Parco Nazionale del Gran Paradiso, Valle d’Aosta, Piemonte, Italia

Il Parco Nazionale del Gran Paradiso è il parco nazionale più antico d’Italia, situato tra la Valle d’Aosta e il Piemonte, intorno al massiccio del Gran Paradiso. Il Parco Nazionale del Gran Paradiso è un’area protetta istituita dallo Stato al fine di preservare gli ecosistemi di rilevanza nazionale e internazionale delle valli attorno al massiccio del Gran Paradiso, per le generazioni presenti e future. Obiettivo dell’Ente è quindi quello di gestire e preservare l’area protetta, preservare la biodiversità di questo territorio e del suo paesaggio, la ricerca scientifica, l’educazione ambientale, lo sviluppo e la promozione del turismo sostenibile.

I ranger del Parco hanno una profonda conoscenza del territorio, degli animali e dell’ambiente del parco e offrono un servizio unico, monitorando il territorio dall’alba alla polvere. Fin dalla sua istituzione nel 1922, il Parco Nazionale del Gran Paradiso, primo nel nostro Paese, è uno dei parchi più conosciuti in Italia e nel mondo e contribuisce alla salvaguardia della biodiversità di una delle aree italiane più ampie.

Il più antico Parco nazionale italiano ha una superficie di oltre 70.000 ettari ed è posto per metà in Valle d’Aosta e per metà in Piemonte. Accoglie, attorno alla vetta del Gran Paradiso, l’unica oltre i 4.000 metri interamente in territorio italiano, cinque vallate concentriche in cui si trovano i tipici ambienti alpini, rocce, boschi di larice e abeti rossi. La creazione dell’area protetta è fortemente legata alla salvaguardia dell’animale simbolo del Parco, lo stambecco alpino, di cui, dopo la seconda guerra mondiale, sono sopravvissuti solo 416 esemplari, in tutto il mondo, tutti nel territorio del Parco.

Grazie ad un eccezionale patrimonio naturale, al buono stato di conservazione degli ecosistemi, all’integrazione delle attività turistiche e agricole e al suo ruolo di area protetta alpina transfrontaliera, insieme al Parc National de la Vanoise e al Mont Avic national park, nel 2007 ha ottenuto il Diploma Europeo di Aree Protette, prestigioso riconoscimento del Consiglio d’Europa. Nel 2014 è stato inserito, come unico parco italiano, nella Green List IUCN, la green list di 23 parchi nel mondo, scelti dall’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura, per il loro ruolo di conservazione e gestione delle aree protette.

Al fine di garantire lo sviluppo socio-economico della popolazione del Parco, l’Ente Parco promuove la sperimentazione di modalità di gestione del territorio, atte a realizzare un’integrazione sostenibile tra l’uomo e l’ambiente naturale, in grado di preservare il patrimonio naturale. L’Ente Parco promuove, inoltre, nuove attività produttive compatibili e tutela i tradizionali valori culturali presenti nelle attività pastorali agro-silvo, nell’artigianato e nell’architettura tradizionale locale. Il parco offre diverse proposte per il vostro soggiorno: sport, escursioni, attività ricreative e culturali, ma è anche dedicato al benessere e al relax.

Geografia
Il Gran Paradiso è l’unico massiccio montuoso che culmina a oltre 4000 metri interamente in territorio italiano. Il parco è interessato da cinque valli principali: Val di Rhêmes, Val di Cogne, Valsavarenche, Valle dell’Orco e Val Soana; in particolare, la Val di Cogne a nord, la Val di Rhêmes a ovest, la Valle Orco a sud e la Val Soana a est ne delimitano approssimativamente i confini. La fascia che va dai tre ai 4000 m è ricoperta da 59 ghiacciai bianchi, più estesi sul versante valdostano, di cui almeno 29 costantemente monitorati dai ranger del parco. Si tratta di ghiacciai perenni ma relativamente recenti che si sono formati durante la “piccola glaciazione” del XVII secolo.

Dalla vetta più alta (4061 m) parte il crinale che divide Cogne dalla Valsavarenche che, scendendo verso Aosta, sale alle due cime di Herbétet (3778 m) e Grivola (3969 m). Sul versante piemontese si stagliano verso il cielo il Ciarforon (3642 m), la Tresenta (3609 m), la Becca di Monciair (3544 m). Queste montagne sono facilmente identificabili, da un occhio esperto, anche dalla pianura torinese. Il Ciarforon è una delle vette più singolari delle Alpi: sul versante Aostano è ricoperta da un’enorme calotta glaciale; dal Piemonte appare come una montagna spoglia di forma trapezoidale.

Nell’alta valle del Piantonetto si trovano la Torre del Gran San Pietro (3692 m) e i Becchi della Tribolazione (3360 circa); il punto di osservazione privilegiato è il rifugio Pontese al Pian delle Muande di Teleccio. Dalla Punta di Galisia (3346 m), monte sulla cui sommità si incontrano i confini di Piemonte, Valle d’Aosta e Francia, emerge un crinale fatto di cime frastagliate e appuntite in direzione sud-est che culmina nell’imponente bastione roccioso delle tre Levanne (3600 m circa): sono le vette frastagliate e scintillanti che ispirarono l’ode “Piemonte” al poeta Giosuè Carducci che nel 1890 poté recarsi da queste parti mentre presiedeva gli esami di maturità a Cuorgnè.

La Granta Parey (3387 m) è la montagna simbolo della Val di Rhêmes: segna il punto più occidentale del parco. Le vette del settore orientale del parco sono più basse; tra queste spiccano la Punta Lavina (3274 m) e la Rosa dei Banchi (3164 m). Quest’ultima è molto apprezzata dagli escursionisti per il panorama aereo che offre verso la Val Soana e la Val Champorcher. Le vette del parco nazionale fanno ovviamente parte delle Alpi Graie.

Geomorfologia
La geomorfologia dell’area è stata modellata dall’espansione dei ghiacciai, che coprirono l’intera area durante le glaciazioni quaternarie, e gli aspetti tipici dell’ambiente periglaciale sono ancora oggi visibili nelle zone circostanti i ghiacciai. Nella valle di Ceresole Reale ci sono vasi giganti. Il limite delle nevi perenni è posto a circa 3000 metri sul livello del mare. In Val Soana, a Piata di Lazin, si trovano i caratteristici “cerchi di pietre” (groud modellato) modellati dal gelo.

Valli e comuni
Nei 13 Comuni del Parco vivono 8.300 persone, 6 comuni in Piemonte (Ceresole Reale, Locana, Noasca, Ribordone, Ronco Canavese e Valprato Soana) e 7 in Valle d’Aosta (Aymavilles, Cogne, Introd, Rhêmes-Saint-Georges , Rhêmes-Notre-Dame, Villeneuve e Valsavarenche). Solo 300 persone risiedono all’interno dei confini. Il territorio del Parco, quindi quelle parti in cui sono compresi questi comuni, è suddiviso per grado di protezione (riserva, riserve generali orientate, aree di protezione e aree di promozione economica e sociale) previsto dalla Legge italiana sulle aree protette.

La Valle Soana
Il paesaggio di questa valle, angusta per l’origine fluviale, con una vegetazione rigogliosa dovuta all’elevata umidità durante tutto l’anno e con piccoli centri abitati, sembra essere davvero unico rispetto al resto del territorio. Qui si possono osservare i tipici boschi di latifoglie, costituiti sostanzialmente da castagni che salendo gradualmente lascia il posto al faggio. Lungo i sentieri della valle è facile incontrare camosci alpini o altri animali che vivono nei boschi.

