scolpito con teste di putti e gigli, realizzato contemporaneamente ai soffitti della Sala dei Duegento e della Sala dei Gigli al piano superiore. Da qui si entra in un passaggio con scala antica, dove si trova una lunetta con Annunciazione, di Marco da Faenza, autore anche della decorazione a grottesche del vicino bagno, che faceva parte degli ambienti abitati privatamente da Cosimo I, distorto e in gran parte annullato dai lavori del 1865 per Firenze capitale.

Secondo piano

Una scala monumentale, progettata dal Vasari, conduce al secondo piano. Questo piano contiene il Quartiere degli Elementi, un tempo area privata di Cosimo I e dedicata ad Aria, Acqua, Terra e Fuoco, e il Quartiere di Eleonora, un tempo abitato da Eleonora di Toledo. Il tema iconografico è stato elaborato dallo studioso Cosimo Bartoli, secondo un programma celebrativo connesso a quello del primo piano.

Sullo scalone, sulla parete del primo pianerottolo, vi è l’affresco dei Fuochi per la festa di San Giovanni di Giovanni Stradano; le decorazioni delle volte e delle cupole del vano scala sono di Marco da Faenza.

Appartamenti degli Elementi
Questi appartamenti (Sala degli Elementi) sono composti da cinque stanze (come la Sala di Cerere) e due logge. La commissione per queste stanze fu originariamente affidata da Cosimo I a Giovanni Battista del Tasso. Ma alla sua morte, le decorazioni furono continuate dal Vasari e dai suoi aiutanti, lavorando per la prima volta per i Medici. Queste stanze erano gli alloggi privati ​​di Cosimo I.

Nella prima sala, la Sala degli Elementi, si incontrano le allegorie degli Elementi: Acqua (Nascita di Venere), Terra (Prizie della Terra offerta e Saturno), Fuoco (Fucina di Vulcano) e il soffitto è decorato con le allegoria dell’Aria, con al centro Saturno che mutila il cielo. Mercurio e Plutone sono affrescati tra le finestre. Il maestoso camino è stato disegnato dall’Ammannati.

Nella seconda sala, detta Sala di Opi, si trova l’affresco con il Trionfo della Dea Opi (divinità talvolta identificata con Cibele) sul soffitto e le allegorie dei Mesi lungo il fregio; il pavimento è in cotto bianco e rosso che riprende i tramezzi del soffitto, con al centro l’iscrizione dedicata a Cosimo I del 1556; armadietti in tartaruga e bronzo addossati alle pareti. Dalla finestra di questa stanza si affaccia sul terzo cortile.

Segue la Sala di Cerere, che prende il nome dalle decorazioni del soffitto dipinte dal Doceno (Cerere che cerca Proserpina circondata da raffigurazioni di divinità e putti) e che espone alcuni arazzi fiorentini del Cinquecento con scene di caccia su cartoni di Giovanni Stradano. Il successivo Scrittoio di Calliope è decorato sul soffitto dall’affresco del Calliope e gli attributi delle Muse (al centro) e da un fregio con le gesta del duca Cosimo I; la finestra presenta un’originale vetrata con Venere vestita dalle Grazie tra Fede e Speranza.

La Sala di Giove ha un soffitto con l’affresco Giove bambino allevato dalle Ninfe e la capra Amaltea e arazzi fiorentini realizzati su cartoni di Giovanni Stradano. I due preziosi armadi in ebano con intarsi in pietre semipreziose sono posteriori a circa un secolo e provengono dalla fabbrica dell’Opificio delle Pietre Stones.

Il Terrazzo di Giunone è in realtà una stanza chiusa, ma, come suggerisce il nome, anticamente era aperto sull’esterno. Fu murata al tempo di Ferdinando I de’ Medici da Bartolomeo Ammannati. Sulla volta è raffigurata Giunone su un carro trainato da pavoni, Allegoria dell’Abbondanza e Allegoria del Podestà. Alle pareti affreschi con Giunone, Giove e Io (a sinistra) e Giove Giunone e Callisto (a destra), mentre al centro vi è una nicchia dove si trovava una statua di Giunone. In basso, un fregio monocromatico è decorato con una fontana con amorino, tra ovali con figure femminili. Qui si trovava l’originale della statua bronzea del Putto con delfino del Verrocchio, ora trasferita in una stanza più piccola al primo piano (la copia si trova al piano terra nell’originaria collocazione della fontana nel primo cortile).

