Turismo genealogico

Il turismo genealogico, a volte chiamato turismo radicale, è un segmento del mercato turistico costituito da turisti che hanno collegamenti ancestrali con la loro destinazione di vacanza. Questi turisti genealogici si recano nella terra dei loro antenati per ricollegarsi al loro passato e “camminare sulle orme dei loro antenati”.

Il turismo genealogico è un’industria mondiale, anche se è più importante nei paesi che hanno vissuto l’emigrazione di massa in qualche momento della storia e quindi hanno una grande comunità mondiale di diaspora.

Descrizione
“Il turismo genealogico è perfettamente in linea con uno dei trend più attuali del mercato, cioè utilizzando il passato come risorsa. Oggi sempre più questo sguardo è lasciato a un percorso individuale, o a siti che funzionano per chi voglio mettere ordine nel loro passato e quindi il tuo presente “.

I legami di parentela, affinità e pertinenza sono le basi essenziali su cui si basa la ricerca genealogica. Pertinenza è “il legame genealogico che esiste tra una persona e l’altra, che, pur non essendo un suo parente, è in ogni caso legato genealogicamente al primo, attraverso una serie continua di relazioni bilaterali di coniugalità, figlia e fratellanza”; nel linguaggio comune, è una relazione logica o fattuale, una relazione di affinità, funzione, amicizia o interdipendenza.

La relazione di pertinenza deve essere intesa in senso ampio: in primo luogo, come legame tra il turista e le altre persone che non sono necessariamente legate da relazioni di parentela e affinità – possiamo anche includere i compagni di guerra, i soci, i confratelli, tra quelli rilevanti. e i compagni dell’università o dell’università. In secondo luogo, con cose, territori, fotografie, diari, lettere e memoriali, con case e rovine, e con le mille strade del destino buono o cattivo che hanno segnato i destini dei loro antenati.

Considerando che la ricerca genealogica e genealogica, sia in senso stretto che generale, è un aspetto fondamentale del turismo genealogico, gli archivi svolgono un ruolo considerevole.

Alex Haley, forse il primo e anche uno dei più famosi turisti genealogici, racconta, nel suo bestseller Radici, che è andato innumerevoli volte alla Library of Congress di Washington.

I musei sono depositi di memorie per eccellenza. Tra quelli che menzioniamo qui: etnografico, ecomusei, alcune collezioni fotografiche, musei di guerra e araldici, alcuni dei musei industriali, musei di storia locale e musei di cognome. Un cognome può denotare l’appartenenza a una famiglia, un vincolo genitoriale, così come il legame con una nazione, o più strettamente con una regione, una comunità, un villaggio: nel mondo si tengono riunioni, anche centinaia di persone, pianificate per il più a intervalli annuali, tra portatori dello stesso cognome e non necessariamente legati da legami di sangue.

Biografi, storici di famiglia, amanti della storia locale, archivisti, mediatori culturali e genealogisti naturali costituiscono il capitale umano indispensabile per la costituzione di un’offerta adeguata alle esigenze di esigenti turisti genealogici.

Origine e sviluppi
Il turismo genealogico è apparso contemporaneamente al turismo di massa, quando le vacanze diventavano un bene di consumo per tutti i ceti sociali. Dagli Stati Uniti gli afroamericani iniziarono a voler scoprire le loro origini africane, mentre i discendenti degli immigrati europei potevano permettersi gli incroci di ritorno e in seguito le stesse implicazioni erano per i migranti intraeuropei.

Il desiderio di riscoprire i propri antenati o le proprie “radici” è un fenomeno di vasta portata che investe l’intero mondo occidentale ed è correlato alla dissoluzione della coesione generazionale e all’allentamento di quelle narrative in grado di ricollocare l’individuo all’interno di un collettivo storia. La rarefazione della storia come patrimonio condiviso lascia spazio a percorsi individuali che cercano di riportare ordine nel passato ricollegandolo al presente. La perdita di continuità tra “vivi e morti” può essere riparata dalla ricerca genealogica, anche se solo a livello individuale. In un’intervista del 1995, J. Revel, ha denunciato l’ossessione commemorativa in corso nella società europea che si è manifestata in un eccesso di museificazione e ha osservato che: “le nostre società sono pensate come collezioni di individui di cui ciascuno darebbe un ricordo particolare che non sarebbe un riassunto o una flessione della memoria generale ma che sarebbe valida per la sua singolarità “. È un’osservazione che dà senso alla diffusa “tendenza genealogica” in atto.