A sinistra della valle, ai piedi di una grande roccia a strapiombo, si trova il “Santuario San Besso”, antico luogo di culto. Ogni anno, il 10 agosto, gli abitanti della Val Soana e di Cogne, sul versante valdostano, salgono 2000 metri al santuario per una grande festa. È un’occasione imperdibile, anche per i turisti. Ci sono molti percorsi naturalistici nella zona.

Una valle meravigliosa ma poco frequentata, un tempo era la via preferita dai paesani per recarsi nella valle di Cogne. Risalendo l’orrido un bel bosco di larici si apre su verdi radure dove si trovano antichi borghi, oggi abbandonati. Ne è un esempio il borgo di Boschiettiera, dove troverete un antico forno ancora funzionante.

La Valle dell’Orco
Il paesaggio è quello tipico delle valli glaciali dove l’azione modellistica dei ghiacciai è ben visibile nel corso dei millenni. La valle offre a tutti i visitatori la possibilità di passeggiate, escursioni e vie ferrate in qualsiasi stagione dell’anno. A 3 ore di cammino da Noasca vi attende la Casa Reale di Caccia del Pianoforte a coda, restaurata dal Parco. A Ceresole Reale è stato inaugurato il centro visite “Homo et Ibex”, dedicato al rapporto millenario tra l’uomo e lo stambecco (capra ibex), simbolo del Parco. Nel suggestivo Santuario di Prascondù (Ribordone), è situato il Centro Visite incentrato sulla Cultura Religiosa nelle valli del Parco.

Imponente vallata dominata dalle strapiombanti pareti del “Becco di Valsoera” e dei “Becchi della Tribolazione”, è caratterizzata alla sua testata dalla riserva d’acqua artificiale del Teleccio. È una meta per alpinisti più che per escursionisti, ma in entrambi i casi vale la pena visitarla per entrare in contatto con l’ambiente d’alta quota.

Forse una delle zone meno conosciute e meno frequentate del parco, il Gran Piano e le zone limitrofe sono le mete ideali per chi desidera osservare branchi di camosci e stambecchi al pascolo. I prati verdi sono ricchi d’acqua e in alcuni punti sono ricoperti dai fiori bianchi dell’erba del cotone. Una splendida traversata permette di arrivare al Gran Piano partendo da poco sotto il Colle del Nivolet, con una vista continua fino alla valle dell’Orco.

Da Ceresole Reale una bella mulattiera si snoda tra boschi di larici e abeti fino al Colle Sià, che collega la sommità della valle dell’Orco con la solitaria gola del Vallone del Roc. Il percorso, che offre una splendida vista sui bellissimi ghiacciai di Levanne, offre anche l’opportunità di osservare gli animali del parco.

Si tratta di uno degli altopiani più interessanti delle Alpi, che si estende per oltre sei chilometri a 2500 m di altezza. La zona è molto ricca d’acqua: oltre a numerosi laghetti, incastonati tra le rocce, la verde distesa di pascoli è attraversata dal fiume “Dora di Nivolet” che nel suo serpeggiante forma paludi e torbiere, è l’ambiente ideale per il comune rana e per molte specie di piante. Durante l’estate il Parco governa il flusso delle auto lungo la strada che dal Lago Serrù porta al colle del Nivolet, questo al fine di tutelare l’habitat speciale e offrire la sua integrità ai pedoni e ai visitatori allertati.

La Valle di Cogne
La valle più conosciuta del Parco offre uno scenario unico per i ghiacciai del Gran Paradiso. L’ampio fondovalle e molte valli secondarie sono percorribili in tutte le stagioni, a piedi o con le ciaspole. Ben note le piste da sci, dove ogni anno si svolge la Marcia del Gran Paradiso di 43 Km. Nel piccolo paese di Valnontey cresce il Giardino Botanico Paradisia Alpin, che invita a conoscere i fiori alpini, piante officinali e licheni (da metà giugno a metà settembre). Davvero caratteristico è il centro storico di Cogne, dove ancora si praticano attività artigianali, come il famoso “tombolo” (il merletto di Cogne).

Il suggestivo versante nord della Grivola, una delle montagne più belle della regione, scende con il suo ghiacciaio fino alla verde distesa di pascoli della zona pascolo del Gran Nomenon. Il contrasto di colori, i pascoli, i boschi e la possibilità di vedere animali al pascolo, fanno di questa zona una delle perle del parco.

L’escursione che da Valnontey porta al rifugio Vittorio Sella, è la più frequentata del Parco. La sera o la mattina presto intorno al vicino Lago del Lauson non è difficile trovare stambecchi. Da non perdere la bellissima traversata per i masi di Herbetet, con una magnifica vista sui ghiacciai in cima alla valle. Il sentiero, abbastanza aperto e dotato di alcuni corrimano in acciaio, va percorso con cautela.

La Valle di Rhêmes
Si tratta di una bellissima valle a fondo piatto, tipicamente glaciale, che si rispecchia totalmente nel tipico paesaggio alpino. Nel piccolo comune di Chanavey (comune di Rhêmes-Notre-Dame) si trova il centro visitatori dedicato al mondo degli uccelli e, in particolare, al gipeto, l’avvoltoio scomparso sul nostro territorio all’inizio del secolo e reintrodotto in alcuni parchi alpini attraverso un progetto europeo. Nella stessa area parte anche un percorso naturalistico, il cui tema è legato alla morfologia della Valle, fauna, flora e attività antropiche. Il primo tratto del percorso, da Chanavey a Bruil, è asfaltato e consente un facile percorso anche per i disabili.

L’alta valle si apre su uno scenario di morene e ghiacciai che scendono lungo il Granta Parei e le altre vette del comprensorio: il bianco dei seracchi dei ghiacciai lavassey, fond e tsantelèina contrasta con il verde dei vasti abeti rossi e larici foreste sottostanti. Non devi essere un alpinista per scalare i sentieri che costeggiano i ghiacciai. A destra della media Val di Rhêmes si aprono due anfratti, ricoperti in fondo da splendidi boschi di conifere e più in alto verdi prati. La zona è particolarmente interessante per la fauna, dalle marmotte, sempre attente da ogni possibile pericolo, allo stambecco e camosci che pascolano sugli alti pascoli alle numerose specie di uccelli che popolano i boschi del fondovalle.

La Valsavarenche
È la più stretta e selvaggia delle valli valdostane, molto conosciute sono le sue vie di arrampicata e le grandi traversate attorno al massiccio del Gran Paradiso. Sono disponibili numerose escursioni, come quelle ai rifugi Chabod, Vittorio Emanuele II e Savoia nel colle del Nivolet. Sempre in memoria del Re Vittorio Emanuele, la Real Casa di Caccia di Orvieille è stata restaurata dal Parco, vale la pena visitarla anche per percorrere la comoda e suggestiva mulattiera che vi conduce.

La mulattiera del Real percorsa in carrozza da Re Vittorio Emanuele II si inerpica nel bosco di abeti rossi e larici fino al famoso casino di caccia di Orvieille. L’altopiano dove sorge il lodge e il bellissimo lago Djouan, più in alto, riempiono lo splendido panorama naturale dei ghiacciai e delle vette del gruppo del Gran Paradiso. Queste sono le due basi per le spedizioni in vetta al Gran Paradiso, una montagna relativamente facile da scalare, ma che richiede molto allenamento e una certa esperienza. In ogni caso vale la pena spingersi almeno fino alle malghe che, sebbene affollate d’estate, si trovano proprio alla base dei bellissimi ghiacciai: notevole è la parete nord del Ciarforon, e una dolce discesa vi porta a la loggia Vittorio Emanuele.