Superato un piccolo ambiente affrescato, si giunge alla Sala d’Ercole, che ha un soffitto a cassettoni con Le dodici fatiche di Ercole (Ercole bambino che strangola serpenti, al centro, Il toro di Creta, L’idra di Lerna, Il leone di Nemea , Cerbero, Ercole che ruba le mele delle Esperidi, Ercole e Cacco, Ercole che soffoca Anteo ed Ercole che uccide Nesso). La sala custodisce una Madonna con Bambino (la famosa “Madonna dell’Ufo”) e un mobiletto in ebano del XVII secolo intarsiato con pietre semipreziose.

La Terrazza di Saturno chiude i quartieri di Cosimo, una bella loggia aperta che domina Firenze, che permette una vista verso sud-ovest: piazzale Michelangelo, piazza Santa Croce con la basilica e Forte Belvedere. Di seguito si possono vedere anche i resti della chiesa di San Pier Scheraggio. Il soffitto è decorato con numerosi pannelli dipinti: Saturno che divora i bambini, Infanzia, Giovinezza, Vecchiaia, Virilità, Saturno sbarca nel Lazio, Saturno e Giano costruiscono Saturnia e le Allegorie delle ore del giorno, oltre ai Quattro Elementi negli angoli . Ecco lo stendardo del diavoletto del Giambologna, proveniente da Palazzo Vecchietti e oggi al Museo Bardini.

Appartamenti di Eleonora di Toledo
Da un lato si affaccia sul salone, dall’altro ha grandi finestre, dalle quali si può vedere il primo tratto del Corridoio Vasariano che lascia Palazzo Vecchio per andare agli Uffizi. A partire dal 1540, quando Cosimo vi trasferì la sede del governo, questi ambienti furono ristrutturati e riccamente decorati per essere l’abitazione di Eleonora.

Il quartiere Eleonora fu progettato anche da Giorgio Vasari, per la moglie di Cosimo I, Eleonora di Toledo. La prima stanza che si incontra è la Green Room così chiamata per il colore delle pareti, un tempo decorate con paesaggi. Le decorazioni del soffitto, con lo stemma Medici-Toledo e le grottesche sono opera di Ridolfo del Ghirlandaio (1540 – 1542). È in questa stanza che si trova l’accesso al Corridoio Vasariano.

Sulla sinistra si accede allo scrittoio di Eleonora, con soffitto decorato a grottesche di Francesco Salviati (dopo il 1545).

Sulla destra si entra nella Cappella Eleonora, interamente affrescata da Agnolo Bronzino (1564), con le Storie di Mosè; sempre del Bronzino è la grande Pietà sull’altare. Alla cappella si accede da un magnifico portale marmoreo realizzato su disegno di Bartolomeo Ammannati.

Gli ambienti successivi si affacciano sulla parte più antica dell’edificio e furono originariamente utilizzati dai Priori e dal Gonfaloniere, prima di essere ristrutturati dal Vasari con il contributo di Giovanni Stradano (per i dipinti) e Battista Botticelli (per gli intagli dei soffitti). Il tema iconografico di queste stanze sono le vite di donne famose, le cui virtù alludevano alle virtù di Eleonora. Così la Sala delle Sabine incontra, per il tema della Concordia, la Sala di Ester, per l’Amore per la Patria, la Sala di Penelope, per la Fedeltà, e la Sala di Gualdrada per il rigore morale.

La Sala delle Sabine era un tempo adibita a sala d’attesa per le dame in attesa di essere ammesse alla corte di Eleonora di Toledo. L’ovale al centro del soffitto è decorato da Le Sabine portano la pace tra mariti romani e parenti Sabini, circondate da quattro Allegorie delle Vittorie. Contiene anche i Ritratti dei principi Medici di Giusto Sustermans, statue di scuola fiorentina e arazzi di Fevére.

