Camera degli Sposi del Palazzo Ducale Mantova, video a 360 °, Museo urbano di Mantova

La Camera degli Sposi (“camera nuziale”), a volte conosciuta come Camera picta (“camera dipinta”), è una stanza affrescata con dipinti illusionistici di Andrea Mantegna nel Palazzo Ducale, Mantova, Italia. Durante il XV secolo, quando fu dipinta la Camera degli Sposi, Mantova fu governata dai Gonzaga, che mantennero l’autonomia politica di Mantova dai suoi vicini molto più forti, Milano e Venezia, offrendo il loro sostegno come stato mercenario. Ludovico III Gonzaga, il commissario della Camera degli Sposi e al tempo il sovrano di Mantova, si addestrò come soldato professionista,

La stanza scelta per essere dipinta si trova al primo piano di una torre nord-est nella sezione privata del Palazzo Ducale, con finestre sulle pareti nord e est che si affacciano sul Lago di Mezzo. Questa stanza sarebbe stata utilizzata per diverse funzioni private e semi-private come una camera da letto per Ludovico, un’area di ritrovo per la famiglia e cortigiani stretti e una sala di ricevimento per ospiti particolarmente importanti. Le funzioni semi-private della stanza hanno contribuito a creare un’aria di esclusività per la Camera degli Sposi, intesa a impressionare lo spettatore con la ricchezza e il prestigio culturale dei Gonzaga senza un’esibizione palese o sgargiante. La stanza stessa fu rinnovata prima che Mantegna iniziasse a dipingere per essere il più vicino possibile a una piazza con le dimensioni di circa otto per otto di larghezza e sette di altezza. Le caratteristiche architettoniche originali della stanza includono le triple volte su ogni parete, un camino sulla parete nord, porte sulle pareti ovest e sud e finestre sulla parete nord e est. Dipinta tra il 1465 e il 1474, la Camera degli Sposi divenne ben nota poco dopo il suo completamento come capolavoro nell’uso di entrambi i trompe l’oeil e di sotto in sù.

L’effetto della pittura illusionistica di Mantegna che è suggestivo di un padiglione classico è completo di sottili mutamenti di punti di vista che rendono reale ogni elemento fittizio dell’illusione allo spettatore. Sulle pareti nord e ovest, incorniciate dal titolo di marmo fittizio sul fondo e un’asta per tende dipinta che corre per tutta la lunghezza di ciascuna delle pareti in alto, si incontrano scene dei Gonzaga e della loro corte di fronte a ampi paesaggi idealizzati che sembra essere rivelato allo spettatore da tende che sono tirate o allentate nella brezza. Le pareti sud e est sembrano essere velate da tende in broccato dorato che imitano quelle che sarebbero state usate per il baldacchino dei letti di Ludovico, i cui ganci sono ancora nel soffitto sopra l’angolo sud-est della stanza.

Storia
La decorazione della sala fu commissionata da Ludovico III Gonzaga a Mantegna, pittore di corte dal 1460. La sala aveva originariamente una duplice funzione: quella della sala delle udienze (dove il Marchese si occupava di affari pubblici) e quella della camera da letto rappresentativa, dove Ludovico incontrato con la sua famiglia.

L’occasione della commissione è tutt’altro che chiarita dagli studiosi, registrando varie discrepanze. L’interpretazione tradizionale collega gli affreschi all’elezione al trono cardinale del figlio del Marchese Ludovico, Francesco Gonzaga, che ebbe luogo il 1 ° gennaio 1462: la scena della Corte rappresenterebbe quindi il Marchese che riceve la notizia e quella del L’incontro mostrerebbe padre e figlio che sono nel lieto evento. La figura matura e corpulenta di Francesco, tuttavia, non è coerente con la sua età nel 1461, di circa 17 anni, evidenziata invece dal suo presunto ritratto conservato oggi a Napoli. Si pensava quindi che gli affreschi celebrassero l’arrivo di Sua Eminenza a Mantova nell’agosto 1472, quando si stava preparando a ricevere il titolo di abate commendatorio di Sant’Andrea.

La sequenza cronologica dei dipinti è stata chiarita dal restauro del 1984 – 1987: il pittore è partito dalla volta con limitati sfondi asciutti, che riguardano principalmente parti dell ‘”oculo” e la ghirlanda che lo circonda; poi passò al muro della Corte, dove fu usata una misteriosa tempera unta, asciugata procedendo da “pontate”; seguì le pareti est e sud, coperte da tende dipinte, dove veniva usata la tradizionale tecnica dell’affresco; infine fu dipinta la parete ovest del Meeting, anch’essa trattata come un affresco e condusse a piccolissimi “giorni”, a testimonianza di una lentezza che avrebbe confermato la durata quasi decennale dell’azienda, indipendentemente da altri compiti che il maestro aveva per esibirsi.