Idrografia
Il territorio del Parco ricade a sud nel bacino imbrifero dell’Orco ea nord in quello della Dora Baltea.

I laghi più grandi e suggestivi del parco si trovano nell’area circostante il Colle del Nivolet. Dai due laghi del Nivolet, di fronte al rifugio Savoia nell’omonimo altopiano, sorge il torrente Savara che, dopo aver attraversato la valle a cui dà il nome (Valsavarenche), sfocia nella Dora Baltea nei pressi di Aosta. Superato il gradino erboso sopra il rifugio, ci addentriamo nella pianura del Rosset dove vediamo i laghi naturali più spettacolari dell’intera area protetta: il Lago di Leità con la sua particolare forma allungata e il Lago Rosset con il suo caratteristico isolotto. Queste ultime costituiscono la sorgente del torrente Orco che scorre verso il Piemonte e sfocia nel Po presso Chivasso. Non lontano dalla pianura del Rosset si trovano i Lacs des trois becs (tre grandi e due piccoli) e proseguendo un po ‘più a lungo il Lago Nero (o Lago Leynir).

In Val di Rhêmes troviamo il piacevole Lago Pellaud: si trova all’interno di un bellissimo bosco di larici ad un’altitudine relativamente bassa (1811 m).

In Val di Cogne ci sono due laghi interessanti: il Lago Lauson (Valnontey) e il Lago Loie (2356 m, Valle del Bardoney).

Sul versante frastagliato della Valle dell’Orco, lungo il sentiero della mulattiera reale, appena sotto il Colle della Terra, tra le morene troviamo il Lago Lillet. Data l’altitudine (2765 m) questo lago, salvo un breve periodo estivo, rimane sempre ghiacciato. Nei suoi dintorni si possono incontrare, nella stagione favorevole, mandrie di stambecchi, cuccioli e caprette di pochi mesi. Il Lago di Lillet è raggiungibile anche da un ripido sentiero che sale dalla frazione Mua di Ceresole.

Uno degli angoli meno conosciuti del parco è il lago di Dres (2073 m). Si trova sul versante opposto della Valle dell’Orco, quasi all’estremo confine meridionale del PNGP. E ‘uno dei pochi punti del versante piemontese dove si possono vedere la vetta e il ghiacciaio del Gran Paradiso che fanno capolino sulle alte vette del Canavese.

Il Lago Lasin (2104 m) si trova nel Vallone di Forzo, in Val Soana; al centro di una conca selvaggia è caratteristica per la grande isola che occupa la parte nord-orientale dello specchio d’acqua.

È interessante ricordare che la città di Torino dipende dai comuni canavesi di Ceresole Reale e Locana per l’approvvigionamento idroelettrico. In Valle Orco sono presenti sei laghi artificiali gestiti da Iride SpA: tre si trovano lungo la strada che porta al Colle Nivolet (Lago Ceresole, Lago Serrù, Lago Agnel), tre nelle valli laterali del versante soleggiato (Piantonetto, Valsoera, Eugio).

Cascate
Data la ripidità che caratterizza le valli del Gran Paradiso, è ovvio che i torrenti che le attraversano originano lungo il loro flusso impetuoso, numerose cascate che addolciscono l’aspro paesaggio del parco. Le più spettacolari sono quelle di Lillaz, frazione di Cogne. Sempre sul versante piemontese si trovano alcune pittoresche cascate facilmente osservabili dai turisti: quella sopra l’abitato di Noasca o quella formata dal torrente Nel presso la frazione Chiapili sottostante. Nei pressi dei rifugi Chiapili di Sopra, il paese più alto di Ceresole Reale, fanno bella mostra di sé altre due fragorose cascate.

Ambiente
Il Parco Nazionale del Gran Paradiso protegge un’area caratterizzata principalmente da un ambiente alpino. Le montagne che compongono la catena, in passato sono state tagliate e modellate da giganteschi ghiacciai e da torrenti che hanno creato le valli che vediamo oggi. Nei boschi di fondovalle gli alberi più diffusi sono i larici, misti ad abeti rossi, pini cembri e più raramente abeti bianchi. Più in alto i pendii gli alberi si diradano gradualmente e lasciano il posto a vasti pascoli alpini, ricchi di fiori in tarda primavera. Salendo ancora di più fino a 4061 m del Gran Paradiso solo rocce e ghiacciai caratterizzano il paesaggio.

Gli ambienti acquatici
Questi ambienti includono acqua calma, come laghi e stagni, e acqua corrente come fiumi, torrenti, ruscelli e fossati. Qui possiamo trovare piante altamente specializzate, in grado di vivere in ambienti privi di ossigeno (le piante infatti non sono in grado di utilizzare l’ossigeno che costituisce le molecole d’acqua). Possono crescere completamente immersi nell’acqua (principalmente alghe), galleggiando sulla superficie dell’acqua (lenticchia d’acqua comune), ancorati al fondo da lunghi steli che permettono alle foglie e ai fiori di emergere dall’acqua (ranuncolo d’acqua, ninfea comune) .

Gli ambienti umidi
Queste sono presenti nel parco in dimensioni ridotte, in alcuni casi anche solo punti singoli; la loro caratteristica comune è quella di essere caratterizzati da piante che necessitano di terreno umido, o comunque molto umido. Questi includono la gamma di vegetazione che circonda laghi e stagni (canneti) o lungo torrenti di montagna (Eriophorum scheuchzeri); altri ambienti umidi sono paludi e torbiere, ma anche sorgenti, pareti rocciose umide e praterie umide, dove le piante si adattano al grado variabile di umidità e formano un fitto tappeto di vegetazione (Filipendula ulmaria – Olmaria).

Le torbiere e le paludi sono particolarmente “fragili” dal punto di vista ecologico. Sono ambienti la cui sopravvivenza dipende dalla presenza costante di acqua: il prosciugamento del terreno o l’ostruzione di una sorgente potrebbe farli prosciugare, e questo a sua volta porta alla scomparsa di tutte le specie che vi abitano. In passato troppi di questi ambienti sono stati bonificati per creare nuovi spazi per coltivazioni o pascoli, ma fortunatamente negli ultimi anni molte di queste aree sono state protette e monitorate. Qui ospita principalmente graminacee, canne e carici e piante non apprezzate esteticamente perché hanno piccoli fiori verde scuro-marroni.

Gli ambienti rocciosi
Sono molti gli ambienti di questo tipo sparsi in tutto il parco, solitamente al di sopra del limite del bosco e degli alpeggi, e sono caratterizzati dalla presenza costante di roccia e detriti in superficie, con conseguente riduzione dello strato di terreno: ciò rende molto difficili le condizioni di vita , e le piante alpine, qui più che altrove, dimostrano la loro grande capacità di adattamento, assumendo caratteristiche (es. nanismo, pelosità, fiori dai colori vivaci, radici molto sviluppate) che le aiutano a sopravvivere in luoghi dove altre specie non lo farebbero.

Esistono molti tipi di detriti, che differiscono per la natura chimica delle rocce da cui provengono, per la loro consistenza (la dimensione dei loro elementi), per la loro stabilità o movimento (scorrimento), per l’altitudine e l’esposizione. Nel parco sono abbastanza comuni detriti di origine argillosa, caratterizzati da materiale fine e relativamente umido. È adatto alla vegetazione, anche se può essere abbastanza instabile. I detriti o ghiaioni di origine silicea, comuni per lo più intorno al massiccio del Gran Paradiso, costituiscono un ambiente di materiale grossolano, dove l’acqua scarseggia e in cui possono crescere solo specie ben adattate a queste condizioni (flora silicola), così come i detriti calcarei, decisamente più rara nel parco (flora calcicole).

