Architettura italiana del XX secolo

Il termine architettura italiana del ventesimo secolo, significa tutte quelle correnti architettoniche che, a partire dal movimento artistico dell’Art Nouveau, si svilupparono in Italia nel XX secolo.

L’Art Nouveau aveva in Giuseppe Sommaruga e Ernesto Basile due dei principali e più originali esponenti (rispettivamente Palazzo Castiglioni a Milano, ampliamento di Palazzo Montecitorio a Roma). Un linguaggio totalmente nuovo è stato annunciato con la pubblicazione nel 1914 del Manifesto di Architettura futurista di Antonio Sant’Elia. Lo stesso ha pubblicato i suoi tavoli della “Città nuova”, proponendo nuovi modelli architettonici che esaltano la funzionalità e una nuova estetica.

Il razionalismo si manifestò nel Gruppo 7 e nel MIAR (1926), ma dopo la dissoluzione del gruppo emersero nelle figure isolate di Giuseppe Terragni (Casa del Fascio a Como), Adalberto Libera (Villa Malaparte a Capri) e Giovanni Michelucci (stazione di Firenze) Santa Maria Novella, in collaborazione). Durante il periodo fascista il cosiddetto “Novecento” (Gio Ponti, Pietro Aschieri, Giovanni Muzio) ebbe maggior successo, da cui derivò, sulla scia della riscoperta della Roma imperiale, il neoclassicismo semplificato di Marcello Piacentini, autore di numerosi trasformazioni in diverse località italiane e ricordate per la contestata Via della Conciliazione a Roma.

Il secondo dopoguerra fu caratterizzato da vari talenti (Luigi Moretti, Carlo Scarpa, Franco Albini, Gio Ponti, Tomaso Buzzi e altri), ma mancava una direzione unificata. Pier Luigi Nervi, con le sue audaci strutture in cemento armato, ha acquisito una reputazione internazionale ed è stato un esempio per Riccardo Morandi e Sergio Musmeci. In una stagione animata da interessanti dibattiti condotti da critici come Bruno Zevi, prevalse il razionalismo e una delle opere paradigmatiche trovate nella stazione di Roma Termini. Al neorealismo di Michelucci, Carlo Aymonino, Mario Ridolfi e altri (quartieri INA-Casa) seguirono la Neoliberty (trovata nei primi lavori di Vittorio Gregotti) e il Brutalismo (Torre Velasca di Milano del gruppo BBPR, un edificio residenziale in Via Piagentina a Firenze, di Leonardo Savioli, opere di Giancarlo De Carlo).

Le Corbusier (progetto per un ospedale a Venezia) e Frank Lloyd Wright (progetto di una casa sul Canal Grande, ancora a Venezia) non costruirono nulla in Italia, mentre Alvar Aalto (chiesa dell’Assunzione a Riola di Vergato) ci riuscì, Kenzō Tange (torri della Fiera di Bologna, piano del Centro Direzionale di Napoli) e Oscar Niemeyer (sede della Mondadori a Segrate).

Nel 1980, nell’ambito della Biennale di Venezia, viene fondato il settore dell’Architettura, viene nominato come direttore Paolo Portoghesi. In quell’occasione venne allestita la “novissima strada” allestita da Costantino Dardi e, su commissione di Paolo Portoghesi, Aldo Rossi realizzò il “Teatro del Mondo”, un teatro galleggiante e itinerante che percorse i canali di Venezia. Aldo Rossi, il primo italiano a vincere il Pritzker Prize, è stato indubbiamente uno dei più influenti architetti italiani per la nuova generazione. Rafael Moneo scrive a riguardo:

“Non penso di esagerare dicendo che già negli anni Ottanta erano stati segnati – in Italia – da Aldo Rossi e Manfredo Tafuri e che qualsiasi commento che si faceva intorno all’architettura italiana di quegli anni andava riferito a loro”

(Rafael Moneo, The Other Modernity: Considerazioni sul futuro dell’architettura, pagina 113.)
Sempre nel 1980, la mostra di architettura “Presence of the Past” si tenne presso l’Arsenale di Venezia, dove i maggiori architetti del momento erano considerati postmoderni, tra cui Robert Venturi, Hans Hollein, Frank Gehry e Ricardo Bofill. In questo modo, Paolo Portoghesi, con una serie di pubblicazioni, lanciò la cosiddetta architettura postmoderna in Italia, connettendosi ad altri critici come Charles Jencks e Robert Stern.

