Museo Nazionale di Capodimonte, Napoli, Italia

Il Museo Nazionale di Capodimonte è un museo a Napoli, in Italia, situato all’interno dell’omonimo palazzo nella zona di Capodimonte, che ospita diverse gallerie d’arte antica, una di arte contemporanea e un appartamento storico.

Fu aperto ufficialmente come museo nel 1957, anche se le sale del palazzo ospitano opere d’arte dal 1758. Conserva prevalentemente dipinti, distribuiti principalmente nelle due principali raccolte, il Farnese, che includono alcuni dei più grandi nomi della pittura italiana e internazionale . come Rafael, Tiziano, Parmigianino, Brueghel il Vecchio, El Greco, Ludovico Carracci o Guido Reni; e la Galleria napoletana, che è composta da opere provenienti da chiese della città e dintorni, trasportate a Capodimonte per motivi di sicurezza dopo la soppressione degli ordini religiosi, e presenta opere di artisti come Simone Martini, Colantonio, Caravaggio, Ribera, Luca Giordano o Francesco Solimena. Anche la collezione di arte contemporanea è importante, in cui spicca il Vesuvio di Andy Warhol.

Il Museo di Capodimonte vanta 47.000 opere d’arte che formano una delle collezioni più grandi e complesse di arte medievale, moderna, moderna e contemporanea al mondo. In 126 gallerie distribuite su 151.000 piedi quadrati, sono esposte opere dei grandi artisti come: Michelangelo, Caravaggio, Raffaello, Tiziano, Botticelli, Simone Martini, Giovanni Bellini, Colantonio, Artemisia Gentileschi, Jusepe de Ribera, Battistello, Luca Giordano, Mattia Preti, Francesco Solimena, Carracci, Guido Reni, Lanfranco, Bruegel il Vecchio e Van Dyck per citarne alcuni.

Tutto ebbe inizio con la Collezione Farnese che Carlo I di Borbone, figlio del re di Spagna, ereditò da sua madre Elisabetta e portò con sé a Napoli nel 1735, con il desiderio di esporlo in questo palazzo in cima alla collina. La costruzione del palazzo iniziò nel 1738, per funzionare come una galleria di immagini e una casa di caccia. Capodimonte è l’unico museo italiano che oltre a rappresentare quasi tutte le scuole della prima arte moderna italiana, può anche vantare opere di artisti contemporanei come Burri, Paolini, Bourgeois, Warhol e Kiefer.

Il Parco Reale di Capodimonte, con i suoi 300 acri e più di 400 specie vegetali, è uno spazio verde incontaminato che domina la città e il Golfo di Napoli. Qui sono state piantate specie esotiche, tra cui i primi mandarini in Italia. È il più grande parco urbano in Italia, con circa 1.500.000 visitatori all’anno. All’interno del Royal Park è possibile ammirare l’ultimo giardino barocco dal design sino-inglese pieno di rare fragranze orientali.

Maestosamente immerso nel suo Parco Reale che domina il Golfo di Napoli, Capodimonte offre una combinazione davvero singolare di bellezza artistica e naturale assolutamente unica al mondo.

Panoramica
Il Museo Nazionale di Capodimonte si estende su tre livelli del palazzo di Capodimonte e la disposizione dei lavori risale agli ultimi lavori di restauro che si sono svolti dai primi anni ottanta fino al 1999: al piano terra, ma sfruttando anche il aree sotterranee, servizi per visitatori e alcune aule didattiche, al piano rialzato si trova il Gabinetto dei Disegni e delle Stampe, e le mostre del 19 ° secolo Private e dei poster di Apple, al primo piano si trova la Galleria Farnese, la collezione Borgia , l’Appartamento Reale, la collezione di porcellane, la collezione De Ciccio e l’Armeria Farnese e Borbone, al secondo piano si trovano la Galleria Napoletana, la collezione Avalos, la sala degli arazzi di Avalos e la sezione di arte contemporanea: quest’ultima anche continua al terzo piano dove si trovano anche la galleria del XIX secolo e la galleria fotografica.

Piano terra, seminterrato e soppalco
Al piano terra ci sono servizi per visitatori come biglietteria, libreria, caffetteria e guardaroba: c’è anche un auditorium in grado di ospitare conferenze, proiezioni, traduzioni simultanee e concerti dal vivo, abbellito alle pareti con due arazzi della collezione d ‘ Avolos. Nell’atrio, davanti allo scalone d’onore Giove che fulmina i Titani, scultura in biscotto di Filippo Tagliolini e un’installazione del 1989 di Luciano Fabro intitolata Nord, Sud, Ovest e Oriente giocano a Shanghai, in alluminio e ferro, mentre nel giardino , poco prima dell’ingresso, un’opera d’arte contemporanea, Southern Cross Southern Sign, di Eliseo Mattiacci.

Nel seminterrato ci sono due sale per l’insegnamento: la prima, chiamata Sol LeWitt, che prende il nome dal suo creatore, viene utilizzata per riunioni, conferenze, mostre, seminari e concerti riservati a un pubblico giovane con un’installazione dello stesso LeWitt chiamata White bands in una stanza nera, mentre la seconda, la sala Causa, si estende per oltre 700 m² e viene utilizzata principalmente per mostre temporanee.

Al piano rialzato si trova la collezione Mele: si tratta di manifesti pubblicitari dei Grandi Magazzini Mele, aperti a Napoli nel 1889 dai fratelli Emiddio e Alfonso Mele e donati al museo di Capodimonte nel 1988. Rappresentano un’importante testimonianza del figurato napoletano lingua in un periodo tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo: i poster sono stati commissionati dal laboratorio grafico Ricordi e i disegni realizzati da artisti come Franz Laskoff, Leopoldo Metlicovitz, Leonetto Cappiello, Aleardo Villa, Gian Emilio Malerba , Achille Beltrame e Marcello Dudovich. Sempre al piano rialzato, nell’ala sud dell’edificio, si trova il Gabinetto dei Disegni e delle Stampe, la cui mostra è iniziata nel 1994: vengono raccolte circa duemilacinquecento fogli e venticinquemila stampe, che vanno dai cartoni preparatori ai disegni di autori come Annibale Carracci, Guido Reni e Giovanni Lanfranco, di cui sono raccolti circa quattrocento fogli preparatori per affreschi realizzati nelle chiese napoletane, ma anche Pontormo, Tintoretto, Andrea del Sarto, Jusepe de Ribera e Aniello Falcone. Le stesse sale espongono anche le collezioni del conte Carlo Firmian, acquistate nel 1782 e che raccolgono oltre ventimila stampe di Albrecht Dürer, Stefano della Bella, Giovanni Benedetto Castiglione e Rembrandt, e la collezione Borgia, acquistata nel 1817, comprendente ottantasei acquerelli e disegni indiani. Ci sono anche altre collezioni, donate dopo l’apertura del museo, come quella di Mario e Angelo Astarita, offerte nel 1970, che comprende quattrocentodiciannove disegni, acquerelli e oli di artisti della scuola Posillipo, tra cui spicca Giacinto Gigante fuori, o acquisti statali come la collezione di sessantaquattro studi e rilievi dell’architetto Federico Travaglini. Il piano rialzato è completato dalla collezione privata del XIX secolo: allestita nel 2012 nell’ala meridionale dell’edificio, raccoglie dipinti del XIX e XX secolo in sette sale; in origine queste stanze, dal 1816, ospitavano l’appartamento privato di Ferdinando I, per poi essere utilizzato dalla principessa Carolina durante la metà del XIX secolo e quindi destinato al ramo cadetto della famiglia dei duchi di Aosta nella prima metà del XX. secolo: con l’istituzione del museo nel 1957, le sale accolsero gli uffici della Soprintendenza, mentre, durante i lavori di restauro negli anni Novanta, furono riportati al loro aspetto architettonico originale, destinato all’uso museale con l’aggiunta di arredi napoletani, tessuti e tende.