La Sala di Ester fungeva anche da sala da pranzo e ha sul soffitto l’Incoronazione di Ester di Stradano, con un’iscrizione in onore di Eleonora di Toledo nel fregio. Negli ovali del soffitto Fatti della vita di Ester ed episodi della storia del popolo ebraico. Si conservano anche una vasca marmorea del XV secolo, spostata dal Palagio di Parte Guelfa nel 1842, e due arazzi di Van Assel raffiguranti la Primavera e l’Autunno.

La Sala Penelope ha nel soffitto Penelope al telaio con altre tessitrici e nel fregio Storie di Ulisse alternate ad Allegorie della virtù; ai lati quattro divinità fluviali e due stemmi Medici-Toledo. Alle pareti: Madonna con Bambino e Madonna con Bambino e San Giovanni di Battista Botticelli. Il camino è una replica neorinascimentale del 1921.

La Sala della Gualdrada era per la stanza privata di Eleonora. Gualdrada era una figura storica fiorentina, che rifiutò le avances dell’imperatore Ottone IV nei suoi confronti giurando fedeltà al marito. I dipinti sono anche di Giovanni Stradano (sul soffitto Gualdrada che rifiuta di baciare l’imperatore, con Amorini che danzano ai lati con fiori e le gesta di Cosimo I) ed è conservato anche un pregevole stipo con pietre semipreziose intarsiate. Particolarmente interessante è il fregio, dove sono dipinte varie vedute della Firenze cinquecentesca, con piazze, scene di festa, giochi e altri eventi, narrate con vivacità e minuzia da Stradano, che era fiammingo e quindi abituato a dipingere meticolosamente i dettagli. Le vedute si alternano alle Allegorie della virtù.

Cappella dei Priori
Una porticina laterale immette in un breve e stretto passaggio che dall’interno costeggia la torre e che è decorato sulle pareti e sul soffitto con porzioni di affreschi dei secoli XIV-XV. Da qui si accede alla Cappella della Signoria o dei Priori, dedicata a San Bernardo, che contiene un reliquiario del santo. Era anche chiamato, anticamente, “San Bernardo degli Uberti”. Qui i Priori chiedevano l’aiuto divino nello svolgimento del loro ufficio. In questa cappella Girolamo Savonarola recitò la sua ultima preghiera prima di essere arso vivo in piazza della Signoria. Fu costruito nel 1511 – 1514 da Baccio d’Agnolo.

I meravigliosi affreschi delle pareti e del soffitto, ad imitazione di mosaici d’oro, sono opera di Ridolfo del Ghirlandaio (1511 – 1514). Di particolare interesse la Trinità con angeli e putti sul soffitto e la lunetta con l’Annunciazione sulla parete davanti all’altare, dove si può vedere la basilica della Santissima Annunziata prima dell’aggiunta del portico antistante la chiesa. Negli scomparti cruciformi del soffitto si trovano gli Evangelisti, e negli altri scomparti Angeli con i simboli della Passione e scritti biblici. L’altra lunetta mostra l’Apparizione della Vergine a San Bernardo. Sull’altare è presente un dipinto raffigurante la Sacra Famiglia di Mariano Graziadei da Pescia, allievo di Ridolfo del Ghirlandaio, realizzato in sostituzione della pala d’altare mai realizzata, ma all’epoca commissionata, di Domenico Ghirlandaio. La porta che conduce alla stanza accanto è di Baccio d’Agnolo.

Sala delle udienze
La Sala dell’Udienza o Sala della Giustizia era adibita ad ospitare le riunioni di un Gonfaloniere di Giustizia e di otto Priori. Il soffitto intagliato, dipinto e dorato è opera di Giuliano da Maiano (1470 – 1476).