Architettura modernista The Liberty STO
Nei vent’anni tra il XIX e il XX secolo, l’ambiente artistico e culturale italiano ha ricevuto gli stimoli di questa nuova tendenza stilistica. Ernesto Basile fu uno dei principali interpreti con le sue numerose realizzazioni di teatri, palazzi e ville, tra cui Villa Igiea a Palermo (1899 – 1900) e l’ampliamento di Palazzo Montecitorio a Roma. L’occasione principale fu quella del Salone Internazionale delle Arti Decorative Moderne di Torino del 1902, in quell’occasione Raimondo D’Aroncohe progettò il Padiglione Italia. Un’altra personalità di spicco è stata Giuseppe Sommaruga che in quegli anni costruì sempre Palazzo Castiglioni a Milano.

Futurismo
Antonio Sant’Elia (1888 – 1916) è l’esponente più rappresentativo dell’architettura futurista. Il suo futurismo è l’architettura nel “movimento”, lo spazio architettonico che è legato al tempo in un progetto sistemico della scienza tecnologica della macchina. L’universo dell’architettura si espande e la dimensione urbana è interessata, appunto la New City, il progetto più importante di questo architetto del 1913-1914, in cui la Milano del futuro viene immaginata in una raccolta di schizzi e progetti. L’opera di Sant’Elia era di “avanguardia” e aveva influenza a livello europeo e, sebbene in parte legata all’Art Nouveau e alla Secessione viennese in alcuni tratti, porta indiscutibilmente i segni della rottura con il passato che egli vuole trasfigurare. I disegni sono quasi tutti in prospettiva ma denota il “movimento” delle forme architettoniche delle megastrutture rappresentate La morte prematura di Antonio Sant’Elia, in prima linea durante la prima guerra mondiale, ha impedito lo sviluppo di idee futuristiche in architettura ma in questi archetipi molti hanno visto un’anticipazione di Walter Gropius e Le Corbusier.

Scomparso Antonio Sant’Elia, che cadde nella Grande Guerra, negli anni Venti il ​​futurismo aveva già esaurito il suo slancio e all’indomani del fascismo sviluppò contemporaneamente due diverse tendenze architettoniche: da una parte l’architettura razionalista che rappresentava il movimento moderno, in sintonizzarsi con le tendenze europee del funzionalismo. Dall’altra parte, per diffondere i suoi ideali tra le masse e trasmettere così l’idea di grandezza del regime, il fascismo favorirà la costruzione di edifici monumentali con forti caratteristiche scenografiche. L’architetto e urbanista che ha creato e sviluppato questo linguaggio monumentale è stato Marcello Piacentini.

Gruppo 7, MIAR e alcune figure isolate
Nel 1926 fu formato il “Gruppo sette”, tra cui, tra gli altri, Figini e Pollini e Giuseppe Terragni, che qualche tempo dopo entrerà anche Adalberto Libera. Il gruppo cominciò a farsi conoscere con una serie di articoli apparsi sulla rivista Rassegna Italiana, ma l’occasione più importante fu quella della mostra di architettura razionale che ebbe luogo a Roma nel 1928. Il gruppo si presentò non come una rivoluzione e tentò in tutti i modi di ridisegnare il nuovo stile come il più adatto al regime fascista, di cui invece molti giovani agricoltori (come Terragni e Giuseppe Pagano Pogatschnig) sono convinti sostenitori. Costituisce, così, il MIAR, movimento italiano per l’architettura razionale, che conta quasi 50 architetti che rappresentano tutte le diverse regioni italiane. Nell’esposizione del 1931 a Roma l’impatto è molto più forte ed è chiaro che le opere razionaliste sono in realtà troppo rivoluzionarie e non si inseriscono in un regime autoritario. La polemica che nasce con i sostenitori della vecchia accademia, che poi sono la maggioranza, generano molte defezioni nel MIAR, così che la sua segretaria Libera è costretta a sciogliere il movimento.

