La moda si ispira all’arte, attraverso l’arte e la moda, il Museo Salvatore Ferragamo

Arte e moda si sono affrontate, guardandosi spesso, anche in passato. Se gli artisti sono stati affascinati dall’abbigliamento, come strumento essenziale per dare realismo alle loro rappresentazioni, gli artigiani del sarto hanno spesso tratto le loro ispirazioni dal mondo dell’arte e assunto atteggiamenti che li equiparavano agli artisti. Per gli studiosi d’arte, l’abbigliamento documentato in un dipinto aiuta a uscire con un’opera d’arte. D’altra parte, per gli storici della moda, l’abito dipinto offre un resoconto del movimento, del gesto e della tendenza di un vestito.

Il percorso espositivo si concentra sul lavoro di Salvatore Ferragamo, che è stato affascinato e ispirato dai movimenti artistici d’avanguardia del 20 ° secolo, su diversi atelier degli anni Cinquanta e Sessanta che erano luoghi di studi e incontri e sull’avvento del cultura delle celebrità. Esamina quindi la sperimentazione degli anni Novanta e continua a meditare se nell’industria culturale contemporanea possiamo ancora parlare di due mondi separati o se stiamo invece affrontando una fluida interazione di ruoli.

L’aspetto distintivo del layout della mostra risiede nella collaborazione con altre istituzioni culturali, che hanno partecipato attivamente all’attuazione di questo concetto con l’obiettivo di ispirare una riflessione congiunta: oltre al Museo Salvatore Ferragamo, promotore e organizzatore del progetto insieme al Fondazione Ferragamo, a Firenze la Biblioteca Nazionale Centrale, le Gallerie degli Uffizi (la Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti e la Galleria del Costume), il Museo Marino Marini e a Prato il Museo del Tessuto.

Per la moda italiana, sin dai primi dibattiti agli inizi del XX secolo sulla necessità di dare identità nazionale alla produzione di abbigliamento nel Bel Paese, il riferimento al mondo dell’arte italiana è stato sentito come un elemento di forte distinzione, rispetto alla moda francese , quindi prevalente. Fondamentale in questo percorso è stato il ruolo di Rosa Genoni, sarta ma anche insegnante di sezione sartoriale presso la Scuola femminile professionale di Milano. Per l’Expo di Milano del 1906, fece realizzare due abiti, come poster programmatici delle sue idee, uno ispirato a un disegno di Pisanello conservato nel Museo Condé di Chantilly, l’altro all’abito primaverile di Botticelli. Il mantello tratto dall’opera di Pisanello, generosamente prestato dalla Galleria del Costume di Palazzo Pitti, viene confrontato con abiti contemporanei ispirati a famose opere d’arte in una stanza tappezzata da un articolo di Sergio Tofano, apparso in “Lidel” nel 1920, dove il grande illustratore ipotizzava abiti di fattura italiana tratti dagli affreschi di Beato Angelico e Masaccio.

Il film della Biennale di Arte e Moda di Firenze del 1996, diretto da Germano Celant, Ingrid Sischy, Luigi Settembrini, funge da cassa di risonanza di questo tema, una grande mostra che ha coinvolto quaranta protagonisti internazionali delle arti e trentotto mondo marchi di moda, in un progetto che aveva l’obiettivo di esplorare e raccontare le reciproche influenze, il rapporto creativo tra l’universo della moda e le arti visive, il design, l’architettura, il cinema, la fotografia, i costumi e la storia, ponendo il tema all’attenzione di tutti.

Per secoli gli artisti hanno raffigurato ogni minimo dettaglio degli abiti che sono diventati gradualmente alla moda, tramandandoci la testimonianza visiva di gesti, posture e gusti, ma anche di soluzioni sartoriali, materiali e decorazioni di molti artigiani anonimi. Gli artisti hanno partecipato attivamente a questa corsa di lusso, realizzando disegni per tessuti, pizzi, ricami e persino costumi per feste di corte e hanno iniziato quella che sarebbe stata la comunicazione di moda con capolavori di incisione. Durante il diciannovesimo secolo, la moda iniziò a diffondersi nelle città con il contributo dell’industria tessile e nuove forme di distribuzione commerciale. Fu una metamorfosi totale, che iniziò anche forme originali di dialogo tra arte e moda. I rapporti tra i due mondi divennero più vicini e più frequenti e gli scambi non si limitarono più alla rappresentazione del bellissimo mondo vestito all’ultima moda.