Le morene, create dall’erosione, dal trasporto e dall’accumulo dei ghiacciai, potrebbero essere definite detriti freddi di alta quota. La presenza del ghiacciaio garantisce un buon livello di umidità, almeno a una certa profondità, a differenza dei detriti che sono aridi sia in superficie che nel sottosuolo. Anche le morene sono caratterizzate da un substrato povero di sostanza organica, con granuli grossolani ma meno soggetti a smottamenti, (a differenza dei detriti), e soprattutto con tessitura più fine. Tuttavia la vegetazione che colonizza i detriti e le morene è più o meno la stessa, influenzata più dal contenuto minerale del substrato che dall’ambiente roccioso stesso.

Le pareti rocciose o pendii rocciosi sono anche tipologie ambientali con condizioni estreme di vegetazione, che è influenzata dalla natura chimica della roccia, dall’esposizione e inclinazione e dalla presenza di umidità; possono essere visti abbastanza frequentemente all’interno del territorio del parco a varie altitudini, non solo sulle alte vette e sulle montagne innevate. Qui, come per i detriti e le morene, sono presenti piante con particolari caratteristiche morfologiche come quelle che portano a pulvinus (cuscino) da cui si estende solo il fusto fiorito, oppure lunghe radici che possono crescere attraverso le sottili fessure della roccia alla ricerca dell’acqua.

Le praterie
Le praterie sono formazioni di vegetazione erbacea tipiche dei ripidi pendii rocciosi; soleggiato, asciutto, con terreno sottile e permeabile, dove crescono prevalentemente graminacee e qualche dicotiledone; sono piuttosto frequenti nel parco, principalmente sul versante valdostano, si trovano a quote relativamente basse, e non sono utilizzate dall’uomo se non in rari casi per pascoli generalmente ovini.

I pascoli sono generalmente formazioni erbacee la cui composizione floreale è fortemente condizionata dall’attività agricola. Qui infatti si produce foraggio tramite sfalcio, seguito dal pascolo diretto del bestiame nella stessa stagione di crescita; sono inoltre presenti frequenti irrigazioni e concimazioni organiche. Questi prati, comuni nel territorio del Parco in prossimità di centri abitati di montagna, sono caratterizzati da una fitta copertura erbacea continua con una notevole varietà di specie, non solo graminacee ma anche dicotiledoni.

Gli alpeggi o alpeggi sono molto comuni nel parco. Occupano infatti ogni zona al di sopra del limite del bosco in cui il terreno è ricoperto da vegetazione erbacea più o meno continua quando non interrotta da rocce. La composizione floreale è piuttosto variabile e condizionata dalla natura del substrato e dall’altitudine. In generale le piante in questi ambienti si adattano bene al breve periodo di crescita, all’asprezza del clima e al terreno magro, poiché le basse temperature rallentano l’attività biologica delle piante e riducono la fertilità del suolo. Foglie dure, dimensioni ridotte e crescita lenta, permettono a queste specie di sopravvivere alle dure condizioni climatiche delle montagne. I fiori dei pascoli alpini sono generalmente molto grandi e dai colori vivaci per attirare rari insetti portatori di polline.

Le valli innevate sono ambienti tipici dell’area subalpina, e sono comuni nel territorio del Parco. Sono aree di terreno che rimangono innevate per la maggior parte dell’anno, lasciandolo nudo solo per un breve periodo (1 – 3 mesi al massimo). Le piante che crescono qui devono essere in grado di completare il loro ciclo di fioritura in brevissimo tempo. La flora delle valli innevate è influenzata dal tipo di substrato (calcareo o siliconico), ma è generalmente composta da salici nani e dicotiledoni: queste piante formano un sottile tappeto alto pochi centimetri. Stranamente, alcune specie sensibili alle basse temperature, come i salici nani, trovano rifugio nelle valli innevate; il terreno infatti è protetto dalla neve per la maggior parte dell’anno e viene scoperto solo nei mesi più caldi.

Ambienti arbustivi, confini forestali e terre aride
I confini del bosco sono una frangia erbacea al di fuori della zona coperta da alberi o arbusti tipici del bosco. Sono costituite da piante più isolate rispetto a quelle del sottobosco forestale, ma hanno un microclima più fresco e riparato rispetto a quelle di pianura e pascoli aperti. Questi ambienti, tranne dove il terreno è troppo arido, sono in continua evoluzione verso il bosco, o verso la pianura in caso di intervento umano; in altri casi, questo tipo di vegetazione si diffonde facilmente sulle pianure abbandonate dell’altopiano.

Gli arbusti più diffusi nel territorio del parco possono, per semplicità, essere raggruppati in tre gruppi generali:

Salici d’acqua, generalmente più alti e presenti a bassa quota (fiumi e torrenti) o in alta quota (torrenti e torrenti di montagna). Sono caratterizzati dalla presenza dominante di diverse specie di arbusti di salice, a seconda delle condizioni ecologiche della zona.

Arbusti in zone calde secche. Rappresentano generalmente lo stato intermedio nel ritorno del bosco a luoghi un tempo coltivati ​​dall’uomo.

I boschetti più vecchi sono arbusti in cui predomina l’ontano verde (Alnus viridis). Questo albero può crescere fino a 3 metri, di solito sporgendosi. L’ontano verde colonizza i fianchi dei calanchi, le sponde dei torrenti montani, le zone più basse e le morene: è una pianta pioniera, in quanto cresce su terreni poveri di sostanze nutritive ma ricchi di umidità ed è in grado di arricchire il terreno con azoto che viene facilmente assorbito dalle piante. Per questo motivo la vegetazione che cresce tra gli ontani è molto ricca ed è composta da piante alte e dalle foglie larghe.

Le foreste
Poco meno del 20% della superficie del parco è ricoperta da boschi, che sono molto importanti, non solo perché offrono riparo ad un gran numero di specie animali ma anche perché, dal punto di vista ecologico, rappresentano una situazione di equilibrio verso il quale la vegetazione tende naturalmente. Inoltre in molti casi costituiscono l’unico sistema naturale di difesa contro i pericoli di eventi idrogeologici naturali (frane, valanghe, allagamenti). Esistono diversi tipi di foreste che si possono trovare nel parco, e di solito sono divise in due gruppi principali: foreste di latifoglie e di conifere.

Foreste decidue
Le faggete (Fagus sylvatica), tipiche del versante piemontese del parco e completamente assenti sul versante più secco della Valle d’Aosta. Il faggio forma fitti boschi; le sue foglie, che impiegano molto tempo a decomporsi, formano uno spesso strato che impedisce lo sviluppo di molte altre piante e alberi, così come il fitto fogliame lascia passare pochissima luce durante i mesi estivi. Il sottobosco della faggeta è quindi più ricco di specie in primavera quando le foglie non sono ancora del tutto sviluppate (Anemone nemorosa, Luzula nivea). Foreste di canaloni di aceri (Acer pseudoplatanus) e foreste di canaloni di tigli (Tiliaplatyphyllos). Sono presenti sul territorio nel versante settentrionale e alle quote più basse, dove le condizioni di umidità sono migliori.

