Arte Povera

La Arte Povera è un movimento artistico emerso in Italia nella seconda metà degli anni ’60, al quale gli autori hanno aderito prevalentemente ai turinés di campo. Prende il nome da Germano Celant, perché per la sua creazione vengono utilizzati materiali umili e poveri, generalmente non industriali (piante, sacchi di tela, grassi, corde, terra, tronchi). Questi materiali sono apprezzati principalmente nei loro cambiamenti, poiché quando si deteriorano, trasformano il lavoro.

Arte Povera è un movimento artistico contemporaneo. Il movimento dell’Arte Povera ebbe luogo tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70 nelle principali città italiane e soprattutto a Torino. Altre città in cui il movimento era anche importante sono Milano, Roma, Genova, Venezia, Napoli e Bologna. Il termine fu coniato dal critico d’arte italiano Germano Celant nel 1967 e introdotto in Italia durante il periodo di sconvolgimento alla fine degli anni ’60, quando gli artisti stavano assumendo una posizione radicale. Gli artisti hanno iniziato ad attaccare i valori di istituzioni stabilite di governo, industria e cultura.

Mario Merz si distingue tra gli artisti italiani che hanno praticato questa arte. Le sue opere partono da una legge strutturale molto elementare, quella del matematico medievale Fibonacci, per il quale lo sviluppo non deriva dalla semplice successione di numeri, ma dalla progressione in cui ciascun numero risulta dalla somma dei due precedenti. Questa progressione matematica è quella pubblicata da Merz in una qualsiasi delle sue opere, siano essi oggetti, spazi, verdure, ecc. Ad esempio, la disposizione dei pacchetti di giornali sul pavimento, con i numeri di Fibonacci realizzati in un gruppo neonato di frutta e verdura sparsi su il terreno, che si deteriora come accade con altri fenomeni naturali, o la creazione di un igloo coperto da una struttura al neon, dove appare la serie di numeri di Fibonacci, ecc.

La mostra “Im Spazio” (The Space of Thoughts), a cura di Celant e allestita alla Galleria La Bertesca di Genova, da settembre a ottobre 1967, è spesso considerata il punto di partenza ufficiale dell’Arte Povera. Celant, che divenne uno dei principali sostenitori dell’Arte Povera, organizzò due mostre nel 1967 e nel 1968, seguite da un libro influente pubblicato da Electa nel 1985 intitolato Arte Povera Storie e protagonisti / Arte Povera. Storie e protagonisti, promuovendo la nozione di arte rivoluzionaria, libera dalle convenzioni, il potere della struttura e il mercato.

Sebbene Celant abbia tentato di racchiudere gli elementi radicali dell’intera scena internazionale, il termine era incentrato su un gruppo di artisti italiani che attaccarono la mentalità aziendale con un’arte di materiali e stile non convenzionali. Le figure chiave strettamente associate al movimento sono Giovanni Anselmo, Alighiero Boetti, Enrico Castellani, Pier Paolo Calzolari, Luciano Fabro, Jannis Kounellis, Mario Merz, Marisa Merz, Giulio Paolini, Pino Pascali, Giuseppe Penone, Michelangelo Pistoletto, Emilio Prini e Gilberto Zorio. Hanno spesso usato oggetti trovati nelle loro opere. Altri primi esponenti del cambiamento radicale nelle arti visive includono gli artisti di proto Arte Povera: Antoni Tàpies e il movimento Dau al Set, Alberto Burri, Piero Manzoni, Lucio Fontana e Spatialism. Il commerciante d’arte Ileana Sonnabend era un campione del movimento.