La sala 1 è dedicata alla corrente neoclassica con opere di Vincenzo Camuccini, le sale 2 e 3 raccolgono paesaggi napoletani da autori della scuola Posillipo come Anton Sminck van Pitloo, Gigante e i fratelli Palizzi, nella sala 4 dipinti del realismo della seconda metà del XIX secolo con artisti come Vincenzo Gemito, Domenico Morelli, Michele Cammarano e Giuseppe De Nittis, nella sala 5 opere ispirate all’arte orientale e nelle sale 6 e 7 diverse donazioni di privati ​​o artisti come Gioacchino Toma, Achille D ‘ Orsi, Giovanni Boldini eGiacomo Balla.

Primo piano
Il primo piano è suddiviso nelle aree della Galleria Farnese e dell’Appartamento Reale: in particolare, la Galleria Farnese comprende le sale che vanno dalla sala 2 alla sala 30 dove è ospitata la collezione Farnese, esclusa la sala 7, dedicata alla collezione Borgia , e il 23, mentre le stanze dalla stanza 31 alla stanza 60, a cui viene aggiunta la stanza 23, ospitano la sezione dell’appartamento reale, caratterizzata dalle sale 35 e 36 dedicate alla Galleria delle Porcellane, dalle sale 38 alla 41 dedicate a la collezione De Ciccio e le sale che vanno dalle 46 alle 50 riservate all’Armeria Farnesiana e Borbone.

Galleria Farnese
La collezione Farnese dà il nome alla galleria omonima e tutte le opere sono ordinate per area di origine in sequenza temporale: la collezione fu iniziata a metà del XVI secolo da Papa Paolo III, che la raccolse nel suo palazzo di Campo de ‘Fiori entrambe le opere antiche, in particolare statue provenienti da reperti archeologici nell’area di Roma come dalle Terme di Caracalla, e opere moderne, per lo più pittoriche di artisti come Raffaello, Sebastiano del Piombo, El Greco e Tiziano. Con Ottavio Farnes e suo figlio Alessandro, nel XVII secolo la collezione si arricchì di numerosi pezzi, grazie anche alla donazione, nel 1600, di Fulvio Orsini al cardinale Odoardo e alla confisca, nel 1612, delle proprietà appartenenti ad alcuni membri di l’aristocrazia di Parma e Piacenza, ritenute responsabili di una cospirazione nata l’anno prima contro Ranuccio I Farnese. Pertanto, opere di artisti come Correggio e Parmigianino entrano a far parte della collezione, insieme agli acquisti da palazzi romani. Inoltre, quando Alessandro divenne sovrano dei Paesi Bassi, accanto alla scuola pittorica italiana fu aggiunta anche quella fiamminga: tuttavia, secondo alcune fonti dell’epoca, il monarca non sarebbe stato un attento collezionista a differenza di suo padre e sua madre Margherita d’Austria . Nel 1693 fu aggiunta la collezione di Margherita Farnese, sorella di Ranuccio. Successivamente la collezione passò nelle mani di Elisabetta, e poi di suo figlio Carlo di Borbone, che quando divenne re di Napoli trasferì tutte le opere nella capitale del suo regno: ulteriormente ampliato con nuove acquisizioni anche con oggetti d’ambra, bronzo, roccia cristallo, maiolica e argento, la collezione fu ospitata nel palazzo appositamente costruito di Capodimonte. Nel corso degli anni, tuttavia, la collezione fu spostata in vari edifici della città fino alla fine della seconda guerra mondiale, quando fu decisa una riorganizzazione dei musei napoletani: la statua rimase nel Museo Archeologico Nazionale, mentre i dipinti furono nuovamente trasferiti in il palazzo di Capodimonte nel neonato museo, restaurando l’antica Galleria Farnesiana.

La Sala 2 segna l’ingresso alla Galleria Farnese e consente di vedere, con i suoi dipinti, le personalità di spicco della famiglia Farnese: molte delle opere presenti, come il Ritratto di Paolo III e il Ritratto di Paolo III con i nipoti Alessandro e Ottavio Farnese, sono opera di Tiziano, la cui collezione di Capodimonte rappresenta per l’artista la più importante e numerosa sia in Italia che nel mondo; ci sono anche dipinti di Raffaello, come il Ritratto del cardinale Alessandro Farnese, Giorgio Vasari e Andrea del Sarto, nonché sculture di Guglielmo Della Porta e un arazzo raffigurante il Sacrificio di Alessandro.

La piccola sala 3 è interamente dedicata alla Crocifissione di Masaccio; questo non fa parte della collezione Farnese, ma fu acquistato nel 1901 da un privato come opera di un ignoto fiorentino del XV secolo e solo in seguito credette di essere il compartimento centrale del Polittico di Pisa che Masaccio aveva realizzato per il Carmine chiesa nella capitale pisana, poi divisa in vari pezzi conservati in altri musei europei e americani.

Nella sala 4 sono raccolti quattro disegni a carboncino: due di Michelangelo, uno di Raffaello e uno di Giovan Francesco Penni appartenuti a Fulvio Orsini, e ereditati, per volere del membro della famiglia Farnese, da Ranuccio; le opere arrivarono nel palazzo di Capodimonte nel 1759, sotto Giuseppe Bonaparte, poi trasferite al Palazzo Reale degli Studi, costituendo il nucleo principale del Gabinetto dei Disegni e delle Stampe e infine riportate al palazzo di Capodimonte. Nella stessa stanza c’è un dipinto attribuito a Hendrick van den Broeck, Venere e Cupido, una copia dell’omonimo carbone di Michelangelo, esposto al suo fianco e oggetto di numerose repliche anche di altri artisti.

Dalla sala 5 le opere sono disposte in ordine cronologico e divise per aree culturali: tra le principali spiccano due pannelli di Masolino da Panicale, la Fondazione di Santa Maria Maggiore e l’Assunzione della Vergine, elementi centrali di un trittico originariamente collocato sull’altare della basilica di Santa Maria Maggiore a Roma.

La sala 6 contiene dipinti delle collezioni farnese e borbonica di artisti del Rinascimento umbro-toscano, che mostrano le novità pittoriche dell’epoca, come l’uso della prospettiva: artisti come Filippino Lippi, Lorenzo di Credi, Sandro Botticelli ne fanno parte , Raffaellino del Garbo e Raffaello, con la sua eterna giovinezza tra cherubini e testa di Madonna, opera principale nella stanza; la tela di Francesco Zaganelli, con il Cristo che porta la croce, si discosta dal tema predominante, più vicino alla pittura di Dürer.

Dalla sala 8 inizia quella serie di sale, che si affacciano sul lato ovest dell’edificio, che già nel XVIII secolo ospitava i primi dipinti della collezione Farnese: il soffitto della sala, insieme a quello delle sale 9 e 10, ha ancora affreschi decorativi del diciannovesimo secolo, poi restaurati negli anni cinquanta del novecento; nella sala ci sono opere pittoriche di arte veneziana datate tra il XV e l’inizio del XVI secolo con artisti come Bartolomeo Vivarini, Andrea Mantegna e Lorenzo Lotto, tutti appartenenti alla collezione Farnese, mentre opere di altri autori come Giovanni Bellini e Jacopo de ‘Barbarithey sono collegati agli acquisti borbonici. Le tele mostrano tutte le innovazioni del periodo storico in cui sono state dipinte, come la raffinatezza cromatica, l’uso della prospettiva aerea e il ruolo chiave della luce.

