Ca ‘Granda, Università degli Studi di Milano, Italia

La Ca ‘Granda, precedentemente sede dell’Ospedale Maggiore di Milano, è un edificio situato tra via Francesco Sforza, via Laghetto e via Festa del Perdono, vicino alla basilica di San Nazaro a Brolo. Opera dell’architetto fiorentino Filarete, fu uno dei primi edifici rinascimentali a Milano e ebbe un grande seguito in tutto il nord Italia.

Ca ‘Granda è un grande ospedale d’avanguardia nella cura e nella ricerca biomediche, con una storia millenaria, strettamente legata alla cultura e alla società milanese.

Ca ‘Granda è una straordinaria varietà e ricchezza del patrimonio culturale: l’archivio storico, le collezioni d’arte, le raccolte bibliografiche e gli strumenti medici che aprono la prospettiva sugli abitanti di Milano e Lombary attraverso i secoli.

Storia
Il quindicesimo progetto Filaret
La costruzione dell’edificio iniziò nella seconda metà del XV secolo, per impulso del duca di Milano Francesco Sforza, al fine di fornire alla città un unico grande ospedale per il ricovero e l’assistenza dei malati, che erano precedentemente ospitati in vari ospizi sparsi per la città. La decisione della sua costruzione ebbe luogo all’indomani della conquista del Ducato di Milano da parte di Francesco Sforza, con l’obiettivo di conquistare il favore dei nuovi soggetti con un’opera monumentale di pubblica utilità. La prima pietra fu posta il 12 aprile 1456, in seguito al decreto con il quale il Duca donò alla città la grande terra su cui sorgeva l’ospedale.

Il progetto iniziale fu ideato da Antonio Averulino chiamato Filarete, un architetto toscano convocato a Milano dal duca su raccomandazione di Cosimo de ‘Medici. La scelta dell’architetto toscano, incaricato anche della ricostruzione del castello Sforzesco, testimonia il desiderio di Francesco di dotare la città di un edificio costruito secondo le più avanzate tecniche costruttive, per cui all’epoca Firenze era considerata la più avant- città garde. Anche da Firenze, infatti, il progetto dell’ospedale di Santa Maria Nuova fu inviato come modello. Il progetto di Filarete prevedeva un ampio quadrilatero con cortili interni; è ampiamente descritto nel suo trattato di architettura, composto dal 1460 al 1464.

Tuttavia, la sua costruzione fu solo parziale poiché nel 1465 lasciò Milano, e l’esecuzione fu eseguita da Guiniforte Solari e a partire dal 1495 dal suo allievo e genero Giovanni Antonio Amadeo. Questi realizzarono il progetto Filaretian con considerevoli modifiche per adattarlo al gusto tardo gotico tardo gotico, come la sostituzione delle finestre rotonde a lancetta singola con le finestre a lancetta doppia appuntite nella facciata della facciata principale. La costruzione iniziò dall’ala destra verso la Chiesa di San Nazaro, che conserva ancora l’originale facciata in terracotta prodotta dalla fornace Curti. Andò avanti abbastanza rapidamente e già nel 1472 l’ospedale iniziò a funzionare. Dopo la morte di Solari nel 1481, i lavori continuarono sotto l’Amadeo fino alla caduta della dinastia Sforza nel 1499. Fu responsabile della decisione di adottare la pietra di Angera come materiale da costruzione per sostituire la terracotta, in quello che sarebbe poi diventato il cortile dei Richini . Dopo la caduta della dinastia Sforza, i lavori si fermarono completamente a causa della mancanza di fondi.

La fabbrica seicentesca
Il corpo centrale dell’edificio prende il nome dal commerciante Pietro Carcano che, alla sua morte nel 1624, lasciò parte dell’eredità (una quantità enorme) all’ospedale per i successivi sedici anni; con ciò fu possibile continuare l’allargamento sotto la direzione dell’ingegnere Giovanni Battista Pessina assistito dagli architetti Francesco Maria Richini, Fabio Mangone e il pittore Giovanni Battista Crespi, detto il “Cerano”. Durante la ripresa del progetto iniziale, le opere sono state modificate dando come risultato finale l’attuale sovrapposizione tra stile gotico, rinascimentale e barocco.

L’erezione del cortile centrale quadrato, chiamato “del Richini”, la chiesa dell’Annunciazione sul retro del cortile stesso, e il portale di accesso principale sono dovuti a questa fase di costruzione. Per volontà del capitolo dell’ospedale, sia la decorazione del Fronte di Via Festa del Perdono che quella del cortile principale riprendono le decorazioni rinascimentali realizzate più di un secolo prima da Amadeo e Solari.

Nel 1639 la pala d’altare del Guercino con l’Annunciazione alla quale è dedicato il posto è posta sull’altare della chiesa. Per tutto il secolo successivo è proseguita la costruzione delle crociere dell’ala nord, verso l’antico lago di Santo Stefano, un tempo utilizzato per lo scarico del marmo ad uso della fabbrica del Duomo, per poi diventare proprietà dell’ospedale stesso, fino al suo sepoltura nel 1857.