Dopo la morte di Ludovico, la stanza e il suo ciclo subirono una serie di problemi, che spesso degradavano, oltre alla conservazione fisica, anche il ruolo nella storia dell’arte. Pochi anni dopo la morte del Marchese, la stanza fu utilizzata come deposito per oggetti preziosi: forse per questo motivo a Vasari non fu permesso di visitarla, escludendola dal racconto di Le Vite. Durante l’occupazione imperiale del 1630 subì numerosi danni, per poi essere praticamente abbandonato alle intemperie fino al 1875 circa. La sala iniziò a essere chiamata “Camera degli Sposi” nel 1648 da Carlo Ridolfi. In ogni caso, il riferimento era dovuto alla presenza predominante di Ludovico raffigurata accanto a sua moglie, non tanto perché era una camera nuziale. In effetti, Gonzaga ha usato la stanza per redigere e conservare i suoi documenti commerciali e per ricevere, quasi uno studio rappresentativo. In realtà c’è un armadio per conservare i documenti ma anche il gancio che determinava la posizione del letto.

La tecnica utilizzata, che includeva in alcuni episodi parti asciutte più o meno ampie, non facilitava la conservazione e abbiamo notizie vaghe di restauro prima del diciannovesimo secolo. Quelli che seguirono, fino a quello del 1941, furono numerosi e inadeguati. Finalmente nel 1987 fu effettuato un ampio restauro con tecniche moderne, che recuperarono tutto ciò che sopravvisse, restituendo il lavoro agli studi e al godimento pubblico.

Il terremoto in Emilia del 2012 ha riaperto un vecchio micro-filamento che corre verticalmente e poi obliquo nella scena della Corte e ha staccato una porzione di intonaco dipinto. Sono in corso interventi tecnici (2014) per proteggere la Camera Picta dai terremoti. Dopo quasi un anno di lavoro il 2 aprile 2015, Camera Picta ha riaperto i suoi tesori ai turisti, con l’inaugurazione da parte del Ministro dei beni culturali, contando, già il giorno seguente, un afflusso di 1400 turisti.

Stile
Giulio Carlo Argan sottolinea come la pittura mantegnesca qui, come in altre opere, sia caratterizzata dalla sua evocazione di immagini dell’antichità classica. Mantegna è il primo grande “classicista” della pittura: la sua arte può essere definita un “classicismo archeologico”.

Layout generale
Nella stanza quasi cubica (circa 8,05 m per lato, con due finestre, due porte e un camino), Mantegna ha studiato una decorazione che ha interessato tutte le pareti e le volte del soffitto, adattandosi ai limiti architettonici dell’ambiente, ma a il tempo stesso rompendo le pareti con la pittura, come se fosse al centro di una loggia o di un padiglione aperto verso l’esterno.

Il motivo della connessione tra le scene sui muri è il finto basamento in marmo che corre tutto intorno nella fascia inferiore, su cui poggiano i pilastri che dividono le scene in tre aperture. La volta è affrescata che suggerisce una forma sferica e presenta al centro un oculo, da cui spiccano personaggi e animali contro il cielo blu. Intorno all’oculo alcune nervature dipinte dividono lo spazio in losanghe e pennacchi. Le costole vanno a finti capitelli, che a loro volta poggiano sui veri mensoloni delle volte, gli unici elementi in rilievo dell’intera decorazione, insieme ai telai delle porte e al camino. Ogni mensola (tranne quelli nell’angolo) poggia su uno dei pilastri dipinti.

Il registro superiore delle mura è occupato da dodici lunette, decorate con festoni e gesta dei Gonzaga. Alla base delle lunette, tra peduccio e peduccio, corrono figurativamente le aste che fungono da cursore per le tende, che sono rappresentate come offset per consentire la visione delle scene principali. Queste tende, che in realtà coprivano le pareti delle stanze del castello, simulano il broccato o la pelle goffrata con oro e rivestite di blu, e sono abbassate sulle pareti sud e est, mentre sono aperte sulla parete nord (la Corte) e ovest (l’incontro).