Sembrerebbe che la ricerca di luoghi e le ricostruzioni di alberi genealogici praticati negli archivi compensino una narrazione collettiva che ha fallito. Una società che forse non si identifica più solo nella rete di poteri spostati sul territorio dallo stato centrale e che invece cerca di sostenere un tessuto connettivo alternativo. Tuttavia, è un fenomeno positivo perché tende a riaccendere i legami tra passato e presente prendendo le mosse dalla storia della propria famiglia, che è quindi il nucleo costitutivo fondamentale di ogni società. Se questa necessità viene poi attuata impiegando metodologie fai da te, spesso improvvisate, spetta alle istituzioni pubbliche afferrare questi segnali e cercare di portare questo nuovo patrimonio di storie individuali nel patrimonio della comunità.

La cultura genealogica appartiene tradizionalmente alle grandi famiglie della nobiltà feudale. La genealogia, in tutta l ‘epoca moderna e fino al’ 800, è principalmente radicata nella sfera degli interessi economici. Prove di discendenza e discendenza venivano spesso prodotte in processi ereditari per beni acquisiti, donati o fatti passare attraverso doti, sigillando il sigillo di accordi tra potenti famiglie o correndo per il potere. I diritti dei successori erano essenzialmente basati su gerarchie parentali organizzate in un ampio sistema legale e personalizzato. I genealogisti e gli illustri avvocati erano molto ricercati per la destrezza con cui si muovevano nei labirinti delle norme e dei costumi ereditari.

La ricerca dell’identità attraverso l’albero genealogico per le famiglie borghesi, per gli artigiani e per i nuclei di piccoli proprietari terrieri, di lavoratori e lavoratori, si è sviluppata in un altro contesto e solo di recente sembra aver acquisito una propria sfera di diffusione. D’altro canto, i gruppi sociali che sono stati percepiti per secoli in una condizione storica di massa, di movimento o semplicemente di distanza dalla cima della piramide sociale, non potrebbero corrispondere alla rappresentazione genealogica appena descritta.

L’interesse per le origini è infatti un fenomeno degli ultimi trenta anni che è stato espresso nella ricerca dei percorsi fatti dai membri di una famiglia piuttosto che nel riconoscimento di un vincolo patrimoniale o di sangue con una leggendaria storia di antenati qui non significa conservazione e durata, ma la trasformazione di ampi settori della società, l’emancipazione dalle condizioni di povertà, il superamento della secolare mancanza di mezzi economici e intellettuali. Storia, poi cesura, interruzione o persino rottura dei legami con il passato e rimozione delle generazioni più giovani da quelle più anziane.

L’avvento della comunicazione elettronica e la diffusione di attrezzature e conoscenze informatiche, facilitati anche dalla crescente scolarizzazione, hanno influenzato la nostra immaginazione e il mondo in cui viviamo.

Nel 1996 anche la rivista “Altreitalie” è stata messa online ed è stata la prima pubblicazione scientifica italiana ad essere distribuita in modo completo e gratuito su Internet. Questa rivista specializzata sul tema delle migrazioni italiane ha contribuito a cambiare la percezione e la conoscenza dei migranti italiani e li ha informati sulla storia delle loro migrazioni e insediamenti. Fino al 2000 sul portale della rivista erano disponibili anche elenchi di passeggeri italiani sbarcati, dal 1859 al 1920, nei porti di New York, Buenos Aires e Vittoria.