Da questo momento in poi, gli architetti razionalisti ritireranno ognuno di loro lavorando nel settore privato e abbandonando gli uffici pubblici, anche se riusciranno a realizzare vari progetti. La Casa del Fascio a Como (1932) di Giuseppe Terragni è una di queste opere pubbliche ed è anche la più grande dal punto di vista formale, tanto che Zevi la definisce “il capolavoro del razionalismo italiano”, per il suo volume puro disegnato la sezione aurea, che ha una pianta solida e una consistenza quasi “classica”. La decorazione astratta (ora perduta) fatta da Mario Radice dovrebbe essere annotata nella Casa del Fascio che ricorda la disposizione dell’edificio pubblico medievale in chiave molto contemporanea, quasi sempre con un cortile interno affrescato. Per traduzione, i pittori del gruppo degli astrattisti italiani, Mario Radice, Manlio Rho, Aldo Galli sono anche chiamati “Razionalisti”, che riflettono una comune fucina culturale che unisce pittura e architettura.

L’Istituto di Fisica dell’Università di Roma “La Sapienza” di Giuseppe Pagano – dove il tema razionale è controllato e non esposto come nella Casa del Fascio sopra – rappresenta, invece, l’opera principale dal punto di vista funzionale, in quanto in esso leggiamo un nuovo metodo di progettazione: l’edificio progettato per la funzione per cui è destinato. Un altro fondamentale lavoro è senza dubbio la stazione di S. Maria Novella a Firenze (1933), dove il concorso di design è vinto da Giovanni Michelucci e dai suoi allievi Baroni, Bernardi, Gamberini, Guarnieri, Lusanna. I classicisti possono deliberatamente ritirarsi nella preoccupazione di dover affrontare la parte posteriore della Santa Maria Novella. L’edificio, tuttavia, nonostante la sua razionalità, si integra bene con l’ambiente con il rivestimento in pietra e il design, apparendo come lo sviluppo dell’architettura del passato. Questo inaugurerà un “modus” di Michelucci, forse un’integrazione “organica” di edifici razionali nell’ambiente storico edificato, in un abile lavoro di materiali, elementi, relazioni, dettagli architettonici. Nel 1939 la Cittadella d’Assisi fu costruita da Gaetano Brusa.

A Milano, grazie alla rivista Casabella – Costruzioni diretta negli anni quaranta da Giuseppe Pagano Pogatschnig e Giancarlo Palanti, sono citati nel famoso articolo Intervallo ottimista di Raffaello Giolli, che riflette l’importanza della scuola milanese, Gianni Albricci, Achille e Piergiacomo Castiglioni , Mario Tevarotto, Enea Manfredini, Anna Ferrieri, Luciano Canella, Mario Righini, Augusto Magnaghi, Mario Terzaghi, Vittorio Gandolfi, Marco Zanuso, Renato Radici come giovani architetti razionalisti.

Dal 2008 la villa Necchi Campiglio è stata aperta al pubblico grazie alla donazione al FAI di via Mozart a Milano, un esempio forse unico per bellezza e conservazione di una villa razionalista privata degli anni trenta, progettata e realizzata con maestria da Piero Portaluppi .

Altri importanti edifici, su incarichi minori o privati ​​sono:

l’asilo nido Sant’Elia di Como (1936 – 1937) di Terragni, forse la sua opera migliore, per quell’espressione libera articolata e trasparente che si apre all’ambiente esterno;
il caso della Foce a Genova (1936-40) di Luigi Carlo Daneri;
villa Malaparte a Capri (1938) di Adalberto Libera, un parallelepipedo spezzato dalla gradazione del terrazzo solare sul tetto, che appare in rilievo ma straordinariamente integrato nella roccia di un promontorio;
l’Università Bocconi di Milano (1938-1941) di G. Pagano e G. Predeval, di chiaro stile razionalista con reminiscenze del Bauhaus nell’articolazione della pianta;
alcune mostre per mostre (1934-35) di Franco Albini, Persico e Nizzoli;
due edifici e una biblioteca a Roma (1938-1940) di Mario Ridolfi.

Monumentalismo. Il ruolo di Piacentini
Marcello Piacentini è la figura che più di ogni altra dominata architettura italiana durante il regime fascista: i suoi sono i principali compiti pubblici e il suo stile influenzerà, o in qualche modo sarà imposto non solo a molti architetti negli incarichi minori, ma anche a i principali razionalisti come Pagano, Libera, Michelucci. L’esempio più significativo di questo compromesso sarà sul progetto EUR E42, in cui la presenza di quattro architetti razionalisti su cinque membri della commissione non può imporre la propria linea; Piacentini, usando la sua tattica di mediazione tra tradizionalisti e modernisti, vince, e il suo stile trionfa in tutti i sensi nell’architettura della mostra.