Il tema generale è la celebrazione politico-dinamica dell’intera famiglia Gonzaga, sebbene decenni di studi non siano riusciti a chiarire inequivocabilmente un’interpretazione accettata da tutti gli studiosi. Probabilmente la concezione del complesso programma iconografico ha richiesto varie consultazioni, compresa sicuramente quella dello stesso Marchese. Molto numerosi sono i ritratti, estremamente curati nella fisionomia e, talvolta, in psicologia. Sebbene una certa identificazione di ciascuno di essi sia impossibile a causa della mancanza di testimonianze, alcune sono tra le opere più intense di Mantegna in questo genere.

Soffitto
Dalle colonne fittizie si separano le diverse scene sulle pareti (ricoperte da veri e propri mensoloni di pietra) che si innalzano nervature illusionistiche sbalzate da un rotolo che divide il soffitto in sezioni. Nelle sezioni aggrovigliate tra le volte vi sono voglie di sollievo illusionistiche dalle vite di Arion, Orfeo ed Ercole incastonate in un mosaico dorato dipinto che ricorda l’antichità. Sopra di loro ci sono i primi otto imperatori romani in medaglioni tenuti in alto da putti, tutti raffigurati in grisaglia su lite d’oro dal basso per ottenere l’effetto di veri e propri rilievi in ​​stucco. La connessione implicita tra la gloria del passato romano dell’Italia e la Mantova dei Gonzaga attraverso i riferimenti classici del soffitto nobilita i Gonzaga come potenza sia militare che appresa paragonabile all’Impero romano.

Il giocoso soffitto di Mantegna presenta un oculo che si apre in modo fittizio in un cielo blu, con putti scorciati che giocano scherzosamente attorno a una balaustra dipinta di sotto in sù per sembrare che occupino spazio reale sul tetto sopra. Rompendo con le figure delle scene sottostanti, i cortigiani che guardano dall’alto in basso dalla balaustra sembrano direttamente consapevoli della presenza dello spettatore. La precaria posizione della fioriera sopra mentre si trova a disagio su una trave vagante suggerisce che guardare le figure potrebbe lasciare lo spettatore umiliato a spese del godimento dei cortigiani. L’esplorazione di Mantegna su come i dipinti o le decorazioni potevano rispondere alla presenza dello spettatore era una nuova idea nell’Italia rinascimentale che sarebbe stata esplorata da altri artisti. La Camera degli Sposi ‘

La volta è composta da un soffitto ribassato, che è illusionisticamente diviso in vele e pennacchi dipinti. Alcune costole finte dividono lo spazio in figure regolari, con uno sfondo dorato e dipinti monocromatici che simulano sculture di stucchi e clipei. L’abile articolazione degli elementi architettonici dipinti simula una volta profonda, quasi sferica, che in realtà è una leggera curva di tipo “artigliato”.

Al centro si trova il famoso oculo, il pezzo più sorprendente dell’intero ciclo, in cui gli esperimenti illusionistici della Cappella Ovetaria di Padova sono portati alle sue estreme conseguenze. È un giro illusorio verso il cielo, che doveva ricordare il famoso oculo del Pantheon, l’antico monumento per eccellenza celebrato dagli umanisti. Nell’occhio, scorcio secondo la prospettiva “dal basso”, vediamo una balaustra dalla quale sporge una donna di corte, accompagnata da una domestica nera, un gruppo di servi, una dozzina di putti, un pavone (riferimento agli animali esotici presenti a la corte, piuttosto che un simbolo cristologico) e un vaso, sullo sfondo di un cielo blu. Per rafforzare l’impressione dell’occhio aperto, Mantegna dipinse alcuni tendaggi pericolosamente in bilico aggrappati al lato interno del telaio, con scorci vertiginosi di corpi grassottelli. La varietà delle pose è estremamente ricca, caratterizzata da una totale libertà di movimento dei corpi nello spazio: alcuni putti arrivano ad attaccare la testa negli anelli della balaustra, oppure sono visibili solo da una piccola mano che appare.

Se la possibile identificazione delle fanciulle con personaggi reali che gravitano attorno alla corte dei Gonzaga non è chiara (un volto femminile è disegnato come la marchesa Barbara), sono catturati in diversi atteggiamenti (uno ha persino un pettine in mano) e le loro espressioni giocose sembrano suggerire la preparazione di uno scherzo, un episodio tratto dalla vita di tutti i giorni sulla scia della lezione di Donatello. Il pesante vaso di agrumi è infatti appoggiato a un bastone e le ragazze intorno, con volti sorridenti e complici, sembrano sul punto di farlo cadere nella stanza.

Nella nuvola vicino al vaso c’è un profilo umano nascosto, probabilmente un auto-ritratto dell’artista abilmente mascherato.