I viaggi di ritorno nel paese di origine sono sempre stati un momento cruciale per i migranti e i loro figli nella scoperta e costruzione della loro identità individuale e familiare. Per coloro che sono emigrati all’estero nel XX secolo, e in particolare per coloro che sono partiti dopo la seconda guerra mondiale, è stata una pratica consolidata fare la prima visita ai luoghi nativi dieci anni dopo la partenza.

Il secondo viaggio di ritorno è avvenuto normalmente dopo altri dieci anni quando l’emigrante aveva creato il suo nucleo familiare e sentito il bisogno di far conoscere ai propri figli il paese da cui provenivano. Il viaggio includeva solitamente una visita alle principali città d’arte – Firenze, Roma, Venezia, ecc. – e continuava con il soggiorno di alcune settimane nel paese di origine, dando così ai bambini l’opportunità di incontrare la “radice” del famiglia rimasta in Italia.

Il viaggio di ritorno rappresentava anche un momento di redenzione per l’emigrante che poteva dimostrare a se stesso ea coloro che non avevano emigrato sia il successo ottenuto sia la validità della scelta di migrare.

Ovviamente le abitudini descritte differiscono in base alle diverse esperienze migratorie perché sia ​​il luogo che il periodo storico in cui si sono svolte le partenze sono decisivi. In ogni caso, mantenere un collegamento con l’Italia è molto più facile oggi che in passato. Viviamo in un mondo globalizzato in cui le distanze, grazie all’accessibilità ai voli low cost e all’avvento di Internet, si sono accorciate.

statistica
Gli archivi non sono più la provincia esclusiva di storici professionisti ristretti d’élite di laureandi e studenti laureati di storia, si propone di raccogliere materiale per scrivere saggi e dissertazioni. Al contrario, sempre più negli ultimi decenni il pubblico si è esteso a varie classi sociali ciascuna con le proprie esigenze di memoria e le proprie esigenze di identità.

Le indagini mostrano questo: secondo un’indagine svolta negli archivi britannici nel 2001, solo il 5,5% degli utenti ha dichiarato che la visita era per scopi di ricerca accademica o simili, il 9,6% era legato ad altri professionisti e addirittura l’82,3% ha affermato di effettuare ricerca per interesse personale o per hobby.

Ulteriori ricerche condotte l’anno successivo hanno indagato in dettaglio gli obiettivi di questi utenti ed è emerso che tra loro un buon 71,8% ha effettuato indagini genealogiche. Questo è un dato di fatto che conferma una tendenza di lunga data iniziata negli anni ’80. Nel 1997 fu inaugurato a Londra il Family Records Centre, che vide la sua presenza raddoppiare in tre anni. Per avere un’idea dell’affluenza in questo centro nel 2002 c’erano circa 300.000 visitatori, mentre nel 2005, grazie alla messa in rete di gran parte del patrimonio archivistico, sono scesi a 260.000.

In Francia tra gli anni settanta e la fine degli anni novanta il numero di utenti degli archivi nazionali e dipartimentali è quadruplicato, raggiungendo 200.000 a cui si aggiungono altri 100.000 genealogisti dilettanti che frequentano le sale dei vari archivi comunali. Un’indagine condotta nel 2003 ha confermato che si trattava per lo più di utenti non professionisti: il 29% ha dichiarato di frequentare archivi nazionali per attività di studio accademico e universitario, un altro 29% nel contesto di un’attività professionale di ricerca accademica e il 48% per motivi personali o per il tempo libero. Percentuale che sale al 56% tra il pubblico generale degli archivi comunali e dipartimentali, raggiungendo quest’ultimo fino al 62%.

Negli Stati Uniti, un sondaggio condotto nel 2000 ha dato il 60% degli americani che potrebbero condurre ricerche genealogiche. Internet e informatica hanno rivoluzionato la genealogia. Negli Stati Uniti ci sono oltre due milioni di siti web pubblicati da “gruppi di amici” degli archivi nazionali: la genealogia è uno degli hobby online più popolari. Il portale statunitense Ancestry.com che commercializza software per creare alberi genealogici e mappe di migrazione (graficamente simili agli alberi genealogici ma i rami familiari sono collegati da date di riunioni familiari e visite di ritorno) è nato nel 2004 e già il primo anno potrebbe vantare 1.500.000 abbonati paganti ; Ancestry è una multinazionale e in Italia commercializza i suoi prodotti attraverso il sito www.ancestry.it. I genealogisti hanno sfruttato a loro vantaggio la rivoluzione dell’informazione per ricostruire le loro storie di famiglia, per informarsi sui loro loghi di origine e per prenotare viaggi per raggiungerli.