Il completamento del diciannovesimo secolo
Infine, sulla sinistra c’è l’ala più recente, costruita alla fine del XVIII secolo grazie al lascito testamentario del notaio Giuseppe Macchio. Sotto la direzione di Pietro Castelli i lavori furono completati nel 1805. La costruzione così completata continuò a svolgere la sua funzione di grande ospedale della città di Milano fino al 1939, quando i pazienti furono trasferiti nel nuovo edificio costruito a Niguarda.

Le devastazioni della guerra e lo spostamento del bersaglio
Durante la seconda guerra mondiale, tra il 15 e il 16 agosto 1943, la struttura fu gravemente danneggiata dai bombardamenti, che distrussero intere ali del complesso. Il danno fu riparato alla fine della guerra recuperando il materiale originale il più possibile. La sua ricostruzione è considerata un capolavoro di restauro. L’università è ufficialmente qui dal 1958.

Descrizione
L’edificio che nacque come Ospedale Maggiore (Ca ‘Granda), fu una delle opere più significative di Filarete a Milano, nonché un esempio paradigmatico del gusto rinascimentale lombardo prima dell’arrivo del Bramante (1479). Lo stile è ibrido, caratterizzato da linee chiare, ma ammorbidito da una certa ricchezza decorativa, senza un’applicazione estremamente rigorosa della “grammatica degli ordini” del Brunelleschi.

L’Ospedale Maggiore, commissionato secondo la volontà del nuovo principe Francesco Sforza di promuovere la sua immagine, mostra chiaramente le disuguaglianze tra il rigore del progetto di base, istituito per una divisione funzionale degli spazi e un piano regolare, e la mancanza di integrazione con il tessuto circostante circostante dell’edificio, a causa del sovradimensionamento dell’edificio. Il piano dell’ospedale, sebbene completato per quattro secoli, rispetta sostanzialmente ciò che fu progettato da Filarete a metà del XV secolo. È quadrangolare; l’ingresso principale conduce in un vasto cortile centrale, chiamato Corte del Richini, che comunica con due cortili identici a destra e a sinistra, a sua volta divisi da due bracci ortogonali interni che li suddividono ulteriormente in quattro vasti cortili. L’ala destra, situata a sud, fu costruita nel XV secolo, il cortile centrale fu eretto da Richini nel diciassettesimo secolo, mentre l’ala sinistra, a nord, costruita tra il seicento e il settecento, fu ricostruita dopo la guerra con sostanziali forme contemporanee .

Nelle alture, la ritmica purezza della successione di archi a tutto sesto dei cortili, derivata dalla lezione del Brunelleschi, è controbilanciata da un’esuberanza delle decorazioni in terracotta (in gran parte dovute ai continuatori longobardi).

La facciata principale
Il monumentale portale centrale divide la facciata principale in due parti uguali, lunghe quasi trecento metri, che si affaccia su Via Festa del Perdono. La parte più antica, sollevata nel XV secolo, è l’ala destra, la cui costruzione fu iniziata da Filarete a cui dobbiamo il portico con archi a tutto sesto appoggiati su colonne di pietra, rialzati sulla base alta. Invece, le fantasiose decorazioni in terracotta al piano superiore sono dovute ai fratelli Guiniforte e Francesco Solari. Includono l’elaborato cornicione ad arco e le bifore ad arco, alle quali nel diciassettesimo secolo furono aggiunte le caratteristiche pietre rotonde con busti sporgenti.

La parte centrale della facciata fu costruita nel XVII secolo, costituita dal portale barocco e dalle due ali simmetriche che si dipartono da essa, costituite al piano terra da un portico le cui arcate, murate, ospitano bifore ogivali. Sebbene costruita in epoca barocca, la facciata ripropone gli stili decorativi quattrocenteschi, per volontà espressa del Capitolo dell’ospedale, che affidò il progetto a Richini e Mangone. I busti espressionisti in pietra e il portale a due ordini incoronato da un timpano sono tipicamente barocchi. Le statue che lo adornano rappresentano, al piano inferiore, i due più celebri santi milanesi, San Carlo e Sant’Ambrogio, e al piano superiore l’Annunciata, a cui l’ospedale era originariamente dedicato, realizzato nel 1631 da Giovan Pietro Lasagna, scultore della fabbrica del Duomo di Veneranda.

L’ala neoclassica di Macchio segue, a sinistra, in intonaco rosso scuro interrotto da semplici lesene, che racchiude l’ala settecentesca ricostruita in forme contemporanee dopo il danno bellico.