L’oculo è racchiuso da una ghirlanda circolare, a sua volta racchiusa in un quadrato di finte nervature, che sono dipinte con un motivo intrecciato che ricorda le palmette di bassorilievi all’antica. Nei punti di incontro tra ci sono medaglioni d’oro. Intorno alla piazza ci sono otto losanghe con uno sfondo dorato, ognuna contenente una ghirlanda circolare che contiene un ritratto di uno dei primi otto imperatori romani, dipinto in grisaglia, sostenuto da un putto e circondato da nastri svolazzanti. Questa rappresentazione sigilla la concezione fortemente antiquaria di tutto l’ambiente. I Cesare sono raffigurati in senso antiorario con il nome all’interno del medaglione (dove conservato) e le loro pose sono cambiate per evitare lo schematismo.

1. Giulio Cesare
2. Ottaviano Augusto
3.Tiberius
4.Caligula
5.Claudio
6.Nerone
7.Galba
8.Otho

Intorno alle losanghe, nel registro più esterno, sono posizionati dodici pennacchi (in senso orario) corrispondenti a ciascuna cornice sulle pareti. Sono decorati con finti bassorilievi di ispirazione mitologica, che celebrano simbolicamente le virtù del Marchese come condottiero e statista, come il coraggio (mito di Orfeo), l’intelligenza (mito di Arione di Metimna), la forza (mito delle dodici fatiche di Ercole). Sono:

1. Orfeo incanta le forze della natura
2. Orfeo incanta Cerbero e una Furia
3. Morte di Orfeo (Orfeo strappato dai baccanti)
4.Arione che incanta il delfino
5.Arione salvato dal delfino
6.Periander che condanna i cattivi marinai
7. Ercole lancia una freccia verso il centauro Nesso
8.Nessus e Deianira
9. Ercole in lotta con il leone di Nemea
10. Ercole che uccide l’Idra
11. Ercole e Anteo
12. Ercole che uccide Cerbero

Le costole si concludono in finti capitelli con decorazioni vegetali, su cui sono poste le basi dei putti di supporto del medaglione. Queste capitali poggiano su mensole reali.

Parete nord
Sulla parete nord sopra il camino, la “scena di corte” mostra un ritratto di famiglia dei Gonzaga. Ludovico Gonzaga è seduto e discute un documento con il suo segretario Marsilio Andreasi. Intorno a lui ci sono membri della sua famiglia e corte, tra cui sua moglie Barbara di Brandeburgo, le figlie Barbara e Paola, i figli Gianfrancesco, Rodolfo e Ludovichino e il cane Rubino. L’intera scena è illusoriamente dipinta come se le figure fossero appoggiate sulla mensola del camino, mostrando la magistrale capacità di Mantegna di fondere elementi fittizi e reali nel suo lavoro. La collocazione delle figure in cima al camino le pone anche al di sopra del livello degli occhi, il che, insieme al loro disinteresse implicito nel contatto visivo con lo spettatore, ha l’effetto di rendere la corte dei Gonzaga elevata sia in posizione che in intelletto.

La “Scena di corte” gioca anche con l’idea di accesso inquadrando Ludovico come il lontano sovrano paterno con cui gli spettatori dell’affresco sono fortunati ad avere un pubblico. Ludovico appare nel dipinto come vestito informalmente rispetto ai suoi familiari in un abito ampio che fa un cenno verso la funzione semi-privata della stanza. Dalla nota in mano e dalla sua consultazione del suo segretario, sembra allo spettatore di aver catturato Ludovico nella sua routine privata di governo sebbene ci siano state argomentazioni che questo è un momento particolare nel tempo, o la ricevuta di una lettera di Francesco Sforza che comunicava la sua malattia o il documento di messa in servizio della Camera degli Sposi. Nel terzo di destra del muro i cortigiani attendono sui gradini del loro turno per ottenere un pubblico con Ludovico.Il sipario fittizio suggerisce la brevità del pubblico stesso dello spettatore con Ludovico “scoprendo” la scena mentre viene soffiata dal vento.

La scena della corte ha un layout particolarmente originale per adattarsi alla forma della stanza. La presenza del camino, che di fatto invade a metà la parte inferiore destinata agli affreschi narrativi, ha reso molto difficile impostare la scena senza interruzione, ma Mantegna ha risolto il problema utilizzando l’espediente di posizionare la scena su una piattaforma rialzata a cui alcuni passi verso il basso sul lato destro. Da questa piattaforma, il cui piano coincide con la mensola sopra il camino, pendono preziosi tappeti che arricchiscono la sontuosità della scena.