Per l’Italia non ci sono statistiche precise, ma il numero di presenze nelle aule di studio dell’Archivio di Stato è passato da 78.000 nel decennio 1963-72, a 127.000 nell’anno seguente, a circa 200.000 nel decennio 1983-92. Nell’ultimo decennio, dal 1995 al 2004, ci sono stati 313.000 visitatori.

Disseminazione: una panoramica
A seconda del luogo di partenza e della storia delle migrazioni personali e familiari, possiamo distinguere tra diversi tipi di turista genealogico: i discendenti di immigrati di origine europea che ritornano nei loro luoghi di origine in Europa; i discendenti dei primi emigranti provenienti dall’Europa verso i luoghi di emigrazione dei loro antenati nel nuovo mondo e anche quelli che seguono le rotte dai porti di imbarco ai porti di arrivo – ovviamente nel caso in cui punti di ingresso e controllo (come gli hospedarias dell’America Latina) sono stati conservati e proposti nelle guide turistiche; gli emigranti che tornano a visitare i paesi in cui sono nati come turisti perché non vogliono o non possono tornare in modo permanente.

Sul fronte “attivo”, cioè i paesi che, segnati dall’emigrazione di massa del diciannovesimo e del ventesimo secolo, hanno proposto politiche di ritorno del turismo, l’Irlanda è stata la prima. In effetti, l’Irlanda e altri cinque paesi europei – Germania, Polonia, Grecia, Scandinavia e Paesi Bassi – hanno potuto usufruire dei fondi europei per l’implementazione del turismo di base per il periodo 1993-1996. Hanno lanciato un progetto chiamato “Routes to the Roots” il cui obiettivo comune era quello di coltivare e soddisfare la forte domanda di identità formulata dai loro cittadini espatriati. Persino il Libano, consapevole delle possibilità economiche offerte dalla sua popolazione diasporica, ha elaborato un pacchetto turistico di una settimana e li ha indirizzati ai giovani discendenti degli emigranti libanesi. La risposta,

Sul fronte “passivo”, cioè sui paesi che hanno accolto gli immigrati, le Americhe rappresentano l’area di indagine più significativa sia in termini numerici sia perché le tendenze genealogiche negli Stati Uniti (e in parte anche in Canada) sono simili a quelle Australiani e neozelandesi. Questi sono i criteri che seguiremo, nei paragrafi successivi, per sviluppare il nostro discorso sul turismo di radice.

Americas
Nel 1815 c’erano 2000 passeggeri emigrati dall’Inghilterra negli Stati Uniti. Il loro numero aumentò progressivamente fino a raggiungere i 57.000 negli anni Trenta dell’Ottocento. La carestia del 1846-1847, tuttavia, portò negli Stati Uniti due milioni e mezzo di irlandesi. L’insuccesso delle rivolte del 1848 provocò anche un’emigrazione di massa dei tedeschi: nel 1847 sbarcarono 100.000 e nel 1854 erano saliti al doppio. La scoperta dell’oro in California (1850), la colonizzazione dell’Occidente e la prima industrializzazione attrassero circa tredici milioni di stranieri tra il 1850 e il 1890, di cui quasi il 90% erano europei. Alla fine del diciannovesimo secolo l’origine dei migranti cambiò: non più dai paesi nord-occidentali, ma dalla Russia, dall’Austria-Ungheria e dall’Italia. Oltre agli Stati Uniti, il Canada era una destinazione privilegiata, mentre verso l’America Latina, gli italiani, i francesi, i portoghesi e gli spagnoli erano orientati soprattutto1. Se aggiungiamo a questi dati gli impressionanti della diaspora cinese e quelli delle migrazioni interne, è chiaro che le Americhe costituiscono una riserva potenzialmente enorme di turisti genealogici.