I cortili
L’ingresso principale conduce direttamente nel vasto cortile centrale, o “del Richini”, costruito da quest’ultimo in forme barocche. In deroga al progetto originale Filaretiano, che prevedeva un cortile rettangolare occupato al centro dalla chiesa dell’Annunciazione, fu invece eretto con un piano quadrato di dimensioni quasi doppio rispetto a quelli inizialmente previsti. Richini, nella costruzione del cortile, demolì il portico già costruito da Amadeo più di un secolo prima sul lato sud, ma riutilizzò i suoi elementi decorativi. Di questi è possibile vedere, al centro di questo lato, i due medaglioni con l’Annunciazione, danneggiati dalla guerra. I registri della fabbrica dell’ospedale menzionano i numerosi scalpellini, molti dei quali provenienti dalla fabbrica del Duomo, utilizzati negli anni ’20 nella vasta realizzazione di decorazioni, capitelli, sotto-archi, piante e motivi grotteschi del fregio e soprattutto dei busti emergendo dai tondi con santi e personaggi dell’antico testamento, molti dei quali furono ricomposti dopo la distruzione della guerra negli anni ’50.

La corte, gravemente danneggiata dai bombardamenti, è stata interamente ricostruita ricomporre gli ottanta archi che lo compongono con i pezzi originali. Sulla destra del cortile principale si trova l’ala rinascimentale, composta da quattro cortili di dimensioni identiche, ma con decorazioni diverse. Appaiono come chiostri a pianta quadrata, i cui lati sono costituiti da due ordini di logge sovrapposte, sostenute da sottili colonne di pietra. I cortili posteriori, chiamati “della Ghiacciaia” e “della Legnaia”, sventrati dalle bombe del 1943, furono ricostruiti solo parzialmente. I due chiostri occidentali, chiamati “della Farmacia” e “dei Bagni”, conservano le loro forme originali,

Grazie ad alcune sponsorizzazioni, è in corso il restauro della facciata principale e del portale monumentale su via Francesco Sforza, che dovrebbe concludersi nel periodo 2009-2012, e la realizzazione di un “piano di conservazione pianificato” per il cortile d’onore; Inoltre, tra il 2009 e i primi mesi del 2010 ci sono stati interventi sulla veranda del cortile della Farmacia e sui fregi più pesanti del cortile d’onore, rafforzati invisibilmente per eliminare il rischio di collasso.

L’archivio storico e le collezioni d’arte dell’Ospedale Maggiore
Le sale monumentali del “Capitolo” dell’ospedale sono conservate nella parte posteriore della corte da Richini, ovvero il consiglio di amministrazione dell’ospedale che si riunì in questi luoghi fino al 1796. La sala principale, decorata nel XVII secolo da Paolo Antonio Maestri Volpino, oggi ospita l’Archivio Storico dell’Ospedale, mentre nelle sale adiacenti è conservata la vasta Collezione d’Arte dell’Ospedale Maggiore, tra cui la famosa Pinacoteca dei benefattori, i ritratti commissionati dal 1602 al XX secolo e collezioni di dipinti, sculture e oggetti d’arte che sono arrivati ​​alla proprietà dell’ospedale con l’eredità di benefattori.

La chiesa di Santa Maria Annunciata all’Ospedale Maggiore
La chiesa, senza facciata, fu invece costruita sul retro, distinguibile dalla lanterna quadrata, che si erge sopra gli archi della loggia. Prese il nome di Santa Maria Annunciata all’Ospedale Maggiore. Alcuni disegni di design dell’edificio di culto, per mano di Richini, sono ancora conservati. L’ingresso, senza enfasi, avviene da un portale comune al centro del portico in fondo alla corte di Richini. L’interno ha pianta quadrata, mentre i quattro lati identici sono costituiti da serliane sostenute da colonne di marmo e capitelli ionici che richiamano il cortile esterno. Di particolare interesse è la pala d’altare, commissionata a Guercino negli anni ’30 del capitolo dell’ospedale da collocare sull’altare maggiore dove si trova ancora. L’opera mostra una struttura compositiva articolata e mossa, e accenti di realismo acceso che possono essere visti nella rappresentazione pittorica delle vesti dell’angelo e nell’insolita iconografia di Dio il padre calvo che sporge dalle nuvole.

Attraversando la soglia della Chiesa dell’Annunziata ci sono tre bassorilievi in ​​marmo, opere di Dante Parini, Vitaliano Marchini e Francesco Wildt. L’argomento è comune ai tre artisti: “Le guarigioni di Cristo”.

Sotto la chiesa vi è una bassa cripta, le cui volte arcuate sono sostenute da potenti pilastri quadrati. Conserva piccoli resti della decorazione ad affresco originale, scomparsa a causa dell’umidità, oltre all’altare disadorna. Fu usato nel corso dei secoli come ossario per i morti dell’ospedale che furono sepolti a migliaia. In particolare, ospitava anche i corpi dei caduti dei cinque giorni di Milano, successivamente trasferiti sotto il monumento appositamente eretto da Grandi nella piazza omonima. Numerosi nomi dei patrioti ancora sepolti all’interno rimangono sui muri.

Il fronte posteriore dell’ospedale, ora in via Francesco Sforza, originariamente si affacciava sul cerchio dei canali. Una volta scomparso il vecchio porto dell’ospedale, oggi rimane la Porta della Meraviglia, da cui è possibile accedere al ponte che conduceva all’antico cimitero dell’ospedale principale, oggi chiamato Rotonda della Besana. Sulla testa della crociera c’è il piccolo portale quattrocentesco decorato con un’Annunciazione di Luvoni.