Il primo settore è occupato da una finestra che si affaccia sul Mincio: qui Mantegna si è limitato a progettare una tenda chiusa. Nel secondo, la tenda è rivelata e mostra la corte dei Gonzaga riunita, sullo sfondo di un’alta barriera decorata con medaglioni di marmo, oltre la quale un albero attraversa la lunetta. Il terzo settore ha il sipario chiuso, ma una serie di personaggi gli passa davanti, camminando anche davanti al pilastro, secondo un dispositivo che confonde il confine tra il mondo reale e il mondo dipinto, già utilizzato da Donatello.

I personaggi
Il settore centrale mostra il Marchese Ludovico Gonzaga seduto su un trono a sinistra in una veste “de nocte”, con particolare enfasi grazie alla posizione leggermente isolata. È ritratto in possesso di una lettera e parla con un servitore dal naso adunco, probabilmente il suo segretario Marsilio Andreasi o Raimondo Lupi di Soragna; oppure potrebbe essere il fratello del Marchese Ludovico III, Alessandro. La posa del marchese è l’unica che spezza la natura statica del gruppo, attirando inevitabilmente l’attenzione dello spettatore. Sotto il trono c’è il cane preferito dal marchese, Rubino, un simbolo di lealtà. Alle sue spalle si trova il terzo figlio Gianfrancesco, che tiene le mani sulle spalle di un bambino, forse il protonotario Ludovichino. L’uomo con il cappello nero è Vittorino da Feltre, precettore del Marchese e dei suoi figli. Al centro si trova la moglie del Marchese, Barbara di Brandeburgo, in una posizione quasi frontale con un’espressione di dignitosa sottomissione, con un bambino in ginocchio che sembra darle una mela in un gesto di infantile ingenuità, forse l’ultima nata Paola. Dietro a sua madre si trova Rodolfo, affiancato a destra da una donna, forse Barbarina Gonzaga. Gli altri personaggi sono incerti. Il primo profilo sullo sfondo da sinistra è stato interpretato come un possibile ritratto di Leon Battista Alberti, mentre la donna dietro Barbarina è forse un’infermiera della famiglia Gonzaga o, come sostengono alcuni studiosi, Paola Malatesta, madre di Luigi III, in abito monastico; sotto è la famosa nana di corte Lucia affetta da neurofibromatosi, che guarda direttamente lo spettatore; in piedi parzialmente coperto dal pilastro è un familiare (cortigiano). Barbara di Brandeburgo, in una posizione quasi frontale con un’espressione di dignitosa sottomissione, con un bambino in ginocchio che sembra darle una mela in un gesto di infantile ingenuità, forse l’ultimo nato Paola. Dietro a sua madre si trova Rodolfo, affiancato a destra da una donna, forse Barbarina Gonzaga. Gli altri personaggi sono incerti. Il primo profilo sullo sfondo da sinistra è stato interpretato come un possibile ritratto di Leon Battista Alberti, mentre la donna dietro Barbarina è forse un’infermiera della famiglia Gonzaga o, come sostengono alcuni studiosi, Paola Malatesta, madre di Luigi III, in abito monastico; sotto è la famosa nana di corte Lucia affetta da neurofibromatosi, che guarda direttamente lo spettatore; in piedi parzialmente coperto dal pilastro è un familiare (cortigiano). Barbara di Brandeburgo, in una posizione quasi frontale con un’espressione di dignitosa sottomissione, con un bambino in ginocchio che sembra darle una mela in un gesto di infantile ingenuità, forse l’ultimo nato Paola. Dietro a sua madre si trova Rodolfo, affiancato a destra da una donna, forse Barbarina Gonzaga. Gli altri personaggi sono incerti. Il primo profilo sullo sfondo da sinistra è stato interpretato come un possibile ritratto di Leon Battista Alberti, mentre la donna dietro Barbarina è forse un’infermiera della famiglia Gonzaga o, come sostengono alcuni studiosi, Paola Malatesta, madre di Luigi III, in abito monastico; sotto è la famosa nana di corte Lucia affetta da neurofibromatosi, che guarda direttamente lo spettatore; in piedi parzialmente coperto dal pilastro è un familiare (cortigiano). in una posizione quasi frontale con un’espressione di dignitosa sottomissione, con un bambino in ginocchio che sembra darle una mela in un gesto di ingenua infantilità, forse l’ultimo nato Paola. Dietro a sua madre si trova Rodolfo, affiancato a destra da una donna, forse Barbarina Gonzaga. Gli altri personaggi sono incerti. Il primo profilo sullo sfondo da sinistra è stato interpretato come un possibile ritratto di Leon Battista Alberti, mentre la donna dietro Barbarina è forse un’infermiera della famiglia Gonzaga o, come sostengono alcuni studiosi, Paola Malatesta, madre di Luigi III, in abito monastico; sotto è la famosa nana di corte Lucia affetta da neurofibromatosi, che guarda direttamente lo spettatore; in piedi parzialmente coperto dal pilastro è un familiare (cortigiano). in una posizione quasi frontale con un’espressione di dignitosa sottomissione, con un bambino in ginocchio che sembra darle una mela in un gesto di ingenua infantilità, forse l’ultimo nato Paola. Dietro a sua madre si trova Rodolfo, affiancato a destra da una donna, forse Barbarina Gonzaga. Gli altri personaggi sono incerti. 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Il settore successivo mostra sette cortigiani che si avvicinano alla famiglia Marchese, in parte sulla piattaforma, in parte salendo le scale attraverso un’anticamera. Gli ultimi “entrano” nella scena allontanandosi dalla tenda, dietro la quale possiamo vedere un cortile soleggiato con muratori al lavoro.