Stati Uniti d’America
I baby boomer rappresentano un terzo della popolazione americana e oggi rappresentano circa l’80% dell’intera popolazione compresa nella fascia di età tra i 50 ei 74 anni2. Una clientela perfetta per il turismo genealogico e che, inoltre, ha un alto livello di alfabetizzazione informatica. Le ricerche genealogiche iniziano principalmente sul web.

Tra i luoghi fisici, la tappa più famosa è il museo dell’immigrazione di Ellis Island a New York, inaugurato nel 1990, dove, dal giorno della sua apertura, è possibile effettuare ricerche tramite computer.

Brasile
“Tra il 1875 e il 1935 si stima che circa un milione e mezzo di italiani entrarono in Brasile, con un picco di maggiore intensità tra il 1880 e il 1930. Sebbene gli italiani in Brasile siano stimati in 23 milioni, le proposte turistiche per questa categoria in Italia (vedi Turismo Brasile Ufficio a Roma) o in Brasile, sono ancora rari “. Un’offerta non è stata organizzata con prodotti specificamente riservati ai turisti genealogici italiani.

I nativi italiani sono stimati al 14% della popolazione totale del Brasile. Arrivarono in massa a partire dal 1875, soprattutto nel Rio Grande do Sul. Tra il 1875 e il 1914 arrivarono dagli 80.000 ai 100.000 italiani, provenienti principalmente dalle province di Vicenza, Treviso, Verona e Belluno. Troppo spesso, però, l’insediamento italiano è quasi dimenticato. L’italiano, per esempio, era la colonizzazione della città di Orleans nello stato di Santa Catarina, con il suo Museo dell’Immigrazione, dove i ricordi italiani si mescolano con quelli di altre nazionalità europee. Nello stesso stato, anche di origine italiana è Criciúma, 185.506 abitanti nel 2007, una delle città più ricche. Il suo nome non è italiano, ma è quello di un bastone locale. Ma fu fondata nel 1880 da famiglie delle province di Belluno, Udine, Vicenza e Treviso. L’iniziativa culturale Caminhos de Pedra è degna di nota.

Europa
L’immigrazione interna e la nuova immigrazione da paesi esterni non producono, almeno per il momento, flussi turistici genealogici rilevanti come quelli provenienti dall’estero. Tra i molti flussi “alternativi”, bisogna menzionare quelli dei tedeschi verso la Lituania che visitano le terre da cui sono state cacciate le loro famiglie; quelli degli emigranti rumeni che ritornano nella regione di Maramureç, nella stessa Romania, per fare una vacanza; la stessa pratica è usata dai marocchini europei che tornano a casa come turisti perché la vita è più economica lì; i turchi che vivono in Germania che vengono visitati dai loro parenti; infine, quelli dalla Francia che riportano gli italiani nel nostro paese e quelli degli italiani che si sono trasferiti a lavorare nel triangolo industriale e che tornano a sud durante l’estate.

Irlanda
Il mito del viaggio di ritorno in Irlanda è stato alimentato dagli anni ’50 da scrittori e cineasti come Sam Shepard, John Ford, Herman Boxer (regista: H. BOXER, The irish in me, USA, International Color-Cudley Pictures 1959). Gli eroi di queste storie sono americani di origine irlandese, seconda, terza e quarta generazione che affrontano la traversata atlantica per avvicinarsi a una “casa originale”. Cominciano a scoprire la loro identità, viaggiano nella terra dei loro antenati, rafforzano il loro senso di appartenenza e arricchiscono la loro “memoria” all’interno di questa esperienza. I sentimenti espressi dai protagonisti di queste opere artistiche e letterarie, oggi, uniscono migliaia di viaggiatori anonimi ogni anno.