La Sala 9 espone opere di Sebastiano del Piombo, Giulio Romano e Daniele da Volterra, a testimonianza della fervida stagione artistica romana del XVI secolo; nella sala ci sono anche tre dipinti, Madonna del Velo e Ritratto di Clemente VII con la barba di Sebastiano del Piombo e Ritratto di un giovane di Daniele da Volterra, realizzato su ardesia, una tecnica sperimentale usata come alternativa alla tela e i pannelli. Interessante anche la copia di Michelangelo del Giudizio Universale dipinta da Marcello Venusti, testimonianza di come l’opera della cappella Sistina guardasse prima degli interventi di Daniele da Volterra per coprire quelle parti considerate indecenti.

La sala 10 contiene i dipinti di artisti toscani realizzati nel primo quarto del XVI secolo: sono Pontormo, Rosso, Fra Bartolomeo, Franciabigio, Andrea del Sarto, Domenico Puligo e Pieter de Witte, artisti che apriranno le porte al manierismo.

La sala 11 raccoglie opere veneziane: in particolare le attività di un ormai maturo Tiziano come Danae, Ritratto di una giovane ragazza e Maddalena, di un giovane Dominikos Theotokópoulos, meglio noto come El Greco, allievo di Tiziano e pittore di corte del Farnese e di Jacopo Palma il Vecchio. Tra i primi, degno di nota, Boy soffia su una brace ardente, lavora con una forte chiave di chiaroscuro, con evidenti accenti caravaggeschi.

La sala 12 contiene una delle più importanti raccolte di pittura emiliana del XVI secolo al mondo, frutto della collezione Farnese e delle confische contro alcune famiglie piacentine e parmensi che avevano fatto nascere una cospirazione contro Ranuccio Farnese; tra gli artisti: Correggio, con i suoi temi sacri e mitologici e figure umane con forme morbide e colori tenui, Parmigianino, uno dei protagonisti del manierismo italiano e di un dipinto fatto di sperimentazioni, Girolamo Mazzola Bedoli, Benvenuto Tisi del Garofalo, Dosso Dossi , Lelio Orsi e Ippolito Scarsella, gli ultimi due con una caratteristica fiaba e una trama narrativa. Alcuni busti di marmo di epoca romana completano l’ambiente.

La stanza 13 raccoglie quelle opere di artisti che lavorarono alla corte dei Farnese a Parma, un luogo in pieno fervore intellettuale durante quel periodo: in particolare è Jacopo Zanguidi, meglio noto come Bertoja, con una Madonna con Bambino, e Girolamo Mirola, che è anche affiancato da artisti stranieri come Jan Soens.

La stanza 14 è la Galleria delle cose rare, comunemente chiamata Wunderkammer, o piuttosto una sorta di stanza delle meraviglie che aveva il compito di affascinare e stupire i visitatori: oltre ai dipinti normali, raccoglie quelle preziose e rare opere di ciò che rimane del arti decorative della collezione Farnese, una volta ospitata nella Galleria Ducale di Parma. Tra le opere presenti nella sala: la scatola Farnese, realizzata da Manno Sbarri con cristalli incisi da Giovanni Bernardi, bronzi di varie scuole italiane ed europee come quelle di Giambolognaothers con un tipico stile rinascimentale, come il David di Francesco di Giorgio Martini e Cupido di Guglielmo Della Porta e manierismi, monete, oggetti in avorio come un vassoio e una brocca di Johann Michael Maucher, medaglie rinascimentali di Pisanello, Matteo de ‘Pasti e Francesco da Sangallo, smalti, di cui uno raffigurante Diana cacciatrice Diana di Jacob Miller the Elder, maioliche di Urbino, tra cui un set di maioliche blu appartenente ad Alessandro Farnese, cristalli di rocca, microincisioni in legno e manufatti esotici e reperti come una pietra dura Ranocchia dal Messico e la statuetta di Huitzilopochtli, dio della guerra azteca .

La stanza 15 contiene solo i dipinti del pittore fiammingo Jacob de Backer; queste sono sette opere che raffigurano i sette peccati capitali, una tendenza molto popolare nella cultura fiamminga del XVI secolo: il vizio è raffigurato al centro del dipinto e dietro di esso scene del Nuovo e dell’Antico Testamento. Le opere furono acquistate da Cosimo Masi nelle Fiandre e confiscate nel 1611 da Ranuccio Farnese: quando arrivarono a Napoli non godettero molta fortuna, tanto che furono conservate nei depositi del Palazzo degli Studi prima di essere vendute alla Camera dei deputati a Roma, per abbellire le pareti; tornarono a Napoli nel 1952, beneficiando di una nuova rivalutazione.

La sala 16 è dedicata alla pittura lombarda del XV e XVI secolo, con una collezione non molto significativa, che ha visto il suo apogeo in centri come Cremona, Brescia, Bergamo e soprattutto Milano: tra gli artisti esposti Bernardino Luini e Cesare da Sesto, ispirato da Leonardo da Vinci e Giulio Cesare Procaccini, che con la sua Madonna con Bambino e Angelo mostra i segni della rigida moralità della Controriforma nella pittura sacra, dove, tuttavia, si trovano i primi segni del barocco; alcuni busti di imperatori romani completano la sala, originariamente esposta a Palazzo Farnese a Roma.

La stanza 17 contiene dipinti delle aree fiamminga e tedesca; in particolare sono esposti i due capolavori di Pieter Bruegel il Vecchio, la parabola dei ciechi e del misantropo, che rappresentano due momenti della fase matura dell’artista: acquistati da Cosimo Masi, segretario del principe Alessandro, e confiscati da una famiglia Farnese presso un suo erede, Giovanni Battista Masi, nel 1611. Vi sono anche trittici, come la Crocifissione e l’Adorazione dei Magi di Joos van Cleve, con porte mobili e ricchi di elementi decorativi, tanto che sembrano rifare propone elementi tipici dell’arte italiana e un gruppo di piccoli dipinti di Civetta raffiguranti paesaggi, già citati negli inventari del Marchese Girolamo Sanvitale: altri artisti in mostra sono Jacob Cornelisz van Oostsanen e Bernard van Orley, quest’ultimo con il Ritratto di Carlo V; la maggior parte di questi dipinti fa parte della collezione Farnese grazie alle acquisizioni del cardinale Odoardo a partire dal 1641.

La sala 18 è quasi interamente dedicata a Joachim Beuckelaer: non si sa quando o chi acquistò le opere, ma queste appartenevano certamente alla collezione Farnese di Parma già nel 1587, come menzionato in alcuni inventari di famiglia, insieme a una quarantina di dipinti che appartenevano al duca Ottavio e Ranuccio, in quel periodo in cui nature morte e scene popolari come quelle dei mercati e delle campagne, proposte dalle tele, ottennero un grande successo in Italia. L’unica opera che non appartiene a Beuckelaer è Gesù tra i bambini, di Maarten de Vos.

Nella sala 19 sono esposte le opere degli esponenti della famiglia Carracci, ovvero i fratelli Agostino e Annibale, i principali esecutori della famiglia Farnese, e il cugino Ludovico: le loro tele sono condizionate dalle privazioni imposte dal Concilio di Trento, anche se riescono a trovare una nuova soluzione artistica in base alla quale l’artista deve avere una visione della realtà per far uscire la pittura italiana da quello stato di crisi.