Sul portale verso la cappella vi è un’iscrizione in onore di Cristo (1529) ed è opera di Baccio d’Agnolo. Il portale marmoreo che comunica con la Sala dei Gigli, sormontata dalla statua della Giustizia nella lunetta, è opera dei fratelli Giuliano e Benedetto da Maiano.

I grandi affreschi alle pareti, raffiguranti le Storie di Furio Camillo di Francesco Salviati, con la collaborazione di Domenico Romano, furono realizzati nel 1543-1545. Questi affreschi furono una novità assoluta per Firenze, dal momento che Salviati è profondamente ispirato alla scuola romana di Raffaello, di cui può essere considerato il più degno continuatore.

Sala dei Gigli
Il nome della camera non deriva dal giglio fiorentino, ma dal giglio, emblema della corona di Francia, che si distingue dallo stemma fiorentino per l’assenza di stami e per i colori oro/blu invece di rosso/argento. I gigli si trovano sullo splendido soffitto e pareti a cassettoni, e questo omaggio era un ringraziamento e un tributo di fedeltà agli Angioini, protettori della parte guelfa. Anche questo soffitto e il fregio con i Marzocchi furono realizzati dai fratelli Benedetto e Giuliano, autori anche della statua di San Giovanni Battista e collocarono in questa stanza il portale opposto. Gli stessi fratelli, con la collaborazione del loro maestro Francione, realizzarono anche le porte in intarsio ligneo, con le figure di Dante e Petrarca.

La parete di fronte all’ingresso fu affrescata da Domenico Ghirlandaio intorno al 1482, con l’Apoteosi di San Zanobi con i diaconi Eugenio e Crescenzio, primo patrono di Firenze. La scena è impreziosita da un’illusione prospettica dello sfondo, in cui riconosciamo il Duomo, con la facciata originale di Arnolfo di Cambio e il campanile. Le lunette ai lati raffigurano Bruto, Muzio Scevola e Camillo a sinistra e Decio, Scipione e Cicerone a destra. Medaglioni di imperatori romani riempiono lo spazio tra le varie sezioni degli affreschi. Nella lunetta superiore vi è un bassorilievo della Madonna col Bambino.

In questa sala è esposto dal 1988 uno dei capolavori di Donatello, Giuditta e Oloferne, già collocato in Piazza della Signoria e oggi sostituito in loco (sull’Arengario dello stesso Palazzo Vecchio) da una copia.

Le finestre che si aprono sulle stanze adiacenti mostrano come questa fosse l’estremità est dell’edificio prima del suo ampliamento.

Stanza delle Mappe o del Guardaroba
Dalla Sala dei Gigli, un portone fiancheggiato da due antichi pilastri in marmo nero conduce alla Sala delle Carte Geografiche o dell’Armadio, o degli Armadi, dove i Granduchi Medici conservavano i loro preziosi beni. La parte prettamente architettonica risale al Vasari, mentre i mobili e il soffitto sono opera di Dionigi Nigetti.

La Sala delle Carte Geografiche o Guardaroba era un’ambiziosa sala che si proponeva di rappresentare il mondo conosciuto del XVI secolo attraverso l’esposizione di una collezione di manufatti e murales di cartografia, tutti visti in relazione agli strumenti scientifici del tempo e dell’astronomia. Per vari motivi, non è stato portato a compimento, eppure i resoconti di Giorgio Vasari, il progettista della stanza, descrivono in dettaglio lo scopo proposto e la visualizzazione dello spazio.

Le ante degli armadi sono decorate con 53 mappe di interesse scientifico, dipinti ad olio del frate domenicano Ignazio Danti (1563 – 1575), fratello dello scultore Vincenzo Danti, e Stefano Bonsignori (1575 – 1584). Sono di notevole interesse storico e danno l’idea della conoscenza geografica del Cinquecento. Danti, seguì il sistema tolemaico per il moto degli astri, ma utilizzò il nuovo sistema cartografico di Mercatore.

Al centro della sala si trova il famoso mappamondo Mappa mundi (che quando fu costruito nel 1581 era il più grande del mondo), opera di Buonsignori e Ignazio Danti, rovinato dai successivi restauri.