Le agenzie specializzate nel turismo genealogico prosperano. I famosi tour di Lynott promettono che in un mese analizzeranno i documenti negli archivi e invieranno un report dettagliato e una mappa con i luoghi da visitare direttamente ai clienti d’oltremare: il costo del servizio è di circa 80 euro e la possibilità di organizzare un vacanza totalmente su misura.

Scozia
I turisti genealogici scozzesi si distinguono dagli altri per il loro forte legame con il clan: non una semplice ricerca genealogica della famiglia; inoltre, la motivazione principale risiede nell’obbligo morale di pagare un debito di gratitudine agli antenati.

È stato costituito un comitato misto pubblico e privato in cui si sono fusi il consiglio di amministrazione dell’Ayrshire e il Forum dell’industria turistica di Arran, gruppi locali di appassionati di storia familiare, una società specializzata nella ricerca genealogica, biblioteche, l’agenzia regionale del turismo, l’università locale e un esperto in storia locale. I due obiettivi principali identificati erano: verificare il livello di preparazione dei principali tour operator; quantificare la domanda di turismo genealogico per l’area di Ayrshire e Arran. La metodologia per raggiungere il primo obiettivo era: un’indagine attraverso i call center sui tour operator locali; un ulteriore questionario da presentare questa volta ai tassisti (il primo punto di contatto per i turisti che visitano questa zona). Le indagini hanno evidenziato un gap informativo che è stato riempito con le seguenti azioni: opuscoli informativi appropriati nei punti in cui è stata effettuata la ricerca sugli antenati; un video per educare i lavoratori delle pubbliche relazioni di queste strutture ai bisogni del nuovo pubblico; un portale web di storia familiare inserito nel portale turistico locale esistente.

Gli itinerari proposti comprendono la visita di “monumenti intenzionali” (siti legati alla “grande storia della storia scozzese”) e di monumenti “non intenzionali”, legati alla “piccola storia familiare”, come le tombe degli antenati nei cimiteri o le rovine delle vecchie case che appartenevano alla famiglia, oltre a luoghi legati alla memoria del passato, questi viaggi possono anche includere momenti legati al presente e alla ricerca e all’incontro con lontani parenti dei rami familiari rimasti nel paese di origine: la scoperta di “nuovi cugini” è identificata come una delle massime aspirazioni e soddisfazioni dell’intero viaggio.

Italia
In Italia, a differenza dei paesi analizzati finora, il turismo di base non è mai stato considerato un oggetto di ricerca scientifica, né una vera risorsa su cui investire, anche se ci sono molte persone che vi si recano ogni anno. in Italia perché sono legati da relazioni di parentela o semplicemente ispirati dal desiderio di conoscere i luoghi in cui risiedono le loro origini. Ciò è dimostrato anche dalla quasi totale assenza di statistiche ufficiali che testimoniano la presenza di questo fenomeno sul nostro territorio.

Le notizie sporadiche sono apparse negli ultimi anni sulla stampa, un scarso impegno istituzionale e scandite da iniziative a volte preziose ma sempre poche e in ogni caso prive di coordinamento. Un turismo, quella genealogia, abbandonati a piccole iniziative private costituite da associazioni e piccole fattorie di cui abbiamo trovato traccia sul web. Il “turista delle radici” che viaggia per la prima volta in Italia è interessato a visitare le principali città d’arte e le attrazioni turistiche più famose e, naturalmente, conoscere il luogo in cui sono nati i suoi antenati, in cui lasciarsi incantare dalle bellezze dell’Italia minore.

Impatto culturale
Le visite di ritorno svolgono un ruolo importante nell’esperienza migratoria e rappresentano un aspetto fondamentale della vita dell’emigrante. Abbracciare una simile prospettiva richiede la riconcettualizzazione di numerosi concetti relativi allo studio dell’emigrazione, in particolare le teorie sulla trasmissione culturale e il rapporto tra identità, etnia e territorio. Pertanto, l’emigrazione non è un processo che termina con l’istituzione della prima generazione, ma piuttosto come un intreccio di legami e relazioni con il paese di origine che persistono dopo l’insediamento e che continuano ad influenzare le generazioni successive.