I castagneti (Castanea sativa), nella maggior parte dei casi, sono stati effettuati dall’uomo, che per lungo tempo li ha “coltivati”, sia per il loro legno che per il loro frutto, innestandoli in modo da regolarne la crescita. Il castagno predilige le zone con un clima invernale relativamente mite, e raramente cresce sopra i 1000 m. All’interno del parco i maggiori castagneti sono tutti del versante piemontese. I boschi pionieri o invasori comprendono diverse formazioni arboree eterogenee sviluppatesi relativamente di recente, principalmente su pendii soleggiati, un tempo destinati all’agricoltura e all’allevamento. Le specie che meglio caratterizzano queste formazioni sono l’Aspen, la Betulla, il Nocciolo.

Foreste di conifere
Boschi di pino silvestre (Pinus sylvestris). Questo albero tollera facilmente la siccità del clima e la carenza di elementi nutritivi nel terreno ma non è in grado di competere con altri alberi, e forma così foreste aperte su terreni poveri e rocciosi con esposizione a sud. Questa tipologia di pino è più diffusa nel versante valdostano del parco. Le foreste di abete rosso sono dominate dall’abete rosso (Picea abies), spesso mescolato al larice. Il sottobosco è costituito da specie sia erbacee che brughiere. Queste foreste sono forse più comuni all’interno del parco nella fascia media del livello subalpino fino a un’altitudine di 1800-2000 m.

Le foreste di larice e pino cembro sono foreste “recintate”, che raggiungono le quote più elevate delle Alpi occidentali, fino al più alto livello subalpino (2200-2300 m). Il pino cembro (Pinus cembra) è l’unico pino in Italia con gli aghi in gruppi di cinque; resiste a temperature molto basse e può, come il larice, vivere fino a un’età impressionante, talvolta deformandosi. Il sottobosco è costituito principalmente da erica, rododendri e mirtillo. I lariceti sono boschi in cui predomina il larice (Larix decidua). È l’unica conifera europea che perde le foglie in autunno. Forma boschi puri solo nelle prime fasi, altrimenti si mescola facilmente con l’abete rosso e il pino cembro. Il sottobosco, se dominante è il larice, contiene pochissime specie diverse;

Flora
Nella parte bassa del parco, come quota altimetrica, sono presenti boschi di larici, praterie, boschi di latifoglie composti da pioppo tremulo, nocciolo, ciliegio selvatico, acero sicomoro, roverella, castagno, frassino, betulla, sorbo. Le faggete, in un range compreso tra 800 e 1200 m, si trovano solo sul versante piemontese tra Noasca, Campiglia e Locana. Tra 1500 e 2000 m ci sono boschi di conifere. Il pino cembro è diffuso in Val di Rhemês mentre l’abete bianco si trova solo in Val di Cogne vicino a Vieyes, Sylvenoire e Chevril. In tutte le valli troviamo l’abete rosso e il larice sempreverdi. Quest’ultima è l’unica conifera in Europa che perde gli aghi in inverno. I boschi di larice sono molto luminosi e permettono lo sviluppo di un fitto sottobosco composto da rododendri, mirtilli, lamponi, gerani di bosco, fragoline di bosco.

In generale, le foreste di abeti rossi, larici e pini coprono circa il 6% del territorio del parco. impossibile elencare l’immensa varietà di fiori che animano con i loro colori le diverse zone del parco da marzo ad agosto. Ci limiteremo a pochi esempi. Il giglio martagone tipico del bosco e il giglio di San Giovanni che fiorisce nei prati fioriscono all’inizio dell’estate. L’aconito molto velenoso si trova lungo i corsi d’acqua. Tra la fascia più alta del bosco ed i 2200 m si trovano distese di rododendri con le loro caratteristiche campanule color ciclamino.

Oltre 2500 m tra le rocce trovano il loro habitat la sassifraga, l’androsace alpino, l’artemisia, il cerastio e il ranuncolo ghiacciato Anche la stella alpina e l’artemisia si trovano a queste altezze ma sono molto rare. Le torbiere e le zone umide sono colonizzate dall’erioforo i cui bianchi batuffoli annunciano la fine dell’estate.

Fauna
La fauna ha il suo emblema nello Stambecco alpino, simbolo del Parco e ormai diffuso in tutto il Parco. Tra i mammiferi va ricordato che è possibile avvistare camosci, marmotte, lepri di montagna, volpi, tassi, ermellini, donnole, faine, faine. È facile incontrare anche avvoltoi come l’aquila reale, il gipeto (recentemente tornato a nidificare nell’area protetta), la poiana, il kestel, lo sparviere, l’astore, il gufo reale, l’allocco e uccelli come la pernice bianca , fagiano di monte, coturnice, picchio verde, picchio rosso maggiore, gallo cedrone, merlo acquaiolo, pettirosso, silvia, thrushe, mountain bike, picchio muraiolo e molto altro ancora. Sono presenti anche molte varietà di rettili, insetti e anfibi, come le vipere, la farfalla Parnassius, i tritoni e le salamandre.

L’animale simbolo del parco è lo stambecco presente in circa 2700 unità (censimento settembre 2011). Il maschio adulto può pesare dai 90 ai 120 kg mentre le corna possono raggiungere anche i 100 cm. La femmina più piccola ha corna più lisce lunghe appena 30 cm. Le mandrie sono composte solo da maschi o femmine e cuccioli. I maschi più anziani vivono in isolamento. Il periodo degli amori coincide con i mesi di novembre e dicembre; in questo periodo i maschi di stambecco che hanno raggiunto la piena maturità sessuale si combattono rompendo il silenzio delle valli con l’inconfondibile rumore delle corna udibile anche dal fondovalle. La femmina rimane fertile per alcuni giorni. La gravidanza dura sei mesi. Nella tarda primavera lo stambecco si ritira su qualche cengia isolata dove partorirà (maggio, giugno) un piccolo, a volte due.

Il camoscio, invece, è diffidente, elegante nei suoi salti, veloce e scattante. Di dimensioni inferiori (massimo 45-50 kg), si contano più di 8000 esemplari. Le sue corna, non imponenti come quelle dello stambecco, sono sottili e leggermente uncinate. Questo ungulato non è più in pericolo di estinzione in quanto l’assoluta mancanza di predatori naturali ha favorito la sua crescita numerica e l’eccessiva colonizzazione del territorio (durante l’inverno scendono a valle danneggiando il sottobosco, attraversano le strade asfaltate, raggiungono in cerca di cibo un pochi metri dalle case) tanto che talvolta sono necessarie azioni selettive di caccia per ridurne il numero.

Il parco, in passato, non era un ecosistema equilibrato e completo. I predatori naturali erano del tutto assenti: l’orso e il lupo estinti da secoli, gli altri furono perseguitati ai tempi della riserva. Il compito delle Royal Hunters Guards era quello di proteggere la selvaggina non solo dai bracconieri ma anche da animali ritenuti dannosi e il re premiava l’uccisione di una lince, un gipeto, una volpe o un’aquila dalle punte sontuose. Ciò ha portato all’estinzione della lince europea e del gipeto intorno al 1912-13.

Oggi, grazie alle attività di sorveglianza e conservazione, sono 27 le coppie di aquile reali (censimento 2013), raggiungendo una delle più alte densità di coppie di aquile reali delle Alpi mentre la volpe rimane molto presente. Circa trent’anni fa furono sperimentate le tecniche per la reintroduzione della lince. Inoltre è stato reintrodotto anche il gipeto, che ora conta circa 7 individui. Dal 2011 il gipeto ha ripreso a nidificare nel Parco, anche se senza successo nel primo anno. Nel 2012 la nidificazione è stata ripetuta per due coppie ed è andata a buon fine in entrambi i casi, con l’allevamento di un giovane per ogni nido. Il lupo, in ascesa in Italia, risalendo l’Appennino, è tornato a farsi vedere nel Parco negli ultimi anni e conta oggi 6-7 esemplari, si tratta di un allevamento familiare di 5-6 esemplari tra Valsavarenche, Val di Rhêmes e Valgrisenche e un lupo solitario in Val di Cogne. Nel 2017 è stata accertata la formazione di un allevamento in Valsavarenche, con sei cuccioli.