Collezioni d’arte dell’Ospedale Maggiore
Le collezioni d’arte dell’Ospedale Maggiore sono una collezione artistica di proprietà dell’ospedale Maggiore di Milano, costituita da una serie di ritratti dei benefattori dell’ospedale, considerato il nucleo principale e più prezioso, e altre collezioni di varia natura, attualmente situate in il sito storico dell’ospedale, Ca ‘Granda, ora sede dell’Università Statale di Milano.

I ritratti dei benefattori

Origini e sviluppo storico della collezione
La collezione di ritratti iniziò nel XV secolo, subito dopo la fondazione dell’ospedale da parte di Francesco Sforza (1456). L’intenzione era di rendere omaggio alle illustri personalità che hanno commesso significativi atti di liberalità nei confronti dell’ospedale. La frequenza di questi gesti di gratitudine era tuttavia limitata a coloro che si distinguevano sia per il prestigio personale che per la natura eccezionale dei benefici concessi, sia economicamente che sotto forma di concessioni politiche o religiose.

D’altra parte, dal 1600 in poi, la ritrattistica divenne un’abitudine più diffusa tra le classi sociali più ricche, e questo si rifletteva nella frequenza con cui l’ospedale ha concesso questo onore ai suoi benefattori. Non solo, in quegli anni cadde l’esigenza del prestigio sociale: essere rappresentati potevano essere tutti quelli, illustri o meno, che avevano apportato particolari benefici all’ospedale.

La tendenza continuò nel corso dei secoli, tanto che nel 1810 si stabilì che, a seconda delle dimensioni della donazione o del lascito, si aveva diritto a un ritratto di diverso prestigio: con 40.000 lire si acquisiva il diritto a un mezzo ritratto, con 80.000 lire si potrebbe avere il ritratto a figura intera. Questa venalità da un lato ha fatto prevalere tra i benefattori le intenzioni dettate dalla convenienza rispetto a quelle ai fini della pura liberalità (e la grande quantità di donazioni all’importo minimo necessario per l’onore lo dimostra), ma allo stesso tempo ha generato un significativo aumento dei lasciti e conseguente drastico arricchimento della collezione artistica. Un altro effetto di questa politica era l’usanza di lasciare somme che avrebbero consentito più ritratti, per il benefattore e i suoi parenti.

Dopo la prima guerra mondiale, una forte svalutazione e l’incapacità di adeguare le cifre attese hanno generato un ulteriore aumento delle donazioni e quindi dei ritratti realizzati. Da allora, tuttavia, i requisiti economici per avere diritto ai ritratti sono stati aumentati e periodicamente aggiornati.

La scelta dei pittori a cui era affidata la consegna dei ritratti non era vincolata prima del ventesimo secolo a nessuna regola precisa: la decisione fu presa dal Consiglio, ma la volontà del benefattore o dei suoi eredi era generalmente presa in considerazione. Nel 1906 fu istituita una Commissione speciale composta da eminenti personalità artistiche lombarde e le furono delegate delle scelte. Personaggi come Luca Beltrami, Carlo Bozzi, Ettore Modigliani, Aldo Carpi e Mario Sironi erano presenti in commissione.

La Commissione fu anche incaricata di risolvere l’annoso problema della corretta collocazione delle opere, un problema reso particolarmente difficile dall’enorme aumento dei dipinti realizzati dall’inizio del 1900. Prima di allora, i ritratti venivano esposti ogni due anni nel cortile della Ca ‘Granda, casa dell’ospedale, in occasione della Festa del Perdono. Ma questa soluzione, oltre a consentire l’esposizione per un giorno ogni due anni, è diventata sempre meno praticabile nel tempo a causa dell’elevato numero di opere e dello spazio limitato. Papa Pio X ha avvertito: “fare ritratti non è sufficiente: devi esibirli in modo permanente e decente, in modo che siano un incentivo a donare”. Con il trasferimento dell’ospedale nelle aree in cui si trovano attualmente il Policlinico e l’ospedale Niguarda, l’amministrazione dell’ospedale nel 1940 assegnò la crociera “Macchio” per esporre la collezione, nonostante lo scoppio del conflitto. Nel 1942 la nuova installazione fu smantellata per motivi precauzionali, salvando la raccolta dai bombardamenti che colpirono duramente Ca ‘Granda nella notte tra il 14 e il 15 agosto 1943. Oggi non è stato ancora trovato un alloggio adeguato per la raccolta, che attualmente ammonta a oltre 900 ritratti.

Peculiarità della collezione
La pratica degli ospedali per rendere omaggio ai loro benefattori si diffuse in tutto il nord Italia sin dal Medioevo: esempi sono l’Ospedale Civile Vigevano, l’Ospedale Sant’Antonio Abate di Gallarate, l’Ospedale San Giovanni di Torino, l’Ospedale Civile di Alessandria e il Sant ‘Ospedale Andrea di Vercelli. Di minore importanza storica e artistica sono le raccolte di altri ospedali in Italia e in Europa, come l’Ospedale di Santo Spirito a Roma o quelli di Spoleto e Ginevra. Tuttavia, la collezione di Ca ‘Granda rappresenta un unicumas per dimensioni, continuità storica e importanza degli autori presenti.