Attraverso una serie di esempi, la sezione propone un percorso attraverso questo dialogo che si svolge da oltre un secolo.

Iniziamo con gli artisti preraffaelliti inglesi, la secessione viennese di Gustav Klimt e la Wiener Werkstätte proseguendo con Mariano Fortuny, senza dimenticare gli esperimenti futuristi. Passiamo quindi alle esperienze degli artisti che hanno fatto moda come Sonia Delaunay e alle collaborazioni dirette tra artisti e creatori di moda, come Thayaht con Vionnet o Dalí e Cocteau con Schiaparelli, fino alle collaborazioni più recenti. Particolare attenzione è rivolta ai designer che, ispirati all’arte, hanno una moda profondamente innovata, come nel caso di Yves Saint Laurent con Mondrian

Il tema viene svolto tenendo conto di diversi temi: gli artisti che hanno creato alternative alle tendenze attuali e quelli che hanno collaborato con l’industria della moda; gli stilisti che cercavano l’inventiva degli artisti, condividevano le proposte più originali di alcune avanguardie, ma soprattutto che si ispiravano alle forme o alle superfici delle opere di tutti i tempi.

Con la sua presenza sulla scena culturale di New York, la partecipazione a feste, serate di apertura, retrospettive e sfilate di moda, ha contribuito a plasmare il rapporto tra arte, moda e celebrità che riconosciamo oggi. Questo concetto viene esplorato in una serie di fotografie che mostrano Warhol in vari eventi sociali di New York e con la famosa installazione Altered Image del Makos Studio.

Non c’è dubbio che con il suo lavoro, Andy Warhol abbia scatenato un input estetico di grande impatto – e spesso sacrilego – l’esempio più evidente è The Souper Dress, una distillazione di moda, arte e industria. Realizzato negli anni ’60 in carta, cellulosa e cotone, con una stampa serigrafica della famosa zuppa Campbell può essere ripetuto in sequenza, questo abito è esposto come parte della mostra.

Attraverso arte e moda
è l’arte della moda? Una semplice domanda nasconde il complesso universo di una relazione articolata che è stata a lungo investigata, ma senza arrivare a una definizione chiara e inequivocabile. Questo progetto analizza le forme di dialogo tra questi due mondi: ispirazioni reciproche, sovrapposizioni e collaborazioni, dalle esperienze dei preraffaelliti a quelle del futurismo e dal surrealismo alla moda radicale. Il percorso espositivo si concentra sul lavoro di Salvatore Ferragamo, che è stato affascinato e ispirato dai movimenti artistici d’avanguardia del 20 ° secolo, su diversi atelier degli anni Cinquanta e Sessanta che erano luoghi di studi e incontri e sull’avvento del cultura delle celebrità. Esamina quindi la sperimentazione degli anni Novanta e continua a meditare se nell’industria culturale contemporanea possiamo ancora parlare di due mondi separati o se stiamo invece affrontando una fluida interazione di ruoli.

Questa semplice domanda nasconde il complesso universo di una relazione articolata, che è stata investigata a lungo nel tempo, senza mai raggiungere una definizione chiara o inequivocabile. La moda – per il suo bisogno di essere funzionale e quindi per riferirsi concretamente alla vita reale, così come per il suo legame con l’artigianato e l’industria – sembra essere lontana dall’ideale di art pour arte, un concetto che tuttavia non era sempre rappresentativo anche del mondo dell’arte. Andy Warhol ci ha insegnato che l’unicità dell’opera d’arte non coincide più con la produzione artistica e oggi le mostre degli stilisti proliferano e gli stilisti accolgono le pratiche dell’arte contemporanea con disponibilità. È ancora possibile, in questo contesto, parlare della dicotomia tra arte e moda come avvenuta nel secolo scorso?

Questo progetto analizza le forme di dialogo tra questi due mondi: contaminazioni, sovrapposizioni e collaborazioni. Dalle esperienze dei preraffaelliti a quelle del futurismo, dal surrealismo alla moda radicale. Il percorso si concentra sul lavoro di Salvatore Ferragamo, affascinato e ispirato dalle avanguardie artistiche del XX secolo; su alcuni atelier degli anni ’50 e ’60, un luogo di studio e di incontri, e sulla nascita della cultura delle celebrità, per continuare con gli esperimenti degli anni ’90 e chiederci se nell’industria culturale contemporanea possiamo ancora parlare di due mondi distinti, o se invece ci troviamo di fronte a un fluido gioco di ruoli.