I viaggi di ritorno mettono anche in discussione il concetto stesso di accordo, se per definizione intendiamo l’identificazione esclusiva con il paese di adozione. Infatti, “è possibile dimostrare che gli emigranti che ritornano spesso nel paese non sentono di appartenere a un singolo territorio, ma si sentono leali verso entrambi, questo è un problema che non può essere spiegato dai paradigmi degli studi classici su emigrazione, poiché fa parte di un discorso sulla ricerca di un’identità, riconosciuta come un’esigenza psicologica dell’individuo “.

Il turista delle radici vive un conflitto interiore fatto di amore e odio. Il paese dove va è ancora la sua patria, ma la sua famiglia più vicina vive nel paese adottato. Il nuovo paese è l’ancora della famiglia, mentre l’antica patria è un luogo di ricordi perduti: non ci si sente veramente a casa in nessuno dei due paesi e si avverte un conseguente senso di disorientamento. La continua identificazione con il paese di origine lo avvolge in una spirale di nostalgia che lo fa ritornare. Per lui il focolare è un “fulcro” che si muove continuamente senza mai fermarsi.

Se i ritorni provengono da un sentimento di obbligo verso la comunità originaria o per altri motivi personali, la continua spola tra i due paesi li rende simili ai pellegrini. Utilizzando questa metafora, le visite di ritorno sono una sorta di pellegrinaggio laico, un rinnovamento culturale per la prima generazione e una trasformazione per le generazioni successive. Il paese natale diventa una sorta di santuario secolare, un punto di orientamento per la sua identità.

La visita di ritorno, spesso annuale, è forse il fattore di integrazione della sua vita per l’emigrante. Ne consegue che gli emigrati si sentono più “a casa” durante il viaggio tra le due “case”: il movimento migratorio tra due paesi crea di per sé un senso di patria. Per questo motivo, le visite nel paese sono costitutive dell’identità dell’emigrante.

Le visite di ritorno della prima generazione e dei successivi immigrati producono anche un impatto sull’identità di coloro che sono rimasti, in particolare i residenti che dialogano, ospitano e si confrontano con i turisti genealogici: entrare in contatto con altri modi di vivere l’identità nazionale, nel nostro il caso, l’italianità, li induce a deterritorializzare la propria identità. Allo stesso tempo, sono i nativi, con il loro atteggiamento di accoglienza, a detenere il potere di far sentire i turisti parte della nazione visitata, una specie di famiglia allargata.

Alcuni studiosi sostengono la teoria che l’identità nella società contemporanea è deterritorializzata e che questa è la condizione della postmodernità. Altri, in contrasto con questo punto di vista, affermano che le culture appartengono fondamentalmente alle relazioni sociali e alle reti di relazioni: meno persone sono in un posto e più il legame diventa tenue tra cultura e territorio. Entrambe le tesi sono valide, a condizione che il territorio sia interpretato anche come un luogo di immaginazione. Identità diasporiche come quella dei turisti che discendono da antichi migranti sono per definizione deterritorializzate ma radicate nell’immaginario del territorio. Il territorio assume un’importanza centrale, e continua, per la costruzione dell’identità.

“L’identificazione delle realtà sociali complesse e sovrapposte, che causano problemi di identità per gli emigranti transnazionali, contraddice le tendenze omogeneizzanti all’interno dei processi di globalizzazione”. Questo è il motivo per cui gli emigranti hanno l’impressione di non avere un paese, di appartenere né al paese nativo né a quello elettivo. Ora è chiaro perché la “patria” dell’emigrante può diventare un “hub” destabilizzato e causare un’identità deterritorializzata.

I significati di casa, casa e campagna – sintetizzati efficacemente dalla cultura anglosassone nella parola casa -, esistono nell’immaginario e sono rielaborati attraverso le esperienze di viaggi di ritorno e soggiorni nel paese. Questo sentirsi a casa degli emigranti delle prime o delle successive generazioni solo mentre fanno il viaggio – andare in quel santuario che è il paese d’origine, e tornare alla vita come pellegrini nella terra che li ospita – dipende più dal senso di appartenenza a il luogo che dall’assenza di un territorio e forse sono i bambini che li legano al territorio impedendo loro di diventare nomadi senza radici.