Vecchia Cancelleria
All’Antica Cancelleria si accede da una bifora trecentesca nella Sala dei Gigli trasformata in porta. Questo era probabilmente l’ufficio di Machiavelli quando era Segretario della Repubblica. C’è un suo busto in terracotta policroma del XV secolo, probabilmente modellato sulla sua maschera mortuaria, e il suo famoso ritratto di Santi di Tito. La parete di fondo presenta un bassorilievo con San Giorgio e il Drago proveniente da Porta San Giorgio.

Sala
Sempre dalla Sala dei Gigli si accede anche alla cosiddetta Salotta, interessante per l’affresco staccato attribuito all’Orcagna che raffigura la Cacciata del Duca di Atene (proveniente dal distrutto carcere delle Stinche), vero e proprio episodio storico che al il tempo era carico di significati simbolici e mitologici: si svolse il 6 luglio 1343, giorno di Sant’Anna, di cui si fa menzione nel dipinto nell’atto di benedire gli stendardi fiorentini. Il bassorilievo con San Zanobi sullo sfondo del Palazzo della Signoria e la città proviene dalla distrutta Torre dei Girolami, in via Por Santa Maria al Ponte Vecchio.

Studio dell’album
La stanza fu utilizzata da Cellini per restaurare i tesori dei principi Medici. Dalla finestrella nel muro Cosimo I spiava i suoi assistenti e ufficiali durante le riunioni del Salone dei Cinquecento.

La galleria superiore
Dal soggiorno parte la ripida rampa di scale che porta al ballatoio e alla torre. Il Salone delle Bandiere lungo il percorso, realizzato nel 1886, ospita oggi uno dei più prestigiosi laboratori di restauro specializzato in arazzi, reparto dell’Opificio delle Pietre Dure.

Il mezzanino (Collezione Loeser)
Il soppalco tra il primo e il secondo piano fu realizzato da Michelozzo nel 1453 abbassando i soffitti di alcuni ambienti del primo piano. In queste stanze visse Maria Salviati, madre di Cosimo I, e alcuni giovani principi. Oggi ospita la Collezione Loeser, donata a Firenze dal critico d’arte americano Charles Loeser morto nel 1928.

Nella prima sala si trova la Madonna col Bambino e San Giovannino, della scuola di Lorenzo di Credi, una Madonna col Bambino in stucco dipinto di scuola fiorentina del XV secolo, una Madonna in adorazione del Bambino con San Giovannino di Jacopo del Sellaio, la Madonna col Bambino attribuita al Maestro della Crocifissione Griggs (XV sec.) e una Madonna in trono di scuola toscana del XIV sec.

Alcuni gradini in pietra conducono ad una stanza un tempo studio di Cosimo I nel soppalco, con una finestra che si affaccia su Piazza della Signoria e resti di decorazioni di uccelli, animali, pesci ed elementi vegetali del Bacchiacca.

La successiva sala da pranzo ospita forse l’opera più famosa della collezione, il Ritratto di Laura Battiferri (moglie dell’Ammannati) di Agnolo Bronzino. Sono presenti anche altre opere del manierismo, come il Ritratto di Lodovico Martelli del Pontormo e la Zuffa di Cavalieri (schizzo a fresco) del Vasari. Ai lati del camino due sculture romaniche: un capitello con aquile (prima metà del XIII secolo) e una testa coronata (prima metà del XII secolo).

Nella sala d’angolo sono esposte la Madonna col Bambino e San Giovannino della scuola di Pacino di Buonaguida (sec. XIV), la Madonna col Bambino e San Giovannino del Berruguete e la Madonna col Bambino di Pietro Lorenzetti. Vi sono inoltre un Angelo orante di Tino di Camaino, dalla tomba del Vescovo Orso in Santa Maria del Fiore, Santo francescano, in terracotta dipinta del XV secolo, un Busto di S.Antonio, in stucco dipinto del XV secolo, una Madonna col Bambino in terracotta invetriata (XVI secolo), un Cristo nel sepolcro, ricamato su disegno di Raffaellino del Garbo, e una Croce dipinta da pittore senese databile intorno al 1280. Sopra la porta è un mosaico romano con una Pavona.