La sua architettura è una sorta di “neoclassicismo semplificato” che può essere incluso nella serie di tendenze che sono state definite dai critici con il termine Monumentalismo; planimetrie simmetriche e bloccate, volumi chiusi che devono ricordare il “Mar Mediterraneo”; Dettagli architettonici classici con rivestimento in lastre di marmo, arcate ritmiche, colonne, archi, simmetrie. Molte città italiane sono state ridisegnate in modo monumentale, con la demolizione di importanti fette del centro storico e la ridefinizione dei suoi edifici più importanti in un ideale collegamento con la “romanità” del passato.

Oggi c’è una certa rivalutazione del “neoclassicismo semplificato” di Piacenza, e questo è legato al suo apparente legame con le forme del postmodernismo. Un fatto, tuttavia, è certo e accettato da tutti: l’Italia dei vent’anni è isolata dal più avanzato mondo culturale europeo, che propone i temi del Movimento Moderno in architettura, quindi non sono conosciuti o fraintesi dagli architetti italiani. Tutto è concentrato in un dibattito superficiale, che non cattura le caratteristiche originali dello stile internazionale e si riduce a una modernizzazione esteriore dello stile, con l’adozione di forme semplificate, pareti lisce, balconi pieni, cornici piatte, capitelli alleggeriti, archi elementarizzati, colonne levigate, abbassando così significativamente il livello degli edifici pubblici.

I risultati più importanti della monumentalizzazione italiana sono:
la nuova città universitaria di Roma anche se con alcune eccezioni;
E42 di cui molti edifici sono stati progettati dai razionalisti;
via della Conciliazione a Roma; il centro storico di numerose città come Brescia e Livorno;
imperatore di piazza Augusto sempre a Roma;
la città di fondazione, monumentale e bonifica.

Alcune nuove città sfuggono a questa logica del monumentalismo:
la città di Sabaudia, progettata tra gli altri da Luigi Piccinato;
la città d’oltremare di Portolago in Grecia, sull’isola di Lero del Dodecanese, che ha un’impronta decisamente più moderna.

Il periodo postbellico
Nel dopoguerra è finalmente passato il neoclassicismo semplificato di Piacentini e il razionalismo prende il sopravvento riconoscendosi nella linea della rivista “Casabella-continuità” che era già Pagano e Persico. Il movimento è caratterizzato da architetti di notevole abilità come Albini, Luigi Walter Moretti, Gio Ponti, Galmanini, Portaluppi, Carlo Scarpa, Figini, Pollini, BBPR, Michelucci, Giuseppe Samonà, ma con personalità oscillanti, ed è disunito e non porta inoltrare un discorso unitario.

A livello internazionale, emerge la personalità di Pier Luigi Nervi, ma anche con il linguaggio delle sue strutture, eccellente sintesi di bellezza e staticità segue un percorso che appare unico e personale. Mentre d’altra parte Bruno Zevi, teorico dell’architettura, fondò a Roma nel 1945 insieme a Luigi Piccinato, Mario Ridolfi, Pier Luigi Nervi e altri l’Associazione per l’architettura organica, che nell’ambiente italiano faticava a imporsi.

L’Italia rimane in qualche modo chiusa ad alcuni importanti temi dell’International Style, i canoni dell’architettura internazionale del Novecento, passati in Italia, ma filtrati e come si cerca un’autostrada italiana. Quasi un simbolo di questo freno alle scelte, che rompe decisamente con il passato, è l’impossibilità dei due più grandi Maestri del Movimento Moderno, Le Corbusier e Wright, di realizzare i loro due progetti a Venezia (Ospedale e Palazzetto sul Canal Grande ).