La sala 20 continua a raccogliere opere della scuola emiliana con Annibale Carracci, questa volta presente con un dipinto maturo ispirato ai miti greci come Rinaldo e Amida e il fiume Allegoria, Giovanni Lanfranco e Sisto Badalocchio.

La sala 21 è interamente dedicata ai dipinti di Bartolomeo Schedoni, un artista che collegava la sua esistenza professionale alla famiglia Farnese, lavorando per la famiglia tra Modena e Parma e assicurando loro la maggior parte delle sue opere, anche quelle che, dopo la sua morte, furono depositati nel negozio: uno studioso del Correggio, Federico Barocci e dei Carracci, fece luce la novità predominante dei suoi dipinti, che combina figure eccentriche.

La sala 22 è ancora dedicata alla pittura emiliana: l’opera principale è quella di Atalanta e Ippomene di Guido Reni, con cui si avvicinano Giovanni Lanfranco e Michele Desubleo; tutti i dipinti presentano questi temi e lo stile della nascente corrente barocca.

La sala 24 contiene dipinti fiamminghi del 17 ° secolo con artisti come Antoon van Dyck e il suo Cristo crocifisso, acquistati da Diego Sartorio per 1.500 ducati, Pieter Paul Rubens e Daniel Seghers: sono opere appartenenti alla collezione Farnese o ai successivi acquisti e che offrono un confronto tra i dipinti italiani e olandesi del periodo.

Continua anche nella sala 25 la mostra di pittori fiamminghi, in particolare di opere che trattano di vedute, un genere che, dalla fine del XVI secolo, ebbe un enorme successo grazie anche alla richiesta di ricchi borghesi che adorano adornare le pareti di i loro edifici con tele raffiguranti scene della vita quotidiana: tra gli artisti esposti nell’ambiente Sebastian Vrancx, Gillis Mostaert e Pieter Brueghel il Giovane con paesaggio invernale.

Gli artisti fiamminghi si trovano ancora nella sala 26: questa volta, tuttavia, il tema si sposta su nature morte, che si diffonderanno enormemente nel corso del diciassettesimo secolo; si tratta di rappresentazioni intime di scene familiari con ritratti di frutta, selvaggina, fiori, piatti e cristalli, come dimostrato dalla tela di David de Coninck Game and Animals o da David Teniers il giovane con interno di cucina.

La sala 27 continua con gli artisti emiliani, in particolare quelli influenzati dall’esperienza dell’Accademia degli Incamminati: sono in mostra opere di Ludovico Carracci, come la caduta di Simon Mago, che apre la visione a una nuova concezione dello spazio e con segni di un primo barocco, Domenichino con l’angelo custode, che rimane invece ancorato al classicismo, e Alessandro Tiarini che continua a seguire lo stile della scuola caravaggesca.

Lo stile tardo manierista della fine del XVI secolo si esprime nelle opere conservate nella sala 28 con artisti toscani e liguri; importante in questi dipinti è l’uso del colore, che dà quasi una sfumatura soprannaturale ma che dona ancora una luminosità soffusa e soffusa: la Pietà di Cigoli, Venere e Adone di Luca Cambiaso e San Sebastiano portarono alla tomba di Domenico Cresti a testimoniarlo.

La Sala 29 ospita opere di origini diverse e appartenenti a diverse classi culturali, a dimostrazione del fatto che la famiglia Farnese, a causa di divergenze interne, non era più in grado di commissionare agli artisti dipinti per la loro collezione; i più rappresentativi della sala sono gli artisti di Genova, città che visse tra il XVI e il XVII secolo una buona stagione artistica: olii caratteristici su rame di Carlo Saraceni su temi mitologici e opere di Orazio de Ferrari e Giovanni Battista Gaulli, mentre Paesaggio con la ninfa Egeria di Claude Lorrain proviene dalla collezione Bourbon.

La sala 30 conclude la collezione Farnese: ospita le opere di Sebastiano Ricci, un veneziano del XVII secolo, uno dei pittori della casa Farnese di Parma che godeva della protezione di Ranuccio; nella sala anche la Sacra Famiglia e Santi di Giuseppe Maria Crespi.

Collezione Borgia
La sala 7 ospita la collezione Borgia: è una collezione acquistata nel 1817 da Ferdinando I, di proprietà del cardinale Borgia che, nel corso del XVIII secolo, raccolse, grazie alle varie missioni cattoliche nel mondo, numerose testimonianze artistiche tra le più popoli disparati, come quelli orientali ed esotici. Le opere sono state conservate dal cardinale sia in un palazzo romano che nella sua casa di Velletri, dove ha dato vita a un vero museo, aperto agli studiosi e diviso in dieci sezioni: antichità egizie, etrusche e volsche, greco – romana, romana, Arte dell’Estremo Oriente, antichità arabe, manufatti etnoantropologici del Nord Europa, dell’America Centrale e del Museo Sacro, composti da opere legate all’iconografia e alla sacra liturgia. Alla morte del cardinale, le opere furono ereditate dal nipote Camillo Borgia e successivamente acquistate dal sovrano borbonico: la collezione fu poi esposta al Museo reale borbonico e successivamente, nel 1957, trasferita nel palazzo reale di Capodimonte dove, dopo molto tempo opere di inventario, sono esposte tre sezioni, vale a dire il Museo Sacro, l’Arab Tuff e l’Indice.

La collezione comprende dipinti come Sant’Eufemia di Andrea Mantegna, la Madonna col Bambino e Santi Pietro, Paolo e Antonio Abate di Taddeo Gaddi, la Madonna col Bambino di Bartolomeo Caporali, la Madonna di Jacopo del Casentino, San Sebastiano di Taddeo di Bartolo, le virtù e le scene della vita di Jason di Giovanni Bernardi; e ancora ci sono oggetti di manifattura siriana, spagnola, birmana e francese composti di vari materiali come il Polittico della Passione, in alabastro, della scuola inglese, vetro, orafi, smalti come Pace di Nicolò Lionello e avori, come la Crocifissione bizantina del X secolo.

Appartamento Reale
La stanza 31 fino alla stanza 60, alla quale vengono aggiunte le stanze 23 ma le stanze 35 e 36, quelle da 38 a 41 e quelle da 46 a 50 ospitano l’Appartamento Reale.

Modificato in parte nel loro aspetto originale sia nell’architettura che nell’arredamento, costituiscono l’appartamento che ospitava Borbone, re di Francia e la famiglia dei Duchi d’Aosta: la sala principale è la stanza 23 che ospitava la sala da pranzo. letto di Francesco I e Maria Isabella di Borbone-Spagna, realizzato tra il 1829 e il 1830 su progetto di Antonio Niccolini con particolari decorazioni murali che ricordano gli affreschi rinvenuti negli scavi di Pompei ed Ercolano e tappezzerie della manifattura di San Leucio. La sala 31 si chiama Salone della Culla perché ospitava una culla donata dai reali napoletani ai reali per la nascita di Vittorio Emanuele III di Savoia: la particolarità dell’ambiente è il pavimento in marmo di una villa romana a Capri, Villa Jovis. Room 42 è il Salone delle Feste, originariamente progettato per ospitare le opere della collezione Farnese e poi trasformato per adempiere alle funzioni rappresentative della famiglia reale: è una delle poche sale a conservare il suo aspetto originale, con decorazioni di Salvatore Giusti, in stile neoclassico, pavimenti in marmo e lampadari di cristallo. La sala 52 ospita il Salotto in porcellana: è un salotto composto da oltre tremila pezzi di porcellana costruiti per la regina Maria Amalia tra il 1757 e il 1759 da Giovanni Battisti Natali, originariamente collocati nel palazzo di Portici e solo nel 1866 trasferiti a Capodimonte in una stanza opportunamente adattata. La Sala 56, creata per volere di Annibale Sacco e dal chiaro gusto neoclassico, prende il nome dal Salone Camuccini ed è così chiamata per la presenza di opere pittoriche create proprio da Vincenzo Camuccini, affiancato da altri artisti come Pietro Benvenuti e Francesco Hayez: ospita anche un buon numero di statue. Tutte le sale conservano un gran numero di dipinti degli autori più disparati come Alexandre-Hyacinthe Dunouy, Claude Joseph Vernet, Antonio Joli, Francisco Goya, Angelika Kauffmann e Giacinto Gigante, oltre a numerosi oggetti d’arredo come porcellana, vasi, presepi, strumenti musicali, divani, lampadari e caminetti, questi ultimi previsti solo nelle sale rappresentative.