Un altro mammifero molto comune nel parco è la marmotta (se ne contano circa 6000). Vive in tane sotterranee con diversi tunnel come vie di uscita. Predilige praterie e zone pianeggianti, in particolare nella Val di Rhêmes e nella Valsavarenche. È un roditore e nei primi raffreddori cade in un profondo letargo che dura quasi sei mesi. Il suo grido è inconfondibile: un fischio che la marmotta “sentinella” emette, in piedi in verticale, quando individua un pericolo o un animale estraneo al suo ambiente seguito dal volo improvviso degli altri membri del branco.

Fanno parte della fauna del Gran Paradiso anche numerose specie di uccelli: poiane, picchi, cince, pernici bianche, gracidi, sparvieri, astori, allocchi, civette.

Due specie di trote nuotano nei laghi e nei torrenti: una autoctona, la trota fario, l’altra alloctona, la trota di fiume, quest’ultima introdotta negli anni Sessanta a scopo turistico con il benestare di alcuni scienziati dell’epoca, e in via di eradicazione dai laghi d’alta quota grazie al “Progetto Life + Bioaquae”.

In 4 piccoli laghi alpini: i laghi Nivolet Superiore, Trebecchi Inferiore, Trebecchi Superiore e Lillet, è stata riscontrata la presenza di un piccolo crostaceo, la Daphnia middendondorffiana. Sono tutti laghi situati ad un’altitudine superiore ai 2500 m slm e privi di fauna ittica e questa dafnie è una specie che normalmente ha come habitat le acque dolci degli ecosistemi artici.

Tra i rettili ricordiamo la vipera comune (Vipera aspis, tipica delle zone aride, e tra gli anfibi le salamandre Salamandra salamandra). Nei boschi di conifere capita talvolta di trovare cumuli di aghi di conifere alti fino a mezzo metro: sono i nidi della Formica rufa.

Attività umane

Storia
La storia del Parco Nazionale del Gran Paradiso è strettamente legata alla conservazione del suo animale simbolo: lo stambecco (Capra ibex). Questo ungulato, un tempo diffuso in alta quota, oltre il limite del bosco, su tutto l’arco alpino, è da secoli oggetto di caccia indiscriminata. I motivi per cui lo stambecco era una preda così ambita dai cacciatori erano i più disparati: la succulenza della sua carne, alcune parti del suo corpo erano considerate medicinali, l’imponenza delle sue corna ricercata come trofeo e persino il potere afrodisiaco attribuito ad un suo piccolo osso (la croce del cuore), spesso usato come talismano. All’inizio dell’Ottocento si credeva che questo animale fosse ormai estinto in tutta Europa, fino alla Valle d ‘

Il 21 settembre 1821 il re di Sardegna Carlo Felice rilascia le licenze reali con le quali ordina: “La caccia allo stambecco resta d’ora in poi vietata in qualunque parte dei regni”. Questo decreto, che salvò lo stambecco dall’estinzione, non si ispirò a valori di protezionismo ambientale, non contemplati nella mentalità del tempo, ma a mere speculazioni venatorie. La rarità di questi esemplari faceva della caccia un lusso che il sovrano concedeva solo a se stesso.

Nel 1850, il giovane re Vittorio Emanuele II, incuriosito dalle storie del fratello Fernando, che era stato a caccia durante una visita alle miniere di Cogne, volle percorrere di persona le valli della Valle d’Aosta. Lascia la valle di Champorcher, attraversa a cavallo la Fenêtre de Champorcher e giunge a Cogne; lungo questo percorso uccise sei camosci e uno stambecco. Il re fu colpito dall’abbondanza di fauna e decise di istituire una riserva di caccia reale in quelle valli.

Ci vollero alcuni anni prima che i funzionari di Casa Savoia potessero stipulare centinaia di contratti con i quali i valligiani ei comuni concedevano al sovrano l’uso esclusivo dei diritti di caccia relativi alla caccia al camoscio e agli uccelli, poiché la caccia allo stambecco era vietato agli abitanti del villaggio per trent’anni, e in alcuni casi anche diritti di pesca e pascolo. Gli alpinisti non erano più in grado di portare pecore, bovini e capre sui pascoli d’alta quota, riservati alla selvaggina.

La Reale Riserva di Caccia del Gran Paradiso nasce ufficialmente nel 1856, il cui territorio era più vasto dell’attuale Parco Nazionale; comprendeva infatti anche alcuni comuni valdostani (Champorcher, Champdepraz, Fénis, Valgrisenche e Brissogne) che successivamente furono esclusi dai confini dell’area protetta. I paesani, dopo il primo malcontento, cedettero volentieri i loro diritti al sovrano, comprendendo che la presenza dei sovrani in quelle valli avrebbe portato benessere alla popolazione locale. Re Vittorio promise che avrebbe “trotterellato i soldi sui sentieri del Gran Paradiso”.

Fu istituito un corpo di vigilanza composto da una cinquantina di dipendenti chiamati Royal Hunters Guards, furono restaurate chiese, argini e case municipali, furono costruiti capannoni per guardie forestali e case di caccia più grandi usando manodopera locale. Tuttavia, l’opera più importante che ha cambiato il volto delle valli della Valle d’Aosta e del Canavese è stata la fitta rete di mulattiere in ciottoli realizzata per collegare i paesi con i casino di caccia, coprendo una distanza di oltre 300 km.

Queste strade sono state progettate per consentire al re e al suo entourage di viaggiare comodamente a cavallo all’interno della riserva. La maggior parte di loro sono ancora praticabili oggi. Superano pendii ripidi con innumerevoli tornanti molto larghi, mantenendo sempre una pendenza leggera e costante. La maggior parte si estende per oltre duemila metri e in alcuni casi supera i tremila (Colle del Lauson 3296 me Colle della Porta 3002 m). I punti più inaccessibili sono stati superati scavando il sentiero nella roccia. La sede stradale è pavimentata in sassi, sorretta da muretti a secco realizzati con notevole maestria ed ha una larghezza variabile da un metro a un metro e mezzo.

Il tratto meglio conservato è nella Valle dell’Orco; dal Colle del Nivolet, dopo un primo tratto a mezza costa, la mulattiera reale attraversa i colli di Terra e Porta, tocca il casino di caccia del Gran Piano (recentemente recuperato come rifugio) e poi scende verso l’abitato di Noasca.

Le cacce del re
Re Vittorio si recava nella riserva del Gran Paradiso di solito in agosto e vi rimase da due a quattro settimane. I giornali e le pubblicazioni dell’epoca erano esaltati per il carattere bonario del re, che dialoga e discute con grande affabilità, in lingua piemontese, con la popolazione locale e lo descrive come un cavaliere audace e un fucile infallibile. In realtà le campagne di caccia erano organizzate in modo che il re potesse effettuare il tiro a segno sulla sua preda mentre attendeva comodamente in uno dei posti di avvistamento costruiti lungo i sentieri.