Notevoli anche: Jannis Kounellis, Luciano Fabro, Richard Serra; e tra i tedeschi Joseph Beuys (1921-1985). Il materiale preferito di quest’ultimo era grasso, con il quale creava oggetti enigmatici o ne rivestiva altri, in cui spiccava principalmente il valore espressivo del materiale stesso. Negli anni ’60 (1960), insieme ad un altro artista tedesco, Wolf Vostell, e ai viennesi del gruppo Fluxus, Beuys realizzò innumerevoli Happenings in cui era evidente la sua marcata non conformità.

concetti
Il termine arte povera (dall’arte povera italiana) è una tendenza rilasciata alla fine degli anni ’60, i cui creatori usano materiali considerati poveri, molto facili da ottenere, come legno, foglie o rocce, stoviglie, piatti di piombo o vetro, verdure, stoffa, carbone o argilla, o anche materiali di scarto, e quindi erano inutili.

Nel tentativo di fuggire dalla commercializzazione dell’oggetto artistico, occupano lo spazio e richiedono l’intervento del pubblico. Tentano di provocare un riflesso tra l’oggetto e la sua forma, attraverso la manipolazione del materiale e l’osservazione delle sue qualità specifiche. Un artista tipico è Mario Merz (1925), famoso per i suoi igloo (strutture emisferiche realizzate con materiali diversi), ad esempio il suo lavoro Do We Go Around Houses o Do Houses Go Around Us? (1977-1985).

Arte povera ha respinto le icone dei mass media e delle immagini riduttive, nonché quelle industriali della pop art e del minimalismo. Propone un modello di estremismo operativo basato su valori marginali e poveri. Utilizza un alto grado di creatività e spontaneità e implica un recupero di ispirazione, energia, piacere e illusione trasformati in utopia. Arte povera preferisce il contatto diretto con materiali senza alcun significato culturale, materiali che non contano per la loro origine o uso, che vengono riutilizzati o trasformati dall’artista.

Coniato dal critico e curatore italiano Germano Celant nel 1967 per il catalogo della mostra “Arte povera – Im Spazio”, ha cercato di descrivere la tendenza di una nuova generazione di artisti italiani a lavorare con materiali non tradizionali ed è stato molto importante riflessione estetica sui rapporti tra il materiale, il lavoro e il suo processo produttivo e anche un chiaro rifiuto della crescente industrializzazione, metallizzazione e meccanizzazione del mondo che li circonda, incluso quello dell’arte. Sebbene originario di città come Torino, Milano, Genova o Roma e di carattere molto eterogeneo, il movimento ebbe immediatamente una grande influenza, grazie al documento V di Kassel, nelle scene artistiche europee e americane.

Il termine fu usato per la prima volta in una mostra veneziana nel 1967. L’artista di Povera assunse un nuovo atteggiamento, dove prese possesso di una realtà che è il vero significato del suo essere. Ha proposto uno stile di vita inventivo e antidogmatico. L’artista povera ha dovuto lavorare su cose nel mondo, produrre fatti magici, scoprire radici di eventi basati su materiali e principi forniti in natura. Non esprime giudizi sul suo ambiente. Arte Povera è anche considerata dall’artista come un’estensione del suo corpo e della sua anima, connettendosi direttamente con l’ambiente, la natura e tutto ciò che lo circonda, entrando in armonia. Le sue opere, sebbene non convenzionali, hanno una grande armonia e uno stile unico, dato dai materiali insoliti con cui lavora.

Un ritorno a oggetti e messaggi semplici
Il corpo e il comportamento sono arte
Il quotidiano diventa significativo
Appaiono tracce di natura e industria
Dinamismo ed energia sono incarnati nel lavoro
La natura può essere documentata nella sua trasformazione fisica e chimica
Esplora la nozione di spazio e linguaggio
Segni complessi e simbolici perdono significato
Ground Zero, nessuna cultura, nessun sistema artistico, Arte = Vita

Storia
Un primo raduno del nuovo movimento si svolge nel settembre 1967 nell’omonima mostra, a cura di Germano Celant, che si tiene alla Galleria La Bertesca di Francesco Masnata a Genova, dove espongono Boetti, Fabro, Kounellis, Paolini, Pascali e Prini. Arte Povera è ancora definita da Celant in un articolo pubblicato in n. 5 di Flash Art dello stesso anno, nella mostra Arte povera del 1968 alla Galleria de ‘Foscherari di Bologna con Anselmo, Boetti, Ceroli, Fabro, Kounellis, Merz, Paolini, Pascali, Piacentino, Pistoletto, Prini, Zorio, che sarà esporrà ancora insieme a Trieste presso il Centro Arte Viva-Feltrinelli, dove verrà aggiunto Gilardi, infine all’evento Arte Povera – Poor Actions negli Arsenali di Amalfi.