Galleria di porcellane
Nelle sale 35 e 36 costituiscono la cosiddetta Galleria della porcellana: composta da oltre tremila pezzi, di cui, per motivi di spazio, è esposta solo una piccola parte più rappresentativa dei servizi di porcellana di manifattura italiana ed europea, in particolare porcellana di Capodimonte, il Meissein di Sevres, con alcuni pezzi decorati con Napoli, a Vienna e Berlino. Tutte le opere, tranne l’Immacolata Concezione acquisite nel 1972, provengono dalla collezione Bourbon; fino al 1860 questi pezzi venivano normalmente utilizzati, mentre in seguito, a partire dal 1873, per volere di Vittorio Emanuele III, iniziò un lavoro di costruzione museale sulle porcellane, a cura di Annibale Sacco.

La sala 35 espone le creazioni della Real Fabbrica di Napoli, mentre la sala 36 espone i più importanti manufatti europei: tra le opere principali c’è il Servizio dell’Oca sui cui piatti sono dipinti scorci di Napoli e dei suoi dintorni, mentre quelli senza decorazioni sono in deposito, un altare composto da sei candelabri e un crocifisso, opera di Giuseppe Gricci per la cappella reale di Portici, un servizio da scrivania, un servizio di cioccolato con una ghirlanda di fiori e poi numerosi vasi, statue, colonne montanti e piatti.

Collezione De Ciccio
La collezione De Ciccio è ospitata nelle sale 38, 39, 40 e 41: è una collezione, ordinata secondo il layout originale, di circa milletrecento pezzi, per lo più arti applicate, tra cui dipinti e sculture ma anche bronzi, avori, maioliche, porcellane e talvolta reperti archeologici, donati al Museo Nazionale di Capodimonte nel 1958 dal collezionista Mario De Ciccio, che li aveva raccolti nel corso di circa cinquant’anni di acquisizioni tra Napoli, Palermo e vari mercati internazionali.

Tra le varie opere, le ceramiche sono in stile ispano-moresco, maioliche rinascimentali, tra cui una piastrella a stella della manifattura persiana a Rey, le porcellane di Meissen, Vienna e Ginori; tra le statue quelle di una Madonna col Bambino della scuola di Lorenzo Ghiberti, San Matteo, in bronzo, attribuite ad Alessandro Vittoria, mentre tra i dipinti un pannello di Marco del Buono e Apollonio di Giovanni, già decorato con una cassa. E ancora vasi, piatti, tazze, tra cui alcuni cinesi del periodo K’ang Hsi e Chien Lung, bronzi rinascimentali di Andrea Briosco, Alessandro Vittoria e Tiziano Aspetti, vetro di Murano e reperti archeologici come vasi attici del VI e V secolo a.C. , rhyta del IV secolo a.C. e sculture italiche ed etrusche.

Armeria fernesiana e Borbone
Nelle sale 46, 47, 48, 49 e 50 sono esposte le collezioni dell’Armeria Farnesiana e Borbone: si tratta di circa quattromila pezzi il cui primo allestimento risale al 1958 e di cui mantengono ancora l’aspetto originario. La collezione Farnesiana comprende principalmente armi milanesi e bresciane, ma anche esempi spagnoli e tedeschi di armi da fuoco, taglio e difesa, armature da torneo e da guerra, pistole, spade, pugnali e arquebus, tra cui l’armatura di Alessandro Farnese detta del Giglio, di Pompeo della Cesa e un fucile a ruote italiano appartenuto a Ranuccio Farnese. La serie borbonica comprende armi da fuoco, alcune di Madrid con Carlo di Borbone, altre di manifattura napoletana provenienti dalla Royal Arms Factory di Torre Annunziata per soddisfare le esigenze dell’esercito borbonico, e armi da caccia realizzate a puro scopo ricreativo come un fucile a pietra focaia appartenente a Maria Amalia. A questi si aggiungono le armi donate a Carlo e Ferdinando come carabine e fucili di fabbricazione sassone, viennese e spagnola, armi bianche prodotte sia dalla fabbrica reale che dalla fabbrica d’acciaio, quest’ultima situata nel parco di Capodimonte dal 1782: Carlo la Bruna, Biagio Ignesti, Michele Battista, Natale del Moro ed Emanuel Estevan furono i creatori delle opere. Ci sono anche armi e modelli di guerra di fabbricazione orientale usati per la scuola di artiglieria, armature italiane a giostra e guerre seicentesche, spade del XVI e XVIII secolo, una delle quali apparteneva probabilmente a Ettore Fieramosca, armi da fuoco italiane e secoli XVIII e XIX europei . Particolare un modello in gesso raffigurante Carlo V di Vincenzo Gemito.

Secondo piano
Il secondo piano è suddiviso nelle aree della Galleria napoletana e della collezione d’arte contemporanea: in particolare dalle sale 61 a 97, escluso 62, è ospitata la galleria d’arte napoletana dal XIII al XVIII secolo, la sala 62 è dedicata a gli arazzi dell ‘Avalos e le sale dal 98 al 101 della collezione d’Avalos, mentre l’area dell’arte contemporanea occupa due sale più altre che si trovano al terzo piano.

Galleria napoletana
La Galleria Napoletana è composta da quarantaquattro stanze e dipinti di case, ma anche sculture e arazzi, realizzati da artisti o personaggi napoletani che non sono locali ma che hanno lavorato o inviato opere in città e influenzato la scuola locale in un periodo tra il XIII e XVIII secolo. La collezione iniziò all’inizio del XIX secolo, sia in seguito alle soppressioni dei monasteri durante il periodo di dominazione napoleonica, sia dagli emissari borbonici in cerca di opere da includere nella collezione reale, per continuare di nuovo nel 2008 grazie a numerosi stati acquisizioni, donazioni o, come accaduto tra il 1970 e il 1999, a scopo precauzionale, in particolare per quelle opere custodite in chiese chiuse o comunque poco supervisionate. Gli argomenti trattati sono quindi soggetti religiosi, che hanno impreziosito le chiese, ma anche battaglie, scene mitologiche e nature morte, temi più secolari, spesso commissionati da privati ​​per le loro case borghesi. La disposizione museale delle sale tende a riprodurre di conseguenza lo stretto rapporto tra storia e storia dell’arte nell’area napoletana e nel sud Italia in generale, con opere commissionate sia dalla casa regnante che dagli aristocratici che hanno reso la capitale napoletana una cultura internazionale centro.

Con la sala 61 inizia la Galleria Napoletana: vengono quindi ospitate opere di diversi tipi, a dimostrazione della varietà e complessità delle creazioni artistiche di Napoli, ma anche quelle che sono state restaurate; la mostra comprende il Polittico con storie della Passione, in alabastro e manufatti in legno di Nottingham, un arazzo raffigurante la Deposizione dalla Croce e statue lignee di Giovanni da Nola.