L’entourage del re era composto da circa 250 uomini, assunti tra gli abitanti delle valli, che svolgevano le mansioni di battitori e facchini. Per questi ultimi la caccia è iniziata già di notte. Si recavano nei luoghi frequentati dalla selvaggina, formavano un enorme cerchio intorno agli animali e poi con urla e colpi li spaventavano tanto da spingerli verso la conca dove il re attendeva dietro un belvedere semicircolare di pietre. Solo il sovrano poteva sparare agli ungulati; dietro di lui stava il “grande rivestimento” a cui era stato ordinato di consegnare il colpo di grazia agli esemplari feriti o scampati al fuoco del re. L’oggetto della caccia era lo stambecco maschio e il camoscio adulto. Diverse dozzine sono state abbattute al giorno. La scelta di risparmiare le femmine ed i cuccioli ha favorito il

Il giorno dopo la caccia, il re e il suo entourage si trasferirono nel rifugio di caccia successivo. La domenica era un riposo per i battitori e, dai villaggi, alcuni preti sono saliti per celebrare la messa all’aperto. Il percorso più battuto dal re durante i suoi giri del Gran Paradiso era il seguente: partiva da Champorcher, attraversava la Fenêtre de Champorcher (2828 m), scendeva a Cogne, raggiungeva la Valsavarenche passando per il Col du Lauson (3296 m) , saliva al Colle del Nivolet (2612 m) e da qui si addentrava nel territorio canavesano passando sopra Ceresole Reale e poi scendendo fino al paese di Noasca (1058 m) lungo la valle del Ciamosseretto (come dice il nome, ricca di camosci). Le case di caccia più utilizzate erano quelle di Dondena (2186 m), del Lauson (2584 m, oggi rifugio Vittorio Sella),

Anche i successori di re Vittorio, Umberto I e Vittorio Emanuele III, intrapresero lunghe campagne di caccia nella riserva. L’ultima caccia reale avvenne nel 1913. Vittorio Emanuele III, più colto e meno amico dei valligiani del nonno, cambiò orientamento e decise, nel 1919, di cedere i territori del Gran Paradiso di sua proprietà con i relativi diritti allo Stato , indicando come condizione che si consideri l’idea di istituire un parco nazionale per la protezione della flora e della fauna alpina.

Il parco nazionale
Nel 1856 il re Vittorio Emanuele II dichiarò questi monti riserva reale di caccia, salvando così l’estinzione dello stambecco. La sua popolazione a quei tempi era ridotta a un livello allarmante. Il re istituì un corpo di guardie specializzate e ordinò la posa dei sentieri e delle mulattiere, che ancora oggi costituiscono il miglior sistema di reti di sentieri per la protezione della fauna da parte dei moderni ranger e costituiscono il nucleo dei sentieri naturalistici per escursioni turistiche.

Nel 1919 il re Vittorio Emanuele III dichiarò la sua intenzione di donare allo Stato italiano i 2100 ettari della riserva di caccia, per la creazione di un parco nazionale. Il 3 dicembre 1922 fu istituito il Parco Nazionale del Gran Paradiso, il primo parco nazionale italiano. Fino al 1934 l’area protetta era gestita da una commissione con piena autonomia amministrativa. Sono anni positivi per il parco: la popolazione di stambecchi è aumentata notevolmente e sono stati ripristinati i 340 chilometri di mulattiera reale.

Nello stesso periodo, però, si verificò una riduzione dei confini originari e in Valle Orco furono realizzate importanti opere idroelettriche. Negli anni che seguirono l’area protetta fu gestita direttamente dal Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, furono i peggiori nella storia del parco: le guardie locali furono licenziate, il parco fu teatro di manovre militari, poi scoppiò la seconda guerra mondiale . Tutte queste azioni hanno contribuito alla riduzione della popolazione di stambecchi a soli 416 nel 1945. È solo grazie alla tenacia e all’impegno del Commissario Straordinario Renzo Videsott che le sorti del parco sono cambiate e lo stambecco è stato salvato dall’estinzione: infatti, per ordine De Nicola, il 5 agosto 1947 la gestione del parco fu affidata ad un’autorità indipendente.

Gli anni ’60 e ’70 furono un periodo di grandi conflitti e incomprensioni tra il parco e gli abitanti locali, che si consideravano eccessivamente limitati dall’area protetta. Recentemente, le persone hanno iniziato a rendersi conto che il parco può fornire un’opportunità di sviluppo e una spinta per l’economia delle valli e, oggi, le autorità locali lavorano a stretto contatto con il parco su diversi progetti.

Nel frattempo, il Gran Paradiso ha avviato una stretta e proficua collaborazione con il vicino parco francese, Vanoise, nel tentativo di istituire una vasta area protetta europea. Il parco è stato oggetto di particolare attenzione per la ricerca scientifica sin dagli anni del dopoguerra. Infatti, i primi studi pubblicati sulla rivista scientifica del parco iniziarono ad apparire negli anni ’50. Questi studi sono stati realizzati da ricercatori dell’Università degli Studi di Torino. Consistono nella ricerca sulla fauna, sulla fisiologia del letargo della marmotta, sulla storia geologica dello stambecco, sulle abitudini alimentari della volpe e sulla flora presente nell’area protetta. Particolarmente ricchi sono gli studi pubblicati sull’anatomia e la patologia dello stambecco e del camoscio, sicuramente per l’influenza dell’allora direttore Renzo Videsott,

A quel tempo, il parco non aveva risorse per finanziare ricerche specifiche. Tuttavia investì nella pubblicazione degli studi effettuati, che portarono alla nascita di una rivista tuttora in corso con le pubblicazioni legate a “IBEX – Journal of Mountain Ecology”. In anni più recenti, nonostante le magre risorse a disposizione, il parco ha saputo investire più apertamente nel finanziamento della ricerca scientifica, offrendo a ricercatori nazionali ed internazionali la possibilità di produrre importanti contributi alla conoscenza ecoetologica di molte specie protette (stambecchi , camoscio, marmotta, gracchio alpino, piccoli mammiferi, coleotteri macinati, ecc.)

Negli anni 2000 il Parco Nazionale è stato riconosciuto anche come sito di interesse comunitario e fa parte dell’importante area ornitologica “Gran Paradiso”. Nel 2006 è stato insignito del Diploma Europeo di aree protette, rinnovato nel 2012 insieme al Parco Nazionale della Vanoise.

Nel 2007 il Consiglio di Amministrazione dell’Ente Parco, con delibera n. 16 del 27 luglio 2007, ha stabilito una variazione dei confini del Parco, dandone comunicazione al Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare in data 30 ottobre 2007. Con Decreto del Presidente della Repubblica 27 maggio 2009, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 235 del 9 ottobre 2009, il parco è stato poi rimisurato, con una riduzione della superficie complessiva complessiva pari allo 0,07 per cento del territorio. Il Presidente della Repubblica, invece, ha ritenuto positivo l’intervento in quanto la selezione delle aree periferiche da inserire nel parco è stata fatta in base al loro valore naturalistico, ad esempio sono state cedute aree fortemente antropizzate e sono state inserite più aree naturali

Nel 2014 il Gran Paradiso è entrato a far parte della Green List mondiale delle aree protette.