Il riferimento a un’arte povera come la guerriglia asistematica evidenziato da Celant nell’articolo su Flash Art è accettato grazie al riconoscimento internazionale, per quanto fermamente perseguito. La consacrazione internazionale ebbe luogo nel 1969 con la mostra di arte povera e arte concettuale Quando gli atteggiamenti diventano forma organizzata da Szeemann alla Kunsthalle di Berna (che comprende Boetti, Calzolari, Kounellis, Merz, Pascali, Pistoletto, Prini e Zorio) e quando esce il volume di Celant Arte povera esemplificato l’anno seguente nella mostra Arte concettuale arte povera land art organizzata alla Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino.

Altri esponenti del movimento oltre a quelli già menzionati furono Claudio Cintoli, Sergio Lombardo, Gino Marotta, Fabio Mauri, Giuseppe Penone, Cesare Tacchi, Renato Mambor.

Opere e poetiche
Il movimento nasce in aperta controversia con l’arte tradizionale, di cui rifiuta tecniche e supporti per fare uso, infatti, di materiali “poveri” come terra, legno, ferro, stracci, plastica, rifiuti industriali, con l’obiettivo di evocare le strutture originali del linguaggio della società contemporanea dopo aver corroso abitudini e conformismi semantici. Un’altra caratteristica del lavoro degli artisti del movimento è l’uso della forma dell’installazione, come luogo del rapporto tra il lavoro e l’ambiente, e quello dell’azione performativa. Germano Celant, che prende in prestito il nome del movimento dal teatro di Jerzy Grotowski afferma che l’arte povera si manifesta essenzialmente “nel ridurre al minimo, nell’impoverire i segni, nel ridurli ai loro archetipi”. La maggior parte degli artisti del gruppo mostra un esplicito interesse per i materiali utilizzati mentre alcuni – in particolare Alighiero Boetti e Giulio Paolini – hanno una predisposizione più concettuale sin dall’inizio.

L’arte povera fa parte del panorama della ricerca artistica dell’epoca a causa delle significative consonanze che mostra non solo rispetto all’arte concettuale propria, che in quegli anni vide sorgere la stella di Joseph Beuys, ma anche rispetto a esperienze come il pop , minimal e Land Art (Richard Long).

L’obiettivo di questi artisti era di superare l’idea tradizionale secondo cui l’opera d’arte occupa un livello super-temporale e trascendente della realtà. Per questo motivo è importante la provocazione che deriva dall’opera di Giovanni Anselmo Scultura che mangia (1968, collezione Sonnabend, New York), formata da due blocchi di pietra che schiacciano una testa di lattuga, un ortaggio il cui inevitabile destino è quello di perire .. L’uso di oggetti viventi è frequente, come in Kounellis, che ha fissato un vero pappagallo su una tela dipinta, dimostrando che la natura ha più colori di qualsiasi opera pittorica.

Un’altra critica avanzata dagli artisti dell’Arte Povera era quella contro il concetto di unicità e irripetibilità dell’opera d’arte: Mimesis, di Paolini, è costituita da due calchi in gesso identici che rappresentano una scultura di epoca classica, posti uno di fronte all’altro per lo scopo di fingere una conversazione.