La particolarità del piano espositivo risiede nella collaborazione di diverse istituzioni culturali e nella sede della mostra in varie località: oltre al Museo Salvatore Ferragamo, promotore e organizzatore del progetto insieme alla Fondazione Ferragamo, ospitano le varie mostre a Firenze, la Biblioteca Nazionale Centrale, le Gallerie degli Uffizi (Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti), il Museo Marino Marini e, a Prato, il Museo del Tessuto

Le istituzioni coinvolte hanno partecipato attivamente alla realizzazione dell’idea, con l’obiettivo di invitare una riflessione comune.

È un omaggio al Museo Salvatore Ferragamo che ha curato e ideato il progetto e un simbolo: da un lato un elemento decorativo, essenziale per l’estetica di un modello del 1958 di Salvatore Ferragamo, il décolleté di Tirassegno, e dall’altro un’opera di uno dei grandi artisti americani della seconda metà del ventesimo secolo, Kenneth Noland, che fu d’ispirazione.

La mostra al Museo Salvatore Ferragamo ha quattro curatori, Stefania Ricci, direttrice del Museo Salvatore Ferragamo, Maria Luisa Frisa, Enrica Morini, Alberto Salvadori, che con le loro diverse capacità e personalità hanno collaborato giorno dopo giorno alla costruzione del percorso, insieme ai direttori e ai dirigenti delle varie istituzioni che hanno partecipato all’iniziativa con entusiasmo e spirito di collaborazione e agli autori del catalogo, che hanno aiutato i curatori nella scelta finale delle opere, mettendo a disposizione le loro conoscenze e il loro professionista esperienze. Numerosi sono i prestiti delle più prestigiose collezioni pubbliche e private, nazionali e internazionali, che danno alla mostra un’atmosfera internazionale

Museo Salvatore Ferragamo
Il Museo Salvatore Ferragamo di Firenze, in Italia, è un museo della moda dedicato alla vita e alle opere del designer di scarpe italiano Salvatore Ferragamo e della sua omonima azienda. Il museo contiene 10.000 modelli di scarpe create e possedute da Ferragamo dagli anni ’20 fino alla sua morte nel 1960. Dopo la morte di Ferragamo la collezione fu ampliata dalla sua vedova e dai suoi figli. Il museo comprende anche film, ritagli di stampa, materiale pubblicitario, abiti e accessori dagli anni ’50 ad oggi.

La famiglia Ferragamo ha fondato il museo nel maggio 1995 per far conoscere a un pubblico internazionale le qualità artistiche di Salvatore Ferragamo e il ruolo che ha avuto nella storia non solo delle scarpe ma anche della moda internazionale.

Come la maggior parte dei musei aziendali, il Museo Salvatore Ferragamo e i suoi archivi nascono dalla visione di un imprenditore, in questo caso la vedova di Salvatore Ferragamo, Wanda, che ha guidato l’azienda dalla morte del fondatore nel 1960, e i suoi sei figli. In particolare, il maggiore dei loro figli, Fiamma, che dopo la morte del padre gestiva il core business dell’azienda calzaturiera e della pelletteria, rimase al timone di questo progetto per conto della sua famiglia e lo portò alla vita, dando forma alla sua strategia con l’assistenza degli storici e archivisti.

L’idea per il museo è nata inizialmente quando è stata organizzata una mostra a Palazzo Strozzi sulla storia di Salvatore Ferragamo. La mostra è andata in tournée ed è stata ospitata da alcuni dei musei più prestigiosi del mondo, come Victoria and Albert a Londra, il County Museum di Los Angeles, il New York Guggenheim, la Sogetsu Kai Foundation a Tokyo e il Museo de Bellas Artes in Messico. La mostra temporanea divenne gradualmente permanente.

In riconoscimento dell’importanza culturale del museo e di quella delle sue numerose iniziative nel corso degli anni, nel 1999 Salvatore Ferragamo ha ricevuto il Guggenheim Impresa e Cultura Award, assegnato annualmente alle aziende che investono meglio nella cultura per fini costruttivi. Il museo si trova nel centro storico di Firenze, in Palazzo Spini Ferroni, che è anche la sede dell’azienda dal 1938.