Nell’apertura della finestra c’è un finto muro di marmo, solcato da vene tra le quali è nascosta la data del 16 giugno 1465, dipinta come un falso graffito e solitamente interpretata come la data di inizio delle opere.

L’esatto episodio a cui fa riferimento l’affresco su questo muro non è chiaro. Sarebbe stato fondamentale leggere gli scritti sulla lettera conservata dal Marchese, secondo alcuni degli stessi conservati dal cardinale nella parete ovest, che l’ultimo restauro ha confermato come definitivamente perduti. Alcuni hanno interpretato la lettera come la convocazione urgente di Ludovico come comandante delle truppe milanesi, da parte della duchessa di Milano Bianca Maria Visconti, a causa dell’aggravarsi delle condizioni del marito Francesco Sforza: inviato da Milano il 30 dicembre 1461, arrivò a Mantova il 1 ° gennaio 1462, precisamente la data prevista per le celebrazioni del nuovo cardinale. Partendo per Milano fedelmente, rinunciando alle celebrazioni, Ludovico avrebbe così incontrato Bozzolo con suo figlio Francesco, che camminava nella direzione opposta (scena dell’Incontro), tornato da Milano dove era andato a ringraziare Sforza per il ruolo che aveva svolto nelle trattative per la sua nomina a cardinale. La manopola del faldistorio sul trono coprirebbe l’indirizzo della lettera, un dettaglio che è stato interpretato come una sorta di damnatio memoriae decretata dai Gonzaga agli Sforza, colpevole di aver impedito al loro erede di sposarsi per primo (Susanna) e poi l’altra figlia (Dorotea) delle figlie di Ludovico. Ma molti hanno sollevato il dubbio che una simile vendetta ermetica potesse essere rappresentata in un’opera di tale importanza e alcuni dubbi anche se l’episodio della lettera del marchese e la partenza per Milano fossero così significativi da dover essere immortalati. La manopola del faldistorio sul trono coprirebbe l’indirizzo della lettera, un dettaglio che è stato interpretato come una sorta di damnatio memoriae decretata dai Gonzaga agli Sforza, colpevole di aver impedito al loro erede di sposarsi per primo (Susanna) e poi l’altra figlia (Dorotea) delle figlie di Ludovico. Ma molti hanno sollevato il dubbio che una simile vendetta ermetica potesse essere rappresentata in un’opera di tale importanza e alcuni dubbi anche se l’episodio della lettera del marchese e la partenza per Milano fossero così significativi da dover essere immortalati. La manopola del faldistorio sul trono coprirebbe l’indirizzo della lettera, un dettaglio che è stato interpretato come una sorta di damnatio memoriae decretata dai Gonzaga agli Sforza, colpevole di aver impedito al loro erede di sposarsi per primo (Susanna) e poi l’altra figlia (Dorotea) delle figlie di Ludovico. Ma molti hanno sollevato il dubbio che una simile vendetta ermetica potesse essere rappresentata in un’opera di tale importanza e alcuni dubbi anche se l’episodio della lettera del marchese e la partenza per Milano fossero così significativi da dover essere immortalati. figlie di s. Ma molti hanno sollevato il dubbio che una simile vendetta ermetica potesse essere rappresentata in un’opera di tale importanza e alcuni dubbi anche se l’episodio della lettera del marchese e la partenza per Milano fossero così significativi da dover essere immortalati. figlie di s. Ma molti hanno sollevato il dubbio che una simile vendetta ermetica potesse essere rappresentata in un’opera di tale importanza e alcuni dubbi anche se l’episodio della lettera del marchese e la partenza per Milano fossero così significativi da dover essere immortalati.