Opere importanti di questa logica razionale ma con influenze puramente italiane sono:

nel 1945 il Mausoleo delle Fosse Ardeatine, Fiorentino e altri;
del 1946 il Seminario Vescovile di Reggio Emilia di Enea Manfredini
nel 1948 la testa della stazione Termini a Roma, Montuori e Vitellozzi;
nel 1949 -50 lo scambio di merci di Pistoia, di Giovanni Michelucci;
nel 1950 il Palazzo per Uffici di INA a Parma di Franco Albini
nel 1952 la Chiesa della Madonna dei Poveri a Milano, di Figini e Pollini;
nel 1950 – 57 l’arrangiamento interno di Palazzo Bianco e il tesoro della Cattedrale di San Lorenzo a Genova di Franco Albini;
nel 1955 il grattacielo Ina Assitalia a Palermo di Carlo Broggi;
nel 1955, giardini e ampliamenti della Villa Clerici a Milano di Gaetano Brusa
nel 1958 la Torre Velasca a Milano dello studio BBPR;
nel 1956 – 58 il Grattacielo Pirelli di Gio Ponti la cui struttura è stata progettata da Pier Luigi Nervi e dove trova la prima vera applicazione del muro divisorio nella realtà italiana;
nel 1956 -58 il Palazzo dello Sport e il Palazzo Palazzetto dello Sport a Roma di Pier Luigi Nervi;
nel 1956 il progetto della Cattedrale di Cristo Re di La Spezia di Adalberto Libera;
nel 1959 il Motor Show di Torino di Morandi.
La reazione allo stile internazionale
L’architettura e la vita di tutto il paese, dopo la seconda guerra mondiale, sembra risvegliarsi da un lungo sonno e vedere la realtà dopo tanto tempo. È così che nasce il neorealismo architettonico, che forse prende spunto dalla stagione di grande valore che questa forma di espressione aveva già avuto nel cinema; in architettura, infatti, il movimento è dopo quello cinematografico; questa è la prima reazione al movimento moderno. I suoi maestri sono Mario Ridolfi, Carlo Aymonino, Ludovico Quaroni, Giovanni Michelucci, anche se quest’ultimo comprende anche altre tendenze. La ricerca neorealista si concentra sulla coerenza compositiva dei materiali, le scelte tecnologiche, i dettagli architettonici e costruttivi, le interpretazioni sociologiche e psicologiche dell’ambiente costruito e dello spazio architettonico esistente e storico.

È proprio in questa prospettiva dell’analisi storica delle tecniche costruttive del passato che emerge la necessità già avvertita alla fine degli anni Trenta della codificazione della conoscenza dell’arte della costruzione. Sarà proprio Mario Ridolfi, che proviene da una famiglia di imprenditori, mediare tra “teoria” e “pratica” costruttiva e curare la pubblicazione del Manuale pubblicato dal Consiglio Nazionale delle Ricerche nel 1946. Tutte queste informazioni saranno quindi trasferite immediatamente alla ricostruzione postbellica di cui l’edilizia popolare lavora con i distretti INA-Casa rappresenterà l’esempio e il modello più significativo.

Esempi di tutto ciò sono:

nel 1950 il quartiere Tiburtino a Roma (capogruppo Mario Ridolfi e Ludovico Quaroni);
nel 1951 il quartiere delle Spine Bianche a Matera (Michele Valori, Aymonino);
del 1951 le Torri INA di viale Etiopia a Roma Mario Ridolfi;
dal 1948 al 1952 Hotel-Rifugio Pirovano di Franco Albini a Breuil-Cervinia;
nel 1956 il Distretto di Rosta Nuova a Reggio Emilia da Franco Albini, Franca Helg ed Enea Manfredini;
del 1957 l’Ospedale Civile di Belluno di Enea Manfredini;
una villa di Ignazio Gardella nella campagna di Pavia.
Questa abitudine della cultura architettonica italiana di riciclare forme tradizionali porta i migliori architetti a una scelta metodologica importante, tipica delle abitudini progettuali del passato, che consiste nel trattare ogni progetto come un evento irripetibile e isolato e non come un programma di una nuova organizzazione della città. Esempi significativi di questo atteggiamento sono la già citata Torre Velasca a Milano di BBPR, l’edificio INA di Franco Albini a Parma, la Cassa di Risparmio di Giovanni Michelucci a Firenze, che rappresentano “eccellente originalità” di fronte alla mediocrità generale dell’architettura italiana . L’atteggiamento deriva dalla difficoltà di sviluppare i problemi di urbanizzazione della città attuale al di sopra di una certa dimensione, con la conseguente incoerenza tra coscienza architettonica e urbana. E la questione urbanistica esploderà con veemenza, sotto il peso della prima ricostruzione e del boom edilizio degli anni Sessanta, che porta con sé la speculazione edilizia. I cittadini si propagano come un incendio senza direttive precise e le periferie sono vestite di grigiore e caos tipici degli insediamenti industriali paleo. In Italia non esiste un approccio ai problemi urbani, tipico del Movimento Moderno, gli architetti possono anche aver identificato problemi ma non riescono a trovare soluzioni e questo porta a una crisi nella cultura architettonica italiana.