Durante la guerra del Vietnam, Arte Povera si avvicinò ai movimenti di protesta contro l’intervento americano: l’opera di Pistoletto Vietnam (1965, collezione Menil, Houston) raffigura un gruppo di manifestanti pacifisti, rappresentati con sagome fisse su uno specchio, in modo che i visitatori della galleria si riflettessero dentro. In questo modo, le persone sono diventate parte integrante del lavoro stesso, creando una sorta di interazione tra la creazione artistica e il pubblico spettatore.

L’attenzione agli stili di vita di molte culture diverse da quella occidentale è presente nelle opere di Merz: i suoi numerosi igloo, creati con materiali diversi (ad esempio metallo, vetro, legno, ecc.), Sottolineano l’adattabilità di un popolo al suo certo ambiente.

L’identificazione uomo-natura è uno dei temi più trattati da vari artisti. In Marotta e Gilardi (Orto, 1967), tuttavia, la natura viene rivisitata in chiave artificiale, come per attualizzare il materiale e avvicinarlo a una sensazione di cambiamento epocale che coinvolge l’uomo e la sua percezione del mondo. Percezione che è resa incerta dai dipinti a specchio di Pistoletto, che si aprono letteralmente al mondo assorbendo tutto ciò che gli sta davanti e cambiando mentre l’ambiente che li contiene cambia.

Al contrario di questi, gli “schermi” senza immagine con cui Mauri riproduce la tela cinematografica e che influenzeranno le prime opere di Mario Schifano. Tuttavia, le sue creazioni a volte si aprono alla realtà quotidiana più popolare (Casetta Objects Achetés, 1960) o agli eventi di cronaca più impressionanti (La luna, 1968), che lo porterà a sviluppare una profonda riflessione sull’arte e sulla storia.

Molti artisti lavorano sull’idea di un’immagine stereotipata, come Ceroli (Si / No, 1963), che tratta i silhoutte presi dalla storia dell’arte in modo seriale, o insiemi di figure umane moltiplicate o serializzate con una tecnica che ricorda il bricolage. Anche i “gesti tipici” di Lombardo (gesti tipici-Kennedy e Fanfani, 1963), le tracce di immagini di Mambor o le scene rotocalco o i famosi dipinti rivisitati in stoffa colorata da Tacchi sono considerati stereotipi (Quadro per un mito, 1965).

artisti
Michelangelo Pistoletto iniziò a dipingere su specchi nel 1962, collegando la pittura con le realtà in continua evoluzione in cui si trova l’opera. Alla fine degli anni ’60 iniziò a riunire stracci con calchi di onnipresenti statue classiche italiane per abbattere le gerarchie di “arte” e cose comuni. Un’arte di materiali impoveriti è certamente un aspetto della definizione di Arte Povera. Nel suo Muretto di Stracci del 1967, Pistoletto realizza un arazzo esotico e opulento che avvolge mattoni comuni in pezzi di stoffa scartati.

Jannis Kounellis e Mario Merz hanno tentato di rendere l’esperienza dell’arte immediatamente più reale, collegando più da vicino l’individuo alla natura. Nel suo (Untitled / Twelve Horses), Kounellis porta la vera vita naturale nella cornice della galleria, mostrando dodici cavalli impilati sulle pareti della galleria. Ricordando il movimento Dada e Marcel Duchamp, il suo obiettivo era quello di sfidare ciò che si potrebbe definire arte, ma a differenza di Duchamp, mantiene gli oggetti reali e vivi, ridefinendo il concetto di vita e arte, mantenendo entrambe le entità indipendenti.

L ‘”effetto realtà” non è secondario ma costitutivo. (…) Kounellis sposta la frontiera di ciò che può essere definito come arte, ma non c’è mai l’idea che l’arte debba dissolversi nella vita. Al contrario, all’arte viene dato un nuovo messaggio come rito di iniziazione attraverso il quale rivivere la vita.