Sala 63 e le seguenti due opere ospiti della cultura campana che vanno dalla fine del XII secolo all’inizio del XV: degno di nota sono un San Domenico, un polittico di una chiesa napoletana, un oggetto in marmo appartenente a un candelabro, e una tempera su tavola con soggetto Santa Maria de Flumine, proveniente da una chiesa vicino ad Amalfi, che mostra le influenze bizantine e arabe presenti nella penisola sorrentina.

La sala 64 mostra le influenze che l’arrivo della dinastia angioina e quella del loro mondo cortese hanno sull’arte napoletana; infatti, i nuovi sovrani portano importanti opere di riqualificazione in città, con la costruzione di palazzi e chiese che devono quindi essere successivamente decorate. E gli artisti chiamati a quest’opera si ispirano a Giotto, personalmente presente in città, e alla sua bottega: è il caso degli esposti in questa stanza come Roberto d’Oderisio, con la sua Crocifissione e la Madonna dell’umiltà e Andrea senese Vanni con San Giacomo Apostolo.

La sala 65 mostra le influenze del ramo ungherese della dinastia Anjou, in particolare di Carlo III di Napoli e Ladislao I di Napoli, quest’ultimo commissionando opere di un pittore anonimo noto come il Maestro delle storie di San Ladislao: i due sovrani, costantemente impegnato in campagne militari, favorisce la presenza a Napoli di numerosi artisti, principalmente toscani, come Niccolò di Tommaso.

La sala 66 è dedicata esclusivamente al capolavoro di Simone Martini, San Ludovico di Tolosa che incorona suo fratello Roberto d’Angiò: il tavolo, che cade ancora nel periodo angioino di Napoli, fu commissionato da Roberto d’Angiò, per ricordare e celebrare suo fratello Ludovico che rinunciò al trono del regno dopo essersi unito alla corrente francescana.

La sala 67 ospita opere che segnano la fine del regno angioino a Napoli e l’inizio di quella aragonese, con le sue innovazioni pittoriche: artisti fiamminghi, pittori e scultori molto cari ad Alfonso V d’Aragona sono esposti nell’ambiente, ma anche italiani come Colantonio con la consegna del dominio francescano, San Girolamo in studio e il Polittico di San Vincenzo Ferrer, primi esempi di pittura rinascimentale napoletana, a metà strada tra lo stile italiano e internazionale, con influenze fiamminghe-catalane.

La sala 68 espone quegli artisti che lavorarono a Napoli durante il regno di Ferdinando I di Napoli e Alfonso II di Napoli, favorito da quest’ultimo per la costruzione dell’arco trionfale del Maschio Angioino: si tratta di Longobardi come Cristoforo Scacco di Verona e Protasio Crivelli , Veneziani, siciliani, dalmati e spagnoli come Juan de Borgoña, ma anche Francesco Pagano e Pietro Befulco.

La sala 69, con le sue opere, mostra lo stretto rapporto che si instaurò alla fine del XV secolo tra Alfonso II e la Toscana, ma anche il modo in cui gli artisti umbri sono molto apprezzati in città: sono esposte le opere di Pinturicchio e Matteo di Giovanni, fondamentali artisti anche per l’addestramento di pittori locali come Francesco Cicino, assiduo creatore di polittici tra i quali spicca la Madonna col Bambino in trono e Santi.

La sala 70 segna l’inizio della dominazione spagnola a Napoli all’inizio del XVI secolo: le opere ospitate dimostrano un’importante maturazione dell’arte locale, rappresentata qui con artisti come Giovanni Filippo Criscuolo e Andrea Sabatini, che risalgono ancora al periodo umbro-toscano la pittura unita al classicismo tipico di Raffaello, o comunque artisti che si sono formati in altre zone d’Italia, come Cesare da Sesto, presente nella sala con l’Adorazione dei Magi, fungerà da intermediario per le innovazioni della pittura napoletana ; l’influenza spagnola è influenzata anche dal dipinto di Pedro Fernández.

La sala 71 contiene un’importante collezione di sculture in marmo del XVI secolo, una produzione artistica in cui Napoli si distingue in particolare con artisti come Girolamo Santacroce e Giovanni da Nola: si tratta di elementi decorativi di opere precedentemente ospitate nella chiesa di Santa Maria Assunta dei Pignatelli e quattro bassorilievi provenienti dalle chiese di Sant’Agnello Maggiore e Santa Maria delle Grazie Maggiore a Caponapoli.

La sala 72 espone i dipinti di Polidoro da Caravaggio, allievo e aiutante di Raffaello, che si formò a Roma nella prima metà del XVI secolo e che lavorerà brevemente anche a Napoli: tra i reperti, l’Andata al Calvario, il Deposizione, San Pietro e Sant’Andrea, che evidenziano il carattere originale e inquietante dell’artista.

Artisti come Marco Cardisco e Pedro Machuca si trovano nella sala 73: il primo è influenzato dall’influenza manierista di Polidoro e classificato da Andrea da Salerno, ben visibile nella Disputa di Sant’Agostino, mentre il secondo, autore della Morte e Assunta della Vergine, è caratterizzato da un dipinto con figure morbide su composizioni piuttosto articolate che ricordano in qualche modo quello del Rosso Fiorentino.

Il rapporto tra Pedro Álvarez de Toledo e la Toscana crea un intenso scambio culturale tra Napoli e Firenze o Siena, chiaramente visibile nella stanza 74 dove sono esposti artisti come Marco Pino, uno studente di Beccafumi, attivo da tempo in città, Sodoma e principalmente Giorgio Vasari, con la cena a casa del fariseo e la Presentazione al tempio.

L’opera principale nella sala 75 è l’Annunciazione di Tiziano, un raro esempio di pittura veneziana a Napoli e originariamente situata nella cappella Pinelli nella chiesa di San Domenico Maggiore. Caratteristica è anche la piccola stanza chiamata 75 bis con due dipinti devozionali, vale a dire Andata al Calvario di Giovanni Bernardo Lama e Pietà e santi di Silvestro Buono, quest’ultimo chiaramente ispirato ai pittori fiamminghi in voga a Napoli alla fine del XVI secolo.

Nella sala 76 sono presentati grandi tavoli destinati ad essere pale d’altare in una Napoli che visse con Filippo II di Spagna un fervente periodo sia di costruzioni religiose che di decorazioni di chiese esistenti ma che dovevano seguire i dettami della controriforma; tra gli artisti che lavorano alla realizzazione di queste opere ci sono Aert Mytens e Dirk Hendricksz, autori fiamminghi, Francesco Curia con Annunciazione, considerato uno dei capolavori della pittura del XVI secolo meridionale e Girolamo Imparato.

La sala 77, con le sue opere, segna l’apice dell’arte napoletana del XVI secolo, con artisti che offrono rappresentazioni sacre che parlavano chiaramente ai fedeli; sono esposti: Scipione Pulzone, con la sua pittura fredda e purista, Ippolito Borghese e la sua pennellata sfumata nella Pietà, Fabrizio Santafede, più vicino alla cultura popolare, e Luigi Rodriguez; caratteristici sono i dipinti di Cavalier d’Arpino, uno degli ultimi miniaturisti attivi a Napoli, in particolare nella Certosa di San Martino.