La pinacoteca dell’ospedale rappresenta anche un’interessante sezione trasversale della storia della moda e dei costumi lombardi dei secoli passati, anche a causa dell’eterogeneità dell’estrazione sociale e del ruolo professionale dei personaggi raffigurati. Infine, i ritratti costituiscono una fonte iconografica unica, data anche l’assenza in Italia di “musei del ritratto” come le National Portrait Galleries di Londra, Canberra, Edimburgo, Ottawa o Washington, per la conoscenza fisionomica dei protagonisti della storia milanese e lombarda .

Le opere del XV secolo
Tra le opere del XV secolo, due grandi tele commissionate nel 1470 dall’oscuro pittore Francesco Da Vico (o Di Vico) meritano di essere menzionate, entrambe commemorative della nascita dell’ospedale: la prima rappresenta i duchi Francesco Sforza, fondatore dell’ospedale e Bianca Maria Visconti, sua consorte, in ginocchio davanti a Pio II, con la facciata della Ca ‘Granda sullo sfondo. Il secondo raffigura il primogenito Galeazzo Maria Sforza con la moglie Bona di Savoia, inginocchiandosi davanti a un altare nell’atto di consegnare denaro alla presenza di Sant’Ambrogio, sempre con sullo sfondo la facciata della Ca ‘Granda. I soggetti ritratti in questo secondo dipinto, tuttavia, non corrispondono a quanto evidenziato dal contratto stipulato con il pittore, né sembra che i due coniugi abbiano mai pagato denaro o altri benefici all’ospedale; essendo il fondatore e sua moglie già morti al momento dell’esecuzione, non si può escludere che fossero i soggetti ritratti e che alla loro morte il pittore, per ordine superiore o adulazione spontanea, cambiò i volti in omaggio ai nuovi Duchi.

Le opere del XVI secolo
Tra le opere del XVI secolo, è degno di nota un ritratto di Marco Antonio Rezzonico della Torre, arrivato in ospedale, di cui Rezzonico era anche consigliere, insieme a tutto il suo retaggio. Il dipinto fu attribuito a Tiziano sulla base della cospicua iscrizione nella parte inferiore della tela (“Tiziano Vecellio realizzato a Venezia nel 1558”; un’altra iscrizione, quasi illeggibile, a cui sembra riferirsi la mano del soggetto, indica nel 1557 il data dell’esecuzione), ma anche in considerazione del fatto che in una lettera del 1758 in cui i consiglieri dell’ospedale chiesero all’arcivescovo di Milano di portare la loro soddisfazione al nuovo papa Clemente XIII, al secolo Carlo Rezzonico, ricordiamo che a Ca ‘Granda c’è un ritratto del suo antenato del “famoso Tiziano”. Tuttavia, l’iscrizione si è rivelata falsa ed è stato probabilmente questo a indurre in errore i consiglieri. Il ritratto è stato attribuito da Paolo D’Ancona a Parigi Bordon, ma anche questa ipotesi non è accettata all’unanimità, mentre la contestualizzazione della scuola veneziana del XVI secolo è certa.

Gli altri, non numerosi, ritratti del XV secolo sono generalmente eseguiti a mezzo busto o mezza figura e presentano le caratteristiche di austerità e semplicità tipiche dell’ambiente culturale e sociale milanese dell’epoca: “un’epoca che puntava alla classica compostezza della vita “.

Le opere del diciassettesimo secolo
Con il diciassettesimo secolo e la diffusione della moda del ritratto tra le classi sociali più abbienti, vi fu un aumento significativo della quantità della collezione: circa ottanta nuovi ritratti entrarono nella collezione dell’ospedale. I dipinti appartenenti a questo secolo hanno una certa uniformità stilistica: l’austerità del secolo precedente è sostituita dal gusto per sontuosi costumi e raffinati scenari di sfondo, tipicamente barocchi e spagnoli e fortemente influenzati dalla pittura fiamminga. La formula più seguita diventa il ritratto a figura intera. Tra gli autori a cui si rivolse l’ospedale, ricordiamo soprattutto Andrea Porta, Fede Galizia, Carlo Francesco Nuvolone, Salomon Adler e Giacomo Santagostino.

Le opere del XVIII secolo
Il diciottesimo secolo fu meno redditizio del precedente in termini di quantità (sessantuno ritratti sono conservati) e per molti aspetti fu una continuazione senza peculiarità stilistiche. L’influenza della pittura fiamminga fu affiancata da quella della pittura inglese, che si può osservare soprattutto in presenza di scorci di vedute urbane e paesaggi usati come sfondo, caratteristiche che in ogni caso non erano estranee alla pittura lombarda di quegli anni. In questo segmento temporale della collezione spiccano quattro ritratti di Antonio Lucini e dodici di Anton Francesco Biondi, dipinti tra il 1774 e il 1801: gli ultimi due in ordine cronologico mostrano già tendenze e impero neoclassici.