Piero Gilardi, proprio come lo scopo dell’Arte Povera stessa, si occupava di colmare il naturale e l’artificiale. Nel suo (Nature Carpets), 1965, che gli valse il riconoscimento e l’assimilazione nel movimento dell’Arte Povera, Gilardi costruì tappeti tridimensionali in poliuretano che utilizzavano foglie, rocce e suolo “naturali” come decorazione, design e arte intrecciati insieme per mettere in discussione la sensibilità della società nei confronti di ciò che è reale e naturale e in che modo l’artificialità veniva radicata nel mondo commerciale contemporaneo.

Giovanni Anselmo (1934-), scultore italiano.
Alighiero Boetti (1940-1994), artista italiano.
Ferruccio Bortoluzzi (1920-2007), artista italiano.
Pier Paolo Calzolari (1943-), artista italiano.
Enrico Castellani (1930-2017), pittore italiano.
Rossella Cosentino
Luciano Fabro (1936-2007), pittore e scultore.
Lucio Fontana (1899-1968), pittore e scultore argentino.
Piero Gilardi (1942-), scultore italiano.
Kichinevsky
Jannis Kounellis (1936-2017), pittore e scultore greco.
Mario Merz (1925-2003), artista, pittore e scultore italiano.
Marisa Merz (1931-2019), artista italiana.
Piero Manzoni (1933-1963), artista italiano.
Giulio Paolini (1940-), scultore e pittore italiano.
Claudio Parmiggiani (1943-), artista italiano.
Pino Pascali (1935-1968), artista italiano.
Giuseppe Penone (1947-), artista e scultore italiano.
Michelangelo Pistoletto (1933-), artista, pittore e scultore italiano.
Azar Salman
Edoardo Tresoldi (1987-), scultore scenografo italiano.
Gilberto Zorio (it)

Mercato dell’arte
Per molto tempo, le opere di arte povera sono sfuggite alla logica del mercato. Infatti, rifiutando di considerare l’opera d’arte come un “prodotto”, i loro autori non hanno esitato a creare opere effimere, oppure hanno usato materiali considerati “poveri” come terra, tessuto, piante, ecc. Tuttavia, l’avventura terminò poco prima della metà degli anni ’70, molti artisti del gruppo adottarono approcci individuali.

L’arte povera non è un’arte di facile accesso: la conservazione di alcuni pezzi richiede grande attenzione; altri, che si presentano sotto forma di installazioni, possono ovviamente avvenire solo in interni adeguati.

Tuttavia, le grandi istituzioni e collezionisti americani stanno iniziando a interessarsi molto a questa corrente dopo averla messa da parte per molto tempo.

Sebbene legato all’arte concettuale praticata in altri paesi – negli Stati Uniti, è stato in particolare il risultato di esperienze pop e minimaliste, accadendo e cinema sotterraneo – arte povera ha prodotto opere di indiscutibile individualità.

La prima mostra “Arte povera in spazio” di arte povera che ebbe luogo presso la galleria La Bertesca a Genova nel 1967 fu seguita da molti altri eventi, sia in Europa che negli Stati Uniti.

Critica
Arte povera utilizza prodotti poveri (da cui il suo nome): sabbia, stracci, terra, legno, catrame, corda, tela, abiti usati, ecc. E li posiziona come elementi artistici della composizione. Tuttavia, alcune opere, come Mario Merz Igloo di Giap, utilizzano materiali più sofisticati come le luci al neon.

La “povertà” potrebbe quindi essere quella dell’artista che usa mezzi leggeri che garantiscono la sua indipendenza nei confronti dell’economia e delle istituzioni culturali.

Abbiamo anche visto nell’uso della parola “povero” un riferimento cristiano all’ascetismo e alla rinuncia francescana perché nelle opere di arte povera troviamo un materialismo spirituale, una rivelazione del mistero dell’esistenza negli oggetti più banali, i più insignificanti , il più quotidiano.

Il termine Povero fu anche interpretato in senso politico perché gli artisti di arte povera adottarono posizioni radicali e marginali, vicine alla mentalità dei movimenti di protesta del 1968.