La Sala dei Gigli d’Oro presenta una Madonna col Bambino scolpita alla maniera di Donatello e lo stesso soggetto alla maniera di Michelozzo, mentre una terza è di un seguace di Arnolfo di Cambio. Il dipinto della Madonna col Bambino e San Giovanni è nello stile del Pontormo o del Bronzino. L’Ultima Cena è di ignoto pittore veneziano del 1500, mentre su una credenza due gruppi di guerrieri e cavalieri di Giovan Francesco Rustici. La scultura in legno policromo raffigura Santa Caterina da Siena, di scuola senese del XV secolo. L’Anatomia di un cavallo è un bronzo di Giuseppe Valadier. La vetrina contiene Autunno, una statua in bronzo attribuita a Benvenuto Cellini, un Ercole e Idra in cera del Giambologna e una Sacra Famiglia in cera copiata da un’opera di Michelangelo nel XVI secolo. Infine,

Torre di Arnolfo
Alta circa 94 metri, la torre di Palazzo Vecchio fu edificata intorno al 1310 quando il corpo di fabbrica era quasi terminato. Posta sulla facciata (probabilmente ispirata al Castello dei Conti Guidi di Poppi), si appoggia solo in parte alle pareti sottostanti, presentando il fronte completamente costruito in falso (cioè sporgente rispetto alle strutture sottostanti) con una soluzione architettonica entrambi molto audaci ed esteticamente soddisfacenti.

Il corpo della torre, oltre alle scale, presenta una stanzetta denominata l’Alberghetto al cui interno si tenevano i prigionieri. La galleria del campanile, a merli ghibellini (a coda di rondine), è sorretta da mensoloni ad archi ogivali, al di sopra dei quali poggia un’edicola ad archi a tutto sesto sorretta da quattro massicce colonne in muratura sormontate da capitelli a foglia. Intorno ad una delle colonne si intravede la scala a chiocciola che permette di salire sul tetto.

Sulla sommità è posta una grande banderuola (alta più di due metri) a forma di Marzocco che sorregge il fusto sormontato dal giglio fiorentino: è una copia, l’originale si può ammirare in tutta la sua imponenza all’interno dell’edificio. Guardando dal basso le mensole che sorreggono il balcone della torre si ha la strana sensazione che quelle angolari non poggino su nulla, come piccole piramidi capovolte: è un curioso effetto ottico causato dalle ombre agli angoli.

Il grande orologio fu originariamente costruito dal fiorentino Nicolò Bernardo, ma sostituito nel 1667 da uno realizzato da Giorgio Lederle di Augusta e montato da Vincenzo Viviani, ancora oggi funzionante.

La Porta di Tramontana, così chiamata per la sua posizione a nord da dove soffia il vento di Tramontana, è il secondo ingresso monumentale dell’originario edificio trecentesco. E’ caratterizzata da un timpano con due nicchie dove un tempo si trovavano due leoni Marzocchi. Da essa si accede alla caserma, oggi adibita solo a mostre temporanee.

La porta sul lato nord, presso via dei Gondi, reca sul portale, oltre ai consueti stemmi scolpiti di Firenze e del Popolo, una porta merlata intarsiata in marmi policromi, stemma dei Dogana. Da qui si accedeva agli uffici doganali che avevano i propri magazzini nei sotterranei dell’edificio, e che tutt’ora dà il nome al cosiddetto cortile della Dogana.

Sul lato di via dei Leoni si trova un grande portale realizzato da Bernardo Buontalenti durante i lavori degli ultimi ampliamenti dell’edificio (1549, ultimato dall’Ammannati nel 1596). Presenta uno schizzo rustico e un grande stemma mediceo. Il portone di via della Ninna risale all’epoca del duca di Atene, che lo fece aprire al termine di una scalinata “segreta” che partiva dai suoi appartamenti e che anzi lo aiutò nel momento della sua frettolosa fuga dalla città .

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