Le opere del XIX secolo
Il 19 ° secolo ha rappresentato un altro momento di forte aumento della collezione. Più di duecento ritratti appartengono a questa era, a testimonianza di tutte le principali correnti pittoriche del secolo: neoclassicismo, romanticismo, impressionismo e divisionismo.

Il momento più alto del neoclassicismo presente nella collezione è probabilmente toccato dal Ritratto del sacerdote Francesco Bossi eseguito tra il 1821 e il 1822 da Pelagio Pelagi, in cui “non solo l’artista ha perfezionato le caratteristiche esterne, ma in quella faccia, con riflessi dorati, riuscito a incarnare un ideale di dolcezza e candore ».

Esempi del “primo romanticismo” di Francesco Hayez, costituito da uno “stile neoclassico in cui il colore ritorna in vita”, sono tre dipinti realizzati tra il 1816 e il 1823, quando il pittore era ancora giovane ma già accompagnato da una discreta reputazione: questi sono i ritratti del sacerdote Carlo Calvi, del conte Giambattista Birago e del conte Pietro Francesco Visconti Borromeo.

I gruppi di opere di Giuseppe Bertini (sette di loro, tra cui il Ritratto dell’avvocato Giuseppe Calcaterra, un dipinto che “racconta, senza accontentarsi”) e di Sebastiano De Albertis (ancora sette, in cui la solita “facilità impressionistica” con che l’autore ha trattato le sue famose scene di battaglia lascia il posto a un romanticismo più austero), altrettanto notevoli sono i contributi di Angelo Inganni, Giuseppe Molteni e dei fratelli Domenico e Gerolamo Induno.

Non c’è traccia della corrente più rivoluzionaria del romanticismo lombardo, quella rappresentata da Tranquillo Cremona, Daniele Ranzoni e le prime opere di Gaetano Previati, a testimonianza di quella scelta fondamentale di favorire artisti legati a un realismo contenuto, austero, in linea con il longobardo tradizione e quindi più piacevole per le famiglie di benefattori, una scelta che sarà molto più evidente nella politica artistica della Commissione nel secolo successivo.

Della fase finale del diciannovesimo secolo ci sono dipinti di Giovanni Segantini (di cui l’ospedale conserva anche, nelle altre collezioni, l’importante Ritratto di Francesco Ponti realizzato nel 1986 da Antonio Rotta, Emilio Gola, Le capinere, Gaetano Previati, Emilio Gola, Pompeo Mariani e Mosè Bianchi.

Le opere del ventesimo secolo
Il ventesimo secolo è stato un momento di ulteriore espansione della collezione di ritratti, con oltre 500 nuovi pezzi.

Le opere del XX secolo sono caratterizzate, in particolare per i primi tre decenni del secolo, dalla loro lealtà ai canoni artistici tradizionali e della fine del XIX secolo, dettati dalle esigenze delle famiglie e dalle richieste della Commissione, istituite nel 1906 , desiderosi di rispettare precisi canoni pittorici e rigorosi. La conseguenza fu l’esclusione quasi totale di quelle correnti pittoriche più all’avanguardia e controverse, a partire dal futurismo. Significativi contributi furono dati alla collezione da pittori come Filippo Carcano, Emilio Gola, Cesare Tallone, Ambrogio Alciati, Riccardo Galli, Eugenio Giuseppe Conti e Anselmo Bucci.

Dalla fine degli anni 1920 emerse una chiara predominanza della componente del ventesimo secolo nella politica artistica della Commissione. Si è scoperto che dal 1929 era composto da personaggi come Giuseppe Amisani, Achille Funi, Esodo Pratelli, Mario Sironi, Aldo Carpi, tutte le personalità toccate in un modo o nell’altro dalle esigenze del movimento “Novecento”. Inoltre, la stessa ambientazione della collezione, dedicata al tradizionalismo e al rispetto per le figure ritratte, la peculiarità del lavoro degli artisti, chiamata a fare ritratti del defunto avendo solo vecchie fotografie come modelli, e quindi incapace di dare letture di il soggetto particolarmente fantasioso, così come la tendenza a usare il lavoro di quasi sempre pittori lombardi, è finito prevalendo nell’approvazione della Commissione e delle famiglie quegli artisti che si sono dimostrati partecipanti o almeno rispettosi del modello del Novecento: Piero Marussig, Giovanni Borgonovo, Pompeo Borra, Mario Tozzi, nonché le stesse Corde, Sironi e Carpi. Tuttavia, vi furono anche esempi di commissioni per artisti estranei al “Novecento” e che partecipavano, con maggiore o minore coinvolgimento, al chiarimento più disimpegnato: Umberto Lilloni, Cristoforo De Amicis, Francesco De Rocchi, Carlo Martini, Francesco Menzio e altri.

Dalla seconda metà del XX secolo, una tale uniformità della politica artistica andò perduta, ma rimasero l’impostazione tradizionalista e figurativa, con importanti sculture come il busto di Bianca Maria Sforza in marmo di Dante Parini, con dipinti di Leonardo Borgese, Trento Longaretti, Silvio Consadori, Renato Vernizzi e molti altri.