Sala 78 è la riserva esclusiva della Flagellazione di Cristo di Caravaggio, un’opera che inaugura la grande stagione del diciassettesimo secolo napoletano: l’artista fu attivo a Napoli tra il 1606 e il 1607 e tra il 1609 e il 1610 contribuendo a trasformare radicalmente la pittura sacra del capitale che fino a quel momento era composta da santi, angeli, corone, in una più semplice, più essenziale e cupa, che si riflette anche nei vicoli della città, una realtà finora ignorata, gettando, soprattutto a partire dalla seconda decade del diciassettesimo secolo, le basi del naturalismo napoletano.

La stanza 79 ospita le opere dei cosiddetti caravaggisti, cioè quegli artisti che nelle loro opere si riferiscono a Caravaggio, come Filippo Vitale, Carlo Sellitto, che è nato come un pittore elegante e stilizzato per poi abbracciare completamente il nuovo stile, e Battistello Caracciolo, il più grande caravaggista napoletano, che riesce ancora a trovare la propria identità con un quadro astratto e vivace sugli sfondi, ben dimostrato nei dipinti in mostra come l’Ecce homo, il Cristo alla colonna, il Compianto sul corpo di Abele, Venere e Adone.

Le sale 81, 83 e 84 sono destinate all’esposizione ciclica di stampe e disegni conservati nel museo di Capodimonte: la scelta delle opere da esporre avviene sia sulla base di criteri conservativi sia per far luce sull’attività di disegno degli artisti che orbita attorno a Napoli; sono inoltre presentate incisioni realizzate tra il XVII e il XIX secolo. L’ambiente è caratterizzato da un armadio di fabbricazione inglese e due oli su rame di Francesco Guarini.

La sala 87 espone opere di artisti che lavorarono a Napoli all’inizio del diciassettesimo secolo, un periodo in cui le chiese della città furono colpite da importanti abbellimenti che attirano artisti non solo dalla zona ma anche dall’estero, dando vita al suo oro epoca della pittura napoletana: l’opera principale della sala è Giuditta e Oloferne di Artemisia Gentileschi.

Le sale 88, 89 e 90 presentano una disposizione dei dipinti che li fa sembrare le cappelle di una chiesa adornata da grandi uomini: gli artisti presenti sono quelli del primo naturalismo napoletano, che seguono la strada aperta da Caravaggio e il suo gioco di luce sullo sfondo scuro, anche se non mancano le influenze della pittura emiliana e veneziana che divenne famosa a Napoli dal 1840; tra gli artisti custoditi Artemisia Gentileschi, Battistello Caracciolo, Simon Vouet, Massimo Stanzione con il Sacrificio di Mosè e il Martirio di Sant’Agata, Pietro Novelli, Cesare Fracanzano e Jusepe de Ribera con la Maddalena in meditazione, Padre Eterno, Trinitas terrestris e San Girolamo e l’angelo del giudizio.

La sala 91 espone uno dei capolavori di Ribera, ovvero l’ubriaco Sileno, tuttavia non mancano i dipinti di Pietro Novelli e Francesco Fracanzano che aprono l’arte napoletana a una cultura europea: anche le opere del cosiddetto Maestro dell’Annunciazione sono caratteristiche. pastori che trattano temi sacri raffigurati in un tipico mondo pastorale, apprezzati anche nel resto d’Europa grazie alle opere di esportazione di commercianti d’arte come Gaspar Roomer e Jan e Ferdinand van den Eynden.

Nella sala 92, oltre agli interni della cucina di Francesco Fracanzano, sono caratteristici i lavori di Matthias Stomer, un pittore olandese attivo a Roma, Napoli e Sicilia, che nonostante segua la scuola di Caravaggio si apre agli esperimenti: nelle sue opere, infatti, come l’Adorazione dei pastori, la cena in Emaus e la morte di Seneca, la luce, naturale o artificiale come quella di una candela, che illumina gli ambienti bui in cui è centrata la scena, svolge un ruolo fondamentale.

La sala 93 ospita la seconda generazione di artisti napoletani formati nel primo decennio del diciassettesimo secolo, protagonisti di un dipinto derivante dagli esperimenti caravaggeschi, con le influenze di quelli emiliani ed europei: Giovan Battista Spinelli, vicino all’arte francese con il suo David con la testa di Golia, Francesco Guarini, con l’uso di ombre naturali ben visibili a Sant’Agata e Santa Cecilia su clavicembalo e angeli, e Andrea Vaccaro, uno dei più grandi esponenti di questo periodo, con i suoi dipinti che mescolano il sacro e il profano, chiaramente evidenziato nel Trionfo di David e nell’Adorazione del vitello d’oro.

Nella sala 94 sono presenti numerose opere di Bernardo Cavallino, un artista che è riuscito a cogliere appieno il gusto del tempo rivolgendosi ai collezionisti che preferivano un dipinto elegante e narrativo, fatto di piccole tele create per adornare i palazzi napoletani, con temi che rimandano a le composizioni poetiche di Torquato Tasso e Giovan Battista Marino e che descrivono la vita semplice e quotidiana; Nella stessa sala è anche esposto Johann Heinrich Schönfeld, un attento studioso del Cavallino.

La sala 95 si concentra su quegli artisti che operano principalmente tra gli anni trenta e quaranta del diciassettesimo secolo, vale a dire i vari Micco Spadaro, Salvator Rosa, Aniello Falcone e Andrea De Lione, che si aprono a un nuovo tipo di pittura fatta di battaglie storiche e mitologiche , quindi adatto anche a rappresentare martiri di santi, in una piccola cornice sacra.

Nella piccola sala sono esposte 96 nature morte non napoletane: sono rappresentazioni di Bartolomeo Bimbi, Carlo Maratta e Christian Berentz, con toni leggermente opachi ma che hanno goduto di particolare fama tra il XVII e il XVIII secolo.

Nella sala 97 continuiamo con nature morte, questa volta comunque da artisti napoletani: è un genere molto popolare a Napoli all’epoca grazie alle influenze sempre più diffuse del barocco che ebbe inizio a metà del XVII secolo; pesci, fiori in vasi di cristallo e argento, frutta e agrumi sono quindi raffigurati e i principali artisti responsabili delle nature morte esposte nella sala sono Luca Forte, Giovan Battista Ruoppolo, Giuseppe Recco, che si ispirano alla pittura naturalistica, con i colori mediterranei, Andrea Belvedere e Paolo Porpora, influenzati dalla vena artistica rococò nascente, realizzati con un dipinto più delicato.

La sala 102 è interamente dedicata a Mattia Preti, un artista che insieme a Luca Giordano rappresenta per circa un decennio uno dei più titolati in attività a Napoli: nella sala ci sono due disegni preparatori per gli affreschi da realizzare sulle porte della città come un ex voto per la fine della pestilenza del 1656, e ancora tele come Il ritorno del figliol prodigo, Convito di Assalonne e San Sebastiano, che mostrano il particolare punto di vista ribassato dell’autore.

La camera 103 è una prerogativa di Luca Giordano nelle cui opere mostra tutte le novità della nascente corrente barocca e che si pone come anticipatore della cultura rococò: e quindi ampi spazi, figure con una linea morbida con pelle rosa e capelli biondi sono chiaramente visibile sulle tele come l’Estasi di San Nicola da Tolentino, le Elemosine di San Tommaso da Villanova, la Madonna del Baldacchino, la Madonna del Rosario e la Sacra Famiglia ha la visione dei simboli della Passione.

La sala 104 espone opere del diciottesimo secolo napoletano con pittori come Francesco Solimena, erede di Luca Giordano, con i suoi personaggi caratteristici raffigurati quasi in una posa teatrale come si possono vedere in Enea e Dido, e anche Paolo De Matteis, anche della scuola di Giordano, Domenico Antonio Vaccaro e Francesco De Mura, autore di un dipinto più elegante del suo maestro Solimena.