Patrimonio architettonico
In passato il territorio del Parco era densamente popolato. I paesi piemontesi avevano case interamente in pietra, mentre sul lato di Aosta la pietra è unita al legno. La casa alpina rispecchia il carattere di una popolazione rurale, interessata principalmente alla funzionalità: il modello più comune prevedeva un edificio in pietra con una stalla al piano terra, la residenza al primo piano e persino un fienile sopra. In questi sono sopravvissuti anche elementi artistici e decorativi come i pilastri votivi, tipici della Val Soana, a testimonianza della religiosità popolare. Incisioni rupestri e affreschi, strade e ponti romani, edifici militari, chiese e castelli medievali, pascoli alpini, sentieri e mulattiere, muri in pietra eretti a terrazza sui ripidi pendii, fossati di irrigazione di pietra e terra … raccontano la lunga storia dell’antichità popolazioni che hanno avuto il loro splendore a metà dell’800, quando il re Vittorio Emanuele II di Savoia frequentò il Gran Paradiso per raggiungere i luoghi di caccia degli stambecchi. Le case di caccia reali, edifici a un piano situati su ampie pianure sopra i 2.000 piedi, che furono riservati al re e alla sua corte.

Cultura e tradizioni
Incisioni rupestri, strade e ponti romani, chiese e castelli medievali, casette e sentieri reali di caccia ed edifici militari mostrano un patrimonio culturale di origine antichissima, ma continuamente arricchito con il passare del tempo. Il paesaggio agricolo si coniuga con elementi artistici e religiosi, con usi e costumi e con varie attività ancora oggi praticate.

Turismo
Di particolare interesse sono gli habitat considerati prioritari dalla Direttiva Habitat: pavimentazioni calcaree, boschi di Pinus uncinata, basse paludi calcaree con formazioni alpine pioniere di Caricion bicoloris – atrofuscae, formazioni erbose secche su substrato calcareo (Festuco – Brometalia), torbiere alte attive, paludi boscose. In particolare, all’interno del parco sono presenti alcuni biotopi di particolare interesse comunitario, proposti come siti Natura 2000 di interesse comunitario:

Prascondù
Vallone Azaria – Barmaion – Torre Lavina
Vallone del Carro, Piani del Nivolet, Col Rosset
Ambienti calcarei d’alta quota nella Valle di Rhêmes
Bosco del Parriod
Eaux Rousses, lago Djouan, Colle Entrelor
Valli a sud di La Grivola
Bosco di Sylvenoire – Arpissonet
Vetta Gran Paradiso – Soldi
Torbiera alpina di Pra Suppiaz

Centri visitatori
I Centri Visita del Parco sono punti informativi monotematici (il gipeto, lo stambecco, il camoscio, la geologia, i predatori, i mestieri) distribuiti sul territorio dei vari comuni del parco e presenti in ciascuna valle. Sono gestiti dall’Ente Parco, in particolare in Valle d’Aosta e sono gestiti in collaborazione con Fondation Grand-Paradis.

I centri visitatori sono:
Homo et Ibex a Ceresole Reale
Le forme del paesaggio a Noasca
Spaciafurnel – Vecchie e nuove professioni a Locana
La cultura e le tradizioni religiose a Ribordone
Tradizioni e biodiversità in una fantastica valle del Ronco
I preziosi predatori in Valsavarenche a Degioz, dedicati alla lince e al suo ritorno negli anni Settanta e dal 31 luglio 2011 con un nuovo spazio dedicato al lupo
Bentornato avvoltoio barbuto. a Rhêmes-Notre-Dame, in località Chanavey, dedicata al gipeto e all’avifauna del parco
Laboratorio Tutel-Attiva Park di Cogne, laboratorio del Villaggio dei Minatori nato nel 2007

Ai centri visita si aggiungono alcune mostre museali o collezioni botaniche:
Old School of Maison, mostra permanente a Noasca
Le torbiere d’alta montagna a Ceresole Reale (chiuse)
Giardino alpino Paradisia a Valnontey
Ecomuseo del Rame a Ronco Canavese (chiuso)

Rifugi e bivacchi
All’interno del parco sono presenti numerosi rifugi, oltre ai bivacchi per alpinisti e per chi li utilizza saltuariamente nel rispetto delle regole dettate dal CAI. Ognuna di esse ha periodi di apertura e chiusura differenti e in alcune di esse è data la possibilità di vitto e / o alloggio. Tra questi, i rifugi che hanno ottenuto il “Marchio di Qualità” dell’Ente Parco sono il Rifugio Guido Muzio, il Rifugio Massimo Mila, il Rifugio Le Fonti, il Rifugio Mario Bezzi.

Architettura religiosa
Santuario di Prascondù, che ospita anche il Museo della religiosità popolare realizzato dall’Ente Parco.

Gastronomia e artigianato
I prodotti agroalimentari del Parco sono principalmente il bodeun (ripieno di sangue di maiale e patate e la mocetta (salame a base di camoscio), sopravvive la lavorazione artigianale di cuoio, rame, ferro battuto e attrezzi agricoli di montagna.

Attività
Il parco organizza numerose attività didattico-divulgative con le scuole e offre la possibilità di svolgere diverse attività nei campi avventura e nei campi di lavoro in diversi periodi dell’anno. Nel parco è inoltre possibile praticare lo sci alpinismo con il supporto di guide alpine e trekking.

Sentieri
La rete dei sentieri che attraversano il Parco si estende per oltre 500 Km attraverso quelle cinque valli comprese nell’area protetta. Scegli il percorso più adatto alle tue esigenze e capacità, è possibile anche filtrare per difficoltà e stagione. Dal 1992 è presente nel parco un percorso attrezzato per non vedenti di circa un chilometro e con poca pendenza.

Escursioni in bicicletta
Che sia su strade asfaltate o sterrate, nel parco o nelle zone limitrofe, la bicicletta fa bene alla natura, al tempo libero e allo sport.

Arrampicata
Arrampicata su roccia o ghiaccio, uno sport ricco di sfide e di storia che nel Parco Nazionale del Gran Paradiso ha permesso di scoprire uno Yosemite dietro la porta di casa. Cinque vallate incontaminate, forti pendii rocciosi e ghiaccio luccicante nel silenzio di una vita vegetale e animale, che procede silenziosamente assicurando colori, profumi, incontri straordinari e necessari equilibri.

Sciare
In tutte le valli sono presenti impianti sciistici, piccole stazioni immerse nella natura in cui si possono praticare gli sport invernali più apprezzati (dallo sci di fondo, allo sci alpino e agli spettacoli sulla neve). Per il versante piemontese (Ceresole Reale, Locana, Noasca, Ribordone, Ronco Canavese, Valprato Soana). Per il versante valdostano (Aymavilles, Cogne, Introd, Rhêmes-St-Georges, Rhêmes-Notre-Dame, Villeneuve e Valsavarenche).

Educazione ambientale
Grazie alla sua antica istituzione, il Parco Nazionale del Gran Paradiso vanta una profonda conoscenza del suo ecosistema naturale della storia del territorio, rappresentando un ideale laboratorio didattico all’aperto. Le attività sono svolte da educatori, interpreti del parco, guide naturalistiche, guardie forestali formati in educazione ambientale, ed esperti che operano da diversi anni sul territorio. Sono strutturati con azioni in aula (per le scuole), escursioni nel territorio e attività pratiche in campagna e nelle varie strutture del parco (Centri di Educazione Ambientale, Centri visita, laboratori …). È inoltre possibile costruire progetti ad hoc con i docenti, per soddisfare le esigenze specifiche della classe, valorizzando al contempo l’esperienza e i suggerimenti dei docenti.

Il programma di educazione ambientale comprende sia attività rivolte a scuole di ogni ordine e grado, sia proposte rivolte ad altri utenti interessati (gruppi, famiglie, individui). All’interno delle iniziative possono essere inserite anche attività sportive rispettose dell’ambiente condotte da personale qualificato, al fine di favorire un approccio rispettoso dell’ambiente.