Recentemente, uno studio di Giovanni Pasetti e Gianna Pinotti ha creduto di identificarsi nelle figure di cortigiani dipinte sulla parete nord della maggior parte della famiglia Sforza, tra cui un giovane Ludovico il Moro.

L’ultima persona raffigurata a destra, che indossa un abito blu, potrebbe essere Caterina Gonzaga, la figlia naturale del Marchese Ludovico, cieca in un occhio, sposata nel 1451 con il condottiero Francesco Secco.

Parete ovest
Sulla parete ovest si trova la “scena dell’incontro”. Questo affresco mostra l’incontro di Ludovico con il suo secondo figlio Francesco Gonzaga, che dieci giorni prima era diventato cardinale nella Chiesa cattolica romana. Intorno a loro ci sono altri figli di Ludovico, Ludovichino (un giovane ragazzo), due nipoti, il Sacro Romano Impero Federico III e Cristiano I, re di Danimarca. Mentre questo incontro tra i Gonzaga e questi importanti leader politici non ha mai avuto luogo realmente, la sua rappresentazione di Mantegna fa luce sulle aspirazioni politiche dei Gonzaga, che volevano apparire allo stesso tempo sia buoni servitori feudali che pari al livello superiore di l’elite politica (come evidenziato, ma la mancanza di importanza visiva dell’imperatore e del re sui Gonzaga). In particolare, questo incontro politico ideale esclude il principale datore di lavoro delle forze militari di Mantova, il duca Galeazzo Maria Sforza, mostrando nuovamente le aspirazioni dei Gonzaga di non essere creduto o meno rispetto ad altri leader politici. Nel paesaggio che fa da sfondo a questo incontro sorge una città romana immaginaria marchiata con lo stemma dei Gonzaga, un’altra allusione allo splendore paragonabile di Mantova sotto il dominio dei Gonzaga.

La parete ovest, chiamata “dell’Incontro”, è divisa in modo simile in tre settori. A destra avviene il vero “incontro”, in quello centrale alcuni putti reggono una targa dedicatoria e in quello a sinistra marcia la corte del marchese, che prosegue con due caratteri anche nel settore centrale: questi ultimi sono rappresentati nel spazio ristretto tra il pilastro e il vero scaffale dell ‘architrave della porta, che mostra la difficile compenetrazione effettivamente implementata tra il mondo reale e la pittura del mondo. Nel pilastro tra l’incontro e il putti è nascosto tra la grisaglia un autoritratto di Mantegna come maschera.

I personaggi
Nell ‘Meeting sono rappresentati il ​​Marchese Ludovico, questa volta in vesti ufficiali, forse affiancati da Ugolotto Gonzaga, figlio del defunto fratello Carlo. Suo figlio Francesco è cardinale. Sotto di loro ci sono i figli di Federico I Gonzaga, Francesco e Sigismondo, mentre suo padre Federico è all’estrema destra: le generose pieghe della sua tuta sono uno stratagemma per nascondere la cifosi. Federico parla con due personaggi, uno davanti e l’altro sullo sfondo, indicato da alcuni come Cristiano I di Danimarca (a fianco; cognato di Luigi II, come marito di Dorotea di Brandeburgo, sorella di Barbara) e Federico III d’Asburgo, figure che ben rappresentano l’orgoglio della famiglia per la parentela reale. Infine, il ragazzo al centro è l’ultimo figlio del marchese, il protonotario Ludovico, che detiene il suo cardinale fratello e nipote, il futuro cardinale, per mano, che rappresenta il ramo della famiglia destinato al cursus ecclesiastico. La scena ha una certa fissità, determinata dalla natura statica dei personaggi ritratti di profilo o tre quarti per sottolineare l’importanza del momento.

Sullo sfondo è rappresentata una vista ideale di Roma, in cui riconosciamo il Colosseo, Castel Sant’Angelo, la piramide di Cestio, il teatro di Marcello, il ponte Nomentano, le mura Aureliane, ecc. Mantegna ha anche inventato alcuni ben conservati monumenti, come una colossale statua di Ercole, in un capriccio architettonico che non ha nulla di filologico, probabilmente derivato da una fantastica elaborazione basata su modelli stampati. La scelta della città eterna era simbolica: sottolineava il forte legame tra la dinastia e Roma, corroborato dall’appuntamento del cardinale, e poteva anche essere una meritevole citazione per il cardinale come possibile futuro papa. Sulla destra c’è anche una grotta dove alcuni minatori sono al lavoro per scolpire blocchi e colonne.