La sala 105 è dedicata agli schizzi dei maggiori affreschi settecenteschi: si tratta di testimonianze di opere a volte non completate, come lo schizzo di San Domenico fa rivivere il nipote del cardinale Orsini, che Domenico Antonio Vaccaro crea per la chiesa di San Domenico Maggiore, o perduto nel tempo, come Massacro dei Giustiniani a Scio, di Francesco Solimena; Anche Giacomo del Pò e Francesco De Mura sono esposti nella stanza.

La stanza 106 conclude il viaggio della pittura napoletana dal XIII al XVIII secolo, raccogliendo opere dell’ultima metà del XVIII secolo che segnano l’avvento dei Borboni sul trono del regno di Napoli; i nuovi sovrani, come è possibile notare negli artisti esposti nell’ambiente, abbandonando quelli napoletani, ad eccezione di Giuseppe Bonito, e si aprono agli artisti con un respiro più europeo: è il caso di Gaspare Traversi, autore di un dipinto ironico, Corrado Giaquinto e Pietro Bardellino, con dipinti rococò e soggetti mitologici.

Sala degli arazzi
La sala 62, nota anche come Sala degli Arazzi, ospita gli arazzi della battaglia di Pavia, realizzati tra il 1528 e il 1531, ispirandosi ai cartoni e ai tessuti di Bernard van Orley a Bruxelles, come testimoniano le iniziali del fabbricante di arazzi William Dermoyen: nel 1531 furono donati dagli Stati Generali di Bruxelles all’imperatore Carlo V d’Asburgo e nel 1571 entrarono a far parte della collezione di Francesco Ferdinando d’Avalos, fino al 1862, quando furono donati allo Stato italiano da Alfonso d’Avalos e da lì trasferito al museo di Capodimonte. Le sette opere prendono il titolo di:

Avanzamento dell’esercito imperiale e attacco della Gendarmeria francese guidata da Francesco I;
Sconfitta della cavalleria francese; la fanteria imperiale prende il sopravvento sull’artiglieria nemica;
Cattura del re francese Francesco I;
Invasione del campo francese e fuga delle donne e dei civili dopo Francesco I;
Invasione del campo francese: gli svizzeri rifiutano di avanzare nonostante gli interventi dei loro leader;
Fuga dell’esercito francese e ritirata del duca di Alençon oltre il Ticino;
Assedio degli assediati e via degli svizzeri che affogano in Ticino in gran numero.

Collezione D’Avalos
Le sale 98, 99, 100 e 101 ospitano la collezione d’Avalos, una collezione privata iniziata nel XVII secolo dal principe di Montesarchio Andrea d’Avalos che raccolse e commissionò uno dei numeri più importanti di opere degli artisti napoletani del XVII secolo secolo, e donato prima allo stato italiano e successivamente al museo di Capodimonte nel 1862: parte della collezione è quindi distribuita nelle quattro sale del museo, secondo il layout originale. La maggior parte delle opere affronta nature morte ma anche temi storici, mitologici e letterari: artisti come Pacecco De Rosa, Luca Giordano, con un folto gruppo di tele, Andrea Vaccaro, Giuseppe Recco e Jusepe de Ribera con uno dei suoi capolavori, simbolo di maturità artistica, vale a dire Apollo e Marsia, su cui lo stesso Giordano basa la sua formazione.

Arte contemporanea
La collezione di arte contemporanea è stata inaugurata nel 1996, tuttavia mostre di questo genere erano state precedentemente ospitate nel museo: nel 1978 era stata presentata la mostra di Alberto Burri, mentre nel 1985 fu la volta di Andy Warhol, allestita in quella che il tempo fu chiamato Salone Camuccini, in seguito divenne la sala 2, e scelto per ospitare eventi di arte contemporanea, un ruolo che ha giocato dal 1986 al 1991 con le mostre di Gino De Dominicis nel 1986, Mario Merz nel 1987, Carlo Alfano e Sol LeWitt nel 1988, Michelangelo Pistoletto, Luciano Fabro e Janis Kounellis nel 1989, Eliseo Mattiacci nel 1991, anno in cui il ciclo delle mostre si concluse con quello di Sigmar Polke, per consentire il restauro del museo; alla sua riapertura fu deciso per una mostra permanente di opere contemporanee.

La galleria inizia con tre opere realizzate in situ, ospitate in tre sale: la prima, Untitled, di Jannis Kounellis, è creata con barattoli, ferri da stiro, borse e carbone, la seconda prende il titolo di Indizi di Daniel Buren, ovvero installazioni di carta adesiva colorata su cartongesso e pavimenti in marmo, il terzo è intitolato Grande Cretto Nero, un pannello di Alberto Burri in maiolica e smalto. Altre opere contemporanee sono esposte nella sala 82 e realizzate con i materiali più disparati, come olio su tela, bronzo, ferro, vetro, legno dipinto e tempera, di artisti come Guido Tatafiore, Renato Barisani, Domenico Spinosa, Augusto Perez, Gianni Pisani, Raffaele Lippi, Lucio Del Pezzo, Carmine Di Ruggiero e Mario Persico.

Terzo piano
Il terzo piano ospita la continuazione della collezione di arte contemporanea, la galleria del XIX secolo e la sezione fotografica.

La sezione di arte contemporanea continua dal secondo piano: l’installazione creata da Mario Merz, Shock Wave, realizzata con ferro, neon, giornali, pietre e vetro, quella di Joseph Kosuth, è ospitata nella stanza nella soffitta del palazzo di Capodimonte., Un’osservazione grammaticale, una scritta sul muro illuminata da neon e specchi e quella di Carlo Alfano, Camera, con compassi in alluminio, grafite e neon. Tra le altre opere, la più prestigiosa è il Vesuvio di Andy Warhol, a cui si aggiungono le opere di Enzo Cucchi, Mimmo Paladino, Hermann Nitsch, Sigmar Polke, Gino De Dominicis, Joseph Kosuth, Michelangelo Pistoletto, Luigi Mainolfi ed Ettore Spalletti.

La galleria del diciannovesimo secolo espone opere di artisti acquistati o donati al museo nel periodo immediatamente successivo all’unità d’Italia: sono entrambi autori napoletani e altri provenienti da diverse aree d’Italia, in modo da formare un figurativo nazionale in una sola lingua in grado di cogliere gli aspetti storici, sociali, naturalistici e culturali del periodo. La collezione si apre con le due personalità più importanti del momento, vale a dire Domenico Morelli e Filippo Palizzi, i più dedicati alle rappresentazioni naturalistiche. Degno di nota è la tendenza degli artisti appartenenti alla Scuola di Resìna, come Marco De Gregorio, Federico Rossano, Michele Cammarano e Giuseppe De Nittis. Caratteristico anche Gioacchino Toma concentrato sulla comprensione degli stati d’animo, raffigurato con calma e tranquillità, Vincenzo Migliaro, Francesco Paolo Michetti, si è rivolto a scene di vita popolare, Antonio Mancini, le cui opere hanno come protagonisti i figli delle persone, e anche Giovanni Boldini, Francesco Saverio Altamura, Giacomo Balla e Giuseppe Pellizza da Volpedo.

La sezione fotografica è stata inaugurata nel 1996 ed è composta da cinquantadue fotografie di Mimmo Jodice che ritraggono i protagonisti della fase di cultura napoletana dal 1968 al 1988, con soggetti come Emilio Notte, Nino Longobardi, Andy Warhol e Joseph Beuys.