Le collezioni

Origini ed evoluzione delle collezioni
La collezione di opere d’arte iniziò con le prime fasi della storia dell’ospedale nel XVI secolo e durò ininterrottamente fino ai giorni nostri. Ci sono stati principalmente tre modi per arricchire la collezione.

In primo luogo, le “preoccupazioni degli amministratori saggi” hanno generato nel tempo un certo accumulo di beni di valore artistico, come gli antichi arredi della farmacia dell’ospedale (la cosiddetta “spezieria”), un famoso papiro egiziano, lo stendardo del corpo e numerose pergamene illuminate.

Altre occasioni per arricchire il patrimonio artistico sono arrivate con le annessioni di altri ospedali milanesi, come quella commissionata dal cardinale Enrico Rampini e realizzata da Francesco Sforza a metà del XV secolo. Ognuno di questi ospedali aveva una chiesa o una cappella, con il necessario set di arredi e mobili sacri, che alla fine arricchivano la collezione dell’ospedale.

Il principale strumento di arricchimento della ricchezza era tuttavia costituito da donazioni e lasciti testamentari da numerosi benefattori. Il primo di una certa importanza fu quello del cardinale Carlo Borromeo, che includeva, tra le altre cose, l’Adorazione dei Magi di Tiziano, successivamente acquistata dal nipote Federico e donata alla Pinacoteca Ambrosiana.

L’eredità ritenuta più importante è considerata quella ricevuta nel 1804 dal conte Giacomo Sannazzari della Ripa, che lasciò la sua importante collezione di dipinti per successione all’organizzazione, tra cui, tra l’altro, il famoso Matrimonio della Vergine di Raffaello, acquistò due anni prima. di Giuseppe Lechi, generale napoleonico che aveva liberato Città di Castello dal dominio papale, ricevendo l’opera in segno di gratitudine. Il matrimonio fu tuttavia venduto solo due anni dopo alla proprietà statale, a causa di difficoltà economiche e in compensazione di alcuni debiti fiscali, e quindi collocato presso la Pinacoteca di Brera.

Nel 1899 la duchessa Eugenia Litta legò la chiesa di Santa Maria delle Selve a Vedano al Lambro all’ospedale e una vasta terra adiacente alla Villa Reale di Monza, su cui aveva costruito una sala in cui si trovava il grande archivio familiare della famiglia si riunirono. Litta, composta da pergamene, manoscritti e una quarantina di ritratti di rappresentanti della famiglia. In ricordo del pittore Camillo Rapetti, che progettò alcuni ritratti di benefattori per l’ospedale, nel 1938 la vedova donò una sessantina di dipinti. Infine, nel 1943 il patrimonio fu arricchito dall’eredità dello scultore Achille Alberti, la cui collezione d’arte comprendeva più di duecento opere di Andrea Appiani, Sebastiano De Albertis, Domenico Induno, Mosè Bianchi e altri. Una donazione molto speciale fu quella del famoso papiro egiziano.

Molte opere, anche significative, sono state comunque alienate o disperse nel corso dei secoli. Tra questi, oltre al Matrimonio di Raffaello, la Testa di Cristo venduta alla Pinacoteca di Brera, attribuita a Leonardo da Vinci e considerata uno studio per l’Ultima Cena, nonché alcuni dipinti di Giovanni Bellini, Marco d’Oggiono, Ambrogio Figino e altri.

Attualmente, esclusi i ritratti dei benefattori, queste restanti collezioni ammontano a oltre 1900 pezzi tra dipinti, sculture e oggetti di vario genere.

I lavori

Quadri
Tra i dipinti, la parte più consistente è quella costituita da opere di soggetto sacro. In particolare esiste un nucleo costituito da dipinti raffiguranti l’Annunciazione, l’ospedale è stato costruito con il nome della SS. Ad essa è dedicata l’Annunziata e la chiesa interna di Ca ‘Granda: tra queste, la più importante è senza dubbio quella eseguita dal Guercino nel 1638-39. Tra quelli di soggetto profano spicca un Berenice nell’atto di tagliarsi i capelli, disegnato vigorosamente e attribuito a Bernardo Strozzi, e alcuni dei numerosi ritratti donati da Eugenia Litta ed eseguiti tra il XVIII e il XIX secolo. Infine, merita menzione la grande tela di Giovanni Segantini intitolata Il capinere.

Particolare è anche il dipinto comunemente chiamato Festa del Perdono nel cortile dell’Ospedale Maggiore, ma che in realtà rappresenta nient’altro che un momento comune della vita ospedaliera. Anonimo ed eseguito forse tra la fine del XVII e l’inizio del XVIII secolo, è un’opera alla quale non viene riconosciuto alcun valore artistico particolare. È comunque un’interessante fonte di conoscenza degli stili e dei costumi dell’epoca, tanto che è stato sicuramente studiato da Francesco Gonin per le illustrazioni di I promessi sposi.