Impatto economico
Secondo le stime dei Padri Scalabriniani, gli italiani nel mondo sono ottanta milioni, di cui ventisette milioni in Brasile, venti milioni in Argentina, diciassette milioni negli Stati Uniti, più di un milione in Uruguay dove rappresentano il 35% di la popolazione totale, ecc.

Consapevole di queste cifre, l’ENIT, nella relazione annuale sui documenti relativi a questi paesi, evidenzia le opportunità turistiche derivanti dal turismo di ritorno e suggerisce di considerare la possibilità di adottare strategie appropriate per sfruttare questa risorsa. Forse, non è sufficiente per l’Italia indicare un turismo generico di ritorno; dovrebbe invece concentrarsi sul turismo genealogico comunicato in termini di “viaggio verso le radici” e basato sulla ricerca genealogica.

In questo modo potremmo massimizzare e moltiplicare l’impatto economico positivo derivante dalla propensione di questi turisti a viaggiare in condizioni stagionali, a spendere più di altri per acquistare prodotti locali, a rimanere per periodi più lunghi, in contrasto con l’attuale concetto di vacanza in città contemporanea pausa: più soggiorni e meno tempo.

Il turismo genealogico non teme la concorrenza di altri paesi. Coloro che attraversano l’oceano, forse dovendo aspettare per ottenere un visto d’ingresso, probabilmente vorranno visitare le principali città d’arte di altri stati ma saranno le città, i villaggi, gli eventi, la moda, il design e la cultura popolare del territorio delle sue origini a catalizzare la sua attenzione.

Gli effetti positivi riguardano anche il paese di origine quando la comunicazione turistica viene diffusa attraverso i media stranieri o quando sono firmati accordi di cooperazione internazionale per la ricerca archivistica; ma è soprattutto nel paese di origine che si ottengono i maggiori benefici: le numerose agenzie di viaggio in crisi, a causa della diffusione delle prenotazioni online, potrebbero riqualificarsi e proporre di organizzare viaggi di turismo genealogico con assistenza in loco; potrebbero sorgere nuove professioni di “tour operator di ritorno alle radici”; i laureati, ad esempio in archivi o beni culturali, potrebbero essere impiegati nei compiti di assistente alla ricerca genealogica negli Archivi di Stato e negli ecclesiastici.

Il maggiore orgoglio di identità produrrà nel paese di residenza abituale una richiesta di prodotti dal “paese delle radici” e una conseguente apertura di negozi, pub, ristoranti e impiego in associazioni culturali, istituzioni che proteggono la lingua ecc .; e, in cambio, l’aumento delle esportazioni di prodotti tipici.

Legislazione regionale italiana
La Regione Veneto con la legge regionale 2/2003, all’art. 12, prevede che l’amministrazione promuova, attraverso il finanziamento, l’organizzazione di soggiorni nella regione di cittadini stranieri residenti all’estero. I residenti di origine veneziana residenti all’estero possono beneficiare di finanziamenti, al fine di dare loro l’opportunità di conoscere i loro luoghi di origine e rientrare in contatto diretto con la regione, la cultura e la società del Veneto. La Sardegna riserva benefici economici per i soggiorni dei nati in Sardegna residenti all’estero mentre in Abruzzo è stata proposta una proposta analoga ma destinata anche ai propri figli.

conclusioni
Il turismo delle radici, un turismo prevalentemente internazionale ma diretto verso i centri minori e spesso sconosciuti, potrebbe favorire la nascita di nuove destinazioni e contribuire allo sviluppo economico di alcuni territori: aumenta il consumo di prodotti e l’uso delle infrastrutture e servizi locali; al contrario, mira a valorizzare quei piccoli centri in cui la presenza di visitatori potrebbe innescare processi virtuosi di ripensamento del territorio che in questo caso verrebbero sottratti all’oblio e all’abbandono.