Fenomeni come Neoliberty, di reazione alla mancanza di umanità dello stile internazionale, possono essere inquadrati in quest’area. Da una parte c’è il desiderio di recuperare le idee di familiarità e buona grazia dell’architettura degli edifici dei primi decenni del XX secolo, e dall’altra parte c’è questo auto-chiusura in un ritorno al passato, per evitare di affrontare problemi attuali e urgenti che sembrano irrisolvibili. Emblematiche sono le parole del critico britannico Reyner Banham che identificherà il “Ritiro spirituale italiano dall’architettura moderna”. Così una stagione di breve durata è nata alla fine degli anni Cinquanta, che si riferisce ai temi formali dell’Art Nouveau, rielaborandoli in un senso più moderno.

Le principali opere da ricordare sono:

1953-58 la Casa alle Zattere a Venezia di Ignazio Gardella;
1953-56 la Bottega di Erasmo e Borsa Valori a Torino di Roberto Gabetti e Aimaro Isola,
1957 appartamenti duplex a Cameri (Novara) di L. Meneghetti, Vittorio Gregotti e Giotto Stoppino;
vari edifici di Gae Aulenti, Guido Canella e Pietro De Rossi a Milano.
Il brutalista nasce invece con Le Corbusier a Chandigarh, ma non può essere considerato un vero superamento del movimento moderno, ma piuttosto un’evoluzione. In Italia trova molti seguaci: molti hanno riconosciuto i suoi segni anche in quell’unico evento che è la già citata Torre Velasca a Milano, o nella plasticità dirompente del cemento a vista della Chiesa dell’Autostrada del Sole di Giovanni Michelucci (1964); poi, certamente, all’Istituto Marchiondi di Milano diVittoriano Viganò (1957), nelle case del quartiere Sorgane di Firenze, di Leonardo Ricci e altri (1966), negli edifici per unità abitative nel quartiere Matteotti di Terni di Giancarlo De Carlo (1971 – 74).

Le ultime tendenze
Altri movimenti, più o meno recenti, rappresentano, invece, il superamento del movimento moderno in Italia, perché portano nuove espressioni e canoni. Possono essere identificati negli ultimi 40 anni:

l’architettura radicale del Superstudio fondata a Firenze da Adolfo Natalini nel 1966, quasi la “negazione” dell’edilizia e dello spazio architettonico, dove i canoni positivisti dello stile internazionale sembrano dissolversi;
l’architettura High-Tech magistralmente espressa da Renzo Piano nel Beaubourg di Parigi (1971 – 1979), la cui struttura rivoluzionaria evidenzia chiaramente nuovi temi e dettagli costruttivi che diventano dettagli architettonici, legati alla definizione metaforica dell’edificio attraverso sistemi e tecnologia;
l ‘architettura postmoderna, non nata in Italia, sebbene abbia avuto alcune anticipazioni in Guido Canella e Michele Achilli nel Comune di Segrate (1963), che riecheggia una certa rotondità romana monumentale e Paul portoghese (Casa Baldi, 1960). Quest’ultimo diventerà uno degli esponenti più significativi in ​​Italia di questo movimento, grazie al suo lavoro come critico di architettura, i risultati più importanti furono quelli di Aldo Rossi;
un altro movimento, per essere considerato come uno sviluppo di precedenti, è il neo-nazionalismo, la cui figura preminente in Italia era Aldo Rossi, al quale alcuni associano una sorta di Neo-Novecento come nel quartiere gallarese di Milano (1969 – 73 );
il regionalismo critico, è stato promosso in Italia dal suo principale critico Kenneth Frampton con la pubblicazione di due articoli sulle riviste Casabella e Domus. Uno degli architetti particolarmente sensibili a questi argomenti era sicuramente Gino Valle.
altre tendenze ancora da ricordare sono il decostruttivismo e il pluralismo moderno, ma per ora non sembrano avere grandi referenze in Italia.