La parte centrale
La parte centrale è occupata da putti che reggono la targa dedicatoria. Si legge: “ILL. LODOVICO II MM / PRINCIPI OPTIMO AC / FIDE INVICTISSIMO / ET ILL. BARBARAE EJUS / CONJUGI MVLIERVM GLOR. / INCOMPARABILE / SVVS ANDREAS MANTINIA / PATAVVS OPVS HOC TENVE / AD EORV DECVII / CCVCCII MCCVVII MCCVII.M. Oltre alla firma “pubblica” dell’artista, che si dichiara “padovano”, leggiamo la data del 1474, generalmente indicata come la fine dell’opera, e le parole di adulazione verso Ludovico Gonzaga (“molto famoso … eccellente principe e di una fede senza pari “) e sua moglie Barbara (” l’incomparabile gloria delle donne “).

Nell’ultimo restauro, una carovana dei Magi è stata riscoperta nello scompartimento sinistro, stesa a secco e già coperta di sporcizia, forse aggiunta per indicare la stagione invernale dell’Incontro, nonostante la rigogliosa vegetazione, che tuttavia include anche alcuni aranci, che Fioritura a fine anno. Nello scompartimento di sinistra non c’è una lunga fascia laterale, che era stata coperta da una riverniciatura del XVIII secolo: i restauri confermarono la completa perdita dei dipinti, dove era nascosta una figura che è ancora oggi vista come una mano.

Pareti minori
Le pareti sud e est sono coperte da tende, oltre le quali appaiono le lunette. A sud si apre una porta e un armadio a muro. Sopra l’architrave della porta c’è un grande stemma di gonzaga, piuttosto malandato, e le lunette sono quasi illeggibili. Quello orientale è meglio conservato e presenta tre bellissime lunette con festoni e imprese araldiche.

Riapertura della Camera delle nozze
Chiusa a causa del terremoto di maggio 2012, dopo il consolidamento del Castello di San Giorgio, la Camera degli Sposi è stata riaperta alle visite a partire dal 3 aprile 2015 contemporaneamente alla mostra della collezione di Romano Freddi, un industriale mantovano, venduta in prestito gratuito comprendente un centinaio di opere del periodo Gonzaga, tra cui una tavola di Giulio Romano e alunni e il frammento della pala d’altare della Trinità adorata dalla famiglia Gonzaga di Rubens raffigurante Francesco IV.

Palazzo Ducale
A causa delle sue dimensioni, con oltre 900 stanze in totale, e per i suoi capolavori, il Palazzo Ducale di Mantova è un edificio come nessun altro in Europa. Vanta innumerevoli ricchezze artistiche: la Camera degli sposi, con affreschi di Andrea Mantegna, affreschi di vita cortese di Pisanello, arazzi fiamminghi di cartoni animati di Raffaello, una pala d’altare di Rubens, dipinti di Domenico Fetti, anche una collezione di opere d’arte del XIV secolo come gli splendidi intarsi e affreschi in legno – che vanno dall’età del Rinascimento al XVIII secolo – che adornano lo studiolo di Isabelle d’Este. Giardini, cortili interni, elementi decorativi, il Tempio di Santa Barbara, la vista sui laghi. Un complesso che è divenuto realtà non appena la famiglia Gonzaga ha preso il potere e che è stata costantemente sviluppata, con ristrutturazioni degli edifici più antichi,

Museo urbano di Mantova
Una città sollevata sulle rive di splendidi laghi che in passato la circondavano e la decoravano. Una città celebrata da Virgilio che nacque nelle Ande: “Alzerò un tempio di marmo nella verde campagna”. Una città che ospita la più antica reliquia cristiana, il Sangue di Gesù che defluì sulla lancia di Longino. Una città libera, cresciuta nonostante il dominio matildico. Un miracolo del Rinascimento che ha il suo centro nel Palazzo Ducale e nella “Camera Picta” di Andrea Mantegna. Una corte del XVI secolo che ha raccolto infiniti capolavori, mentre la musica e il teatro hanno creato momenti unici.

Infine, una città che ospitava tesori, parte di molte epoche e culture, nella Biblioteca Teresiana, nell’Archivio Nazionale, nei musei. Tutti questi elementi spiegano, insieme a Festilavletteratura, il titolo di Capitale italiana della cultura 2016.