Ci sono anche opere di Defendente Ferrari, Vincenzo Civerchio (incerta attribuzione), Moretto da Brescia, Francesco Rizzo da Santacroce, Giovan Battista Trotti, Ippolito Scarsella, Giulio Cesare Procaccini, Pierfrancesco Mazzucchelli, Johann Carl Loth, Palma il Giovane. (attribuzione incerta), oltre a numerosi autori sconosciuti.

sculture
Oltre alle numerose sculture che formano parte integrante della Ca ‘Granda, tra cui alcune opere dello scultore milanese Dante Parini, la terracotta di Francesco Solari e collocate sul portale meridionale dell’edificio, dalla collezione Litta e relative a l’ospedale nel 1899: due Madonne con il Bambino, una lasciata sul portale di Santa Maria delle Selve in Vedano, e un’altra la cui straordinaria fattura e caratteristiche espressive richiamano le opere di Giovanni Pisano e un busto del cardinale Alfonso Litta di autore ignoto.

Il libro dei morti
Nel 1854 la mummia dello scriba Ptahmose e il libro dei morti custodito nel sarcofago furono donati dal figlio del Marchese Carlo Busca, egittologo ed esploratore. Prima che il papiro potesse essere studiato a fondo, scomparve, e fu ritrovato diversi anni dopo in un sotterraneo; nel frattempo la mummia fu venduta al Museo Egizio del Castello Sforzesco.

Il papiro, studiato per la prima volta da Karl Richard Lepsius, è quasi intatto e in ottime condizioni. Riguarda lo scriba Ptahmose, il cui nome è troppo comune per identificarne l’identità, figlio di Osiry e Didia, definito “ballerino di Amon”. Lo scriba e la madre sono ritratti ripetutamente in un atteggiamento di preghiera, mentre numerose scene con barche e altri personaggi abbelliscono il documento. Oltre ai 42 giudici degli inferi, con i quali le anime devono perorare la loro causa, sono raffigurate alcune divinità, tra cui Anubi, Thoth, Osiride e Iside. Si ritiene che il documento sia di origine tebana e risale al XIV secolo a.C.

Pergamene illuminate
Numerosi documenti del periodo visconteo e sforzesco sono conservati nel vasto patrimonio archivistico dell’ospedale, abbellito da miniature che testimoniano il passaggio dal gotico al rinascimento. Perfino i personaggi con cui vengono elaborati questi documenti mostrano l’alternanza di stili calligrafici nelle diverse epoche.

La “spezieria”
Si tratta di una raccolta di circa 180 pezzi tra cui antichi vasetti farmacia decorati, mortai cesellati in bronzo e antiche ricette su pergamena della farmacia dell’ospedale. Tra i vasi spicca una serie di tredici pezzi del XVI secolo, dispersi tra i musei di Cambridge, Amburgo e Castello Sforzesco. Per il resto, questi sono pezzi del ‘600 o’ 700 provenienti dalle fabbriche di Albissola o Venezia.

Lo stendardo di Gio Ponti
Nel 1927 emerse l’idea di creare un emblema ospedaliero. Il progetto è stato commissionato all’architetto e designer Gio Ponti, che ha creato un vero e proprio banner: da un lato si trova il segno della “Ca ‘Granda”, circondato da scudi che rappresentano vari fatti ed eventi nella storia dell’istituzione e sormontato dal arma del Comune di Milano; dall’altro lato, è una rappresentazione dell’Annunciazione con un gusto moderno. L’opera, sebbene non interamente completata, è stata presentata con una cerimonia nel Duomo di Milano alla presenza del cardinale Ildefonso Schuster.

Università degli Studi di Milano
L’Università degli Studi di Milano (abbreviata in UniMi e anche conosciuta come Statale) è un’università statale italiana fondata nel 1923. È la più grande istituzione universitaria a Milano e in Lombardia. La sede si trova nell’edificio rinascimentale di Ca ‘Granda, commissionato dal duca di Milano Francesco Sforza. È l’unica università italiana a far parte della LERU (League of European Research Universities).

L’Università degli Studi di Milano (italiano: Università degli Studi di Milano, latino: Universitas Studiorum Mediolanensis), o Università degli Studi di Milano, conosciuta colloquialmente come UniMi o Statale, è un istituto di istruzione superiore a Milano, Italia. È una delle più grandi università in Europa, con circa 60.000 studenti e uno staff di insegnamento e ricerca permanente di circa 2.000.

L’Università di Milano ha dieci scuole e offre 140 corsi di laurea e laurea, 32 scuole di dottorato e 65+ scuole di specializzazione. Le attività di ricerca e insegnamento dell’Università si sono sviluppate nel corso degli anni e hanno ricevuto importanti riconoscimenti internazionali.

L’Università è l’unico membro italiano della League of European Research Universities (LERU), un gruppo di ventuno università europee ad alta intensità di ricerca. Si classifica costantemente una delle migliori università in Italia, sia nel suo complesso che in settori specifici.

Un premio Nobel per la fisica, Riccardo Giacconi, così come una medaglia Fields, Enrico Bombieri, ha studiato all’Università.